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Riflessioni sulla Nostalgia e il Tempo

Eccomi! Eccoti, bentrovato! Ciao, come va? Molto bene, tu?

Bene, bene. E di che parliamo oggi? Io mi ricordo che una delle cose che più mi ha colpito del tuo modo di raccontare i ragazzi è che lei ha detto, forse una delle prime volte che abbiamo fatto un incontro assieme, era questa qua che ai ragazzi bisogna trasmettere nostalgia di futuro.

Io sono rimasto affezionatissimo a questa frase, infatti te la rubo e la ripeto spessissimo, però metto sempre il copyright, dico sempre che è di Alessandro D'Avenia. Questa idea di costruire, perché cosa mi piace di nostalgia di futuro? Questa idea di costruire una sorta di ponte tra il presente e il futuro e anche il passato, perché la nostalgia è una cosa del passato, e quindi di uscire dall'attimo presente. Siccome negli ultimi due anni la cosa su cui ragiono di più è quella del nostro rapporto col tempo, perché alla fine noi siamo un po'immersi, c'è talmente tanto presente, sono talmente tante cose, soprattutto digitali, in questo tempo, in questo presente che è un presente dilatato. che è così ingombrante che si mangia l'idea di futuro e si mangia il passato, la memoria.

Allora, questo tuo ponte mi affascina perché lo trovo un po'una risposta a una domanda che io mi faccio, che è quella di come si può riuscire oggi a rimettere al centro delle nostre esistenze l'importanza anziché l'urgenza. Cioè, la nostra giornata è dettata dall'urgenza e poi ci dimentichiamo dell'importanza. Sì, guarda, a me questo... Questo tema sta molto a cuore perché il fatto di avere i ragazzi per un periodo molto preciso, di doverli seguire per cinque anni o per tre anni a seconda di quello che è detta un po'il calendario scolastico, ti obbliga a un'assoluta presenza, ma una presenza che deve prendere in carico quello che è arrivato lì. Io sono di questa idea che noi abbiamo rimosso.

l'idea di destino che ci avevano consegnato i greci per sostituirla a quella di carriera, che non è meno tenera perché ha degli obblighi molto forti quanto il destino, però mentre il destino riguarda qualche cosa che è stato deciso nel passato, perché per loro il passato dove gli devono stabilito le cose era intoccabile, tu entravi tragicamente in quella dimensione e non ne uscivi più. Oggi è l'idea di carriera che fa il nostro destino, tu devi entrare dentro qualche cosa che... ti garantirà un futuro felice, che non può essere meno che il successo, e quindi questo che cosa innesta nel cuore, nella mente di questi ragazzi? Immediatamente l'ansia. Cioè tu sei obbligato a rispettare un copione e lo devi rispettare di gran carriera.

Pensa all'assurdo dell'espressione tempo reale che abbiamo inventato, che indica semplicemente che qualche cosa ti arriva il più rapidamente possibile, e quindi che in fondo... È vero il tempo quando è rapido, ma non credo che a te capiti di ascoltarti la tua canzone preferita al doppio della velocità, così la puoi sentire il doppio delle volte, perché non te la godi. Allora questa idea della nostalgia di futuro viene da questo, dal dover unire questi elementi che tu hai messo insieme, quindi trasformare quello che è per igreja il concetto di destino, che mi sembra un concetto molto sano, in che ambito? Nell'ambito del dire.

Ti è capitato qualcosa che non hai scelto, la vita, con tutto quello che c'è dentro, ma il compito umano specifico è trasformare il destino in destinazione, cioè che ci faccio io con questi ingredienti? Mentre oggi quello che viene predicato a destra e a sinistra dalla cultura dominante, e a scuola dovremmo difendere i ragazzi da questo, è il diventa ciò che vuoi. I greci dicevano diventa ciò che sei. Ora, quel sei magari era talmente vincolante da diventare... una gabbia tragica.

