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Fine dell'Unione Sovietica e le sue cause

Buongiorno e felicità di Natale a tutti gli americani nel nostro grande paese. In un giorno forse non certo casuale, il Natale del 1991, la bandiera dell'Unione Sovietica venne calata una volta per tutte dal pennone del Cremlino. Era la fine di un'era durata quasi 70 anni.

S.S.S.R. bolshenit. La Unione Sovietica non è più. Quella sera la CNN trasmise in diretta il discorso di dimissioni dell'ultimo segretario del Partito Comunista Sovietico, Mikhail Gorbachev.

La prima reazione internazionale fu quella del presidente statunitense George Bush Senior, che per ben tre volte definì l'evento come la vittoria definitiva dell'America sul comunismo. Tuttavia la domanda che già molti si posero all'epoca fu come si era arrivati a quel punto. Il collasso dell'Unione Sovietica fu un susseguirsi di cause, cause interne ed esterne, cause vecchie, incancrenite, proprie di un sistema ingolfato, e ingigantite da una sequenza di errori madornali.

Per parlare del 1991 dobbiamo tornare qualche anno più indietro, il 12 novembre 1982. Gorbaciov non era ancora il segretario generale del Partito Comunista, quel ruolo era infatti ricoperto da Yuri Andropov. E a dirla tutta, l'idea di ristrutturare l'Unione Sovietica non partì proprio da Gorbaciov, ma da Andropov. In Russia molti dicevano Se solo Andropov fosse vissuto un po'più a lungo, forse l'Unione Sovietica sarebbe sopravvissuta. Beh, quando venne nominato da Brezhnev come suo successore, Andropov era consapevole di ereditare un'Unione Sovietica piena di problemi. Nell'82 i sovietici erano in guerra con l'Afghanistan, la distensione con l'Occidente era fallita e Reagan, campione anticomunista, era salito alla Casa Bianca.

In Europa Occidentale poi le cose non andavano meglio. In Polonia i lavoratori chiedevano una diminuzione del prezzo del cibo e, con l'aiuto di intellettuali dissidenti, avevano fondato un movimento di rivolta, Solidarność, che nei primi anni Ottanta contava già milioni di aderenti. I problemi però non erano soltanto quelli dell'ultima ora.

Di questioni aperte l'Unione Sovietica se ne trascinava parecchie dalla fondazione. E una di queste era l'annosa questione della retratezza storica. Il socialismo in Russia, fin dai tempi della rivoluzione, pretendeva infatti di poter modernizzare una nazione che, a differenza dell'Europa occidentale, era ancora intrappolata in un caos economico e politico.

Mettiamolo in termini pop che faranno investialire professori universitari più conservatori, già li sento. Era come giocare a un videogioco di strategia, scegli l'Unione Sovietica e avrai un handicap di partenza rispetto alle altre nazioni occidentali. Questo handicap di partenza ha generato una condizione immatura, acerba per i comunisti al potere. e ha fatto sì che si forzassero le tappe di un processo di modernizzazione che, all'Occidente, invece, aveva richiesto secoli.

Per metterla in termine ancora più terra-terra, che faranno incazzare il più reazionario dei cuochi stellati, hanno voluto fare la pasta mettendola direttamente a bollire nell'acqua tiepida. Per alcuni, quindi, l'Unione Sovietica si era creata su fondamenta instabili. Un'economia dilaniata dall'incapacità del governo zarista, classi operaie realmente ancora poco sviluppate e l'assenza di movimenti culturali. reali, determinanti.

Questa condizione di azzoppamento, o meglio, di mancanze intrinseche al sistema, sarebbe perdurata per tutta la storia sovietica. Certo, con Stalin, l'industrializzazione pesante e l'aumento della centralizzazione avrebbero portato a cambiamenti importanti nell'economia. Erano stati un impulso decisivo per trasformare l'Unione Sovietica in una nazione non più arretrata ma industriale, la seconda al mondo.

Eppure le problematiche latenti non erano scomparse, si erano soltanto incancremite. La popolazione maggioritaria non erano più i contadini, ma gli operai. Ciaone proprio, kulaki! E sia con Stalin che con i successori Khrushchev e Brezhnev, l'economia era stata dettata da una sola parola d'ordine, intensività. Quando in realtà ai sovietici serviva l'opposto.

estensività. Non so se esiste nel dizionario questa parola. Per battere l'Occidente, l'Unione Sovietica adottò il mantra della quantità sulla qualità.

