Il linguaggio viene spesso considerato in modo banalizzante, cioè unicamente come modo di comunicare superficiale. Non lo è affatto. Il linguaggio è un modo di comunicare. La comunicazione verbale accanto a quella non verbale sono le modalità principali con le quali interagiamo con gli altri esseri.
Ma esprime il pensiero, esprime anche aspetti emozionali profondi. Ed è un modo per condividere contenuti, per condividere riflessioni e quindi ha a che fare con modalità decisamente più ampie che riguardano il mondo e gli aspetti psicologici profondi dell'individuo. Ecco, sul tema del genere ci sono molti dibattiti interessanti che riguardano il linguaggio e sul tema del modo di esprimersi. Per esempio... nella nostra lingua e nel nostro paese, per una serie di ragioni, molti modi di esprimersi sono declinati unicamente al maschile.
Il dibattito su questo tema riguarda frequentemente un approfondimento sul quale si è espressa anche la crusca, si sono espressi linguisti illustri che evidenziano come esiste intanto il neutro, o... oppure il maschile può essere usato in modo comprensivo. Il fatto è però che un linguaggio inclusivo dovrebbe poter prevedere il riferimento ai vari generi. Perché si tratta di un linguaggio inclusivo quando facciamo riferimento al prevedere il riferimento ai vari generi? Perché includere, per esempio, dicendo colleghi e colleghe, studentesse e studenti, fa sì che le persone che ci ascoltano sentano, almeno nel riferirsi a studenti e studentesse, ma poi si può fare anche di più perché, ripeto, i generi non sono solo declinati a maschile e femminile, includono più ampia platea e per esempio il versante femminile sente di essere rappresentato in questo modo, di rivolgersi che le persone possono utilizzare e che è bene che utilizzino.
Chi è critico o critica su questi aspetti in genere adduce l'argomentazione dell'appesantimento del discorso. Allora si tratta di una scelta più psicologica direi che non strettamente linguistica e stabilire se si vuole da un punto di vista psicologico rimarcare l'inclusione o se si vuole dare la preferenza a forme di alleggerimento. e chiaramente, come dicevo, il dibattito è acceso su questo e le posizioni sono diverse. Ma facendo un passo in più dobbiamo assolutamente tenere conto che esiste anche un linguaggio che invece si basa su stereotipi e addirittura elementi di svalutazione, spesso purtroppo a danno della donna. La nostra lingua in questo ci offre parecchi esempi, c'è un dialogo, un monologo, un mondialo di Paola Cortellesi che è diventato celebre da questo punto di vista perché chiaramente questo monologo è rappresentato con la maestria.
di Paola Cortelesi, in cui evidenzia molto bene come certe parole declinate al maschile sono edificanti e declinate al femminile diventano invece squalificanti e svalorizzanti. Un cortigiano o una cortigiana era uno degli esempi che lei faceva e che sono appunto ripetibili. Ma andando oltre, molto spesso i riferimenti all'interno del linguaggio sono non solo non includenti la donna, ma a volte vistosamente. escludenti o strumentalizzanti.
Basti pensare ai linguaggi che vengono usati in certe pubblicità o ai linguaggi che vengono usati in certi modi di esprimersi, per esempio in rete. Nei linguaggi squalificanti c'è l'indicare la donna in modo aggressivo rispetto al sospetto estetico, rispetto a come è vestita, rispetto alla sua età, rispetto... alla modalità che usa nell'interagire, eccetera, e si potrebbero fare mille esempi. Allora, che il linguaggio sia importante viene riconosciuto a diversi livelli. Cito, fra questi esempi, la Convenzione di Istanbul.
Nella Convenzione di Istanbul si fa un riferimento molto specifico all'importanza del linguaggio, all'importanza del linguaggio nell'educazione. appreso nelle scuole, in famiglie eccetera, ma poi il linguaggio deve essere utilizzato correttamente, in modo inclusivo, non squalificante, non stereotipico, per esempio ai vari livelli della comunicazione, quindi nei vari contesti. In un contesto che può essere un contesto di lavoro è molto importante e fondamentale evitare battute o modalità di linguaggio sessiste che in qualche modo si riferiscono alla donna. svalutandone l'identità vera e propria in certi casi o in altri casi ancora, magari non l'identità ma aspetti che possono erroneamente essere considerati di superficie che però invece denunciano sessismo profondo. Che il linguaggio sia importante ce lo dicono moltissimi esempi.