Noi forse ci muoviamo, ci possiamo muovere in una mediazione fra questi due paradigmi che è quella di diventa ciò che sei lì dove questo sei si può evolvere, cioè da destino può diventare destinazione, non so se ti suona. Ma mi piace un sacco, avrei voluto saperla prima questa storia. Poi tu che hai adesso le tue figlie che arrivano alla soglia della maturità, mi sembra che ce l'avrai vivo, no?

Esatto, ma questa cosa qua di destino c'è un... Una cosa che il destino, tu scegli una destinazione, scegli una rotta, una traiettoria. E quindi...

non devi fare i conti ogni minuto e ogni giorno, ma non hai l'urgenza di correre i 100 metri, sai che è una maratona e che quindi ci può essere il cambio di passo, c'è il momento in cui sei affaticato, quello in cui rompi, quello in cui riparti, cioè ci sono tanti momenti di questa cosa qua. Alla fine invece, e poi è molto personale, il destino è una questione... intima, profonda mia, le scelte devono essere scelte profonde per giustificare il destino.

Invece la carriera è molto... deve dare delle risposte soddisfacenti a tanti soggetti fuori, per cui mi devo mettere delle maschere per soddisfare la carriera e non dipende completamente da me. E poi se ci pensi carriera dice velocità, cioè andare di gran carriera già ti viene l'ansia. Mi sembra che tu in Parti proprio da questa domanda nel libro più recente che hai scritto, dall'ansia di una ragazza che si sentiva obbligata ad andare in gran carriera. La ragazza questa qua, l'ho chiamato il tempo del bosco, che è volutamente un tempo lentissimo, ma perché questa ragazza, una ragazza di medicina, lei mi ha detto io studio, leggo libri.

faccio tirocinio in ospedale, ho studiato benissimo l'inglese, faccio volontariato, faccio tutte queste cose qua, eppure continuamente sento dire ma sport, sport di gruppo, perché lo sport di gruppo sai che fa la differenza, un altro le lingue, due lingue sarebbero importanti e intanto mi scavano dentro, certo poi Aiuta molto se uno ha fatto un'esperienza, per esempio, in un ospedale africano. E io ho la sensazione che non basti mai. L'asticella è sempre più alta, io non ci arrivo mai. E hai incominciato a piangere. Allora io racconto nel libro, a lei non ho avuto il coraggio di dirgli, lo stavo dicendo, guarda, chi hai davanti?

Tu stai chiedendo consigli a uno che ha studiato, è arrivato alla fine, ma poi non si è mai laureato. Io non mi sono mai laureato, con grande dispiacere di mia madre. perché perché ho iniziato a fare giornalista e così potrei dire che mi sono perso oppure che mi sono molto appassionato e quindi non ho discusso mai la tesi di laurea. Quello che lei mi ha acceso è questa sensazione che esiste il percorso perfetto, la carriera perfetta come se ci fosse un algoritmo che decide, cioè c'è un'intelligenza artificiale che dice tu se fai queste cose è sicuro che poi tu ce la faccia. Il problema è che se tu fai quelle cose non è sicuro che tu ce la faccia.

ma non è sicuro soprattutto che tu poi sia soddisfatto sia felice allora questa cosa qua mi fa pensare che sia veramente necessario un ripensamento e riprendere dentro una sensazione tu questa adesso mi piace tantissimo questa sensazione di destino che più che di carriera sì anche perché restituisce secondo me il giusto protagonismo alla vita io questo questo argomento qui del nostalgia di futuro lo prendo dall'odissea a cui ho dedicato gli ultimi sforzi di questi anni, che se ci pensi non comincia con l'eroe, non comincia con Ulisse che compare al quinto capitolo, comincia col figlio dell'eroe. I primi quattro sono dedicati a Telemaco e Telemaco è già un nome parlante. Mi ricordo che ne avevamo parlato anche in un'altra occasione perché c'è dentro questo tele che è il nostro quotidiano, il telefono, la televisione, tutto ciò che tele dà lontano.

