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La caduta di Costantinopoli del 1453

Siamo a Bisanzio, siamo a Costantinopoli, siamo a Istanbul. A dire il vero siamo sempre nella stessa città. Sospesa tra due mondi e tra due ere.

Secondo me fuori dall'Italia. la più bella al mondo. Vi racconterò il giorno della vera caduta dell'impero romano, il giorno in cui Costantinopoli divenne Istanbul, la capitale dell'impero romano d'Oriente divenne la capitale dell'impero ottomano, il giorno in cui cadde la croce e si levò la mezzaluna.

Eppure Costantinopoli era considerata inespugnabile. circondata su tre lati dall'acqua. Dall'altra parte il mar di Marmara, che porta al Mediterraneo.

In fondo il Bosforo, che separa l'Europa dall'Asia, e qui il Corno d'Oro. L'insenatura che divide la città di Costantino e Giustiniano, di Santa Sofia e dei Mosaici, e poi quella del conquistatore Maometto, della Moschia Blu, dei Minaretti, del Bazar, da Galata, la colonia dei Genovesi. Ed è un genovese il difensore di Costantinopoli, l'eroe sconfitto di questa guerra.

E noi andremo a Genova, andremo a Veneffia, a Ravenna, dove l'impero bizantino ha lasciato i suoi segni più splendidi, e a Otranto, dove il passaggio dei turchi è stato più drammatico. È il 29 maggio 1453, il giorno in cui finì l'impero romano, in cui cadde davvero Roma. E questa è la nostra giornata particolare. Ci sono giornate che hanno cambiato il nostro mondo e hanno cambiato anche noi.

Attraverso il tempo e lo spazio, noi quelle giornate ve le racconteremo. Ora per ora, passo dopo passo, con i loro protagonisti, le loro avventure, i loro luoghi, i più belli d'Italia ed Europa. Con me ci saranno due reporter, Claudia Benassi e Raffaele Di Placido.

Insieme entreremo in una giornata che ha segnato la nostra storia e la nostra vita. Una giornata che ci ha resi quello che siamo. Una giornata particolare. Grattacieli e torri che si stagliano nel cielo, chiese nascoste, moschee grandiose, ponti che uniscono mondi e mari che dividono continenti. Siamo sospesi tra Oriente e Occidente.

Siamo a Istanbul. Questa giornata particolare si svolge in Turchia, ma ci riguarda non solo perché Bisanzio fu difesa da molti soldati italiani e non solo perché andremo anche a Venezia, a Ravenna, a Otranto, a Genova. Ci riguarda perché la giornata particolare che stiamo per raccontarvi è l'ultimo giorno dell'Impero Romano.

L'impero romano, lo sapete, era stato diviso tra l'impero romano d'Occidente e l'impero romano d'Oriente. Ma se l'impero d'Occidente cade nel 476 d.C. con Romulo Augustolo, l'impero romano d'Oriente ha continuato a esistere per quasi mille anni. La capitale di quell'impero era Costantinopoli, polis in greco vuol dire città, la città di Costantino, che la edificò sulla colonia greca di Bisanzo. Figlio di un generale, cresciuto tra gli accampamenti militari e i campi di battaglia, Costantino non amava Roma, dove passò la sua vita.

Passò pochissimo tempo, amava invece l'Oriente, il luogo dove sorge il sole, il luogo dove era nata quella religione, il cristianesimo, che lui aveva riconosciuto. Così nel 330 d.C. Costantino si fece costruire una capitale il cui nome somigliasse un po' più al suo e scelse come luogo questo, il Bosforo, dove l'Europa diventa Asia e dove sorgono sette colli, proprio come a Roma.

E proprio come Roma, Costantinopoli aveva il suo foro, il suo senato, il suo campidoglio e il suo ipodromo. Questo. Pensate, l'ippodromo poteva contenere 100.000 spettatori, divisi in due tifoserie, proprio come gli ultras del calcio adesso, i verbi e gli azzurri, che si scontravano a volte in risse omeriche e a volte potevano anche unirsi contro l'imperatore. E poi per Costantino la sua città, la città che portava il suo nome, doveva avere una cattedrale all'altezza di un impero cristiano che potesse rivaleggiare con San Giovanni Laterano a Roma. E così, attorno al 340 d.C., iniziano i lavori per costruire una chiesa immensa dedicata alla Santa Sapienza, Santa Sofia, la più grande costruita fino a quel momento.

Dopo vent'anni di lavori, la chiesa viene consacrata, ma subito dopo crolla la cupola. Poi la chiesa viene incendiata durante una rivolta. Alla fine sarà un altro grande imperatore che impareremo a conoscere, Giustiniano, a costruirla, come la vediamo oggi. Oggi Santa Sofia è una moschea, si prega Allah. C'è il Mihrab, la nicchia che indica la direzione di la Mecca, e il Mimbar, la scala su cui sale l'imam per la predica del venerdì.

Eppure la storia di questa giornata particolare riguarda anche noi italiani. Turchi, italiani, una faccia, una razza, grida il pescatore al giovane Diego Batantuono in Mediterraneo, il capolavoro di Salvatores. Come a dire? dire siamo le due facce della stessa medaglia, abitiamo lo stesso mare.

Prima ancora ad Antiochia, a Tarso, a Pergamo, ad Efeso nacquero le prime comunità cristiane. Vicino alle splendide rovine di Efeso... c'è ancora adesso la Casa di Maria, dove, secondo la tradizione, avrebbe passato gli ultimi anni la Madonna.

Nelle nostre chiese recitiamo il credo, credo in un solo Dio, Padre Onnipotente, la preghiera che venne scritta nei concigli di Nicea e di Costantinopoli, 17 secoli fa. A Istanbul molti luoghi ricordano Donizetti Pasha, non è un omonimo, è un parente. Il fratello del grande gaetano Donizetti, Giuseppe Donizetti, venne qui in Turchia e compose alcuni tra i più begli inni della corte ottomana.

Noi italiani abbiamo fatto una guerra al fianco dei turchi contro i russi, la guerra di Crimea voluta da Kavur. E abbiamo anche fatto una guerra contro i turchi nel 1911 al governo Ceragiolitti per prendere le province della Tripolitania e della Cirenaica che abbiamo poi unito con il nome di Libia. Molti italiani si chiamano Turco, Turchi, Turci, Turchetta.

I turchi hanno ispirato modi di dire, canzoni, poesie, nomi di località. Anche sulle mie langhe, alcune tra le migliori vigne di Barolo sono in un posto che si chiama Serra dei Turchi. Anche l'espressione profana, mettere le corna, viene da qui. Era un'abitudine poco simpatica dell'imperatore Andronico I, che per punire i suoi avversari politici portava a letto le loro mogli e poi metteva fuori dalla porta di casa un'impalcatura di corna, da cui l'espressione che usiamo ancora adesso. A Istanbul arrivano migliaia di turisti italiani e anche alcuni pazienti per fare interventi di chirurgia estetica, in particolare il trappianto dei capelli, anche se per me ormai...

è troppo tardi. I turchi sono passionali, motivi molto legati alla famiglia, hanno un forte appartenenza al paese, un po' come i napoletani, che in parte si sente un popolo a parte. Ho avuto la possibilità di allenare due anni in una città un po' più a sud di Istanbul, che è Adana, quindi ho vissuto ancora di più la cultura turca. Da un anno circa sono qui a Istanbul, si avvicina molto di più all'Europa rispetto alla Datana che è molto più tradizionalista.

Io mi trovo molto bene, la mentalità e la cultura si assomigliano molto all'Italia e soprattutto la mentalità e i costumi si avvicinano molto al sud Italia. Mi viene in mente il modo con cui ho vissuto la mia adolescenza e soprattutto la mia giovedezza. E' arrivato il momento di entrare nel cuore della nostra giornata particolare, il momento in cui Oriente e Occidente si scontrano.

Sta per scendere la sera del 28 maggio 1453. Costantinopoli, la capitale dell'impero romano d'Oriente. e asseviata dalle truppe ottomane del sultano Mehmet, Mahometto II. Da 53 giorni ogni rifornimento è bloccato, le grosse porte d'ingresso alla città sono sbarrate e i due eserciti, quello turco ottomano e quello romano sono pronti a scontrarsi una volta per tutte.

Fuori dalle mura si sentono i tamburi che suonano, si vedono i fuochi dei falò degli assedianti. I flauti orientali stordiscono gli abitanti di Costantinopoli che sono asserragliati qui dentro, impauriti, stanchi, affamati. Le navi ottomane sono ormeggiate nel corno d'oro. Tutto sembra volgere al peggio.

Non resta che pregare, affidare ogni speranza di salvezza a Dio. Qui, la notte del 28 maggio 1453, si celebra l'ultima messa dell'impero romano d'Oriente. Immaginate il cardinale che leva il calice d'oro verso la cupola e immaginate i fedeli.

Santa Sofia è gremita all'inverosimile, tantissimi abitanti di Costantinopoli sono venuti qui e passeranno la notte in preghiera. Affidano la loro salvezza a Gesù Cristo, ma nello stesso tempo confidano nella pietà del nemico che sta arrivando. Poi c'è lui, l'imperatore, e l'undicesimo sovrano a portare il nome di Costantino. Costantino undicesimo è deciso a batterse sino alla fine, ma prima vuole chiedere l'aiuto di Gesù, prosternato davanti alla sua immagine come i suoi predecessori. E come il suo predecessore Costantino, idealmente mette la città sotto la protezione della Vergine con il bambino, mentre Giustiniano offre alla Madonna questa basilica, Santa Sofìa.

Sotto le maestose cupole della chiesa si sta celebrando l'ultima messa cristiana. Proprio qui, sotto i piedi dei fedeli in preghiera, a pochi metri da Santa Sofia, si cela una risorsa vitale, un simbolo di ciò che rimane della grandezza di Costantinopoli, la gigantesca cisterna basilica. Un'enorme riserva d'acqua, a pochi passi da Santa Sofia.

dalla disperazione che si respira sopra. La cisterna basilica in turco è chiamata Yele Batan Sazanic, che significa palazzo sommerso. Il perché è evidente.

