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Il miracolo economico italiano e Mattei

C'è stato un periodo della storia nel quale l'Italia, con il suo miracolo economico e la sua classe imprenditoriale, potrà sembrare strano, rappresentò il fiore all'occhiello di tutta l'economia occidentale. Siamo a cavallo degli anni 50 e 60. Il paese, Dömer-Minora-Herrar, risorge dalle ceneri della guerra, la produzione aumenta, il denaro circola e gli investimenti sono all'ordine del giorno. Un personaggio chiave, forse il personaggio...

chiave di questa storia e di questa vicenda fu Enrico Mattei, il simbolo di quello che all'epoca era chiamato il cane a sei zampe, vale a dire l'eni. Fu con Mattei che l'Italia visse uno dei momenti più fulgidi, più brillanti della sua storia repubblicana, momenti che a vederli da tutti questi anni di distanza sembrano un'utopia. oggi.

Mattei divenne un caso nazionale, il suo agire politico un modello, mentre la sua morte un'inchiesta fatta di bugie e tradimenti tra alti vertici e multinazionali. Vediamo meglio di cosa tratta questa storia. Ah giusto, siccome mi sono appena trasferito, benvenuti nel mio nuovo studio.

Devo ancora un attimo finire di arredarlo, ad esempio manca una bella mappa gigante della guerra fredda qui sulla mia destra, oppure potrei anche metterci, non lo so, una statua d'oro. del cane del presidente Turkmeno. Dipende un po'dai punti di vista.

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lo Starter Pack, 200 Dobloni, 2 navi omaggio, la St. Louis e la nave Premium Emden, 2 milioni e mezzo di crediti, 7 giorni di Premium e la mimetica Restless Fire. Nel secondo dopoguerra il mercato petrolifero era dominato dalle cosiddette 7 sorelle, le principali compagnie petrolifere di provenienza statunitense, britannica e olandese, vale a dire la Exxon, la Mobil, la Texaco, la Standard Oil of California, la Gulf Oil, la Royal Dutch Shell e la British. British Petroleum. Nel 1952 il cartello delle Sette Sorelle produceva circa il 92% del petrolio grezzo e commercializzava il 75% di tutto ciò che gravitava intorno al loro nero. Il predominio economico delle Sette Sorelle, tuttavia, non durò a lungo.

Col passare degli anni crebbe di importanza il ruolo di altri paesi produttori, le cui entrate cominciarono a crescere considerevolmente grazie alla diffusione di contratti pionerosi per le compagnie petrolifere e su prodotti. soprattutto grazie alla formazione dell'OPEC, l'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio, un fatto che avvenne nel settembre del 1960 su iniziativa di cinque paesi produttori, Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita e Venezuela. Con l'OPEC il monopolio delle sette sorelle cominciò a essere messo in dubbio anzitutto. dalla regione nordafricana, un'area comprendente paesi come l'Algeria, la Libia, l'Egitto e il Marocco che fino alla seconda guerra mondiale erano stati tutti soggetti al dominio coloniale diretto della Francia, ma anche dell'Italia e poi anche della Gran Bretagna.

Da parte sua Enrico Mattei, in qualità di primo rappresentante dell'ENI, aveva già provato a inserirsi sul mercato delle ricerche petrolifere in questa regione. Non solo lui, ma molti esperti di settore concordavano sul fatto che il Nord Africa fosse una terra di opportunità economica, specie l'Algeria e il Marocco, storicamente di dominio francese. I tentativi dell'imprenditore italiano furono però presto bloccati dall'intervento congiunto delle grandi società petrolifere in mano alle ex potenze coloniali. Fu in Algeria che Mattei strinse accordi con il governo provvisore della Repubblica Algerina, che allora continuava a la sua lotta per l'indipendenza dalla Francia, e la cosa non era neanche poi così un gran segreto. In fin dei conti ciò che più interessava a Mattei erano i giacimenti di metano e lo sfruttamento di risorse petrolifere dell'intera area.