E aggiunge poi quel verbo greco che è il verbo del combattere, ma comai, no? E quindi è colui che combatte da lontano, perché quando si apre la scena dell'Odissea, lui è un ragazzino, un adolescente, in lacrime, perché non ha ancora un destino, non ha accettato il suo come destino, si lamenta del fatto che il padre non c'è e che i pretendenti, che sono grandi e grossi, lo insolentiscono e lo trattano. battano male. Allora Atena, quando scende dall'Olimpo, dopo che ha avuto il permesso di Zeus di finalmente far tornare il povero Ulisse, si reca ad Itaca e va da lui, va da Telemaco a dirgli, sotto le vesti di mentore, uno degli amici del padre, perché gli dèi non si manifestano mai direttamente, smettila con quei modi da bambino.

E usa un termine greco bellissimo che è nepios, cioè colui che ancora non ha... Epos la parola che poi è l'epica un racconto e lui allora lì si sveglia e dice e mentore Atena gli dice se tuo padre non torna vallo a cercare. Cioè sta trasformando la ragione di una prigione, di un pianto che non diventa crescita, in una chiamata.

Vallo a cercare. E se andandolo a cercare deve rischiare il mare, che per un uomo omerico significa rischiare la vita. Scopri che è morto, quindi scopri che la tua stessa origine di cui hai nostalgia è morta.

Diventa tu tuo padre, cioè sei chiamato a essere il nuovo re. Cioè quella che poteva sembrare una condizione... di inutilità e di blocco diventa la chiamata.

Allora questa cosa qui, a cui poi Omero dedica quattro capitoli, lui si deve procurare la nave, i compagni, il primo capitolo finisce con lui che si tira su il vello di pecora, dice è rimase tutta la notte sveglio a pensare a quello che avrebbe cominciato l'indomani, il viaggio, l'idea che davi tu di destinazione. Ma è una cosa che come vedi... è nata da dentro, risvegliata da qualcuno fuori. Il mentore ha quella funzione, qualsiasi educatore.

Mentre la carriera che cos'ha? Che non nasce da dentro. È una serie di dettami, di performance da raggiungere per essere accettati all'interno di un contesto che vuole quelle caratteristiche.

Quindi poi a un certo punto tu ti esaurisci perché l'energia non è interna, come le chiamiamo nelle aziende. Si parla di risorse umane, cioè da quando abbiamo cominciato a dire che gli umani sono delle risorse è finita, perché le risorse sono fatte per essere esaurite, infatti siamo tutti esauriti, non so se tu vedi... e che risposta hai trovato in questa ricerca di guarigione all'ansia contemporanea? Quanta saggezza in Omero negli antichi greci, questa idea che...

Oggi quanto ci si affida ai consigli degli altri? Quanto si ascoltano gli altri maestri? Ci sono talmente tante cose che si frammenta anche l'attenzione.

Allora, il fatto di attribuire, di dire gli dèi vengono sotto altre spoglie, è un modo di dire, cioè, ascolta chi incontri, no? Che è una cosa fantastica, perché hai bisogno di fidarti di qualcuno. E allora...

Sai che c'è un rabbino che dice che la prima cosa che Dio ci chiederà nell'aldilà è chi era il tuo maestro e che cosa hai imparato da lui, quasi che ad ascoltare un maestro appunto sia poi questione di essere salvi o meno nella vita, mi veniva in mente a proposito di questo ascoltare. Ma no, sono andato, sai come faccio io, quando mi si fissa un'idea in testa faccio come il rabdomante e vado a cercare le storie e cerco tutto quello. in giro che secondo me può avere un'assonanza con questa storia. E quindi alla fine mi sono mosso su... appunto sull'asse del tempo, dell'interpretazione del tempo.