Le colonne sono 336 e guardatele bene, non ce n'è una uguale all'altra. Ci sono capitelli ionici, dorci, corinfi e alcune non hanno proprio il capitello. Quella reca degli strani segni, sembrano occhi ma secondo la tradizione sono le immagini. le pronte della clava di Ercole.

Due colonne poggiano su due gigantesche teste di medusa e da secoli si discute sul motivo per cui la testa di medusa è messa al contrario. C'è chi racconta che sia un modo per evitare di restare piatrificati guardandola negli occhi. In realtà la cisterna è costruita con materiale di riuso dal foro di Costantino che era qua sopra. Serviva a immagazzinare l'acqua sia quella piovana sia quella dell'acquedotto Adriano che riformiva il grande palazzo dove viveva l'imperatore dissetando per secoli i bizantini. E' la prima volta che uso la parola bizantini per indicare gli abitanti di Costantinopoli.

Finora ho parlato dei cittadini dell'impero romano di Oriente. Quali erano? La parola bizantino viene inventata da noi occidentali durante il Rinascimento per dire che eravamo noi gli eredi degli antichi romani e non gli orientali.

Ma gli abitanti di questa città pensavano di essere loro gli eredi dei romani, anzi di essere proprio i romani. Infatti si definivano Romei e chiamavano il loro stato Basileia Romeion, il regno dei romani, e definivano Bisanzio, se volete Costantinopoli, la nuova Roma. Certo non parlavano latino, parlavano greco, ma erano cristiani.

Noi tendiamo a pensare Bisanzio come una civiltà debole, malata, che per mille anni non ha fatto altro che declinare, perdendosi dietro complicate questioni giuridiche e dipingendo icone tutte uguali per poi a volte distruggerle. In particolare gli illuministi disprezzavano Bisanzio. Voltaire la definì un'inutile collezione di declamazioni e miracoli.

In realtà, Bisanzio fu sì un miracolo, perché fu il baluardo della civiltà greca, latina e cristiana. Da quella che oggi chiamiamo Turchia, vengono figure a noi familiari, come San Paolo, come San Giorgio che uccise il drago, come San Nicola di Bari, che in realtà nacque e morì qui, e fu portato a Bari secoli dopo. E la civiltà ortodossa ancora esiste, da Belgrado a Vladivostok, dai Balcani... all'Oceano Pacifico, anche se si è dissanguata in una guerra fratricida tra russi e ucraini. Per restituirvi la grandezza di quell'impero e quindi della posta in gioco nella nostra giornata particolare, il 29 maggio 1453, dobbiamo fare un salto all'indietro nel tempo perché voglio presentarvi un grande imperatore, uno dei pochissimi uomini politici che Dante mette in paradiso, Giustiniano.

E il 527 d.C., quando Giustiniano diventa imperatore? e per prima cosa tenta di riconquistare i vecchi territori dell'impero romano d'Occidente occupati dai barbari. E tra le prime città a essere riconquistata c'è una città italiana, Ravenna, dove i bizantini hanno lasciato tesori di commovente bellezza.

E quindi andiamo a Ravenna a conoscere di persona Giustiniano e a guardarlo negli occhi. La città che custodisce le spoglie del padre della nostra lingua Dante Alighieri ma è anche la città che possiede ben otto monumenti dichiarati patrimonio dell'umanità. E uno di questi...

preziosi monumenti che la città custodisce, è proprio quello che ho alle mie spalle, la Basilica di San Vitale. Entrando nella Basilica si rimane a bocca aperta. Guardate le colonne, quelle in basso e anche quelle in alto, le esedre, i capitelli, ma ciò che attira immediatamente lo sguardo sono loro, i mosaici.

E c'è subito una curiosità, i mosaici qui a terra sul quale sto camminando... Per tanto tempo sono stati coperti, fino agli inizi del Novecento infatti il pavimento era più in alto, arrivava esattamente qui. I segni sulle colonne sono evidenti.

Ravenna infatti è nata in una zona paludosa sopra delle isole di terra che lentamente hanno cominciato a sprofondare nel tempo il cosiddetto fenomeno della subsidenza. E quindi per contrastare questo fenomeno di sprofondamento e quindi di invasione dell'acqua e del pavimento, I pavimenti furono costruiti uno sopra l'altro sempre più in alto. Il primo risale al V secolo d.C.

ed è ancora sommerso dall'acqua. Poi ci fu quello dell'epoca di Giustiniano, questo, quello dei mosaici, che fu coperto fino agli inizi del Novecento da un pavimento che poi fu tirato via per riportare alla luce questi meravigliosi mosaici. Ma il vero cuore della Basilica? è il presbiterio, adornato da quelli che sono senza dubbio tra i più famosi mosaici al mondo. Quello al centro del presbiterio è Cristo seduto sul cosmo e ai lati sono raffigurati l'imperatore Giustiniano e l'imperatrice Teodora.

Sono qua, nel presbiterio, in questa posizione, come se stessero partecipando alla messa. Guardate, Giustiniano offre il pane e Teodora il calice del vino. Quello alla sinistra di Giustiniano è Massimiano, arcivescovo di Ravenna.

Poi c'è Belisario, uno dei generali più importanti dell'esercito bizantino. E se guardate bene, notate che i piedi delle diverse persone non sono tutti allo stesso livello. Chi è più importante schiaccia i piedi di chi è meno importante. E poi c'è un'altra curiosità. Attorno al volto di Giustiniano c'è un'aureola.

In realtà è quasi un rattoppo. Giustiniano infatti non è mai venuto a Ravenna e gli artigiani ravennati non conoscevano il suo volto, per cui il ritratto fu eseguito a Costantinopoli, poi spedito a Ravenna e lì attaccato. Il fascino da allora era diviso in tante cose, innanzitutto questo stupendo mosaico. Io qui vedo gli imperatori, l'imperatrice Giustiniano, Teodora bellissima. Sono belle tutte e due, Teodora è particolarmente bella, poi ti ho orientalizzato.

Giustiniano e Teodora sono raccontati. A questo libro si chiama Aneddota e parla bellissimo. C'è di Giustiniano che di Teodora. Giustiniano dice che era vittima di questa donna, che era una prostituta.

Lei è una ragazzina, era la figlia di un domatore d'orsi del circo, quando i padri facevano i piccati alle poste, i padri facevano il domatore d'orsi, è diverso, ammettiamolo. Procopio, che è una lingua viperina, dice di tenere a vedere il cosaccio, dice che lei si prostituiva, ma essendo troppo giovane. Usava la sodomia e questo è uno dei facili che guardare questo mosaico ti dico che può voler andare sin da me, può voler sin da me di standarci che è talmente bella un'opera d'arte che ti abbiocca, ti uccide, rimani affascinato Sono i primi giorni del 1452, poco più di un anno prima della nostra giornata particolare. Dall'epoca di Giustiniano e Teodora sono passati più di nove secoli. Sul trono dell'impero romano d'Oriente si sono susseguiti 80 sovrani.

L'ottantunesimo ha un nome a noi conosciuto, Costantino. Costantino undicesimo. Pensate alla coincidenza.

Proprio come a Roma, l'ultimo regnante della città si chiama come il primo. A Roma, il re Romolo e l'imperatore Romolo Augustolo. A Costantinopoli, o Bisanzio che dir si voglia, Costantino e Costantino XI. Costantinopoli non è più quella di un tempo. Della splendida, gloriosa, ricca città che aveva resistito a 23 assedi, non resta che un pallido simulacro.

Alcuni palazzi sono fatiscenti, agli splendidi mosaici manca qualche tassello e... Soprattutto le casse sono vuote. Guardate la moneta che ho in mano. È grande, è d'argento, è preziosa. È stata coniata durante l'impero di Costantino X. Questa invece è stata coniata dal nostro Costantino, Costantino XI, quattro secoli dopo, al tempo della nostra giornata particolare.

È piccola, sottile, in rame. La differenza è evidente. Come se non bastasse la precaria situazione economica dell'impero bizantino, la grande potenza rivale, l'impero turco, si sta espandendo e il cerchio si stringe sempre di più sulla città.

Costantino XI sa di non potercela fare da solo a resistere militarmente all'avanzata ottomana. Così chiede aiuto all'Occidente, all'Italia, alla Repubblica di Venezia. L'emissario dell'Imperatore percorre i quasi 2000 chilometri che si parano Costantinopoli da Venezia. Arriva qui in piazza San Marco ed entra a Palazzo Ducali.

Questo palazzo incarna il potere politico, culturale e artistico della serenissima Repubblica di Venezia. È stato il cuore pulsante della vita politica veneziana per secoli. Qui dentro viveva il Doge, qui dentro si decideva il futuro della Repubblica, si svolgevano i processi, si regolavano i traffici marittimi.

Tutto passava da qui. Su questa maestosa scala avveniva una delle cerimonie più importanti della Repubblica, l'incoronazione del Doge. È conosciuta come Scala dei Giganti, Marte e Nettuno.

Il Doge saliva ai gradini e arrivava in cima. E proprio in questo punto pronunciava la promissione, il giuramento alla serenissima e riceveva dal consigliere più anziano la gioia, il tipico cappello a forma di corda. L'emissario di Costantino percorre le diverse sale del palazzo, ma possiamo immaginare che si sia fermato per un attimo ad ammirare questa splendida sala. La sala del maggior consiglio, l'organo più importante della Repubblica, l'istituzione che aveva il diritto di controllo su tutte le altre magistrature e cariche dello Stato. La sala è decorata splendidamente con allegorie, simboli della potenza della Serenissima.