Per quanto distante dagli Stati Uniti, il modello sovietico si sarebbe sempre fondato su una concezione ancora fordista, diciamo così, dove quasi tutti finivano in una fabbrica a lavorare come operai per contribuire all'enorme produzione di materiali prima bellici e poi a uso civile. E tale sarebbe rimasta. anche quando nel resto del mondo occidentale, negli anni 80 ad esempio, si iniziava a intravedere l'arrivo di una nuova tecnologia, l'informatica.

Proprio in quanto promotore di un modello socialista, il grosso problema dei sovietici fu l'essere stati subito sottoposti a un fortissimo isolamento politico e a imbarghi economici da quella fetta di mondo avanzata, l'Occidente. L'Unione Sovietica era sì autonoma, ma era finita per essere alla fine della fiera un universo a sé stante, solitario. Andropov negli anni 80 fu il primo a rendersi Si conto che per modernizzare l'economia sovietica ci sarebbe stato bisogno di soldi, ma anche di conoscenze che in occidente abbondavano. Questo pensiero non sminuiva il valore e la qualità di molti scienziati sovietici, bensì l'immobilismo che da decenni contrassegnava il partito comunista. Come confessato da Andropov nell'81 a Eric Milke, capo della Stasi, cioè i servizi segreti della Germania orientale, gli americani sembrano avere soldi illimitati.

Andropov non aveva tutti i torti. La Nato, il Giappone, gli stati arabi del Golfo, tutti contribuivano a finanziare il debito e le casse di stato americane, comprese le spese militari. All'opposto, l'Unione Sovietica aveva dalla sua tutta una serie di staterelli socialisti che dipendevano esclusivamente dai sussidi di Mamma Mosca, gravando come pesi morti.

L'isolamento dei paesi socialisti aveva contribuito a far capire a tutti che addettare le regole del gioco, a livello planetario, era il capitalismo. Il fatto che, con la distensione negli anni 70, l'Unione Sovietica avesse fatto sua l'idea di aprire un dialogo con gli Stati Uniti e quindi bussare alla porta di chi controllava il mercato capitalista fu, per utilizzare le parole di Erich Hobsbawm, l'inizio della fine. I primi segni di debolezza dell'Unione Sovietica si manifestarono nel 1979, quando i mercati internazionali vennero colpiti da una pesantissima crisi petrolifera. L'ondata si abbatté con tutta la sua potenza sui bilanci sovietici, che contavano molto sull'esportazione di gas e greggio.

L'Unione Sovietica nel 1979 era infatti la prima nazione produttrice di petrolio, con più di 11.000 barili al giorno. Era stata però un'altra crisi energetica a cambiare le carte in tavola, non quella del 1979, ma quella del 1973. In quell'anno l'Occidente senza petrolio decise di rinnovarsi in campo tecnico e scientifico, per rendersi molto meno dipendente dai paesi esportatori di greggio e al tempo stesso trovare nuovi metodi di guadagno. La Russia, invece, si accontentò di esportare ai paesi occidentali il petrolio e non ebbe così tanti stimoli a volersi innovare. Fu, diciamo così, uno dei tanti treni persi dal partito. In una riunione dell'82, Andropov denunciò un fatto molto inquietante.

I sovietici importavano sempre di più cibo come grano e carne dai paesi stranieri. Non voglio allarmarvi, disse Andropov. Ma!

Marto, non voglio allarmarti. Ma, proseguì Andropov, negli ultimi anni abbiamo sprecato miliardi di rubli. Maaaaaa!

Parole dure, di un uomo davvero strano, che però in realtà ci aveva visto abbastanza giusto, perché invece di utilizzare i proventi del petrolio per investirli in tecnologie e conoscenze per lo sviluppo, l'Unione Sovietica li utilizzava per fare quello che non doveva fare, cioè importare cibo che poteva produrre benissimo da sé e sonvenzionare i suoi stati satelliti. Gli Stati Uniti non fecero altro che ringraziare. Quando il petrolio crollò nel 79, i russi si trovarono senza più soldi per pagarsi le importazioni di cibo.