Ho pensato che la risposta alle ansie sta in un riappropriarsi di un tempo che sia diverso dal tempo reale, ma che sia un tempo in cui hai lo spazio per capire le cose. Per esempio sono andato, ho passato due giorni nell'eremo di Camaldoli, in una cella dell'eremo di Camaldoli, facendo la vita dei frati che ci sono lì, perché volevo vedere un ritmo che è un ritmo medievale. A un certo punto alle 5 e mezza del mattino, tanto lì non c'è il, non ci sono telefoni, non c'è radio, non c'è televisione, non c'è segnale, non c'è wifi, non c'è niente. E per cui ti devi...

a soggettare a dei ritmi che sono diversi completamente da quelli a cui siamo abituati. Per me, che vivo con un consumo di smartphone di otto ore al giorno, tu immaginati soltanto per 48 ore che questa cosa qua si stacca. Quando alle cinque e mezza suona la campana che chiama perché ci sono le lodi, e io sono andato, sono entrato in questa chiesa e tutti i monaci erano col cappuccio perché era mattina. presto e faceva un po'freddo, io mi sono guardato intorno e non c'era nessun segno che mi dicesse in che epoca eravamo.

Cioè potevamo serenamente essere nel Medioevo. E la cosa però che mi ha colpito qual era? La lentezza delle lodi, la lentezza con cui pronunciavano le parole.

Allora dopo a colazione sono andato a parlare con l'archivista, il bibliotecario. Forse lo conosci Don Ubaldo Cortoni si chiama. E gli ho chiesto perché la parola è così lenta e lui mi ha detto pensa che io sono stato dai certosini. che sono gli ultimi rimasti di clausura. Ho passato alcuni giorni con loro per capire il loro senso del tempo.

Lui aveva fatto la stessa esperienza mia, ma a 2.0, andando dai certosini. E dice che i certosini pronunciano le parole della liturgia con una lentezza estrema, perché dicono che tu devi dare il tempo alle parole di attraversarti. Perché se tu non vivi la parola e non l'attraversi, la parola non ti lascia segno dentro, non ti colora.

E la trovo una cosa fantastica. Cioè bisogna ridare tempo, per esempio, alle parole. Ridare tempo a una cosa che ormai penso che a cui dobbiamo sottrarci, a questa dittatura, per cui tu devi avere tutti i giorni un'opinione ben chiara sul tema del giorno. E la devi avere subito, immediata, istintiva, pavloviana. Allora, invece prendersi la libertà di dire, no ma io ho bisogno di sapere, di capire, voglio avere la libertà di dire, non so, non ho un'opinione perché non ho capito.

Perché anche lì secondo me c'è il tema di dover rispettare una performance, perché se tu non hai un'opinione su una cosa, tu sei fuori, sei fuori dal dibattito e quindi? Il fatto è che non succede niente se uno è fuori, vabbè mi tiro fuori, mi faceva venire in mente che in fondo a scuola... noi facciamo questo, cioè se esiste la casa come protezione dalle intemperie, quindi noi torniamo a casa, a scuola invece ci si va, cioè si esce da casa ed è il primo grande rito della nostra vita fuori di casa. Cosa ci si va a fare a scuola? La scuola è il luogo in cui tu invece alleni l'attenzione.

a ciò che nel mondo non passa, se ci pensi, perché se io imparo le leggi della termodinamica, Dante Alighieri, Omero, la tavola degli elementi, mi sto avvicinando a ciò che resta vivo nel mondo, perché è vero. E che cosa fai nell'ora di lezione? Alleni i ragazzi, dopo esserti allenato tu, a fare quello che dicevi, cioè che il...

che le cose che non passano ti possano raggiungere, perché sennò non hanno il tempo di farlo. A questo proposito mi viene in mente quel verso bellissimo di Dante quando ringrazia, incontra Brunetto Latini che è stato suo maestro e lo mette all'inferno, quello comunque per ricordarsi che noi insegnanti comunque finiamo all'inferno per gli studenti. E dice io mi ricordo la vostra cara immagine paterna quando ad ora, ad ora, mi insegnavate come l'uomz etterna. E ad ora ti dà questa idea appunto dell'allenamento, dell'attenzione che è ciò che poi moltiplica il tempo, far sì che la parola ti raggiunga.