E poi lassù i ritratti di 76 doggi, tranne uno. Guardate, il doge Marine Falière è coperto da un telo nero. Questo perché aveva tentato un colpo di stato macchiandosi di alto tradimento e per questo motivo era stato giustiziato e condannato alla dannazione morie. Ma l'opera più bella è questa, il Paradiso di Jacopo Tintoretto. Questa è la sala del Senato.

Possiamo immaginare che qui dentro sia stata discussa la richiesta di aiuto di Costantinopoli. Vedete, lì al centro sedeva il Doge. Ai suoi lati c'erano... i membri della signoria e lungo tutte le pareti c'erano i seggi dei senatori.

È il 14 febbraio del 1452, quando finalmente, dopo ore di discussione, si arriva a una decisione. La Serenissima risponderà in maniera evasiva. Un impegno diretto sarebbe stato troppo rischioso per i commerci.

Si limiterà a inviare una certa quantità di polvere da sparo e di armature. Se l'imperatore Costantino è in trepidante attesa dei rinforzi da Venezia, il settimo sultano dell'impero turco è il secondo, il quinto secondo, l'unica ossessione. Rossa, rossa o d'oro, nella cultura ottomana rappresentava la città da conquistare, l'obiettivo del momento, l'oggetto dei desideri del sultano. Al tempo della nostra giornata particolare, La mela era Costantinopoli.

Maometto nel 1452 aveva appena 20 anni. Era un uomo colto, appassionato di civiltà greca. I suoi eroi erano Alessandro Magno e prima ancora Achille. Conosceva bene. La religione cristiana, tutti però si chiedevano se fosse all'altezza del ruolo.

Era diventato sultano da appena un anno, fino a quel momento aveva vissuto nell'ombra del padre e non era stimato dai visiri, i consiglieri di corte. Maometto pensa allora che l'unico modo per farsi amare sia rendere concreto un sogno che tutti i sultani fino a quel momento avevano sempre avuto, la mela rossa, Costantinopoli. Per farlo però doveva studiare le più recenti tattiche militari, rafforzare l'esercito e aumentare la pressione psicologica sull'imperatore bizantino. Per questo, come prima mossa, il 15 aprile 1452, il sultano ordina di costruire una grande fortezza su un luogo strategico, il Bosforo. L'imperatore Costantino si ribella, ma Maometto lo liquida dicendo tutto quello che è dentro le mure di Costantinopoli è tuo, tutto quello che è fuori è mio.

500 operai lavorano notte e giorno e in poco più di 5 mesi la fortezza è pronta. Il Bosforo era ed è. una rotta commerciale molto importante che collega il Mar Nero al Mediterraneo e le sue acque erano solcate da migliaia di navi italiane, veneziani e genovesi.

Venezia e Genova, infatti, dominavano da tempo i commerci marittimi in questa zona. Costruendo questa grande fortezza, gli ottomani prendevano il controllo del Bosforo e avrebbero così imposto un dazio alle navi italiane che o pagavano o venivano affondate. Questo creava un enorme problema, specialmente per la Repubblica Marinare Italiana, che sul Mare Nero aveva molte colonie. Genova Nel 1452 Genova non era più la città di Genova.

la superba dell'epoca delle repubbliche marinare, molto ricca certo, ma le continue lotte interne la rendevano politicamente instabile. In quel momento a capo della città c'era il doge Pietro Fregoso e qui in questo palazzo, palazzo Bucale, aveva la sua sede. Il potere del Doge non lo si decideva al momento del mandato, piuttosto, potremmo dire, lo si costruiva giorno dopo giorno. Il Doge doveva contrattare coi cittadini, con le famiglie nobili, con gli ecclesiastici e più riusciva. ad aumentare la sua influenza giorno dopo giorno, più accresceva il suo potere.

Un Doge debole, con pochi appoggi importanti in città, non governava bene e soprattutto non durava tanto. Quella che sto salendo è la torre del Palazzo Ducale, la torre Grimaldina, l'unica parte del palazzo ad essere rimasta uguale ai tempi della nostra giornata particolare. In cima svetta la bandiera genovese, ma qui nella torre c'erano le carceri del palazzo.

Come questo, vedete, è rimasto esattamente tutto come allora. Le porte in legno, le serrature, il pavimento, le pareti. Qui dentro venivano imprigionati i criminali comuni, ma anche i criminali politici, chi si opponeva al Doge. Ma è salendo ancora che si arriva alla parte più importante della torre, la campana. Sin dal Medioevo la campana della torre serviva per dare segnali alla popolazione.

Con la campana si annunciavano le assemblee, le festività, gli esiti delle guerre o si dava l'allarme in caso di pericolo. Sono entrato nella sala principale del Palazzo Ducale, qui la più importante, la sala del maggior consiglio. Vedete, l'aspetto attuale risale alla fine del 1700, perché un incendio, un enorme incendio, nel 1777 devastò l'intero palazzo. Ma ai tempi della nostra storia qui in questa sala si tenevano balli, cerimonie, persino opere teatrali e proprio lì c'era il trono del Doge.

E allora proviamo a immaginarcelo. Il Doge, Pietro Fregoso, mentre è qui dentro, si consulta con i suoi consiglieri in merito alla situazione di Costantinopoli. Che fare?

Mandare uomini in avi o lasciare i bizantini a loro destino? Al doge genovese, la costruzione della fortezza sul Bosforo sembra un ottimo pretesto per inviare uomini e navi a Costantinopoli senza dichiarare guerra a Sultano. Genova non si sarebbe compromessa e non avrebbe compromesso i suoi commerci. in caso di vittoria turca, anche perché una delle colonie più importanti della superba è a pochi passi da Costantinopoli, dall'altro lato del Corno d'Oro, a Galata, è la colonia di Pera.

E così nel luglio 1452 a Genova cominciano i preparativi per armare due galee e arruolare 700 uomini da inviare a Costantinopoli, ma soprattutto comincia la ricerca di un comandante all'altezza del compito. Intanto Costantino XI è sempre più accerchiato e decide di inviare emissari in una terza città italiana. Roma.

In quel momento sul soglio pontificio siede Papa Niccolò V, un papa umanista che decide di accogliere la richiesta di aiuto che viene da Costantinopoli, consapevole però che da solo può fare ben poco. Chiede quindi aiuto alle principali potenze europee, che però non rispondono a dovere. Francia e Inghilterra sono esauste dopo la guerra dei cent'anni.

Mentre le casse della corona di Spagna sono prosciugate da un'altra guerra contro altri musulmani, non i turchi, i mori. Non potendo fare di più, il Papa offre ai bizantini il suo limitato sostegno. 200 arcieri napoletani al seguito di un cardinale, il cardinale Isidoro. Ma perché inviare un cardinale a Costantinopoli? Perché Papa Nicolo V vuole cogliere questa situazione di difficoltà di Bisanzio per chiedere in cambio dell'aiuto l'unione tra le due chiese, la chiesa latina e la chiesa ortodossa.

Quasi 400 anni prima, nel 1054, la cristianità si era divisa in due. Da una parte la chiesa d'Occidente, quella cattolica, dall'altra la chiesa d'Oriente, quella ortodossa. Tra le due chiese le divergenze erano molte e quello scisma era il culmine di un travaglio durato secoli.

In una chiesa si parlava latino, nell'altra greco, le liturgie erano molto diverse, ma soprattutto c'era la questione del filiocque. Può sembrare una bizzarria, lo so, ma all'epoca... Era una disputa molto importante.

L'espressione latina filioque significa e dal figlio. Secondo la Chiesa Cattolica, infatti, lo Spirito Santo procede dal padre e dal figlio, mentre secondo la Chiesa Ortodossa procede dal padre e dal figlio. e che si chiede soltanto dal padre. Costantino XI è nell'angolo, non è certo nella condizione di rifiutare un aiuto dell'Occidente per una vecchia disputa teologica e così accetta di unificare le due chiese.

Il 12 dicembre 1452 l'imperatore fa il suo ingresso a Santa Sofia. Ad attenderlo c'è il patriarca di Costantinopoli, Gregorio. E c'è il cardinale Isidoro, il legato del Papa, che in nome di Niccolò V proclama l'unione tra le due chiese. Costantino è lì, presente, dentro Santa Sofia, ma con la mente è altrove. Ha un unico pensiero, l'arrivo delle due galee genovesi.

Il Doge di Genova aveva concluso la ricerca di un comandante all'altezza del compito. Era stato arruolato l'eroe italiano di questa storia, Giovanni Giustiniani Longo. C'è però una stranezza nella vicenda che vi stiamo raccontando.

Dell'eroe italiano di questa storia non esiste iconografia, non abbiamo un ritratto, un dipinto, un'immagine, un affresco di Giovanni Giustiniani Longo. Ci siamo presi allora la libertà artistica e storica di raffigurarlo noi con l'intelligenza artificiale. Per questa puntata e solo per questa puntata Giovanni Giustiniani Longo avrà questo volto. Giovanni Giustiniani Longo è un membro autorevole dell'aristocrazia del denaro genovese. La sua è una famiglia importante, il nonno Antonio...

Recava il titolo di miles, cioè di cavaliere, ma è una famiglia appartenente al populus, non alla nobiltà, impegnata nella mercatura. Nel 1448 Giovanni viene nominato console di Caffa, la Iannuensis Civitas in extremo Europe. In Crimea, un incarico che gli prenderà seriamente, che condurrà per un paio d'anni fino a che nel 1450 non verrà destituito. Probabilmente è in questo momento che gli inizia a esercitare l'ars piratica, la pirateria. Si dà l'assalto di navi anconetane, di navi catalane, questo per un paio d'anni, sino a che non sarà chiamato da Pietro Fregoso.

a condurre un'impresa importante, quella di recare aiuto alla capitale dell'Impero d'Oriente. Per cercare le poche tracce rimaste di Giovanni Giustiniani Longo, sono tornato nella sua città natale, Genova. Mi trovo nel centro storico di Genova, a poche centinaia di metri da qua c'è il porto.

