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Le origini legendarie di Roma

Piazza della Bocca della Verità. Questo è il Tempio di Ercole, quello laggiù è il Tempio di Portunus, una divinità forse legata ai porti e alla navigazione. Qui oggi c'è il traffico della città moderna.

Ma nell'VIII secolo a.C., attorno all'anno 770, il paesaggio è molto diverso. Il Tevere fa un'ansa ampia, dove l'acqua si ferma e forma una palude che arriva fin sotto i colli. Una cesta abbandonata nel fiume Amonte scivola proprio in questa palude, lontana dai vortici della corrente, e si appoggia sulla riva.

Nella cesta ci sono due gemelli. Attorno a loro nessuna voce umana, solo le voci della natura. Soli e spaventati strillano E una lupa che alatana in una grotta alle pendici del colle Palatino attirata dalle urla scende a cercarli e li trova Il miracolo materno non li uccide, li allatta, salva loro la vita. Uno di quei due gemelli, anni dopo, fonderà Roma, il 21 aprile del 753 a.C., l'anno zero della città.

È il 753 a.C., è un giorno di primavera e Romolo e Remo, i due gemelli allattati dalla lupa, sono in competizione per capire chi dei due dovrà fondare una nuova città ed esserne il re. Di solito questo è un privilegio che spetta al primo genito, ma loro sono gemelli, quindi la decisione spetta agli dèi. E per conoscere chi dei due avrà la benedizione divina, bisogna aspettare un segnale dal cielo.

Lo racconta Tito Livio. Poiché erano gebelli e il rispetto dell'età non poté costituire un criterio decisivo, affinché gli dei che proteggevano quei luoghi decidessero chi dovesse dare il nome alla nuova città e chi dovesse governarla, Romolo occupò il palatino, Remo la città. come sedi augurali per prendere gli auspici.

Quindi Romolo è là, sul Palatino, dove si vede una palma e guarda verso il cielo. Remo invece è sul Laventino e sono quei pini che si intravedono dietro le case. Tutte e due guardano verso est, verso il Monte Albano e Alba Longa, la loro città natale.

E'da lì che arriverà il segnale degli dèi, che faranno capire la loro scelta attraverso il volo degli uccelli, lo racconta Plutarco. Dopo aver stabilito di risolvere la contesa attraverso uccelli augurali e dopo essersi messi in luoghi diversi, si racconta che a Remo siano apparsi sei avvoltoi, a Romolo invece il doppio. Alcuni sostengono che Remo li abbia visti realmente che Romolo abbia mentito e che, quando giunseremo, solo allora sarebbero apparsi a Romolo i dodici avvoltoi.

Insomma, la vicenda non è chiarissima. Sembra quasi che Roma sia stata fondata grazie a un bluff da pocherista di Romolo. Magari oggi chiederebbero il riconteggio degli avvoltoi. Più o meno lealmente però, gli dei sorridono a Romolo, speterà lui il privilegio di fondare la nuova città ed esserne il re. Ma Remo non si rassegna, anche lui è un principe, anche lui vuole la sua città.

Poi Romolo ha un soprannome, Atellus, che significa piccolo alter, cioè piccolo altro dei due. Quindi sarebbe venuto alla luce per secondo, sarebbe il secondo genito e quindi il diritto di primo genitura l'avrebbe Remo. A lui dovrebbe toccare la fondazione della nuova città e il diritto ad esserne re.

Ma prima di addentrarci nella cronaca della fondazione di Roma, dobbiamo vedere chi sono i due gemelli e da dove vengono. La storia inizia nell'antichissima città di Albalonga, secondo la leggenda fondata da Iulo, figlio di Enea. Passano le generazioni e sul trono di Albalonga c'è il buon renumitore, che però viene deposto da suo fratello, il crudele usurpatore Amule. Amulio costringe Rea Silvia, figlia di Numitore, a farsi vestale con obbligo di verginità. L'obbligo viene aggirato dal dio Marte che miracolosamente si unisce a Rea Silvia mentre lei giace addormentata presso una fonte.

così vengono generati Romolo e Remo dopo il parto Amulio fa incatenare Rea Silvia che ha infranto il voto di castità e si sbarazza dei due gemelli neonati ordinando che vengano abbandonati nel fiume Tevere dentro una cesta dopo che la cesta sia renata nel velabro e dopo il primo soccorso della lupa Romolo e Remo vengono raccolti dal pastore Faustolo che assieme alla moglie Accalarenzia alleva i gemelli più tardi, giovanissimi, Romolo e Remo a conoscenza della loro vera identità. Abbattono lo zio Amuno, restituiscono il trono al nonno limitore e liberano la madre, Rea Silvia. Personaggi del pastore Faustolo e di sua moglie H. Larenzia sono importanti per capire cosa c'era da queste parti prima della fondazione di Roma.