Come l'uomo si eterna, cioè come l'uomo accostandosi a ciò che non muore, a ciò che è vivo, alla vita viva, diventa lui stesso vivo. Infatti io dico la cosa più bella della scuola sono le ore di lezione. E quando dico, ah ma come deve essere faticoso stare con i ragazzi, invece a me sembra proprio la cosa più giusta che si possa fare, proprio quando l'unità di misura fra passato, presente e futuro è l'ora, hai quella e ci sono queste vite che alleni all'attenzione.

Che comunque tutte le volte che riesci a infilare un momento di significato, un momento importante, Mi vengo a dirti anche un momento gratuito, quando dico gratuito penso alle cose inattese, a lasciare aperta un po'la porta all'inattesa, cioè non sapere esattamente tutto quello che devi fare e programmarlo prima, ma lasciare dei momenti in cui possono accadere delle cose che tu non hai preparato. Perché in quel momento lì che ti salta fuori qualcosa che poi può essere bello o brutto, faccio un esempio, io ho fatto un esperimento, per un mese ho provato a non comprare su Amazon, a non comprare online, ma perché l'ho fatto? Non per una questione ideologica, l'ho fatto perché volevo vedere e segnarmi su un quadernetto il tipo di esperienze che facevo. E certi giorni sono state disastrose, tipo dovevo comprare il toner della stampante, anziché fare clic come faccio sempre in automatico, mi arrivo a casa e non me ne accorgo neanche, sono andato, ho trovato un posto che non conoscevo eccetera eccetera, è iniziato a diluviare, sono riuscito senza ombrello, sono tornato fradicio, ho pensato perché devo fare questi esperimenti, però nel frattempo non so, facendo altre cose ho ritrovato un compagno di pallacanestro, un compagno di scuola in due negozi che non vedevo da tempo, ci siamo fermati. a chiacchierare, ho scoperto che ha aperto un ristorante dove adesso vado regolarmente, cioè Sono andato in libreria a comprare un libro e sono uscito con quattro, perché sui banchi trovi qualcosa che l'algoritmo non è poi sempre così intelligente da conoscermi davvero, soprattutto non sa che mi possono venire delle idee che sono delle idee strane, divergenti, tutto uguale.

Allora questa cosa qua di tenere aperto secondo me. Perché tutte le giornate che hanno anche una sola di queste cose secondo me sono giornate che restano memorabili. Eh sì, è quella che un tempo si chiamava grazia, che adesso non sappiamo più cosa sia, infatti siamo un po'dei disgraziati. Ma mi è fatto venire in mente che io un po'di tempo fa avevo questo rito, andavo in una libreria che purtroppo adesso ha chiuso e chi si occupava dei libri mi preparava una decina di titoli e me li raccontava. raccontava uno per uno, sapendo quali potevano essere un po'i miei gusti, i miei interessi.

E poi io potevo liberamente scegliere. Alla fine io uscivo con tutti e dieci i libri, perché solo il fatto che qualcuno avesse preparato per me la sintesi, la narrazione, adattando le mie gusti, mi sembrava già che fosse un dono da non poter rifiutare. E mi ricordo di questa persona, questa delicatezza, questa...

Questa cura di cui tu parli. E collega secondo me strettamente il tema del tempo a quello dello spazio. Cioè tu in questa esperienza che cosa dici?

Di avere recuperato uno spazio. Cioè anche la pioggia che ti arriva addosso è un po'quello. Che è proprio quello che ha cambiato il fatto di avere il telefonino in mano.