Sulla carta si trattava di un obiettivo raggiungibile dal momento che Leni appariva in quel momento agli algerini e in genere a tutti i movimenti del Terzo Mondo come punto di riferimento in contrasto con le vecchie strutture coloniali. Mattei puntava su due obiettivi di notevole importanza politica e strategica. Il primo era quello di unire la modesta quantità di petrolio rinvenuto nel Sinai insieme ai grandi volumi provenienti dalla Russia e con quelli, che lui pensava potessero essere elevatissimi, dei futuri giacimenti in Libia.

e Algeria, così da raggiungere quei 70-80 milioni di tonnellate che avrebbero messo in crisi i prezzi del cartello delle Sette Sorelle. Il secondo fu quello di puntare a un'intesa con gli Stati Uniti, per ottenere il riconoscimento del ruolo internazionale che spettava Lenin, un fatto che sembrò potersi concretizzare con la presidenza Kennedy nei primi anni Sessanta. Questi due obiettivi rappresentavano un grosso pericolo per il cartello internazionale del petrolio, che aveva a Londra, nella British Petroleum e poi anche nella Royal Dutch Shell in Olanda, il suo centro decisionale strategico.

Uno spiraglio nel gioco di poteri a favore dell'ente petrolifero italiano si aprì improvvisamente nel 1952, stavolta in Egitto, dopo la presa di potere del movimento guidato da Gamal el Nasser, che incentivò l'arrivo di investimenti. e capitali stranieri nel paese. La politica nazionalista di Nasser, comprendendo quanto fosse importante il doppio gioco con le ex potenze coloniali per trarre vantaggio dall'arrivo di fondi di investimento europei, cercò il sostegno di diversi interlocutori. Oltre alla mobile oil britannica e alla Royal Dutch Shell nel Sinai, Nasser cercò l'appoggio dell'ENI, una proposta che andò subito in porto, tanto da far scrivere a Mattei, in una lettera del gennaio 1955, di aver preso in seria considerazione l'eventualità di stabilire un rapporto diretto di collaborazione tra governo egiziano e il gruppo petrolifero italiano.

E in effetti a seguito di queste dichiarazioni l'ENI acquistò il 20% della International Oil Egyptian Company e delle sue 17 concessioni nel Sinai occidentale. Il dinamismo dell'ENI in Egitto non si risolse però esclusivamente nella partecipazione alle attività di ricerca e trivellamento del greggio. Al contrario, Leni inaugurò in Egitto quello che sarebbe diventato il modello vincente della sua politica industriale all'estero. Compressa dal cartello delle Sette Sorelle, senza avere alle spalle un paese politicamente forte, Leni si trasformò in uno stato nello stato e decise di investire nelle infrastrutture industriali dei vari paesi in cui si sistemava, dagli oleodotti.

alle raffinerie, così da incrementare non solo la qualità della sua produzione ma anche la quantità, grazie alla capillarità di stabilimenti sparsi lungo il Mediterraneo. Fu così che gli italiani riuscirono ad aggiudicarsi un appalto per la costruzione di un oleodotto nei pressi del Cairo lungo ben 145 km, sbaragliando la concorrenza di tutte le altre imprese europee. Un colpo durissimo per una potenza come la Gran Bretagna.

Furono quelli gli anni in cui il mondo produttivo ed energetico iniziò a guardare l'Italia come un modello da apprezzare ed emulare, o al peggio ostacolare e penalizzare. Storicamente l'Italia, paese povero di risorse energetiche e geograficamente distante dalle ligniere di carbone dell'Europa centro-settentrionale, si era trovata lontana dai centri di approvvigionamento di materie prime e combustibili fossili per gran parte del suo decollo industriale. Tuttavia, negli anni 50, la sua peculiare collocazione nello scacchiere mediterraneo aveva posto il bel paese, inaspettatamente dal giorno alla notte, in prossimità dei giacimenti petroliferi medio orientali e nordafricani. A tal ragione Mattei riteneva che il processo di decolonizzazione in atto degli stati africani da loro ex padroni francesi e britannici potesse rappresentare finalmente per l'Italia l'occasione per assurgere a protagonista economica e politica dell'intera area. in unione con il nuovo mondo arabo che si stava andando a creare.