Il palazzo che ho qui di fronte a me è il palazzo Giustiniani. La facciata risale al 600, la facciata attuale, ma la sua fondazione, la sua costruzione è medievale. E c'è una leggenda all'interno del palazzo, sembra che ci sia... un passaggio segreto che porta direttamente alla cattedrale di San Lorenzo, qui vicina. Questo passaggio veniva utilizzato in caso di pericolo.

In cima al portone c'è lo stemma della famiglia, tre torri sormontate da un'aquila imperiale con le ali spiegate. Poi guardate, lassù, lo vedete? C'è il leone di San Marco. Quindi la domanda è cosa ci fa?

Il leone alato al centro di Genova, il simbolo della serenissima della Repubblica di Venezia, cerima nemica della superba della Repubblica Marinara di Genova. La risposta è che i genovesi, durante la guerra di Chioggia nel 1380, trafugarono dalle mura di Trieste quel leone e lo portarono qui in città. Pensate che Danunzio Ilvate teneva una copia del leone al vittoriale e durante la prima guerra mondiale...

Per aissare gli animi degli redentisti, utilizzava i giustiniani che avevano trafugato il leone portato qui a Genova come, parole sue, fulgido esempio di amor patrio. Membro di questo potente consulato, Sortile genovese è Giovanni Giustiniani Longo che, accettato l'invito del Doge, nel 1452 parte alla volta di Costantinopoli. Arriverà due mesi e mezzo dopo. La mattina del 26 gennaio 1453, all'orizzonte sul mare di Marmara, si vedono spontare due galee.

Battono bandiera genovese, la bandiera di San Giorgio. Sono le navi che Costantino XI attendeva con ansia. A bordo ci sono 700 uomini ben armati, li guida un comandante di valore, Giovanni Giustiniani Longo. Costantino ordina di scortarlo fino a qui, il palazzo delle Blaccherne, che da quattro secoli è la residenza principale dell'imperatore. Quando Giustiniani varca la soglia, Costantino si alza, gli va incontro e lo abbraccia.

In lui ripone tutte le sue speranze e infatti, anche se lo conosce appena, gli affida la guida di tutte le forze terrestri e in cambio dei suoi servigi gli dona un'isola, l'isola di Lemno, oggi in territorio greco. Da questo momento la difesa di Costantinopoli è nelle mani di un genovese, di un italiano. Gli ottomani, intanto, a marzo cominciano a marciare. 238 chilometri li separano da Costantinopoli. L'esercito si muove come un solo uomo, davanti Mahometto a cavallo, con i vizir, i suoi consiglieri, e i giannizzeri, il corpo d'elite, e dietro tutti gli altri uomini.

In poco meno di un mese arrivano qui, sotto le mure di Costantinopoli, e mentre il sultano pianta la sua tenda gialla e oro e ordina ai soldati di prendere posizione lungo le mura, Giovanni Giustiniani fa scattare l'arma segreta, una catena. Costantinopoli era una delle città meglio difese dell'intero mondo medievale, ma aveva un punto debole. Le mura lungo il Corno d'Oro, che non erano imponenti. Se una flotta nemica fosse riuscita a penetrare nel Corno d'Oro, la città avrebbe potuto essere spugnata. Allora i bizantini fecero costruire una catena.

Una gigantesca catena che veniva tesa da una parte all'altra del corno d'oro, da Pera, la colonia dei genovesi, alla città storica di Costantino e Giustiniano. A questo punto il sultano manda un'ambasceria alla corte bizantina. Un cavaliere percorre al galoppo i 500 metri che separano i due eserciti. Le porte di Costantinopoli si aprono.

L'ambasciatore scende da cavallo e porge a Costantino un messaggio. Ometto! Chiede la resa e offre la salvaguardia della città e della vita dei suoi abitanti, purché si arrendano senza combattere.

In caso contrario saranno ridotti in schiavitù e la città sarà saccheggiata per tre giorni. A questo punto la scelta tocca a Costantino. Si arrenderà o combatterà per la sua corona e il suo popolo sino all'ultima goccia di sangue? È il 6 aprile 1453, mancano 53 giorni alla nostra giornata particolare.

Costantino ha preso la sua decisione, rifiuterà la dimma, la richiesta di resa, combatterà per difendere la sua città e quello che resta del glorioso impero romano. Così scrive un messaggio al sultano. Darti la città non è la scelta mia né di alcuno dei suoi abitanti.

Abbiamo infatti deciso di nostra spontanea volontà di combattere e non risparmieremo la vita. Il messaggio viene consegnato al sultano, ma Ometto a questo punto non ha altra scelta che attaccare. L'assedio ha inizio. Costantinopoli è difesa, oltre che dal mare, dalle più imponenti mura che la storia abbia mai visto. Se la città ha resistito a 23 assedi in mille anni, è anche grazie a questo straordinario sistema difensivo.

Le mura erano composte da tre parti, ognuna su un livello diverso. C'era un fossato esterno che aveva un primo muretto difensivo. Se si fosse riusciti a superarlo, si sarebbe trovati davanti la prima vera cinta di mura. Erano merlate, spesse due metri e ospitavano una batteria di arcieri. Salendo ancora, se si fosse riusciti a superare la prima cinta, si sarebbe trovati in un campo aperto, dove era facile essere colpiti dall'alto, dalle mura vere e proprie, spesse cinque metri.

in pietra e marmo, con torri alte 10 metri a un intervallo di 50 l'una dall'altra. Insomma, agli occhi del sultano, dovevano sembrare una montagna inespugnabile. Costantino esce dal palazzo e sale qui, sulle mura. Impugna la spada, indossa l'elmo, di fronte a lui c'è Maometto, appena 500 metri li separano. I due si guardano, Costantino è terrorizzato da quell'orda di uomo.

Dovete immaginare centinaia di migliaia di soldati che urlano, sventolano bandiere, sguainano le spade, che suonano e fischiano. Lo spettacolo deve essere stato terrificante. A un tratto Costantino vede che l'esercito nemico si apre, ma non capisce bene quello che sta accadendo.

Poi all'orizzonte spunta un mostro, immenso, verdastro. A Costantino si spezza il fiato. I difensori di Costantinopoli osservano esterefatti.

Non avevano mai visto un cannone così grande. Maometto sguaina la scimitarra e con tutto il fiato che ha in corpo grida FUOCO! E' un artigiano di cui conosciamo poco, il suo nome era Urban, probabilmente ungherese, altri lo dicono rumeno o maggiaro.

Sappiamo che egli... Offrì i propri servigi innanzitutto a Costantino XI che tuttavia fu costretto forse per mancanza di denaro a ricusare. Nel corso del 1452 Urban si propose dunque a Maometto II che al contrario lo riempì di doni e pretese una dimostrazione. A seguito di questa dimostrazione positiva... accompagnata da appelli alla cittadinanza affinché non si spaventassero dell'enorme boato che lo scoppio avrebbe causato ebbene nel momento secondo chiede a Urban di costruire qualcosa di realmente mai visto.

E' così che nasce la più grande bombarda fusa fino ad allora. A cui viene dato lo stesso nome del fonditore, per l'appunto Urban Orban, un pezzo lungo circa 9 metri, del peso di quasi 50 tonnellate, capace di scagliare proiettili di circa 700-800 kg a ben 2 km di distanza. A Costantinopoli è il più imponente attacco d'erfideria che la storia abbia mai visto fino a quel momento. Più di 100...

Colpi al giorno, cento enormi palle di pietre che si abbattono sulle mura, sulle case, sulle chiese, sulle persone. La strategia di Mahometto è innovativa per il tempo. Più che sul sangue, si basa sui soldi e su questo, la polvere da sparo.

Inventata in Cina tra il IX e il X secolo per creare fuochi d'artificio. Solo due secoli più tardi inizia a essere utilizzata come arma. Perché?

La polvere da sparo è composta da salnitro, carbone e zolfo. Se la si incendia in un ambiente aperto, non succede nulla. Ma se la si comprime in un ambiente chiuso, il risultato è... esplosivo. Maometto lo sa bene e usa questo principio chimico per indebolire la difesa bizantina, indebolire le mura per poi attaccare con uomini e spade.

Verso metà aprile, gli ottomani lanciano un assalto frontale. Ora dobbiamo immaginarci la scena. La guerra medievale prevedeva certo l'uso di balestre e archi, quindi armi a lunga distanza, ma soprattutto... Prevedeva uno scontro corpo a corpo, con spade, asce, pugnali. Il combattimento richiedeva una forza fisica considerevole e anche un grande coraggio.

Bisognava guardare il nemico negli occhi e infilzarlo con una spada. Pensate al sangue, all'odore, era spaventoso. Nonostante questo, Giustiniani non esita.

Si posiziona in prima linea con i suoi uomini e respinge l'attacco ottomano. Senza subire perdite tra i suoi soldati, nessun genovese muore. Dentro le mura, intanto, regna l'angoscia.

L'eco delle preghiere si mischia al boato dei cannoni. L'imperatore Costantino si sente sempre più accerchiato. Sapeva che quel giorno sarebbe dovuto partire da Venezia una flotta in suo soccorso e che tre navi genovesi Inviate dal Papa Niccolò V sarebbero arrivate presto, ma da Veneffia salpa solo una galea, anziché le 16 previste. Per comprendere allora l'importanza di un'imbarcazione come la galea, dobbiamo tornare a Veneffia, nella serenissima Repubblica di Veneffia.

Sono proprio all'ingresso dell'arsenale di Venezia, quello che era il cuore pulsante della Serenissima. Pensate che qui dentro, nel periodo di massimo sviluppo, lavoravano circa 16.000 persone che avevano un compito fondamentale, costruire, calafatare, cioè impermeabilizzare lo scafo, e varare le galee. Queste navi erano estremamente manovrabili, erano lunghe, sottili, con remi e vele e permettevano di navigare praticamente in qualsiasi condizione.