Cioè adesso l'esperienza... arriva a noi, non siamo noi che andiamo verso il mondo, è il mondo che ci investe. C'è un tema su cui occorre domandarsi, facciamo veramente esperienza del mondo quando il mondo arriva a noi e noi siamo passivi in questo o è esperienza quella di un corpo che va verso il mondo? Questo è un tema io lo vedo soprattutto per i ragazzi perché poi proprio il loro corpo è il luogo in cui si sta manifestando una... povertà di esperienza, tanto che con questo corpo poi loro devono far qualcosa per sapere di essere al mondo a partire dalle difficoltà a volte di problemi fisici diffusissimi o quando ho iniziato a insegnare non c'erano quasi adesso anoressia, bulimia, tutto cioè il corpo che diventa appunto il luogo di una ricerca, di un'esperienza che non si dà altrimenti e quindi questo spazio, questo tempo...

Ci riflettevo qualche giorno fa, scrivendo per la rubrica sul giornale, che in italiano abbiamo la fortuna di avere questa parola, minuto, che è sia l'unità di misura di 60 secondi, ma è anche ciò che è piccolo. E allora provavo a fare un elogio del minuto, come se appunto noi avessimo solo questa possibile dimensione di felicità, stare dentro il minuto e lasciare che quel minuto sia... magari pieno di grazia, però è una sfida, bisogna andare incontro al mondo. Spazio mi fa in mente una cosa. Parlando con un'astrofisica, che si chiama Ersilia Vaudo, mi ha raccontato un po'di cose a me che sono ignorante di tutto ciò che riguarda lo spazio, ma mi affascina guardarlo, dicendomi che lo spazio che cosa ha?

Che ciò che sta più lontano è più antico. Noi guardiamo una stella e quella luce che ci raggiunge oggi magari è stata emessa quando nasceva Dante. Il tramonto, quando noi diciamo ecco è tramontato, invece era successo sette minuti prima.

E allora le metto che ci sono delle... Noi siamo abituati a immaginare che il futuro è davanti e il passato è dietro. Ci sono invece delle popolazioni, per esempio Andine o nel Borneo, che invece dicono che il passato è davanti perché lo possiamo vedere.

e invece il futuro non lo vedi alle nostre spalle. E se ci pensi, questa cosa qui ci dice che è uguale a ciò che accade nel cosmo e nello spazio. Cioè ciò che noi vediamo è il passato.

E allora questa idea qui, che noi oggi vediamo delle luci, che hanno centinaia di anni o migliaia di anni, lo trovo molto affascinante perché è come se ci ricorda che noi siamo immersi in qualcosa che nega il fatto che tutto accada nel tempo reale, perché invece ci sono fenomeni come tutto ciò che vediamo, ci sono fenomeni che sono indifferita, che ci dicono che noi siamo indifferita. A me piace... farmi ogni tanto l'analisi dei comportamenti che io ho, non so, di come mangio, di come faccio un gesto, di come ne faccio un altro, non so per dirti, io faccio così con i capelli, spesso così. E un giorno mia madre mi ha detto che impressione, quel gesto lì era il gesto, era un gesto di tuo padre. Allora io ho vissuto con mio padre due anni e mezzo, ma probabilmente se tu vedi un bambino di due anni e mezzo copia.

il padre e io ho preso questo gesto quindi io che cosa faccio? Io faccio un gesto antico che non è di questo attimo presente è un gesto che ha più di 50 anni e allora secondo me riconoscere quanto passato e quanta esperienza che si accumula c'è nelle nostre vite è una cosa che ti dà una sensazione molto più bella, molto più piena infatti anche il fatto che tu lo leghi alla bellezza mi sembra interessante perché Se ci pensi nel panorama mitico greco, le muse che appunto sono deputate alla bellezza sono le figlie di Zeus e Memoria. Cioè per loro era chiarissimo che la bellezza ha il compito di risvegliare un passato, se no non sarebbero figlie di Memoria. E quel passato risvegliato diventa in chi lo riceve una proposta per il futuro. Questa è la cosa interessante, perché quella bellezza ti spinge all'azione, non è mai comoda.