Una posizione questa percepita lucidamente come pericolosa dall'ambasciatore francese a Roma, Foucault du Parc, il quale scrisse al rispettivo ministro francese degli esteri Grazie ai suoi contratti con il Medio Oriente, l'ENI di Mattei cerca di spezzare il monopolio dei cartelli petroliferi anglosassoni per colpire al cuore le posizioni del capitalismo internazionale. a vantaggio delle imprese statali italiane. Con le sue azioni di ricerca in Algeria e Libia, Mattei sta cercando di sistemare a favore dell'Italia i rapporti economici tra paesi sottosviluppati del Terzo Mondo e l'Occidente.

Quest'ultima affermazione dell'ambasciatore Duparc non fu comunque un'esagerazione. L'azienda petrolifera, nel suo piccolo, era ambasciatrice dell'Italia all'estero. Dopotutto l'Italia, in sintonia con la politica anticolonialista americana, Qualora si fosse guadagnata uno spazio di rilievo nel commercio e nel controllo del petrolio algerino e libico, avrebbe potuto svolgere un ruolo di spicco nell'intero bacino mediterraneo e assurgere a potenza regionale. A scapito questo del vecchio establishment franco-inglese. A differenza di sostenitori come Ministri Pella o Scelva, che non preferivano una via politica più moderata, la strategia di Mattei, battezzata con il termine di Neo- atlantismo, raccolse da subito il favore di esponenti della sinistra socialdemocratica, socialista e anche comunista.

Questa visione si tramutò in politica concreta quando, nel luglio del 1958, in seguito alle elezioni nazionali, si diede vita al governo Fanfani, che come prima cosa a livello di politica estera si impegnò a sbloccare con esito positivo le trattative per un accordo economico con il Marocco, in sostanza un accordo che potesse sostituire lo smacco subito dopo il ritiro delle concessioni che la Libia aveva fatto alleni a causa delle pressioni anglo-francesi. Si trattò di un altro grande successo che investì di rinnovato interesse l'Italia, elevandola nel mondo arabo, a promotrice del dialogo tra Occidente, Nordafrica e Medio Oriente. Il nuovo ambasciatore francese Gaston Palersky avvertì fin da subito Parigi delle relazioni. interciate del governo Fanfani con gli ambienti terzomondisti e filoarabi. Il ritratto tratteggiato però dell'ambasciatore fu abbastanza impietoso.

Fu quello di un'Italia desiderosa di giocare al gioco degli affari internazionali, un gioco che soli grandi potevano fare, vai a dire Francia e Gran Bretagna. L'immagine che ne derivava era quella di un'Italia che reclamava in modo velleitario il titolo di quarta potenza occidentale e che pretendeva di essere consultata su decisioni politiche che avrebbero impegnato l'intero occidente. Ma ciò che era inaccettabile per un francese era l'area in cui l'Italia avrebbe preteso di esercitare un suo ruolo politico specifico, il Mediterraneo e in generale il Medio Oriente, quelle aree di pertinenza esclusiva del mondo francofono.