Sono state per secoli e secoli il fiore all'occhiello della flotta veneziana. Fondata su una serie di isole lagunari nel nord-est dell'Italia, Venezia era naturalmente predisposta a sviluppare una flotta agile, potente. La sua posizione geografica, strategica, le consentiva un accesso privilegiato sia al mar Adriatico che al mar Mediterraneo, rendendola una potenza commerciale di primo ordine.

La flotta veneziana non proteggeva soltanto i commerci della Repubblica, ma veniva anche impiegata per estendere il suo dominio attraverso la conquista di territori marittimi e l'istituzione di basi navali strategicamente posizionate lungo le rotte commerciali, un po' come fanno oggi gli Stati Uniti. Venezia aveva basi in Albania, in Dalmazia, nelle isole greche, a Cipro ed era proprio questo dominio marittimo che consentì a Venezia di esercitare una considerevole influenza politica sulle città costiere e sulle isole dell'Adriatico ma soprattutto di sviluppare in maniera davvero incredibile i commerci marittimi. Il suo impero marittimo era nata da una costola dell'impero bizantino.

Il rapporto tra Bisanzio e Venezia fu sempre stretto e la Serenissima fu il tramite tra quel che restava in Italia dell'antica cultura di Roma e la sua versione vivente a Costantinopoli. Non a caso, la nomina dei doggi avveniva sul modello dell'imperatore romano d'Oriente. L'abito era lo stesso.

E se a Bisanzio l'imperatore era investito simbolicamente dalla Vergine, da un santo e talora da Gesù in persona, a Venezia si diventava ad oggi per vexillum sancti marci, attraverso lo standardo di San Marco. Con il tempo il rituale cambiò, ma l'influenza bizantina rimase. Del doge Domenico Silvo, Si racconta che entrato in San Marco si sia prostrato sul pavimento, come l'imperatore bizantino faceva a Santa Sofia dinanzi a Dio, fino a quando nel 1204 l'antica colonia conquistò la capitale dell'impero.

I veneziani fornirono le navi ai crociati, ma in cambio pretesero che combattessero una guerra privata al loro servizio. Prima domani La città ribelle di Zara sulle coste d'Almate, poi, anziché Gerusalemme, presero Bisanzio, saccheggiandola dei suoi tesori. L'impero latino in Oriente non durò a lungo, i sovrani bizantini riconquistarono il sopravvento, ma da allora Enrico Dandolo, il doge cieco che guidava la spedizione, è sepolto a Santa Sofia. Mentre alcuni dei tesori più preziosi sottratti a Costantinopoli sono custoditi nella Basilica di San Marco, tra cui la prima cosa che i nostri papà e le nostre mamme ci portavano a vedere a Venezia quando eravamo bambini, i cavalli di San Marco.

Sono in un luogo davvero particolare, sono sul tetto della Basilica di San Marco e siamo qui perché abbiamo avuto un permesso speciale di entrare da un ingresso d'eccezione, la cupola. Cupola che all'esterno è in piombo, ma all'interno è un vero e proprio gioiello di ingegneria navale, potremmo dire. Sembra di stare davvero all'interno di una barca.

Questo perché solo una città come Venezia, una repubblica marinara come Venezia, con i suoi maestri d'ascia, con il suo arsenale, avrebbe potuto ideare un'opera del genere. Ecco, adesso scendiamo all'interno della Basilica e passiamo idealmente dal cielo alla terra. Oggi la basilica è ovviamente illuminata con la luce elettrica, ma un tempo era illuminata soltanto dalla luce fioca delle candele.

Allora immaginiamoci l'atmosfera, candele sparse ovunque per la basilica che riflettevano la luce sulle splendide volte dorate. Pensate che le tessere sono in vetro, ricoperto da una sottile foglia d'oro di 24 carati. Non sono soltanto le volte e le pareti ad essere mosaicati, ma anche i pavimenti. Guardate marmi rari e costosi come il porfido, il serpentino, che venivano da paesi lontani come la Grecia, l'Egitto, la Cappella...

Cappadocia, portati a Venezia sulle navi dei mercanti, sono stati utilizzati per creare questo capolavoro, un enorme tappeto in pietra di oltre 2000 metri quadrati che pensate è ondulato. Questo perché si è dovuto adattare ai continui assestamenti dovuti al luogo fragile e delicato nel quale è costruita la città. L'edificio che possiamo ammirare oggi è il risultato di numerosi interventi artistici e architettonici che si sono succeduti nel corso dei secoli. Un insieme di elementi, di materiali di spoglio, molti dei quali sono stati saccheggiati da Costantinopoli. durante la quarta crociata, come questa icona, la Vergine Nicopeia.

Nicopeia vuol dire apportatrice di vittoria e secondo la leggenda è stata dipinta da Luca, l'evangelista. Usciamo allora dalla Basilica di San Marco e torniamo alla nostra giornata particolare. Perché se qui, da Venezia, le galee non partono, le navi inviate da Roma da Papa Niccolò V, invece a metà aprile, fanno il loro ingresso nel Bosforo.

Siamo nel Bosforo, lo stretto che porta dal mare di Marmara al mare nero e separa l'Europa dall'Ase. Guardate, le cupole del Topkapi, i minareti di Santa Sofia e della grande moschia di Solimano e dall'altra parte la torre di Galata. Bosforo in greco significa passaggio della mucca.

E' un antico mito. Veus si era innamorato di una fanciulla di nome Io e per sottrarla alla gelosia della moglie Era l'aveva trasformata in una giovenca, in una mucca. Ma Era aveva mandato un tafano per tormentarla e per sottrarsi al tafano Io si era gettata a nuoto e aveva passato il Bosforo.

Queste acque, 39 giorni prima della nostra giornata particolare, videro una grande battaglia. E' la mattina del 20 aprile 1453, quando la popolazione di Bisanzio, assiepata sulle... mura vede in lontananza quattro navi cristiane avvicinarsi sono quelle mandate in soccorso dal papa nicolo quinto ma anche i turchi le vedono e 140 navi ottomani si avvicinano a gran velocità no Il vento spinge ancora forte, sembra che i quattro villieri cristiani possono entrare nel corno d'oro, i bizantini sono pronti ad abbassare la catena.

Ma sul più bello il vento si posa. Le 140 navi ottomane si avvicinano a gran velocità. Il comandante turco ordina agli arcieri di scagliare le frecce infuocate.

Le vele prendono fuoco, il rogo divampa. A questo punto il comandante genovese ha un'idea, ordina ai quattro velieri di unirsi tra di loro, come a formare un castello in mezzo al mare. I turchi vanno all'aremmaggio, volano i picchetti, gli ottomani scalano le navi cristiane, ma quando tentano di mettere le mani sul ponte, i genovesi gliele mozzano.

La battaglia è in furia, dura due ore e mezza, il mare attorno alle navi è rosso di sangue. A un tratto sulle mura l'imperatore Costantino sente il suo mantello muoversi e il vento che si è alzato e gonfia le vele delle navi cristiane che riescono a rompere il blocco viene abbassata la catena e le navi genovesi entrano nel corno d'oro. L'imperatore e i bizantini esultano, i turchi sono sconfitti, almeno per oggi la battaglia è viva. Il sultano è furioso, ordina di decapitare l'ammiraglio, poi si ricrede e si limita a licenziarlo. Non sappiamo il reale motivo di questa scelta.

Quel che sappiamo però è che Maometto aveva in mente una mossa senza precedenti. Un asso nella manica da giocare al momento opportuno. E il momento, dopo la sconfitta subita, è arrivato. Il piano è audacissimo.

Costruire uno scivolo di legno alle spalle della colonia di Pera, qui, nella zona di Galata. per rissare le navi turche dal Bosforo e farle scivolare nel corno d'oro, in modo da aggirare la catena che i bizantini avevano steso là in fondo. Il piano però aveva bisogno dell'assoluta segretezza e Galata, la colonia genovese, era un covo di spie. Così il sultano ha un'idea.

Ordina di togliere tutti i cannoni dalle navi turche, di posizionarli dietro Galata e di fare sparare sul corno d'oro, in modo che le palle di canna non si rinforzassero. cannone passino sulla testa dei genovesi. I genovesi ovviamente non sono entusiasti e mandano il loro governatore, Angelo Giovanni Lomellini, a trattare con il sultano.

Maometto lo riceve nella sua tenda e accetta il cessato del fuoco a una condizione. Le spie genovesi dovranno ignorare i rumori che sentiranno arrivare dalla foresta dietro Galata e soprattutto non dovranno avvisare i bizantini. I mercanti genovesi non sono qui per il loro credo religioso, sono qui per l'unico dio in cui credono, il denaro, il commercio. Non hanno interesse a schierarsi tra ottomani e bizantini.

Epera è una colonia molto importante per i traffici verso l'Oriente. Così il governatore accetta, stringe la mano al sultano, sale a cavallo, torna nel suo palazzo e comunica la buona notizia ai suoi compatrioti. La colonia di Epera sembra salva. almeno per il momento. Quella di Galata ovviamente non era l'unica colonia orientale della Repubblica di Genova.

C'erano Chio e Lesbo in Grecia, c'erano Caffa o Soldaia. e Sunac in Crimea e tante altre. Dal Mar Nero al mare Geo, Genova aveva creato una rete di basi mercantili che le permettevano di commerciare in modo stabile e continuativo.

Ed era questo palazzo, Palazzo San Giorgio, che a Genova venivano amministrate le colonie. La casa delle compere dei banchi di San Giorgio venne fondata a Genova precisamente nel 1407 ed era un'istituzione davvero unica al mondo nel suo genere, una sorta di mix tra una moderna banca centrale e una S.P.A., una società per azioni. Una istituzione che poggiava le sue fondamenta in uno dei fiori all'occhiello dell'apparato finanziario genovese. La Compera.