Per questo il poeta all'inizio del poema invoca la musa, perché lui non sa cos'è successo. Glielo deve dire qualcuno che lo sa, perché ha visto come stanno le cose. Però quello poi spinge, è come quando andiamo a vedere appunto le stelle in una notte in cui si distingue la Via Lattea o le stelle cadenti.

e senti in quella bellezza una provocazione che ti chiede ma tu a che punto sei con i doni della vita? Cioè noi così antiche e così compiute ti mettiamo in crisi sul fatto che adesso tocca a te che un giorno possa esserci qualcuno che riceve quel tuo passato. Visto che parlavi di stelle e di astrofisici anch'io sono molto ignorante e molto curioso di queste cose e ho fatto amicizia con Marco Bersanelli che è un astrofisico.

che sta facendo le ricerche sul fondo dell'universo. Cioè lui sta studiando cosa c'è dietro la fotografia più antica che noi abbiamo dell'universo, che è quasi 14 miliardi di anni fa. E quindi capire cosa c'è dietro questa luce estesa che si vede in quest'ultima fotografia, capire come questa luce si è messa in movimento. Sono cose per un ignorante inconcepibili, per chi ne sa, misteri da esplorare.

Ma mi ricordo che parlavamo di queste cose durante una p***a. lui a un certo punto si ferma e mi fa perché vedi Alessandro comunque quello che conta è che ci siano due che parlano di queste cose mangiando una pizza cioè questa pizza ha 14 miliardi di anni anche se è stata appena fatta e quel momento lì è stato un momento della nostra amicizia per me bellissimo perché effettivamente tutto questo ambaradan è perché noi due facciamo adesso questa chiacchierata se penso anche a come noi ci siamo incontrati come è nata l'amicizia è una cospirazione dell'universo che ci ha portato qui a dirci delle cose che ci piacciono, che ci interessano questo degli incontri, di nuovo cose se vuoi un po'forse anche banali mi autodenuncio Però per esempio io cerco adesso ultimamente di cambiare strada anche per andare negli stessi posti. Per esempio vado da mia madre, c'è una strada semplice che faccio a piedi. Adesso cambio continuamente strada.

Per guardarmi in giro, però tengo il telefono in tasca, perché se guardo il telefono è inutile che cambio strada, meglio che faccio la solita strada. Però per guardarmi, per guardare fuori e cose. Perché penso sempre, vabbè ma che...

Senza voler fare la condanna del telefono da uno soprattutto che lo strausa, però in quello che tu dicevi, in quella passività, io penso, io guardo il telefono, soprattutto i social, e vedo altri che mi raccontano i posti in cui sono, ma guardando i posti in cui sono loro io non sono nel posto in cui dovrei essere. Allora perché penso sempre perché pensi sempre che quello che stanno facendo gli altri sia meglio, sia più interessante anche perché poi soprattutto su Instagram viene sempre raccontato in modo tutto è glamour, tutto è bello, c'era una cosa fantastica che ha fatto un giornale americano non ricordo più quale che ha fatto ha messo insieme come è su Instagram raccontata la costiera amalfitana e la realtà della costiera amalfitana, cioè faceva foto di una tutta bellissima con questo panorama bellissimo e tutti dicevano ah voglio andare anch'io lì che meraviglia e poi faceva vedere che per arrivare lì dovevi fare 400 scalini a piedi sotto il sole a picco che sudavi che non c'era un posto dove comprare l'acqua e diceva ok però vi facciamo vedere anche tutto quello che intorno perché il contesto manca allora io continuo a pensare che dobbiamo recuperare dei tempi in cui diciamo va bene ma provo a fare la mia di esperienza quel piccolo destino che è andare a casa di mia madre la mia come esperienza vivo questa qui anziché stare a guardare quella degli altri e poi soprattutto ogni tanto anche chi se ne frega di condividerla ma la posso anche tenere per me non è obbligatorio un famoso DJ ha detto ha denunciato che era ha denunciato, per modo di dire, che era a Mykonos o a Ibiza e ha fatto un concerto e non c'era neanche una persona che ballava perché era pieno ma tutti erano immobili a fare il video col telefonino per poi rivedere il concerto. Capito?