Davanti a questo scenario, il ritorno di De Gaulle a capo di Stato nel 1958 non fece altro che aggravare i già difficili rapporti tra Roma e i cugini d'Oltralpe. Nel quadro della strategia politica di De Gaulle, la Francia aveva un ruolo di potenza di primo rango ben precisa e, pertanto, non erano ammesse alcune iniziative autonome che potessero alterare gli equilibri dello scacchiere mediterraneo. Al progetto dell'ENI, i francesi...

dispiegarono accuse di propaganda antifrancese rivolte agli italiani, complici, secondo i francesi, di aver aizzato gli esponenti arabi indipendentisti contro i vecchi padroni coloniali. Ma alla dura opposizione di De Gaulle si aggiunse a sfavore italiano anche il mancato sostegno degli americani, un fatto che derivò principalmente dai problemi economici che Lenin, con tutte le sue attività, aveva causato. alle principali compagnie petrolifere americane in Libia. E qui però dobbiamo aprire un attimo una parentesi brevissima sulla Libia pre-Geddafi.

Vi ricordo ovviamente il video che ho fatto riguardo alla caduta del Ra'is e allo scoppio della guerra nel paese. Fino alla scoperta e allo sfruttamento del petrolio, la Libia indipendente fu uno dei paesi più poveri al mondo che traeva sostegno finanziario soltanto dai finanziamenti. anglo-americani.

In pratica ne era una dipendenza economica. L'esplorazione del sottosuolo iniziò nel 55, ma il primo giacimento fu scoperto solo quattro anni più tardi dalla compagnia Esso, nei pressi di un campo chiamato Zelten. Con Zelten la Libia vinse finalmente il suo jackpot, un jackpot che valse al paese una produzione di oltre 3 miliardi di barili al giorno, superiore addirittura a quella dell'Arabia Saudita, ma che, guardandolo dopo tutti questi anni di distanza sarebbe stato al tempo stesso la rovina del paese.

La produzione e l'esportazione di petrolio cosiddetto dolce, cioè a basso contenuto di zolfo e di ottima qualità rispetto a quello più pesante del golfo persico, non poteva essere meglio localizzata. La Libia non era in Medio Oriente, il suo petrolio non richiedeva di passare attraverso il canale di Suez, né tantomeno attraverso il corno d'Africa. e richiedeva investimenti minori per spedirlo verso le raffinerie europee. Revocando le concessioni garantite a Mattei dai libici, i dirigenti della Texaco riuscirono a sbattere la porta in faccia alle ambizioni italiane senza che il governo di Roma potesse effettivamente fare qualcosa per opporsi.

Che l'Italia fosse considerata un alleato fedele ma comunque abbastanza scomodo lo si evinceva già dai toni preoccupati all'interno del rapporto del Comitato di Sicurezza Nazionale Americano, nel quale si accusava l'Italia di essere un paese dominato da un forte partito comunista e composto da un popolo che aveva più volte dimostrato sfiducia verso la superiorità tecnologica degli Stati Uniti a favore di quella dell'Unione Sovietica. Insomma, giustificazioni deboli oltre che vaghe. Le attività di Mattei, recitava in chiusura il rapporto, sono tese ad alimentare il nazionalismo e l'insofferenza dei paesi del Medio Oriente e anche del Nord Africa, specialmente l'Algeria e il Marocco. Mattei, continuava il resoconto, ha ormai raggiunto una posizione di forte influenza politica in Italia, grazie al controllo di un grande numero di deputati, di giornalisti e di cittadini comuni, tale da ritenere difficile che ad oggi non si rivolga a un'unità di politica.

Oggi un qualsiasi organo statale di governo possa porre effettivamente freno al suo agire. In parole povere, per gli americani di Eisenhower bisogna adoperarsi per ostacolare l'uomo che rappresentava non solo il miracolo della nuova rinascita italiana, ma anche il simbolo dell'anticapitalismo di stampo americano. Per Washington il matteismo divenne un problema importante e irritante che avrebbe potuto sortire degli effetti indesiderati, quali ad esempio La crescita dell'Italia ha il ruolo di media potenza regionale e, cosa ancora più importante, la presenza di una nazione non più succube alla stessa dipendenza americana.