I genitori adottivi dei gemelli sono lo specchio di una realtà confermata dagli archeologi. Sparsi nel territorio laziale c'erano dei piccoli villaggi fatti di capanne abitati dai primi popoli latini. Alcune di queste comunità sono venute a stabilirsi qui attorno, sui colli vicini al Tevere. I loro villaggi sono in pratica delle fattorie abitate da famiglie estese, che però si sono già date delle regole di convivenza civile.

Per esempio seppelliscono i loro morti in zone dedicate. lontane dai luoghi della vita quotidiana. In una di queste fattorie, seguendo il filo tra realtà e leggenda, abitano Faustolo e H. Larenzia, o le genti che hanno ispirato i loro personaggi.

Più tardi, Varrone avrebbe dato a questo insieme di comunità un nome, Septimonsium, i Sette Monti, da non confondere con i Sette Colli. Il luogo dove fu fondata Roma fu chiamato Septimontium per la presenza di tanti monti che poi la città ha fatto propri con le mura. Se si guarda una cartina si capisce che i sette monti di Varrone occupano solo una parte circoscritta dei sette colli e si vede anche che le comunità che vivono in alto sui rilievi sono difficili da unificare perché sono separate da valli paludose che il Tevere allaga periodicamente. Ma la vicinanza del fiume è anche un vantaggio, perché laggiù, da quella parte, vicino al posto dove si è arenata la cesta dei gemelli, c'è un guado. Il migliore per chi vuole viaggiare lungo la costa tirrenica.

Per di più il fiume è anche navigabile fino al mare. Quindi questo è un posto di comunicazione ottimo tra i popoli a nord e quelli a sud del Tevere. Per di più l'anno 753 è anche un buon momento per fondare una città, perché l'ottavo avanti Cristo è un secolo di trasformazioni che riguardano tutto il mondo mediterraneo. Nell'ottavo secolo avanti Cristo il mondo mediterraneo emerge da un periodo di sonno. E lo fa in maniera spettacolare.

I greci adattano l'alfabeto fenicio in una nuova forma di scrittura. Ed è proprio in quel periodo che, secondo la tradizione, il poeta Omero compone l'Iliade e l'Odissea. Il risveglio greco si manifesta anche in altri modi.

Nel 776 a.C., a Olimpia, nel santuario di Zerbe, si tengono i primi giochi olimpici. Sempre nell'VIII secolo esplode il fenomeno delle colonie greche, ad est nel Mar Nero e in Asia Minore e ad ovest in Italia. Nascono Kuma, Reggio, Zancle, Siracusa, Sibari, Crotone e molte altre città. Nell'VIII secolo emerge anche la civiltà etrusca, che comincia l'espansione che la porterà a dominare buona parte della penisola, ma c'è un altro popolo che in quel periodo allunga le mani sul Mediterraneo, i Fenici, e proprio a cavallo tra IX e VIII secolo nasce quella che diventerà la grande rivale di Roma, Cart-a-Dash, la nuova città, Cartagena. Questo è il contesto in cui il 21 aprile del 753 a.C.

Romolo si prepara a fondare la città. Grazie alle fonti antiche noi possiamo fare una cronaca dettagliata di quella giornata, che inizia con un presagio favorevole. Romolo, presi gli auguri, gettò un'asta dal colle Aventino al Palatino ed essa, conficcatasi nel terreno, mise le fronde e divenne un albero. Quindi l'intuizione di Romolo è giusta.

Il cuore della nuova città deve essere là dove la lancia si è trasformata in albero, lassù sul Palatino e non sul Laventino preferito da Remo. E la benedizione degli Edei rappresentata dai dodici avvoltoi è confermata. Poi dopo il rituale della lancia, Romolo passa al rito di fondazione vero e proprio. Il primo passaggio ce lo racconta Plutarco. Romolo dunque per prima cosa scavò una fossa circolare e in essa depose le primizie di tutto ciò che era utile secondo consuetudine e necessario secondo natura.

Quindi ciascuno vi gettò dentro un po'di terra del proprio paese natale e mescolarono assieme il tutto. In questo racconto c'è un particolare importante, è in quel ciascuno vi gettò dentro un po'di terra del suo paese natale. Dobbiamo immaginare i rappresentanti dei vari villaggi sparpagliati sui colli che partecipano alla fondazione mescolando le loro terre, che devono fondersi in un nuovo unico stato. Compiuto questo rituale di unione, Romolo innalza un altare sulla fossa. poi passa a tracciare i confini della città.

Poi finalmente venne tracciato il perimetro delle mura. Il fondatore fissò all'aratro un vomere di bronzo, viaggiogò un bue e una vacca, quindi li guidò lui stesso, tracciando un profondo solco lungo il perimetro stabilito. Il solco profondo è il sulcus primigenius, il primo atto di fondazione vera e propria di una città.