E a quel punto cosa fecero? iniziarono a indebitarsi con gli stessi stranieri occidentali. I primi a fare esperienza sulla propria pelle del meccanismo dell'indebitamento furono i paesi dell'Europa dell'Est, quelli baltici, ma soprattutto anche Romania, Polonia e Ungheria, dove la necessità di rimborsare il debito straniero aumentò i malesseri sociali, i quali a loro volta sfociarono nelle sommosse popolari che portarono lentamente l'Est Europa lontano dal controllo sovietico.

I primi paesi a contrarre i debiti con il Fondo Monetario Internazionale furono anzitutto la Jugoslavia, che non era più allineata con Mosca, e infine fu il turno degli amici del Patto di Varsavia. Mosca così si trovò, volente o nolente, già nel 70 circondata da stati satelliti con bilanci in rosso e con le tasche piene di capitali occidentali contratti a debito. Quando nell'80 in Polonia un gruppo di dissidenti creò Solidarnosc, Andropov si rese conto di una cosa. dell'incapacità di poter intervenire militarmente come fatto con la Cecoslovacchia nel 68, anche perché il problema di fondo non era tangibile, il problema erano i piccioli, i soldi.

Come evidenziato dallo storico Vladislav Zubok, la Polonia aveva accumulato 27 miliardi di dollari di debiti con le banche occidentali a interessi molto elevati, e da parte sua i sovietici non avevano i capitali per risanare i debiti dei polacchi. I russi sapevano bene le implicazioni di questa cosa. I loro stessi stati satelliti erano diventati gli anelli deboli che rischiavano di far saltare il Comecon, l'alleanza economica all'interno delle Repubbliche dell'Unione. In un'inchiesta di Carl Bernstein, giornalista noto per aver contribuito alla fuoriuscita dello scandalo Watergate in America, si riportava che Solidarnosc non era altro che uno strumento in mano agli Stati Uniti e finanziato dal Banco Ambrosiano per scardinare l'Unione Sovietica dall'interno.

Ora nulla di nuovo sul fronte cittadino. il Vaticano auspicava da sempre di potersi radicare non soltanto nella religiosissima Polonia, ma anche nel resto dei paesi dell'est Europa e gli Stati Uniti, quanto a loro, inutile dirlo, volevano vincere la corsa. Come riportava Bernstein, l'ambasciata statunitense nella capitale polacca Varsavia si era infatti tramutata nel quartier generale della CIA al di là della Cortina di Ferro.

Indubbiamente in Polonia però i malumori c'erano già di suo e ci I cittadini erano molto sofferenti, altrimenti per i servizi segreti occidentali creare dal nulla delle rivolte così massicce sarebbe stato impossibile. L'uso delle intromissioni dei servizi segreti era una cosa abbastanza comune da entrambe le parti. Gli armamenti nucleari obbligavano poi ad agire nelle retrovie.

E a proposito degli armamenti nucleari, c'è chi dice che la corsa agli armamenti e il budget per le spese militari abbiano contribuito allo squilibrio sovietico. Secondo Mark Harrison, docente esperto di storia economica, mettere in pericolo l'economia sovietica non sarebbe comunque stata la spesa militare. In termini numerici, il personale attivo in Unione Sovietica negli anni 80 montava a più di 5 milioni e il 12% del PIB... era dedicato al budget per l'industria bellica. In confronto, il massimo che gli Stati Uniti avevano fatto fu nel 1963, quando per la spesa militare allocarono il 9% del PIL.

Gli Stati Uniti, inoltre, avendo a disposizione un maggior numero di alleati e quindi maggiori risorse a cui attingere, poterono tollerare con più tranquillità questa corsa agli sprechi che, in fin dei conti, era Finalizzata a dissanguare freneticamente le casse sovietiche, una cosa che lo stesso segretario di Stato George Shultz avrebbe poi ammesso. Negli anni 80, quando Reagan progettò l'installazione degli euromissili, i sovietici dovettero rincarare la dose con la rincorsa alle tecnologie avanzate e la creazione di un arsenale di più di 6.000 testate nucleari, uno sforzo immane per la debole economia sovietica che generò scompensi irreparabili. L'economia sovietica infatti, da che Stalin ne prese le redini, si era fondata su uno stato di guerra permanente, sulla nevrosi, e questo aveva spinto i russi a prediligere l'industria pesante, anzitutto bellica, di macchinari industriali, a scapito di quella di beni di consumo.

