Tu questa notte dove dormi? Erano gli anni Ottanta e in uno dei nostri incontri sulla pace un ragazzo si alzò, puntò il dito verso di noi e ci lanciò questa domanda Tu questa notte dove dormi? In quel momento non trovammo una risposta, ma lo accompagnammo quella sera nel posto dove dormiva e scoprimmo l'inferno di chi dorme per la strada alla stazione.
Avremmo potuto denunciare alle istituzioni, alla politica, alla chiesa, ma quella volta decidemmo di metterci in gioco noi. Quel dito puntato ci aveva cambiato. Non eravamo nati per occuparci di accoglienza.
Ma grazie a quel ragazzo, ogni notte, da allora, duemila persone dormono nei nostri arsenali in Italia e nel mondo. Tutto è iniziato da un sogno. Era il 2 agosto 1983. E c'ero anch'io quando, in un piccolo gruppo, entrammo per la prima volta nel rudere del vecchio arsenale militare di Torino. Era stato il primo arsenale costruito in Italia a metà dell'Ottocento.
Da lì erano partite le armi delle guerre del Risorgimento, dei conflitti mondiali. Poi era accaduto in disuso e per noi... rappresentava la possibilità di un cambiamento.
Ernesto Olivero, sua moglie Maria e pochi amici avevano fondato il CERMIC, Servizio Missionario Giovani, nel 1964. Avevano un sogno, sconfiggere la fame nel mondo. Avevano grandi ideali. la giustizia contro le disuguaglianze, avevano il sogno di un mondo in pace, un mondo dove le armi non fossero più costruite, dove i popoli non si facessero più la guerra. Proprio questo sogno, come il profeta Isaia racchiude, e scrive in una frase che è davanti all'ingresso del Palazzo delle Nazioni Unite i popoli non si faranno più la guerra ecco, l'arsenale rappresentava quel sogno che in qualche modo poteva concretizzarsi ma Quando quel primo giorno siamo entrati all'arsenale, sapete cosa abbiamo trovato? Nulla, nulla.
E abbiamo ascoltato il silenzio. Il silenzio di quelle mura, faticenti, abbandonate dagli anni. Anche il silenzio di una memoria di guerra.
Per noi però quel silenzio era già abitato. Era abitato dai nostri sogni, era abitato anche da una dimensione spirituale e ne avevamo la conferma poco tempo dopo, poco dopo, perché iniziò ad arrivare molta gente, come se il nostro sogno fosse anche il sogno di tante altre persone e che davvero ci fosse una spinta grande verso la pace. Ma così arrivarono le prime scolaresche, i primi gruppi di giovani che venivano nel tempo libero ad aiutarci.
Arrivarono tanti professionisti che ci donarono le loro competenze, il loro tempo, le loro idee. Noi eravamo un piccolo gruppo, non avevamo una lira, non avremmo mai potuto trasformare quella superficie di 40.000 metri quadri se non ci fosse stato l'aiuto della gente. Noi diciamo la restituzione della gente, gente di ogni età, giovani, adulti, di ogni...
credo religioso, politico, di ogni ceto sociale. Ognuno veniva e ci portava un pezzo di sé. È come se quello, quell'esperienza di incontro di così tanta gente fosse stata davvero la prima vera esperienza di un ascolto reciproco. Noi pensavamo di realizzare lì la sede della nostra associazione, del Cermig. Pensavamo che avremmo realizzato una grande biblioteca della pace e poi avremmo proseguito le nostre attività.
Avremmo continuato a seguire progetti di sviluppo, avremmo sensibilizzato per il disarmo, per la pace. Ma ci mettemmo in ascolto dell'umanità che bussava alla nostra porta, dei poveri che bussavano alla nostra porta, quel ragazzo che ci aveva puntato il dito. E così capimmo che il nostro arsenale doveva diventare una casa. Una casa per chi cercava un rifugio, una casa per chi cercava un senso per la sua vita, una casa per chi la sua vita la voleva cambiare. E così, negli anni, migliaia e migliaia di persone sono state accolte e l'arsenale è diventata una casa dove ha continuato a trovare spazio, il mondo intero, i progetti di sviluppo, le missioni di pace nel mondo, la formazione dei giovani, una casa di cultura, una casa di spiritualità, una casa dove imparare la gratuità e il servizio.
