Benvenuti a tutti e benvenuti a questo secondo incontro di un dittico con Luca Fiore, giornalista di tracce, grande amico della Newman. Questo incontro è veramente la seconda pala di un dittico che è cominciato qualche settimana fa con un incontro su Giovanni Chiaramonte. Questa sera invece ci concentreremo su un altro grandissimo artista italiano, un altro fotografo, che si chiama Guido Guidi. Se vi ricordate cosa ci diceva Luca l'altra volta, è un dittico con due personaggi che fanno un percorso opposto. Uno parte da Milano e va verso Roma, l'altro parte da Roma e va verso Milano.
Oggi facciamo appunto la seconda tratta. Io taccio subito perché sarà una serata molto densa, molto ricca, quindi lascio subito la parola a Luca per questo incontro, guido guidi, l'intrettabile realtà. Grazie mille di essere qui con noi.
Grazie a voi, comincio subito perché appunto come dicevamo sarà una serata molto intensa. Sì, allora è la seconda parte di un dittico in cui presentiamo due grandi maestri della fotografia italiana che hanno due approcci apparentemente opposti, eppure come vedremo... finiscono per confluire in un certo tipo di esperienza che spero di riuscire a comunicare in maniera degna.
Parto dallo stesso punto in cui sono partito l'altra volta, cioè dalla osservazione che Ferdinando Scianna, il grande fotografo di Magnum, faceva su... Chiaramonte e diceva una cosa interessante della fotografia dice per me una fotografia di una colonna o di un albero questo e questo soltanto sono traccia visiva della presenza nella realtà di quell'albero di quella colonna e del fatto che il fotografo ha deciso di scegliere quell'immagine tra le infinite altre possibili tra gli infiniti punti di vista possibili una relazione profondamente fisica col mondo, altro che metafisica, nessuna metafora, nessun simbolo. Io credo che non ci sia nessun altro linguaggio tra quelli nei millenni inventati dall'uomo per raccontare il mondo che sia meno metafisico, più materialista della fotografia.
Giovanni Chiaramonte fa il fotografo, come me, e lo fa molto bene. Come fa, mi chiedo, a non saperlo? Ecco.
l'enigma per me. Allora, non l'ho fatto, ma se sottoponessi questa affermazione a guido guidi, a freddo, ho l'impressione che la sottoscriverebbe, anche se poi parlandone e mostrandoci le sue immagini arriverebbe di fatto alla conclusione contraria. Ma questo spero che lo capiremo nel corso di questa giornata, di questa serata. Allora, diciamo subito che... Guido Guidi è nato a Cesena nel 1941, quest'anno ha fatto 80 anni.
Si iscrive ad Architettura Venezia nel 1959 per poi passare al corso di disegno industriale. Negli anni veneziani segue i corsi di grandi personalità come Bruno Zevi, Carlo Scarpa, Luigi Veronesi, Italo Zagner, che è il primo storico della fotografia, primo insegnante a livello universitario di storia della fotografia in Italia. Inizia a fotografare prestissimo nel 1956 e in modo continuo dal 1966 e poi comincia a insegnare prima all'Accademia delle Belle Arti di Ravenna, poi all'Uav e poi avvia nell'89 una esperienza veramente interessante con il grande critico Paolo Costantini e William Guerrieri a Rubiera creando l'associazione Linea di Confine per la fotografia.
contemporanea che avrà la caratteristica di portare in Italia grandissimi fotografi internazionali a fotografare il paesaggio italiano. Oggi Guido Guidi è l'esponente della fotografia italiana d'autore più conosciuto e più stimato al mondo, anche grazie a una prolifica, soprattutto negli ultimi 15 anni, attività editoriale tramite l'editore inglese Mac. per farci un'idea di che tipo di fotografo sia Guido Guidi, guardiamo le immagini che provengono dall'ultimo libro che ha fatto intitolato Cinque viaggi 1990-1998 al quale è dedicata proprio in questi giorni una mostra a Pergamo.