E come se non bastasse, nonostante i fallimentari tentativi di riformare l'economia da parte di Cosigine negli anni Sessanta, La pianificazione sovietica, che era centralizzata e statalista, aveva gravissime crepe al suo interno. Informazioni falsate e imprecise, costi di produzione gonfiati, materiali prodotti in eccesso senza render conto delle quantità reali necessarie, scarsa produttività del lavoro, ritmi bassi, assenteismo e manodopera mal sfruttata. Tutto questo non fece altro che aumentare il divario con il troppo competitivo mondo capitalista.

Nei panni di un operaio sovietico che lavorassi duro 10 ore al giorno o meno, sempre quello stipendio mi arrivava. Quindi perché mi devo sforzare inutilmente? Lo stesso accadeva con gli stipendi di tutte le professioni, da medici a ingegneri, che da Khrushchev in poi, negli anni Sessanta, erano stati fissati a un tetto prestabilito oltre il quale raramente si andava.

È abbastanza logico che, senza la possibilità di progredire economicamente, uno non abbia tutti questi stimoli a volersi migliorare. Esempi concreti come questi generarono, nei decenni, una grande perdita di fiducia nel socialismo come pensiero politico da parte dei sovietici. Negli anni 70 e 80, in Russia, come riportato da Zaslavsky, gli operai erano passivi, indifferenti, privi di ideali e guidati da comportamenti prettamente consumistici. Un pessimismo accentuato anche dal fallimento dell'invasione in Afghanistan. La società era insomma entrata in un labirinto di crisi economica e sociale.

Le stesse aziende sovietiche, sovvenzionate fortemente dallo Stato, non puntavano a innovarsi tecnologicamente e a investire, perché tanto non gli sarebbe mica cambiato nulla. Da qui arrivò lo spreco di soldi e di capitale umano sotto tutti i punti di vista. Tenere sott'occhio le finanze era una delle cose che i sovietici dovevano fare con accortezza e che non fecero.

Certo, All'epoca non esisteva, ma noi, al posto dei sovietici, possiamo utilizzare un salvadanaio digitale come Gimme5, lo sponsor che ha gentilmente supportato l'episodio di oggi. È da quasi due mesi che, come ben sapete dal video sulla Gioconda, sto continuando a utilizzare Gimme5 per risparmiare in previsione di due obiettivi. Il primo, già raggiunto, è un reportage che farò a febbraio inaugurando una nuova serie che sono sicuro vi piacerà. Il secondo è di lungo periodo, cioè accantonare un bel po'di soldi con cui aprirmi un mutuo per la prima casa, sapete. per non finire sotto un ponte quando sarò vecchio.

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Gli sprechi dei sovietici si sarebbero di riflesso riversati anche sui beni di consumo. In una nazione dove si produceva poco cibo, pochi medicinali, pochi vestiti o elettrodomestici, Le cose erano destinate a incepparsi. Con l'indebitamento della crisi del 79, il cibo cominciò pian piano a scarseggiare e la distribuzione dei viveri essenziali si fece sempre più complessa perché proveniva dall'estero, al di là dello stile cortina di ferro. Quando poi con Gorbaciov alla fine degli anni 80 i prezzi del cibo si conformarono a quelli del libero mercato occidentale, la frittata era ormai fatta e gli scaffali vuoti nei supermercati diventarono la norma.

La crisi dei beni essenziali fu poi accentuata da un'altra piaga interna che si era formata negli anni 50 in U.S. La doppia economia. Oggi la definiremmo il sommerso, un'economia ombra.

parallela a quella statale, composta da transazioni che passavano al di sotto dello scanner della burocrazia sovietica. Nella sostanza, la doppia economia toglieva introiti allo Stato, facendoli confluire nel mercato nero. Bene come le automobili, per le quali c'erano lunghissime liste di attesa di anni, erano un'ottima opportunità su cui molti burocrati potevano speculare, rivendendole poi al mercato nero a prezzi altissimi. Questo in fin dei conti riguardava qualsiasi oggetto, mobili, pezzi di ricambio, vestiti e anche la costruzione delle case. Il mercato nero implicava che, oltre ai soldi, allo Stato si rubassero materiali e forza lavoro.