Allora è il tema di dire no ma aspetta perché non io devo registrarla se no non esiste. Io devo viverla, se no non esiste. Sì, ma insomma, che fare con il concetto che abbiamo noi di felicità, poi di gioia, perché poi anche tra l'altro dal punto di vista scientifico, cioè mentre la dopamina è quella scarica di gioia che deriva da un qualcosa di esterno che possiamo provocare, insomma, anche artificialmente, la serotonina è, che è detto l'ormone della felicità, si può riprodurre tutte le volte che tu ricordi.

una cosa che hai vissuto, cioè puoi essere felice a comando. Se io ripenso a quella pizza con Bersanelli, sono felice perché produco quegli stessi ormoni di quella serata, cosa che la dopamina non può fare. E noi siamo invece in un sistema dopaminergico in cui quel consenso che riceviamo perché abbiamo postato che siamo a quel concerto ci fa sentire qualcuno, ma noi per sentirci qualcuno basta che ci sentiamo vivi. senza bisogno di doverlo condividere, poi magari lo condividi con chi con le persone che hai vicino e a cui vuoi bene, che è più che sufficiente.

Mi colpisce che mi dici queste cose perché in questo viaggio che ho fatto una delle persone che ho intervistato era il mio compagno di banco del liceo che è diventato un neuroscienziato e che studia il sonno, la coscienza e proprio i meccanismi della dopamina. E ho parlato con lui di questo, di come noi oggi tendiamo, tutto il mondo degli algoritmi è costruito per darci continuamente delle scariche che ci danno soddisfazione. Abbiamo continuamente bisogno, però siamo continuamente in astinenza di avere un qualcosa. di nuovo continuamente, per cui tu vai, prendi il telefono e fai questo giro e guardi se ho messaggi su WhatsApp, cosa c'è su Instagram, le mail, qualcuno mi ha chiamato, le notifiche e fai continuamente questo giro sperando sempre che ci sia qualcosa di nuovo che ti dà uno stimolo.

Allora qui, e ritorno al tuo inizio, purtroppo però questa strada è ben lontana da un destino, soprattutto perché il destino non si può costruire. con una somma di esperienze di pochi secondi. Sì, è quello che si chiama il cattivo infinito, pensare che se mettiamo uno dopo l'altro tanti finiti raggiungeremo l'infinito, ma non funziona così, l'infinito è una questione qualitativa, non è una questione quantitativa. Questo mi fa venire in mente una cosa che forse tu mi puoi spiegare dopo tanti anni, che al mio liceo la professoressa parlava di Zenone e di Elea. del paradosso di Achille e la tartaruga che però era appunto che se tu spaccavi in una somma di istanti il tempo rimaneva fermo e per cui Achille non raggiungeva mai la tartaruga ma forse questo appunto abbiamo un po'bisogno di questo di questo paradosso.

Oggi tu, vedevo che hai intitolato appunto il libro Il Tempo del Bosco e pensando appunto agli antichi, pensa che l'ultimo episodio dell'Odissea è di Ulisse che arriva nel giardino dove il papà si è ritirato perché non ne può più di stare a palazzo dove ci sono i pretendenti e tutto il resto e non riconosce il figlio che è tornato. E il figlio per farsi riconoscere gli dice uno a uno i nomi degli alberi. che lui da piccolo gli aveva insegnato.

Gli dice qui c'erano i quindici medi, gli dice uno per uno i nomi. Allora quasi che il rapporto padre figlio e quindi in generale ogni rapporto in cui qualcuno consegna qualcosa a qualcun altro è questo tempo del bosco, del ridire i nomi, come vanno detti e a quel punto il padre riconosce il figlio quando sente che il figlio ha fatto suoi quei nomi. Prima... dal solo aspetto non l'aveva riconosciuto bellissimo, grazie Ale grazie a te avevamo bisogno di un'altra oretta magari ci ritroviamo per quanto è nostro ciao