Come l'altra volta vi mostro le immagini e le guardiamo insieme senza bisogno di... troppi commenti. Dico subito che sono delle immagini scattate a Milano e nell'internet milanese per una commissione pubblica della provincia di Milano. Dunque, forse sono andato troppo veloce, sarebbe stato forse a guardare più lentamente, ma vi invito a comprare il libro e guardarvelo con la giusta calma.
Ma per chi vede per la prima volta queste immagini, penso che l'effetto deve essere abbastanza straniante e la domanda che sorge, molto banale, è ma che cosa esattamente… sta fotografando. perché fotografa cose di nessuna importanza apparentemente e di nessuna bellezza apparente. Per capirlo leggo un brano dell'intervista che ho fatto a Guidi su tracce dell'aprile 2014 in cui incominciavo proprio da qui, lui all'epoca aveva appena fatto una grande retrospettiva alla Fondazione Cartier-Bresson di Parigi. E quindi partivo da una frase della curatrice. Dice Agnes Sira, la curatrice della mostra, scrive che lei vuole, citazione, portare alla luce una realtà in cambiamento che non desideriamo vedere, dove pensiamo che non ci sia niente da vedere.
È così? E risponde Guidi, io non ho le idee chiare, è per questo che fotografo. Fotografo per conoscere, per capire.
Il Talmud dice che da qualsiasi parte tu guardi c'è qualcosa da vedere, ma non lo dice solo il Talmud. E io domando, ma che cosa scopre, che cosa capisce? Piccole cose, mai definitive, sono comprensioni instabili.
lungi da me pretendere la comprensione definitiva del mondo. Ma perché cerca dove gli altri non desiderano vedere? Non è per dispetto, lo faccio per curiosità. C'è un piacere particolare nel fotografare cose che altri non hanno ancora guardato. C'è un testo di John Tzarkowski, che è il mitico curatore del MoMA di fotografia, su Eugène Agé.
che è un altro fotografo inizio novecento francese, in cui il critico americano dice che sarebbe stato bello essere a fianco del fotografo francese mentre camminava per Parigi guardando e indicando. In fondo fotografare è come indicare la vecchia storia dell'indice che indica la Luna, anche se questa immagine è ormai inflazionata. Ma è prestare attenzione alle cose.
Non credi il pittore. diceva un filo d'erba contro la bomba atomica. Pasolini preferiva salvare la lucciola piuttosto che la Montedison. Entrambi sono un po'retorici ma è in questa logica che a me interessa il filo d'erba. Non per imitare il filo d'erba copiandolo come un'icona.
Io lo copio attraverso la macchina fotografica per riprodurlo nella sua esattezza. Qui c'è un salto che faccio in intervista per far capire anche la distanza dall'approccio di cui parlavamo prima con Chiaramonte. Lei è amico del fotografo americano Stephen Shore che si è formato alla Factory di Andy Warhol. Lei invece ha studiato a Venezia andando alle gallerie dell'Accademia appassionandosi soprattutto a Piero della Francesca.
Che cosa sente in comune con Stephen Shaw? Anni fa, e qua subito chiarisce, ero in disaccordo totale con il mio amico Luigi Ghirri e che a Shaw preferiva Joel Meyerowitz. E qui siamo di fronte a due padri della fotografia a colori americana, un po'come Dante e Petrarca.
senza voler attribuire chi sia Dante e chi sia Petrarca, ma comunque due grandi padri che segnano due vie parallele. Ma adesso spiega in che senso. Dice, in meierico c'è questo aspetto sentimentale che credo faccia parte della cultura con la quale mi sono trovato in disaccordo.