Nel tempo, in tutta l'Unione Sovietica, specialmente le zone più remote da Mosca, si era formato infatti un sottobosco di imprenditori che, lo storico Zubok chiama pseudocapitalisti. Questi in sostanza erano imprenditori veri e propri, con soldi loro, materiali, lavoratori sotto banco, tutte cose fatte a nero per racimolare altri soldi e guadagnare ben oltre lo stipendio standard che lo Stato offriva. Konstantin Simis, nel suo libro Il mondo segreto del capitalismo sovietico, afferma Sotto la superficie socialista risiede una rete di aziende private.

Migliaia di queste producono maglie, scarpe, occhiali da sole, cassette con musica pop occidentale, borse e tantissimi altri beni. I proprietari erano sia piccoli imprenditori che clan familiari multimilionari con in mano decine di aziende. Quando Gorbaciov salì al potere nell'85 su indicazione di Andropov, nessun politico o burocrate era esente da questo traffico sottobanco. Il sommerso, che nel 60 equivaleva al 3% dell'economia nazionale, nel 90 in Unione Sovietica finì per toccare punte del 13%. A costituire una buona fetta dell'economia sommersa sovietica era anche la prostituzione, ma soprattutto la droga.

Fu in questa illegalità che la corruzione e le mafie trovarono infatti un terreno di molto fertile. Già nel 1974, tra i massimi rappresentanti di partito, la mafia di Mosca intratteneva proficui rapporti commerciali. Con le feroci privatizzazioni nei primi anni 90, la mafia russa avrebbe trovato l'albero della cuccagna. Quello infatti fu il periodo in cui il crimine organizzato diventò il vero padrone delle strade, il dispensatore di morte e violenza per milioni di russi che caddero nel baratro della tossicodipendenza. E a differenza dei predecessori che cercarono quantomeno di nascondere le cose, Gorbaciov ci mise del suo, instillando l'idea di di una guerra ormai persa, lui fu il primo a dire nei suoi discorsi che il capitalismo l'aveva spuntata e il comunismo no.

Un atteggiamento davvero leader. Molti incolpavano la nomenclatura sovietica e la burocrazia, che godevano di privilegi speciali, vivevano come fossero un ceto a sé stante. L'immobilismo statale, l'eccessiva burocratizzazione e l'indifferenza dei membri di partito avevano generato un divario enorme tra cittadini e politica.

Gli stessi politici erano talmente vecchi da far sì che si parlasse di una gerontocrazia, cioè un governo di anziani gonfiato dal nepotismo e clientelismo. E chiaramente quando i vecchi sono al potere, riuniti tutti in un unico partito, a loro interessa solo restare in sella finché non finiscono sottoterra. Migliorare l'economia? Chi se ne frega, ma i giovani sono il futuro, eh. Continuiamo a ripeterlo come slogan vuoti davanti alle televisioni di Stato.

In Unione Sovietica c'erano due nomenclature, quella politico-amministrativa, che permeava il partito unico a Mosca, chiusi nella loro bolla, e quella economica fatta di militari. intellettuali e direttori aziendali. Che le due parti fossero separate non era una cosa buona, perché quando lo Stato centrale, quindi i burocrati a Mosca, sempre più debole per la scarsità di soldi e beni di consumo cominciò a perdere rilevanza e influenza nel paese, lo scettro del potere passò sempre di più in mano alla nomenclatura economica, ovvero chi deteneva nei fatti le risorse reali del paese, i direttori che gestivano industrie, latifondi e miniere, cioè gli stessi che più avanti, con le feroci svendite delle migliori aziende nazionali, si sarebbero trasformati in oligarchi multimiliardari.

La nomenclatura economica scelse così, negli anni liberali di Gorbaciov, di giocare con scaltrezza, aprendo società private joint venture con partner occidentali che, loro sì, i capitali li possedevano, fornendogli informazioni preziose prima custodite dai burocrati di partito, ma anche risorse di cui l'Unione Sovietica godeva in abbondanza come il petrolio e il gas. Tutto partì ufficialmente con la famosa perestroika di Gorbaciov, letteralmente la ricostruzione. La perestroika ha dimostrato a chiare lettere una cosa, che la dissoluzione dell'Unione Sovietica prima di Gorbaciov non era scontata. Gorbaciov, che è in vita dall'alto dei suoi 90 anni, deve ancora passare al setaccio della storia. Per il momento io lo ricorderò per sempre per la sua imbarazzante pubblicità della catena americana Pizza Hut, inaugurata insieme a McDonald nel 90 a Musca.