Per un breve lasso di tempo gli Stati Uniti si trovarono così davanti un'Italia rappresentata da un formidabile poker di uomini che non era per niente facile da controllare e un poker che era comunque incarnato da Mac. Nel frattempo, con il passaggio della presidenza Eisenhower a quella Kennedy nei primi anni 60, tra Mattei e la Casa Bianca iniziò in un breve periodo una corrispondenza molto stretta. Temendo uno shock petrolifero a seguito della crisi di Suez, vale a dire quando Francia, Regno Unito e Israele occuparono militarmente il canale in mano agli egiziani, Kennedy vedeva nell'Italia un valido alleato con cui sostituire Londra e Parigi nella leadership strategica del Mediterraneo. Mediterraneo.

Quello di Kennedy fu un atteggiamento opposto a quello della conduzione Eisenhower. Tuttavia per Washington bisognava dare stabilità prima di tutto al governo italiano, che anche all'epoca era contrassegnato da cambi di potere troppo repentini e deboli. A ricordarlo c'era stato l'esempio del governo Tambroni, durato appena l'arco di tre mesi e mezzo.

Per dare stabilità politica bisognava scegliere un uomo forte che fosse in grado di fare riforme strutturali nel paese e Kennedy rimase affascinato dalla figura. imprenditoriale e politica di Mattei. Kennedy chiese alle grandi compagnie americane di mettere Mattei in condizioni di fare affari e di offrire i contratti migliori di quelli che lui aveva intrattenuto anni prima con l'Unione Sovietica.

Fu così che tra Stati Uniti e Italia, tra la ESSO e la ENI, venne a crearsi e a instaurarsi un importantissimo contratto segreto di 12 milioni di tonnellate l'anno di barili di grezzo, a condizioni decisamente superiori e migliori rispetto. rispetto a quelle che Mattei aveva stipulato con i sovietici. Si trattò per Mattei di un affare eccellente, che prevedeva, da parte di una delle più importanti delle Sette Sorelle, la cessione di petrolio libico alle aziende del gruppo italiano.

L'intesa petrolifera fu però in realtà un mero patto più politico che economico. Il Dipartimento di Stato americano di Kennedy cercò di mantenere pacifici i rapporti con un Matteo. che fino ad allora si era dimostrato spregiudicato e senza freni nella sua espansione imprenditoriale. Questo al fine di evitare un aumento delle importazioni di petrolio sovietico in Italia, un conseguente aumento della dipendenza energetica degli europei nei confronti di Mosca e un controllo del monopolio dell'industria petrolifera occidentale dovuto a una guerra di prezzi al ribasso sconsiderati. Come riportato dal vicepresidente esecutivo dell'AESO, William Scott, dopo tutto...

Mattei era un uomo difficile, tenace, che aveva soprattutto a cuore gli interessi del suo paese. A creare enormi timori verso il canasse zampe di Mattei era stata proprio l'apertura verso la possibilità di dirigere le importazioni del greggio che dalla Russia scendevano in Europa, attraverso un eventuale allacciamento dell'oleodotto dell'Europa centrale, nella linea Genova-Ingolstadt, questo all'altezza però di Trieste. A questa si aggiunse poi la notizia della velocità del primo ministro iracheno Qassem di avviare una trattativa per affidare ben 57 concessioni revocate all'Iraq Petroleum Company di fondazione olandese e britannica, niente meno che all'ENI. Per le compagnie occidentali si trattava in prospettiva di un altro smacco. Concluso l'accordo commerciale con l'amministrazione Kennedy restò così infine da compiere la seconda fase della strategia politica dell'ENI, vale a dire quella del viaggio di Mattia.