È la cosiddetta scuola modenese con Chiaramonte, Ghirri. Anche Mejerovits usa il formato 20x25 cm, sta parlando della macchina fotografica che usa, anziché il rullino piccolo, usa delle lastre 20x25 cm, quindi il negativo è grande così, quindi acquisisce una quantità di informazioni incredibile. Una fotografia esatta, ma è operiana, in senso negativo, lo dice, di maniera. sentimentale, fotografava le luci del tramonto. un cavallo di battaglia di Luigi Ghirri, ma un'immagine al tramonto è diversa da una scattata con la luce a mezzogiorno.
Sono approcci emotivi completamente diversi. Preferisco Shore, più freddo, più sensibile ma meno votato alla comunicazione, alla maniera di Piero della Francesca, più trattenuto. Piero e Shore sono l'emozione trattenuta.
tenuta. In loro, se c'è, l'emozione è nascosta. In Meyerowitz è resa televisiva. Oggi niente si fa se non c'è questo aspetto emotivo.
La propaganda politica in primis. L'emozione è lo strumento su cui fa leva tutta la nostra cultura pseudo-democratica. In un'altra intervista, quella che ho fatto più avanti, questa volta per il foglio, per spiegare il suo tentativo di evitare la retorica, perché per lui è veramente il grande nemico, Guidi dice il mio tentativo ha a che fare con il fatto che è stata la fotografia a scegliermi, nel senso del caso, non è che ho scelto io, è che sono stato attratto da questa disciplina. Da bambino mi piaceva disegnare, poi all'università mi sono imbattuto in un libro di Sikvito.
Siegfried Krakauer, il film, due punti, ritorno alla realtà fisica, in cui si analizza la differenza tra cinema e teatro. Nel cinema, come nella fotografia, non c'è bisogno di enfasi per simulare la realtà, anzi è dannosa. Io non cerco retorica, cerco di tornare a un grado zero, a quella che è la realtà fisica. che Roland Barthes chiama intrattabile realtà. Allora, torniamo a vedere le immagini di Guidi per mettere alla prova queste sue parole.
L'esattezza della riproduzione del soggetto, l'emozione trattenuta, l'intrattabile realtà. Ora vediamo... Le foto tratte dal secondo volume di Per strada, che è forse il libro più bello di Guidi, che è uscito per Mac nel 2018. È un cofanetto con tre volumi, io vi faccio vedere quello centrale. Via Chiesa, Ronta.
Ronta è la frazione di Cesena dove abita Guido Guidi. Via Ronta Cesena è la via dove abita Guido Guidi, quindi fuori casa sua, questo probabilmente è il suo giardino, questa è casa sua, quindi non siamo lontani, fuori di casa c'è già il soggetto che questa è la figlia Anna. Via Piave Cesena Via Cesenatico Cesena Strada senza nome Cesena, via Emilia. Diciamo che non è il Partenone, non sono i grandi centri storici. o la ricerca dell'origine della civiltà occidentale come accadeva in Giovanni Chiaramonte.
Qui è bello. Fili, pali, alberi, case, strade, cesena. Sempre ronta.
Allora, proviamo a fare ancora un passo. Immagino che, non so se si riesce un attimo a cominciare ad entrare un po'in questo strano mondo. Ma proviamo a fare un altro passo.
Aguidi piace citare, per descrivere la propria poetica, una lettera che Roland Barthes aveva scritto al regista Michelangelo Antonioni. E ne leggo un estratto perché è meravigliosa. Dice, l'incipit è proprio questo. Nella sua tipologia, dice... distingue due figure, il prete e l'artista.
Di preti ne abbiamo oggi da vendere, di tutte le religioni, anche senza religione, ma di artisti vorrei, caro Antonioni, che tu mi prestassi per un attimo qualche tratto della tua opera per permettermi di fissare le tre forze o se preferisci le tre virtù che mi... che ai miei occhi costituiscono l'artista. Costituiscono l'artista.
Le dico subito la vigilanza, la saggezza e la più paradossale di tutte, la fragilità. Il testo è lungo, è appassionante, ma saltiamo al punto che riguarda l'aspetto della fragilità dell'artista che interessa di più. a Guido Guidi.