E'da Gorbaciov. Da благодарia a ему, u nas jest Pizzahat. Za Gorbaciov!

Za Gorbaciov! Za Gorbaciov! Za Gorbaciov!

Sometimes nothing brings people together like a nice hot pizza from Pizza Hut. Essenzialmente Gorbi, con quella apparizione pagata un milione di dollari, ammise implicitamente davanti a tutti che il consumismo e anche il capitalismo erano superiori all'ideologia del partito che lui stesso dirigeva. La cosa buffa era che Gorbaciov invocava nei suoi comizi sempre il nome di Lenin, lo considerava un mentore.

Ma la perestroica inizialmente presentata come un qualcosa di rivoluzionario, finì per diventare l'opposto, lo smantellamento di tutto il sistema. Lo slogan fu accelerazione, recuperare il divario con l'occidente. Ma per farlo Gorbaciov attuò le proprie riforme sulla base di due condizioni che avrebbero fatto cadere i capelli, alienin. Destatalizzazione non so se esiste questo termine sul dizionario e privatizzazione.

Secondo alcuni storici, Gorbaciov avrebbe agito consapevolmente, aveva voluto smantellare il sistema sovietico pezzo per pezzo per abbracciare i dogmi del liberismo economico in l'usosi dei benefici dell'interscambio economico con l'Occidente. Per altri invece, come lo storico Vladislav Zubok nel suo libro La caduta dell'Unione Sovietica, Gorbaciov era semplicemente un idiota che non aveva idea di come si comandava. Il diretto interessato, invece, ammise sempre di essersi convinto che non era possibile riformare il paese senza prima smantellarlo, senza prima renderlo trasparente e libero dal controllo maniacale della centinaia.

di stato. Da qui il concetto di glasnost. La glasnost fu in effetti la cassa di risonanza del disastro della perestroica, perché gli organi di informazioni cominciarono a parlare di quei problemi che in Russia erano sotto gli occhi di tutti, ma che nessuno poteva menzionare.

Alcolismo, mancanza di cibo e abitazioni fatiscenti. E a proposito di alcol, l'abitudine di bere dei russi è cosa ben nota, al punto da essere una piaga sociale. Gorbaciov pensò che fosse il caso di eliminare il problema alla radice. attuando una politica anti-alcol.

L'inghippo era però che le tasse sull'alcol garantivano allo Stato una somma pari a circa 666 milioni di dollari. Tuttavia il Gosplan, il comitato centrale per la pianificazione, su pressione di Gorbaciov tagliò quella fonte di reddito, aumentando i prezzi delle bevande e punendo penalmente chi veniva beccato in uno stato poco dignitoso. Il divieto però non tenne conto di un dettaglio, il mercato nero.

La vodka, che era diventata un bene di lusso, finì di nuovo miracolosamente rivenduta per via traverse. Che fortuna. E anche oggi beviamo oggi.

Il disastro finanziario fu quindi immediato. Le vendite di vodka scesero da 54 miliardi di rubli nell'84 a 11 miliardi nell'86. Nella mente di Gorbaciov, però, i discorsi suonavano così. Nessun problema, a tempo 5 anni ristrutturiamo tutto. Gorbaciov ragionò prendendo a modello quanto è successo negli anni 30. In quel periodo l'Unione Sovietica aveva iniziato a modernizzarsi grazie alla costruzione di industrie e impianti eretti da aziende occidentali, che su commissione avevano anche formato da zero ingegneri e operai sovietici.

Un esempio su tutti fu l'azienda dell'architetto americano Albert Kahn, che entrò a far parte del team di consulenza del Cremlino per la costruzione di più di 500 impianti industriali, oppure la General Electric, che diresse i lavori della centrale idroelettrica sul fiume Dnieper. L'errore di Gorbaciov fu fu invece quello di indirizzare i soldi nelle imprese statali già esistenti, non di crearne di nuove. I vecchi dirigenti erano conservatori, erano poco inclini alle innovazioni.