La Compera è sostanzialmente un contratto tra dei privati e il comune genovese. I privati cedono al comune, alle casse pubbliche, una certa somma di denaro, ottenendo in cambio il diritto di riscuotere per un certo periodo di tempo un'imposta. Siamo di fronte a un vero e proprio bene rifugio.

Le compere erano suddivise in loca, cioè luoghi, che possiamo paragonare... moderni titoli di stato. Attorno a questi luoghi si sviluppò una vera e propria compravendita, un vero e proprio mercato a cui partecipavano tanto i nobili quanto i populares che investivano nei luoghi per assicurare alla discendenza un futuro, un capitale. Il debito pubblico l'hanno inventato i genovesi. La Casa delle Compere dei Banchi di San Giorgio divenne in pochi anni potentissima, tanto da arrivare a gestire l'intera economia pubblica dello Stato e a prendere il controllo delle colonie.

Questo divenne uno dei luoghi più importanti e centrali di Genova, qui tra queste mura si respirava odore di soldi, di successo, di potere. Oggi il Palazzo è la sede dell'autorità di sistema portuale del Mar Ligure occidentale. E questa sala, oggi come allora, è la sala più importante del palazzo, è la sala delle compere. Oggi ovviamente è molto diversa, ma ai tempi della nostra giornata particolare dovete immaginarvi tutto il perimetro della stanza riempito con scranni in legno, sui quali sedevano notai che redigevano e custodivano documenti.

Poi vedete in alto quelle statue, beh queste sono le statue dei protettori, dei benefattori del banco. alcuni benefattori infatti il banco faceva realizzare da celebri scultori delle statue o dei busti in marmo e ovviamente più denaro veniva elargito verso il banco e più le statue erano grandi. Sta scendendo la notte del 22 aprile. Su Galata neanche una nuvola. Maometto sta per fare scattare il piano segreto.

Ricordate? Lo scivolo di legno alle spalle di Galata per aggirare la catena sul corno d'oro. Le fruste scoccano e centinaia di buoi cominciano a marciare. Le corde stridono, 72 navi vengono issate dalle acque del Bosforo e fatte passare nei boschi dietro la colonia di Pera.

La terra trema, ma dalla colonia genovese non si vede nulla. L'Omellini, il governatore di Pera, Non capisce cosa sta succedendo, sa solo che deve stare in silenzio. Maometto aveva fatto abbattere migliaia di alberi in modo da creare una sorta di autostrada nel bosco. Aveva fatto cospargere tutto il suolo di grasso animale, così da ridurre l'attrito. E in poco meno di dieci ore, 72 tra galee e fuste vengono trainate dal bosforo.

Al corno d'oro. Alle prime luci dell'alba, gli abitanti di Costantinopoli scoprono la sorpresa. I turchi, ora che la catena è stata oltrepassata, sono da tutti i lati. Giustiniani, allora, sale a cavallo e corre al palazzo delle Blacherne per parlarne con Costantino.

Proprio in quel momento i cannoni riprendono a sparare. Le mura però resistono. I comandanti ottomani tentano allora un'altra strategia.

Se non riusciranno ad oltrepassare le mura, passeranno loro sotto. Decine e decine di minatori serbi, in Serbia erano specializzati nell'estrare l'argento, cominciano a scavare gallerie sotto le mura. Nell'esercito bizantino però è ruolato un certo John Grant, forse uno scottese.

anche se qualcuno sostiene che fosse tedesco, che scogita un metodo per intercettare i minatori nemici. Cosparge il terreno vicino alle mura di secchi d'acqua, come questi. Quando l'acqua in uno dei secchi inizia a muoversi e a vibrare, significa che i minatori stanno scavando proprio lì sotto.

Quello è il segnale. A quel punto Grant ordina di scavare una buca verticale in modo da intercettarli e bruciarli vivi con il fuoco greco, un antenato del napalm, l'amicidiale arma dell'impero. Le misture incendiarie sono sempre state utilizzate in guerra. Certamente il fuoco greco è tra le più note, lo troviamo denominato in vario modo, più che greco fuoco romano, i bizantini sono i romani d'Oriente, ma anche fuoco marino, fuoco... vischioso di che si trattava?

Beh, molto probabilmente di una miscela composta a base di petrolio, di pece, di zolfo, di salnitro, in realtà la ricetta tra virgolette non è nota. Sappiamo però che verrà utilizzato in maniera costante, probabilmente anche perfezionato nel corso dei secoli, quando da terra passerà alle galee, ai dromoni e alle galee, tramite dei sifoni veniva letteralmente gettato sui legni nemici con una particolarità, quella di non estinguersi nel mare, ciò che naturalmente atterriva il nemico. Siamo di fronte in sostanza a un precursore dei più moderni lanciafiamme. Fendimi dalle forze contrarie, la notte nel sonno quando non sono cosciente. Il 1453 è il momento in cui siamo partiti a raccontarvi questa storia.

Dentro Santa Sofia si sono riuniti molti cittadini, greci, ortodossi e cattolici, fianco a fianco. E' uno dei momenti più solenni della storia, non soltanto di quella città, ma dell'umanità. Il cardinale Isidoro celebra la messa, Costantino XI si inchina, prende l'Eucarestia, riunisce i suoi comandanti e proclama. So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo. Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.

Poi l'imperatore si gira verso la folla assiepata dentro la basilica e prosegue. Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena morire. La fede, la patria, la famiglia e il Basileus, il re.

Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la vostra vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrificio della mia stessa vita. Da oggi latini e romani, noi diremmo cattolici e bizantini, sono lo stesso popolo uniti in Dio e con l'aiuto di Dio salveremo Costantinopoli. Dalla folla si alza un'ovazione, il cardinale Isidoro applaude, i soldati sguainano le spade al cielo, cominciano a suonare le campane di Santa Sofia, ma non è un segno di giubilo, è un segnale di allarme.

Vuol dire che i bombardamenti turchi stanno per cominciare. Inizia la battaglia finale, l'ultimo scontro tra Oriente e Occidente. E' il 29 maggio 1453, è la nostra giornata particolare.

Il sultano, pensando che i veneziani e i genovesi sarebbero arrivati a momenti con un'enorme flotta, decide di lanciare l'assalto finale. Poche ore prima dell'alba, Maometto II raduna le truppe, i visiri, i comandanti. Li ringrazia per il lavoro svolto fino a quel momento, promette oro, terre, fomenta i soldati. Poi grida per tre volte Allah-u-Akbar, sfodera la scimitarra e ordina le truppe volontarie, le più sacrificabili, di attaccare per prima.

Musica Sotto il fuoco amico dei cannoni, i baschi buzuc, letteralmente teste matte, partono di corsa urlando verso le mura. Attaccano in modo disordinato, non hanno neanche un uniforme. Ognuno portava un vestito diverso e armi diverse.

Beppe Fenoglio avrebbe detto, solo di divise ce n'era. era per cento carnevali. C'è chi aveva asce, chi spade, chi lance, alcuni persino martelli e poi avevano pelli di lupo sulle spalle e teste di volpe come copricapi. Combatti.

per due ore e mezza, ma i soldati bizantini riescono a fermarli, anche grazie all'uso di queste. Sono granate di terracotta, le antenate delle moderne bombe a mano, che i bizantini lanciavano dalle mura contro i soldati ottomani. Poi parte il secondo attacco.

Decine di migliaia di turchi si riversano contro le mura. E' un'attacco di un'esplosione. Giustiniani a capo dei suoi uomini sfera un colpo dopo l'altro. Dopo quattro ore di combattimento i turchi sono di nuovo respinti.

Per i bizantini sembra fatta, ma il sultano ha ancora una carta da giocare. I Giannifferi, l'élite dell'esercito. Si muovono freddi, serafici, si lasciano guidare solo dai colpi di tamburo che marziali ritmano l'avanzata.

Niente distrazioni, un solo obiettivo, la mela rossa. Gli eserciti si scontrano, poi a un certo punto un gruppo di 50 giannizzeri nota che una delle porte, la Kerkoporta, era stata lasciata aperta. Sì, incredibilmente i bizantini si erano dimenticati di chiudere una delle porte di accesso alla città.

Giustiniani ordina di convogliare lì tutte le forze, ma proprio in quel momento viene ferito e cade tramortito a terra. Verrà caricato su una nave. Il 1° agosto 1453 morirà sull'isola di Chio.

Il sultano, venuto a sapere della sua scomparsa, ordinerà ai suoi uomini di organizzare funerali solenni e pronunciò lui stesso l'orazione funebre per onorare il modo in cui Giustiniani si era abbattuto per Costantinopoli. I soldati bizantini si riversano tutti in quel punto per tentare di tamponare la falla e in tanti cadono sotto i colpi delle scimitarie turche. Alcuni nobili riescono a fuggire, il cardinale Isidoro scappa travestito da schiavo. Ma Costantino XI, l'ultimo grande imperatore romano d'Oriente, rimane saldo nei suoi stivali di porto. Vedendo i turchi entrare nella sua città e piantare la bandiera con la mezzaluna su una delle torri, Costantino si spoglia degli ornamenti imperiali, si mette l'elmo, prende la spada e si lancia nel mezzo della battaglia, sparendo tra i genniferi, come a cercare la morte.

E' la fine di un uomo, ma è anche la fine di un mondo. Ogni turco sa un nome, Ulubatl Hasan. Hasan è un nome e Ulubat è un piccolo viaggio vicino a Bursa. Ulubatl Hasan è andato con una bandiera turca, ha messo questa bandiera e a questo momento tutti hanno visto che Istanbul è diventata una città turca.

Tutti sanno che c'è una rivalità. tra Galatasaray e Fenerbahce. Quando ero all'università c'era un finale della Coppa Turca.

Stavo guardando la partita e Fenerbahce ha vinto 1-0. Eravamo alle tempi extra time e poi Dean Saunders, un attaccante vero, ha fatto un grande gol. Abbiamo pareggiato 1-1 e abbiamo vinto la Coppa.