Ecco, noi diciamo sempre che la casa sempre aperta l'abbiamo imparata ascoltando il suono del campanello. E credetemi, è una realtà questa. Ricordo la prima lettera che arrivò all'arsenale della pace, quando era ancora completamente da ristrutturare.
Arrivava da un carcere di massima sicurezza ed era la lettera di un terrorista, dei nuclei armati proletari. Scriveva a noi per iniziare un dialogo e ci diceva per trovare la strada in modo da uscire da quel buco nero in cui era finito con le scelte della sua vita. Noi dialogare coi terroristi non era proprio previsto, ma anche quella volta lì ci siamo messi in gioco.
L'incontro c'è stato, è iniziato un dialogo. Abbiamo camminato insieme, senza mai confondere il ruolo delle vittime con quello dei carnefici. Si è fatta strada insieme.
Molti di questi ragazzi hanno cambiato la loro vita. Questi bambini e questi ragazzi che appaiono ora nell'immagine sono Centinaia di bambini e di ragazzi di quello che noi chiamiamo l'arsenale della piazza. È il progetto formativo e di integrazione che abbiamo dedicato ai bambini del nostro quartiere Porta Palazzo. Facciamo dopo scuola, tanto sport, musica, teatro, attività ricreative, tutto quello che la fantasia ci mette in testa.
I ragazzi hanno chiamato questo loro luogo di incontro, l'hanno chiamato Felicizia. Una parola che anche il Presidente della Repubblica ha citato in uno dei suoi messaggi. Felicizia sta, ce l'hanno spiegato loro, per felicità e amicizia. Loro dicono siamo felici quando siamo amici e quando siamo amici non vediamo più le differenze di colore, di razza, di provenienza.
Siamo tutti amici. Ecco, quel giorno che hanno suonato il nostro campanello per chiederci di giocare con loro, abbiamo accettato. E ci hanno fatto questo regalo meraviglioso, che è uno dei più preziosi che custodiamo all'arsenale. E ancora un episodio voglio raccontarvi. Nei giorni della guerra in Ucraina, L'arsenale, il cortile dell'arsenale è stato invaso di persone e di aiuti.
Molti ci chiedevano che cosa fate ed era come se volessimo tutti uscire da uno sconforto, da uno sconcerto, da una paura che ci stava prendendo tutti. Noi avevamo in mente di fare cose, le cose alla nostra portata, come sempre. Non avremmo immaginato che migliaia e migliaia di persone sarebbero venute a portarci le loro scatole, i loro sacchetti, la spesa, tutto quello che potevano condividere.
E poi fermarsi lì con noi e selezionare insieme, preparare i grandi scatoloni e poi spedirli. 1600 tonnellate di generi di prima necessità, di alimentari, di farmaci, raccolti, selezionati, spediti. Ecco, un fiume di bene, un fiume di solidarietà che ci ha insegnato una cosa importante. L'uomo può sprofondare nell'abisso, ma se lo vuole insieme ad altri può cominciare a toccare il cielo. Ecco, con il metodo dell'imprevisto accolto, l'arsenale della pace è diventato un segno di speranza per tanta gente, migliaia e migliaia di persone che sono state aiutate e che hanno aiutato.
L'imprevisto ti cambia la vita. ti scompiglia le idee, però non ti fa mai entrare nell'abitudine. Se lo accogli diventi uno strumento, cambi un po'il cuore, un po'la mente. Se sei credente impari a riconoscere Dio nell'altro. Se non sei credente...
Impari la rettitudine perché cominci a capire che non ti appartieni più. Credo che questa sia la speranza alla nostra portata. Non servono grandi gesti, numeri eclatanti. Non servono eroi. Serve ascoltare.
Lì dove siamo, la realtà che ci circonda, le situazioni che possiamo cambiare, i dolori che possiamo fasciare, perché la speranza non è un sorriso, non è una pacca sulla spalla e non è neanche un esercizio di retorica. La speranza come l'amore, come la pace, È un fatto e si realizza in modo semplice, di fronte a una situazione, di fronte a una persona che sembra persa, a una vita che non ha un futuro. Ecco, non diciamo che pena, diciamo cosa posso fare. Cosa posso fare io per te?
Cos'è? Rispondiamo con la vita, anche se non ce ne accorgiamo, stiamo già cominciando a cambiare il mondo. Grazie.