Ricordate i vecchi Matusalemme in politica? Ecco, la stessa cosa. E per questo molte delle attrezzature che erano state acquistate in Occidente non furono mai utilizzate negli impianti degli anni 30. Geniale.

Tuttavia, qualunque fossero i piani che Gorbaciov e il suo entourage di economisti avevano per il lungo termine, ecco. Ci pensò la catastrofe della centrale nucleare di Cernobil nell'aprile 86 a cancellarli del tutto. La fuga di centinaia di migliaia di persone da Kiev rievocò scenari da seconda guerra mondiale. Secondo il capo del dipartimento economico Nikolai Ryzhkov, il costo del disastro di Cernobil già solo per il primo mese fu di 8 miliardi di rubli.

Per parafrasare Ryzhkov, Cernobil assestò un colpo devastante all'economia sovietica. La gente cominciò a mormorare che a portare sfortuna fosse il leader macchiato, Gorbachev. Chiamato in quel modo dispregiativo per la vistosa voce.

sulla fronte. Lui, dal canto suo, non si fece amare moltissimo, visto che tenne all'oscuro del disastro l'intera popolazione russa per quasi un mese. Cernobil o non Cernobil, Gorbachev proseguì comunque con la sua perestroica. E quali furono i risultati? Disastrosi, la perestroica liberalizzò dal giorno alla notte un'economia sovietica che era stata fin da sempre pianificata.

Fu uno shock devastante. Anzitutto i funzionari del governo approvarono la creazione di prezzi liberi, cioè non più controllati e fissati dallo Stato. Solo il 4% dei cittadini approvarono questa manovra. Risultato?

Una corsa al rialzo dei viveri di prima necessità e un'iperinflazione che nel 92 avrebbe toccato vette del 2600%. Il denaro venne razionato e al suo posto fu introdotta una sorta di carta del consumatore, cioè fogli di carta con tagliandi a strappo dal valore di 20, 75, 100, 200 e 300 rubli, con cui i cittadini potevano fare acqua. acquisti senza utilizzare i soldi contanti. Quando trovavano un pezzo di pane dopo ore passate a fare la fila, i russi potevano dirsi fortunati se riuscivano a comprare una pagnotta da mezzo chilo a 6 dollari, a fronte di uno stipendio medio mensile di 50 dollari. Anche se il tenore di vita sovietico fino ad allora era sempre stato inferiore di almeno un terzo di quello degli occidentali, i cittadini avrebbero notato subito la differenza rispetto ai tempi precedenti.

La criminalità, specie quella mafiosa, era minore e c'era un senso generalizzato di maggiore sicurezza, che poi questa fosse un meno reale e del tutto un altro discorso. Con la perestroica ci fu poi il via libera a tutti per chi volesse fare affari con le grandi multinazionali straniere, un incentivo da cui derivò tutta una serie di speculazioni e compravendite fittizie, come le strategiche aziende minerarie sovietiche, al prezzo simbolico di un dollaro. A ciò si aggiunse l'emissione di nuove valute per tutte le repubbliche dell'Unione, un fattore che aggravò la confusione delle transazioni e degli scambi commerciali interni. Inoltre, la cosiddetta Legge sulla proprietà del 1990, che destituiva lo Stato dal possesso delle industrie chiave, generò 2 milioni di disoccupati a livello nazionale, un dato mai visto prima di allora.

E come sappiamo, un popolo disoccupato affoga le proprie depressioni in alcool e droga, per non dire peggio. Nel 1998 l'economia russa, in mano a mafiosi e imprenditori stranieri, si sarebbe quasi del tutto dimezzata rispetto ai dati del 1990, passata da un PIL di 510 miliardi a uno di 270. I prezzi del cibo erano raddoppiati e i salari erano meno della metà, mentre tifo, colera e altre malattie avevano raggiunto proporzioni. situazioni epidemiche nel paese. Era come se l'intera nazione fosse tornata di colpo indietro di 80 anni. Alcuni, come lo storico Stephen Cohen, hanno definito questo risultato come il merito di un fenomeno particolare, il capitalismo gangster.