Gli esempi li possiamo trovare a vari livelli, ma li possiamo trovare moltissimo nel modo di rappresentare, raccontare gli eventi. anche a livello giornalistico o di narrazione. E che molto spesso queste modalità ignorino del tutto la sensibilità nei confronti della parità.
è un fatto che risulta decisamente evidente. Dicevo che gli esempi sono molti e che quindi abbiamo sotto gli occhi probabilmente tutti i giorni queste modalità ed è molto importante che ci si faccia attenzione e che si prevenga proprio questa modalità di non attenzione ad un aspetto che viene considerato di superficie e che invece è profondo e di sostanza. L'uso del linguaggio inclusivo ha quindi un significato più che altro psicologico perché chiaramente le osservazioni che dagli esperti...
come si diceva in lontana stessa, accademia della crusca, arrivano sulla correttezza, riguardano il parametro correttezza linguistica, quindi non commetto di fatto una scorrettezza se in certi casi decline. al maschile o se uso il maschile con la valenza del neutro e quindi ragionamenti che si basano su dei parallelismi per esempio il dire il capo treno non lo posso declinare inserendo la capa del treno perché magari risulterebbe cacofonico poco accettabile, eccetera, sono ragionamenti che spostano il livello. Il livello, da un punto di vista psicologico, ha a che fare con il rispetto dell'eleganza e della correttezza linguistica al massimo livello che possa contemperare anche il far sentire i generi riconosciuti e inclusi. Quindi, che cosa significa? Che se io dico, cari colleghi e care colleghe, non introduco nulla di cacofonico, Faccio sentire inclusi i colleghi e le colleghe e do un'ampiezza, un respiro al discorso che va ad una certa profondità dell'aspetto inclusivo e in realtà non genera errori, perché dico cari colleghi e cari colleghe, non genera neologismi che possono essere considerati sgradevoli, scorretti oppure delle forzature.
Mentre l'astenzione da questo e dire cari colleghi e basta può far sentire meno riconosciuta la platea femminile che è presente come colleghe. Nella parte scritta, utilizzare un rivolgersi in modo inclusivo ad una platea fatta di colleghi e di colleghe o andare anche oltre e usare tutti i sistemi che si usano per includere anche chi non si riconosce nei colleghi e nelle colleghe, quindi utilizzare tutte quelle forme che includono ancora di più, quindi anche i generi non binari, da un'estensione e un'ampiezza che toccano il senso di riconoscimento, quindi la percezione di riconoscimento che possono avere le persone in quel tipo di situazione. In realtà l'appesantimento che alcune persone riscontrano nel poi mantenere lungo tutto il discorso l'inclusività e quindi dire colleghe e colleghi, studentesse e studenti, signore e signori, eccetera, eccetera, riguarda molto spesso il progredire del discorso, il nucleo e lo svilupparsi del discorso stesso. Se si sviluppa un'abitudine al linguaggio inclusivo poi questa diventa contagiosa.
Io ho personalmente potuto riscontrare che utilizzando il linguaggio inclusivo poi gli altri e le altre lo usano a loro volta, cioè rispondono più o meno sullo stesso piano perché si genera un'abitudine o comunque un uso, un habitus, un certo tipo di modalità che poi viene riconosciuto e utilizzato. L'importante è capire il senso della questione perché altrimenti se lo affrontiamo sul piano di dire che esagerazione devo sempre mettere l'uno e l'altra e allora questa cosa mi appesantisce eccetera, viene sviato il discorso fondamentale, cioè che è quello di dire c'è un'emozionalità sottostante, un'emozionalità positiva, quello del tenere insieme dentro tutte e tutti che può essere una necessità. comunque un'opportunità che può assumere una rilevanza su un piano che è un piano diverso, quello di dare importanza e priorità al tema dell'inclusione piuttosto che alla stretta denominazione linguistica o significato strettamente linguistico.