Al campo tutti hanno cominciato a festeggiare e poi... Graham Sons, nostro mister, ha preso un bandiere enorme, l'ha portato e l'ha messo proprio al centro dello stadio. Incredibile. E dopo questi giorni il nome di Sunes è tornato al Ulubatlı Sunes. Al posto di Ulubatlı Hasan noi abbiamo Ulubatlı Sunes.

Costantinopoli è devastata, le case danneggiate e il fumo dei roghi creano un'atmosfera tetra. Immaginiamoci la scena, nulla di più diverso dalla calma e dalla bellezza di oggi. Gli abitanti rimasti vivi che si nascondono dietro le finestre sbarrate, spaventati e sconfitti, i marmi, sporchi di sangue e i tamburi ottomani che riecheggiano nel vento annunciando l'imminente arrivo del sultano. A mezzogiorno in punto, Maometto II entra a Costantinopoli, trionfante a cavallo.

Tutto all'improvviso tace. Si sente solo il rumore degli zoccoli sul selciato. Il sultano si dirige verso il cuore della città, Santa Sofia. La basilica che per mille anni è stata la più grande chiesa della cristianità, il luogo dove venivano incoronati gli imperatori di Bisanzio, sta per essere varcata dal sultano islamico.

Il profumo nell'aria è ancora quello dell'incenso bruciato dai bizantini, ma il suono è quello solenne dei canti islamici. Maometto si inginocchia sul tappeto steso per lui, pronuncia una preghiera di ringraziamento ad Allah e poi alza lo sguardo verso la cupola. E' solo, è estasiato, gli sembra di avere raggiunto il regno dei cieli. I mosaici di Santa Sofia lo sovrastano, guardate, la Vergine nell'abside e poi i serafini, gli angeli a sei ali, di cui oggi uno solo conserva il suo volto. E poi la...

La Deesis, un'immagine classica dell'arte bizantina. A destra di Gesù, la Madonna con gli occhi addolorati. A sinistra, San Giovanni Battista con la barba e i capelli incolti.

Al centro, il Cristo Pantocratore che domina ogni cosa. Gesù ha la mano destra alzata in segno di benedizione, ma la cosa più interessante è la disposizione delle dita. L'indice e il medio formano una X, la lettera greca chi, mentre l'anulare e il mignolo formano una C, vale a dire la sigma in fine di parola, insomma la prima e l'ultima lettera della parola Christos, Gesù Cristo. Maometto rimase impressionato dai mosaici e li rispettò.

Secondo la tradizione li fece coprire da uno strato di intonaco, ma non ci sono prove di questo, fatto sta che i mosaici sono ancora qui, in bella vista. Compreso quello dell'imperatore Costantino IX e di sua moglie Zoe e quello dell'imperatore Giovanni Comneno e di sua moglie l'imperatrice Irene, omonima dell'altra imperatrice Irene che aveva regnato da sola senza marito e quando il figlio tentò di prenderle il trono, Lei lo fece imprigionare, acceccare e uccidere. Ma proprio qui di fronte c'è un'altra curiosità che ci riguarda in quanto italiani e voglio mostrarvela.

Qui riposa Enrico Dandolo, il doge cieco che nel 1204, a 96 anni, prese Costantinopoli. e la saccheggiò. Fu grazie a lui, o a causa sua, che il gruppo dei tetrarchi, i veneziani li chiamano i quattro ladroni, ma in realtà erano due imperatori e due vicini, arrivò a San Marco. E Dando lo fece portare a Venezia anche i leggendari quattro cavalli di bronzo che decoravano l'ippodromo di Costantinopoli e ora ornano la Basilica di San Marco. Quel doge coraggioso e terribile morì l'anno dopo a 97 anni ed ebbe una tomba degna di un re, un tabernacolo di cui si vedono soltanto i segni sul pavimento.

L'iscrizione è molto più recente ed è citata nel romanzo Inferno di Dan Brown, Enricus dandolo. Insomma, i turchi rispettarono Santa Sofia, cosa che purtroppo non possiamo dire di un dentista francese, Albert Dorigny, incaricato di restaurare le tombe dei sultani, portò via 60 piastrelle promettendo che le avrebbe restituite, ripulite, ma le tenne per sé. E le sostituì con 60 piastrelle false.

Oggi gli originali sono a Louvre di Parigi. La grande vittoria di Mahometto fu una svolta nella storia. Finiva un impero e ne cominciava un altro. La vecchia Bisanzio cedeva al posto la nuova e splendente Istanbul. Infatti i turchi parlano di conquista di Istanbul.

per noi è la caduta di Costantinopoli, ma in realtà il nome è lo stesso. Secondo gli studi più accreditati, Istanbul è la contrazione di Costantinopoli. La gognata mela rossa era stata alla fine, poi.

Contrariamente all'inizio e perché di tante altre mie canzoni. Bisanzio si avvolge forse nel mistero di Bisanzio stesso e mi sono immaginato questo anziano signore, questo vecchio otomentico matematico astronomo, quindi un po' fra parascenza e fantasia astronomia e un po' reazionario. E' reazionario perché parte in un modo antico e difatti Non capisce che il pianeta Venere è lo stesso di Vespero e di Lucifero. Allora ritenevano che la stella della sera, Vespero, e la stella del mattino, Lucifero, fossero due stelle diverse, invece lo stesso pianeta è Venere. È un vecchio conservatore, possiamo dire un vecchio coglione forse.

Non riesci a capire che i barbari erano come gli estracomunitari, che sono le forze nuove, quelle che dovrebbero dare nuova linfa all'Italia da adesso. E c'è questa posizione feroce per questi nuovi arrivati, che probabilmente saranno forse la base di una nuova Italia, di una nuova Europa. Il pensierai, conservatori?

Il pensierai, turisti? Ti piacerà a quelli della rassa eletta e della rassa pura, il mondo però va così in gira, come è girato ai tempi di Bisanzio. Ma cosa accadde ai vinti, agli abitanti di Costantinopoli sconfitta?

Secondo un'antica versione il massacro fu terribile e il sangue arrivava alle ginocchia. Secondo altre versioni non accadde loro nulla. Probabilmente la verità sta nel MEV.

Ci furono saccheggi, uccisioni come dopo ogni assedio, ma nulla di paragonabile a quello che avevano fatto i crociati nel 1204. Maometto II però lavorò a integrare i due popoli, mantenne l'amministrazione bizantina, nominò un nuovo patriarca, Gennadion, e ancora adesso nel patriarcato ortodosso di Istanbul c'è un mosaico che raffigura il sultano mentre conferisce al patriarca l'autorità sulla comunità cristiana. Inoltre il sultano introdusse la Gizie, il tributo che i non musulmani dovevano pagare in cambio delle libertà di culto e della protezione. Insomma, i cristiani e gli ebrei servivano a Mahometto più da vivi che da morti.

Il sultano... tradusse in turco i testi cristiani e invitò qui a istanbul grandi artisti come il veneziano gentile bellini che gli fece il ritratto i veneziani erano affascinati oltre che spaventati dai turchi e per secoli gli scambi continuarono la nostra bevanda nazionale il caffè viene dalla turchia l'impero ottomano controllava anche l'arabia non dobbiamo però minimizzare i contrasti Perché la guerra continua. Due anni dopo la nostra giornata particolare, nel 1455, muore il Papa Niccolò V e uno dei suoi successori, il senese Enea Silvio Piccolomini, che assume il nome di Pio II, per prima cosa scrive al sultano e gli propone di convertirsi, di battezzarsi, di diventare il nuovo Costantino.

Piccolezza insignificante può fare di te il più grande, il più potente, il più famoso dei mortali, ora viventi. Tu chiedi che cosa sia? Non è difficile trovarla, non occorre andare lontano per cercarla, si può averla dappertutto.

È un po' d'acqua con cui ti fai battezzare, ti converti al cristianesimo e accetti la fede del Vangelo. Maometto legge, ringrazia, rifiuta e riprende le armi, ricomincia le sue conquiste. Nel 1460 prende il Peloponneso, poi la Serbia, l'Albania e si affaccia sull'Adriatico.

Quali sono le conseguenze per gli italiani? Tre parole. Mamma, liturghi.

È il 28 luglio 1480 e qui nella baia di Otranto i pescatori su barchette di legno tipo questa stanno tirando sulle reti. Fanno fatica però perché c'è un forte vento di tramontana che sta spingendo le barche verso sud. A un certo punto uno di loro comincia a urlare, spaventato, forse ha avvistato qualcosa all'orizzonte.

Prima una, poi cinque, forse venti, alla fine si contano 150 galee turche che a tutta velocità puntano verso la città. I pescatori sbarcano e sono talmente terrorizzati che lasciano tutto il pescato sulle loro barche e corrono verso le mura. Viene dato l'allarme, i pochi soldati presenti in città organizzano la difesa e i contadini che si trovano fuori dalle mura rientrano in fretta e furia. A quel punto le grosse porte in legno vengono chiuse alle loro spalle. La città è barricata.

Otranto è un florido porto commerciale sull'Adriatico. È sotto il regno di Napoli, ma i turchi inizialmente non puntavano a questa città. Volevano conquistare Brindisi.

Ma essendoci quel giorno un forte vento di tramontana, cioè quel vento che da nord spinge verso sud, approdano in una baia poco sopra Otranto, che ancora oggi si chiama infatti Baia dei Turchi. Il comandante della flotta turca si chiama Ahmed Pasha e una volta arrivato qui sotto alle mura di Otranto propone un patto. I turchi non avrebbero distrutto la città e ucciso i suoi abitanti se loro si fossero arresi e convertiti all'islam.

Gli otrantini ovviamente rifiutano e a quel punto Ahmed Pasha invia un ambasciatore per cercare un accordo di resa. Ma un arciere scocca una freccia e colpisce al cuore l'ambasciatore. Ahmed Pasha va su tutte le furie e ordina il bombardamento della città. Ora però c'è un problema, i turchi sono circa 18.000 18.000 uomini forti, soldati di gran valore, o 30.000 invece conta circa 5.000 abitanti, quindi la disparità è enorme.