L'apertura ai mercati internazionali incentivò inoltre l'arrivo di banche private, che penetrarono il sistema del credito dapprima esclusivamente in mano alla banca statale. Il debito sovietico nei confronti delle banche occidentali schizzò da 27,2 miliardi di dollari nel 1985 a 40 miliardi nell'86. Il voler riformare le cose troppo in fretta investì anche il fronte politico. Gorbaciov sapeva bene che il partito e i suoi membri erano il nucleo operativo. Se voleva modificare l'assetto dell'Unione, l'unico modo per farlo era togliere ai membri di partito i vari dipartimenti e spogliarli dei loro beni.

Con una serie di riforme Gorbaciov fece proprio questo, tolse al partito il monopolio decisionale. Nel farlo, però, fu come decapitare lo Stato. Fu un suicidio politico, sotto tutti gli aspetti.

Senza più una testa, lo Stato, il corpo, l'Unione Sovietica, smise di funzionare di colpo, un po'come staccare la spina. A quel punto bastava una spintarella, un evento internazionale di grande risonanza, magari, che sgretolasse l'intero blocco orientale. Oh, già, che sciocco.

Era successo nell'89. Con la caduta del muro di Berlino, come le tessere di un domino, tutte le repubblicanze, repubbliche sovietiche, a partire da quelle baltiche, si staccarono una dopo l'altra sulla scia dell'euforia indipendentista che fece inorridire i nazionalisti russi. E proprio il nazionalismo fu la carta decisiva, l'asso di briscola che avrebbe chiuso la partita. Il primo a rendersi conto che le regole di quel gioco stavano cambiando fu proprio lui, Yeltsin, signore e signori. Quello stesso Yeltsin che sarebbe stato istruito passo passo da consiglieri della CIA per guidare la Russia.

E per bere un pochino. Come una vecchia volpe, Yeltsin sfruttò le frustrazioni dei comunisti. comunisti più radicali e di alcuni membri dei servizi segreti, per staccarsi dall'ala di Gorbaciov, vestire i panni del leader populista, andare all'opposizione e, come guadagnarsi il supporto delle frange più nazionaliste e muovere un colpo di stato personale contro Gorbaciov nel 91 nella capitale Mosca.

Le immagini che lo mostravano mentre saliva sul carro armato a Mosca avrebbero fatto il giro del mondo, infervorando i più insoddisfatti che non ne potevano più delle politiche di Gorbaciov. Il golpe fallì nell'immediato perché ovviamente non c'era più. Uno Stato.

Era Stato decapitato. Decapistato. Tanto ormai il video è finito.

Ma quel fallito golpe fece comunque guadagnare prestigio a Yeltsin, che ebbe così tutto il supporto popolare per oscurare Gorbachev, privarlo del consenso rimastogli e costringerlo alle dimissioni alla fine di agosto. Nel novembre dello stesso anno Yeltsin avrebbe promulgato un decreto con cui rendere di fatto illegale qualsiasi attività del Partito Comunista e sciogliere una volta per tutte lo Stato Sovietico. L'11 dicembre 91 soltanto due delle 15 repubbliche sovietiche erano ancora parte dell'Unione, la Russia e il Kazakistan.

La prima uscì formalmente il giorno successivo, il 12 dicembre. Signori, è stato un onore suonare con voi. Fu la fine formale dell'Unione Sovietica e l'inizio della Federazione Russa.

Non è ancora finita. Con l'uscita della Russia, diventare Unione Sovietica fu niente po'di meno che il Kazakistan. Per quattro giorni, fino a quando si autoproclamò Repubblica Indipendente il 16 dicembre 1991, il Kazakistan era in pratica l'Unione Sovietica.

Mitico Kazakistan. grazie, anche oggi ci hai fatto vivere un incubo che neppure l'Ienin si sarebbe mai azzardato a sognare. Per aspera, ad Kazakistan.

Era da un anno che volevo fare questo video, ci ho provato per ben tre volte ma ho sempre rinunciato perché sintetizzare le cause del crollo dell'URSS in un video di mezz'ora è un qualcosa di impensabile. Eppure eccoci qui. Per questo video ho fatto tutto da solo, da ricerca a editing, a un certo punto credevo di uscire fuori di testa.

Io non so voi, ma raramente rimango soddisfatto da un mio video. Stavolta però non è così, mi sono finalmente tolto un sassolino dalla scarpa. Grazie a tutti voi, soprattutto ai mecenati che supportano il canale per aver reso possibile questo episodio.

Stavolta diciamolo per bene, per Aspera ad Astra e non ad Kazakistan. Zagarbaccio!