negli Stati Uniti per firmare gli accordi fatti a Roma. Tutto sembrava ormai pronto. Tuttavia, la tragedia di Bascapè, nella quale l'aereo dell'imprenditore diretto a Milano precipitò misteriosamente, impedì a Mattei di recarsi negli Stati Uniti per ricevere quel sostegno politico che avrebbe rappresentato la sua apoteosi internazionale. Secondo il nipote di Mattei, Angelo, l'attentato avrebbe avuto luogo più che altro per impedire l'accordo con Kennedy, un successo che oltre a rappresentare una possibile via d'uscita ai problemi finanziari della ditta, avrebbe reso Mattei ancora più potente, ma sia internamente un concorrente quindi pericoloso se avesse voluto pretendere alla presidenza della Repubblica i danni dell'allora governo Fanfani, che anche internamente, facendolo così.

così diventare un punto privilegiato per gli Stati Uniti. La morte di Mattei avvantaggiò in Italia tutti coloro che ne temevano la presa di potere. Avantaggiò a Mintore Fanfani, capo di governo e segretario dell'ADC apertamente in rotta con Mattei.

Avantaggiò Eugenio Cefis, che prese la guida dell'ENI al momento della morte di Mattei su volere dello stesso Fanfani, il quale, nell'inseguire ostinatamente l'eredità politica di De Gasperi, non disdegnò assolutamente di concentrare allo stesso tempo nelle sue mani le cariche di segretario dell'ADC, di presidente del consiglio e di ministro degli esteri, trasformando il governo in una sorta di cancellierato. Per Fanfani un personaggio dinamico e intraprendente come Mattei rappresentò più un'insidia che un'opportunità. Mattei astutamente, nel gioco di trame della politica italiana, aveva concesso enormi finanziamenti ai partiti politici italiani. una massa di 300-400 miliardi di lire che distribuiva per coprirsi le spalle dagli attacchi dei suoi nemici politici e rendersi così inattaccabile. Fanfani provava un forte disagio nel trattare con un uomo che di fatto non poteva controllare, che era in grado di spostare ingenti risorse economiche ed esercitare oltretutto una forte influenza politica all'interno del suo stesso partito.

Mattei è stato uno dei simboli di un'Italia unica? dinamica e moderna che all'epoca aveva riscoperto dal nulla un forte senso di orgoglio nazionale che stava incanalando positivamente i suoi sforzi verso un nuovo sviluppo moderno. Fanfani sapeva che il metanodotto sottomarino che Mattei voleva realizzare per trasportare ingenti quantità di gas naturale dall'Algeria all'Italia, come anche l'acquisto di gas e petrolio dall'Unione Sovietica, avrebbero portato profondi cambiamenti nella politica e nell'economia italiana. Un impatto economico considerevole che era però dannoso per gli interessi consolidati di gruppi e di lobby più o meno occulte, che sarebbe risultato in una minore dipendenza delle metaniere e delle petroliere del vecchio establishment.

Una rivoluzione che, sebbene fosse salvifica per gli interessi energetici nazionali e anche per quelli dell'ENI, non piacque a un politico più legato ai vincoli di potere dell'alleanza atlantica come Fanfani. Ufficialmente etichettato come uno sfortunato incidente, l'omicidio Mattei, oltre a implicare il coinvolgimento degli alti vertici petroliferi occidentali stranieri con false archiviazioni, depistaggi e inchieste giudiziarie aleatorie, fu in realtà un progetto, un piano, creato con largo anticipo dalla stessa politica italiana, un tradimento nazionale. Un attentato nato in seno a quella repubblica che aveva dato la luce a...

uno dei più grandi uomini della storia imprenditoriale italiana ragazzi vi ringrazio enormemente per l'ascolto, vi ricordo anche che Jacopo, l'altro ragazzo che faceva video con me tempo fa qui sul canale ha aperto un suo nuovo canale, Parabellum vi consiglio di andare a vederlo e di guardare il suo primo video sulla pirateria, mentre io da parte mia vi ricordo che potete seguirmi su Instagram, sui miei podcast invece nelle varie piattaforme di podcasting e ovviamente qui su Youtube una volta almeno a settimana, ci vediamo presto per Aspera Ad Astra