Lo è per Roma, lo sarà anche in futuro. E allora dobbiamo immaginarci Romolo lassù, lungo i bordi del Palatino, che gira in senso anti-orario. Dietro di lui degli altri uomini gettano nello scavo delle pietre, perché la pioggia non possa cancellarlo. E lungo quel solco dovranno infatti sorgere le mura. Poi ogni tanto Romolo solleva la rata.

È lì che ci saranno le porte della città. Là dove intendevano collocare una porta... Estraevano dalla terra il vomere e sollevavano l'aratro in modo da lasciare un intervallo nel solco. Considerano pertanto sacro e inviolabile l'intero perimetro delle mura.

Il tracciato disegnato da Romolo sul palatino ha un nome preciso, è il pomerium, il confine sacro e inviolabile che non può essere valicato in armi e la cui profanazione va punita. Seguendo il percorso di Romolo siamo saliti sul Palatino. All'interno delle che si vedono là sono le capanne romule, i pavimenti delle capanne romule, gli insediamenti più antichi di Roma che risalgono all'VIII secolo a.C., ai tempi della fondazione.

Erano capanne semplicissime, i buchi che si vedono servivano per piantare i pali che sorreggevano un tetto fatto di rami intrecciati. Quindi questa è l'immagine della Roma delle origini. Ed è in un posto vicino a qui che si colloca il primo fatto di sangue della nuova città, che è un fratricidio, l'uccisione di Remo da parte di Romolo. Remo, in segno di scherno per il fratello, avrebbe scavalcato le mura appena erette e Romolo, al colmo dell'ira, l'avrebbe ammazzato, aggiungendo queste parole Così, d'ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura In questo delitto terribile c'è chi ha voluto vedere l'eco di un sacrificio umano per rendere propizi gli dèi nell'atto di fondazione. Del resto i sacrifici umani sono testimoniati a Roma anche in epoca storica.

Per esempio il sacrificio di una coppia di greci e di una coppia di galli sepolti vivi quando Roma si sente minacciata ad Annibale attorno al 200 a.C. Comunque è solo una congettura. e il racconto di Livio prosegue con un'altra notizia. Così Romolo rimase unico detentore del potere e la città prese il nome del suo fondatore. Per Livio Roma deriva da Romolo, una delle tante versioni sull'origine del nome.

E poi Roma ha un altro nome, sacro e segreto, non si può pronunciare mai se non in occasione di particolari viti. E la ragione è che nel pensiero arcaico e magico Si attribuisce un grandissimo potere alle maledizioni, come nei rituali voodoo. Quindi il nome è segreto perché nessun nemico deve conoscerlo, nessun nemico deve essere in grado di maledire Roma.

Secondo una versione romantica, quel nome segreto sarebbe Roma letto al contrario, cioè Amore. In realtà il nome segreto di Roma è rimasto segreto e con questo enigma si chiude la cronaca del 21 aprile 753 a.C. Di recente gli scavi dell'archeologo Andrea Carandini hanno confermato alcuni aspetti di un racconto che veniva considerato pura leggenda. Posso ora dare una sintesi.

Qui è un paesaggio, vedete, costruito, questa è la velia che non esiste più perché è stata distrutta da Nerone e Mussolini, questa è la sacra via, questo è il palatino, queste sono le mura, questa è la porta mugonia da noi trovata, questo è la porta di un'altra parte, questa è la porta di un'altra parte, questa è la porta di un'altra parte, È il palazzo del re da noi trovato, questa è la capanna delle Vestali da noi rinvenuta, questo è il Tempio di Vesta, questo è il foro in preparazione e sul fondo vedete il Campidoglio con il Tempio di Giove Ferretro e l'altare fumante. Quattro scoperte che ci consentono insieme agli altri scavi di arrivare alla conclusione. La conclusione a cui è arrivato Carandino è che il Tempio di Giove Ferretro è stato Grazie a lui, grazie al lavoro con la sua equip e grazie al ritrovamento dei resti delle costruzioni della Roma delle origini, è che la leggenda della fondazione non può essere considerata solo una leggenda. La leggenda di Roma è dimostrata nei suoi elementi basilari, le tre imprese di Romolo con Tito Tazio.

La Costituzio, cioè la presenza di un forte potere centralizzato, di luoghi centrali, la presenza di un forte potere di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, di un'unità, presenza di un'assemblea, la presenza di un consiglio, eccetera, eccetera, come ci viene descritto da Cicerone nel De Repubblica, l'archeologia la conferma. Ovviamente non si può dire che di sicuro Roma fu fondata da un giovane uomo di nome Romolo allattato da una lupa. Grazie agli studi di Carandini e della sua squadra si può però affermare con ragionevole certezza che Roma nacque per un effettivo atto di fondazione attorno al 750 a.C.