Avevano però un'arma segreta, un'eccellenza della loro terra, l'olio. Il buonissimo olio pugliese poteva infatti essere riscaldato e lanciato contro i nemici. Ed è forse proprio grazie all'olio che gli otrantini riescono a resistere per due settimane.

Una difesa a dir poco eroica che viene distrutta l'11 agosto 1480 quando Ahmed Pasha ordina l'attacco finale. Le bombarde sparano, le mura vengono distrutte e i turchi entrano urlando in città. Gli otrantini sono terrorizzati, scappano in ogni direzione, inseguiti dai turchi che sgozzano tutti quelli che capitano a tiro delle loro scimitarre. Gli abitanti rimasti vivi si barricano dentro questa chiesa, la cattedrale di Otranto, al cui interno è custodito un gioiello dell'arte medievale.

Eccolo, è uno dei mosaici più belli del mondo. Pensate, sono oltre mezzo milione di tessere sul pavimento che raffigurano, possiamo dire... Un vero e proprio poema in pietra, diviso in tre parti. Ogni parte è formata da un albero.

Nella navata di sinistra c'è l'albero della resurrezione, che raffigura l'inferno e il paradiso. Nella navata di destra, l'albero della redenzione. E poi, il più importante, quello nella navata centrale, l'albero della creazione, della vita. Quando quell'11 agosto gli otrantini si rifugiano dentro la cattedrale sono talmente tanti che il mosaico si vede a malapena.

L'arcivescovo inizia a celebrare la messa ma i turchi riescono a sfondare la porta e a entrare dentro la cattedrale. Percorrono questo corridoio e poi senza esitare salgono sull'altare, decapitano l'arcivescovo e infine si girano verso la folla. Da quel momento ha inizio la mattanza. Finita quell'ondata di violenza, rimangono vivi soltanto pochi nobili che pagano per il loro riscatto.

Le altre donne, le più belle, vengono portate a Istanbul come schiave. E infine, 813 giovani ragazzi vengono presi, legati e trascinati fuori dalla città. Ahmed Pasha li farà decapitare uno a uno, a colpi di scimitarra. Passeranno alla storia come i martiri di Otranto e qui, in una cappella dentro la cattedrale, riposeranno per sempre.

Per concludere questa giornata particolare voglio portarvi nel palazzo del sultano, il Topkapi, che i turchi chiamano Topkap. A costruirlo fu proprio Maometto II dopo la conquista di Costantinopoli. Il sultano non voleva abitare nel vecchio palazzo dell'imperatore bizantino, voleva una casa tutta per sé. E top cap è anche il titolo di un grande film del 1964 in cui Elizabeth, interpretata da Melina Mercuri, l'attrice greca, poi ministra della cultura, tenta col suo amante Walter di rubare un preziosissimo pugnale d'oro, tempestato di diamanti, smeraldi, pietre preziose, custodito proprio guidendo. Il Topkapi è come se fosse un palazzo diffuso, con tanti edifici in mezzo a grandi giardini che danno sul Bosfor, sul Cornodor, edifici che sembrano tende.

Del resto gli ottomani erano popoli nomadi ed è come se il loro palazzo fosse un'altra. fosse un immenso bellissimo accampamento di pietra Qui a partire da Maometto II vissero 30 sultani che per cinque secoli abbellirono il palazzo e costruirono anche immense cucine dove 800 persone ne sfamavano altre 4.000. C'erano il panificio, il caseificio per i formaggi e la confetteria per i leggendari dolci ottomani. Stiamo per barcare questa porta, la porta dell'Harem, il cuore pulsante e segreto del palazzo.

Qui viveva il sultano con mille donne, i bambini e gli eunuchi. A volte la favorita era un'italiana, preferibilmente veneziana, come Cecilia Venier, insomma un'antenata di Mara Venier. Cecilia era la figlia di Niccolò Venier, signore dell'isola di Paro, ma era stata rapita dal pirata Barbarossa, portata qui a Istanbul e notata per la sua bellezza e la sua intelligenza dal sultano Solimano il Magnifico. che la introdusse nell'arem di suo figlio Selim, anche lui destinato a salire sul trono, dicendogli sposati questa ragazza, fa per te.

Selim si innamorò veramente di Cecilia, le fece la sua favorita e le cambiò il suo amore. il nome in Nurbanu, che significa regina di luce. Cecilia e Selim ebbero quattro figlie e un figlio, Murad, anche lui destinato a diventare sultano. Paradossalmente, il momento in cui a Istanbul c'era una regina veneziana coincise con la guerra tra Venezia e i turchi. Pensate che il comandante della flotta veneziana a Lepanto, il doge Sebastiano Venier, era suo parente.

Questo non diminuì l'influenza e il potere di Cecilia, che aveva uno stretto carteggio con un'altra regina italiana espatriata con un certo successo, Caterina de' Medici. Cecilia morì nel 1583, 12 anni dopo l'epanto, e fu molto pianta, anche perché lasciò un terzo del suo immenso patrimonio ai poveri. Venne sepolta qui vicino a Santa Sofia, accanto a Selim, il sultano che l'aveva amata tanto.

Questo è il cortile degli Eunuchi. Gli Eunuchi non sono un'invenzione della corte ottomana, c'erano già nell'antica Roma, c'erano alla corte bizantina, c'erano nell'antica Cina e ci sono stati in Italia fino al 1700. Pensate a Farinelli, l'ultimo castrato, l'ultima voce bianca. Agli eunuchi in passato a volte venivano asportati soltanto i testicoli e quindi potevano ancora avere un'erezione e rapporti sessuali, ma il sultano preferiva non correre rischi e prima di ammettere un uomo tra le sue donne gli faceva asportare l'intero apparato genitale. Una sorte crudele, una vita mutila, però in un mondo in cui l'accesso al sovrano era difficilissimo a volte gli eunuchi potevano diventare molto potenti e alcuni erano disposti a tutto. anche all'intrigo, all'avvelenamento, all'omicidio, pur di accrescere il loro potere.

Siamo nella sala imperiale. Qui il sultano, seduto sul suo trono, riceveva gli ospiti e assisteva agli spettacoli. Il gran vizir e le favorite potevano restare a pian terreno, le altre donne dell'arem e gli eunuchi assistevano dal piano di sopra.

Dietro le grate, il sultano o i suoi uomini, anche quando non erano presenti, potevano ascoltare le conversazioni. E gli specchi spesso nascondono porte segrete, vere e proprie uscite di Sikurev. Oltre a costruire il palazzo, Maometto converte Santa Sofia in moschea. E dopo la sua morte, l'impero ottomano continua ad espandersi. Con Solimano il Magnifico...

Il traffico raggiunge un'estensione impressionante, dall'Algeria all'Aderbaijan, dalla Serbia allo Yemen e anche Istanbul cresce. Vengono costruite nuove moschee come questa in cui sto per portarvi la più importante moschea di Istanbul, la leggendaria Moschea Blu. Entrando si capisce subito il perché del suo nome. La moschea è decorata da oltre 20.000 piastrelle di ceramica che vengono da Iznik, un paese del sud della Turchia, di un colore detto non a caso turchese. Lo spettacolo è meraviglioso.

La grande espansione dell'impero ottomano continua. Nel 1571 il Papa crea una grande flotta alleando spagnoli e veneziani che ferma i turchi a Lepanto ma non riesce a impedire la caduta di Cipro. E l'eroe di Cipro, il difensore dell'isola, il veneziano Marco Antonio Bragadin, verrà scuoiato vivo.

Dopo Cipro cade anche Creta e nel 1683 i turchi arrivano alle porte di Vienna e la assediano, è il massimo della loro espansione, ma Vienna non cadrà. E comincerà il declino dell'impero ottomano. Sono gli anni in cui la Turchia è considerata il malato d'Europa, ma i turchi combatteranno con valore nella prima guerra mondiale, fermeranno l'attacco inglese ai Dardanelli, però stanno dalla parte sbagliata, sono alleati dei tedeschi e degli austrieci che la guerra la perdono. E poi i turchi vengono attaccati dai greci, scoppia un altro conflitto, fino a quando nel 1922 Mustafa Kemal, detto Atatürk, il padre dei turchi, il rifondatore della nazione, pone fine al sultanato e diventa il primo presidente della repubblica, mette fuori legge il fef e il velo, impone i caratteri latini, i nostri, al posto di quelli ottomani, insomma, rifonda... il paese che da impero diventa repubblica e ancora adesso in tutti gli uffici, in tutte le case di Istanbul c'è il ritratto di un turco con gli occhi azzurri e i capelli biondi, Atatürk.

Per secoli i turchi ci hanno fatto paura. Timor Turcorum, mamma di turchi. Chiamavamo turchi o saraceni tutti i pirati che infestavano le nostre coste, anche se magari venivano dall'Algeria o dall'Albania.

Il turco era il nemico. E ancora adesso diciamo bestemmiare come un turco, fumare come un turco, fare cose turche. Ma pensiamo anche alle cose belle e alle cose buone, alla marcia turca e al Gran Turco o Grano Saraceno, che in realtà viene dall'America, ma a lungo abbiamo associato la Turchia alle cose stravaganti, misteriose, esotiche, affascinanti.

Anche il tacchino viene dall'America, ma in inglese si dice Turkey. Pensiamo al grande contributo che l'impero ottomano ha dato alla civiltà mediterranea, alla nostra civiltà. E pensiamo al fascino infinito che in parte abbiamo cercato di restituirvi di questa città che è stata capitale di due imperi che è il ponte tra due continenti, l'Europa e l'Asia tra due mondi, l'Occidente e l'Oriente Questa città che è stata Costantinopoli, è stata Bisanzio... Grazie a tutti.