Il 21 aprile poi è il giorno dei Pariglia, una festa tradizionale che celebra la nascita dei Capretti. Quindi la fertilità e l'abbondanza, un buon momento per fondare una città. A Romolo poi la leggenda attribuisce altre imprese, come la bonifica della valle qui sotto, la valle del Foro, che diventerà il centro politico della città, e la costruzione di una rocca fortificata là sul Campidoglio.

Per dirigere la città viene formato un senato, composto da 100 tra i migliori cittadini, che vengono chiamati patrizi. E secondo Plutarco questo nome, patrizi, evidenzia una condizione particolare della società romana delle origini. I patrizi sono persone che sanno chi è loro padre, la maggior parte dei cittadini invece di certa assoluta. la madre.

Che i senatori fossero chiamati patrizi, alcuni dicono perché essi erano padri di figli legittimi, altri piuttosto perché essi erano in grado di poter dichiarare chi fosse il proprio padre. Questa notizia dà l'idea di una città che si va formando in modo quasi selvaggio, che accoglie chiunque, esuli, criminali, sbandati, liberi e schiavi. All'inizio tutti possono diventare cittadini di Roma, però c'è un punto debole, un problema demografico.

Non ci sono donne. Per la penuria di donne, questa grandezza era destinata a durare una sola generazione. Allora Romolo inviò ambasciatori e leggenti limitrofe per stipulare un trattato di alleanza e per favorire la celebrazione di matrimonio. Nessuno però vuol dare le proprie figlie in sposa ai romani e gli ambasciatori tornano a mani vuote. Così Romolo decide di procurarsi le ragazze con un trucco.

Organizza una festa popolare con dei grandi giochi a cui invita i popoli vicini, tra cui i Sabini. Quando si è radunata una grande folla, Romolo va a sedersi in prima fila. È quello il segnale che i giovani romani aspettano per dare il via al ratto delle Sabini.

La gioventù romana si mise a correre all'impazzata per rapire le ragazze. Molte finivano nelle mani del primo in cui si imbattevano, quelle che spiccavano sulle altre per bellezza erano destinate ai senatori più insigli. A parte questo dettaglio maschilista che le più belle se le prendono i più ricchi e i più potenti, le stime sul numero delle ragazze rapite variano già nelle fonti antiche.

Si passa da un minimo di 30 a un massimo di 683. Fatto sta che i Sabini, i padri delle ragazze, vengono disarmati e rimandati a casa, ma torneranno presto per riprendersi le loro figlie. Siamo venuti quassù, sulla terrazza del Vittoriano, perché da qua si vede molto bene tutto il teatro dell'azione della guerra che i Romani e i Sabini combattono per le donne. I Romani stanno là, sul palatino. Mentre i Sabini invece si sono impadroniti del Campidoglio qui sotto, le battaglie si svolgono in mezzo nella Valle del Foro e hanno un esito alterno. Alla fine però i combattimenti vengono interrotti proprio dalle ragazze Sabine che nel frattempo sono diventate mogli e madri di Romani.

Le figlie dei Sabini arrivarono correndo da ogni parte, con urla e lamenti, attraverso gli uomini armati e i cadaveri. Rivolte ai loro mariti, ai loro padri, alcune portavano con sé i bambini. e chiamavano con nomi affettuosi ora i Sabini, ora i Romani. Allora tutti e due gli eserciti furono mossi a compassione.

Questo gesto delle donne Sabine riporta la pace e sancisce la creazione di nuove famiglie. In pratica è l'atto conclusivo della fondazione di Roma e di un nuovo popolo. Pensò allora che l'offesa recata ai Sabini, una volta che avessero avuto le donne come ostaggi, in un certo senso avrebbe dato origine ad una fusione e ad una unione con essi. Seguendo il percorso di Romolo siamo arrivati sul Campidoglio, che assieme al Palatino è uno dei centri più importanti della città che ha fondato.

Secondo Plutarco, il suo biografo, Romolo vive 54 anni. dopo aver regnato 38 anni. E sulla sua morte ci sono due versioni principali. La prima racconta che il re deve presiedere un avvenimento pubblico sul campo marzio seduto su un trono. Arriva un temporale con tuoni e fulmini e all'improvviso il buio.

Quando torna la luce il trono è vuoto, il re è salito tra gli dei. C'è poi un'altra versione, molto più violenta, arcaica e tribale. Nei pressi del Tempio di Vulcano, un gruppo di senatori, probabilmente irritati per il dispotismo del re, lo aggrediscono e lo uccidono.

Poi, dopo averlo ammazzato, lo fanno a pezzi e se ne vanno ognuno di quei senatori con un pezzo del corpo del re che nascondono. In ognuna delle due versioni, il fondatore di Roma sparisce.