Dice Barthes, altro motivo di fragilità è, paradossalmente per l'artista, la fermezza e l'insistenza dello sguardo. Il potere, qualunque esso sia, perché è violenza, non può guardare. Se guardasse un minuto in più... un minuto di troppo perderebbe la sua essenza di potere. Lui, l'artista, si ferma e guarda a lungo.
E posso immaginare che tu ti sei fatto cineasta perché la macchina da presa è un occhio obbligato per predisposizione tecnica a guardare. Quello che tu aggiungi a tale predisposizione, comune a tutti i cineasti, è il modo radicale. radicale di guardare le cose, radicale fino al loro esaurimento.
Da una parte tu guardi a lungo ciò che dalla convenzione politica, i contadini cinesi, o dalla convenzione narrativa, i tempi morti di un'avventura, non ti era stato chiesto di guardare. D'altra parte il tuo eroe preferito è colui che guarda, il fotografo, il blow up o il reporter. il che è pericoloso poiché guardare più a lungo del richiesto insisto su questo supplemento di intensità disturba gli ordini stabiliti quali che siano nella misura in cui di solito il tempo stesso dello sguardo è controllato dalla società da cui quando l'opera sfugge a questo controllo la natura scandalosa di certe fotografie e di certi film non più non le più indecenti o i più aggressivi, ma semplicemente i più posati.
Questa insistenza dello sguardo che libera l'uomo dal potere della mentalità dominante. Che cosa produce in Guidi questa insistenza dello sguardo? Che risultati porta, oltre a quelli che abbiamo visto?
un'estetica che sfugge alla presa del potere, della mentalità dominante, cioè al gusto dominante. Ammettete che le immagini che abbiamo visto non sono comuni o quelle che diremmo, che abbiamo normalmente in mente come delle fotografie d'arte o significative, o una bella fotografia. Qui abbiamo un campo con dei palli, probabilmente di una piantagione.
metà dell'immagine è coperta dall'asfalto. Allora, che cosa oltre a questo? Un'altra cosa, alcune vere e proprie scoperte.
Quella più eclatante riguarda la tomba Brion della famiglia Brion-Vega. Tomba Brion, i padroni della... da Dita Brionvega, nel cimitero di San Vito ad Altivolo, in provincia di Treviso, che è una delle grandi opere di questo genio dell'architettura che è Carlo Scarpa, che è un complesso con la tomba, una cappella, uno stagno, una serie di cose, quindi è uno spazio molto complesso.
Cito di nuovo, qui abbiamo una... Questa è la cappella. Cito di nuovo l'intervista su Tracci in cui racconta.
Dice quindi, Carlo Scarpa era il mio professore a Venezia. Da studente non ho mai avuto il coraggio di parlargli. Gli ho parlato dopo una sola volta. Per il resto mi avvicinavo e ascoltavo da dietro le conversazioni.
Poi andavo a disegnare e a fotografare le sue opere. a Venezia, ma anche a Possagno dove c'è l'intervento alla gipsoteca di Canova. Nel 1996 il Canadian Centre for Architecture mi ha commissionato un libro su di lui e preparandomi ho scoperto che la critica era ferma a dove l'avevo lasciata. Non era stato fatto un solo passo avanti.
Questo secondo me perché i critici di architettura sono distratti e a volte non vanno nemmeno a vedere le opere dal vivo e nel caso della tomba Brion nessun critico, prima delle mie fotografie, aveva visto i giochi di luce e di ombra di quell'edificio. Che cosa ha visto? Uno dei fenomeni è questo.
Attorno a mezzogiorno nella cappella succede che il quadrato della piramide tronca sopra l'abside proietta un parallelepipedo di luce sulla parete sinistra e, man mano che il tempo passa, si sposta sulla parete destra. Il parallelepipodeo di luce, nel momento in cui è a metà tra le pareti, crea una freccia luminosa sopra l'altare. Quando l'ho visto mi son detto, ma che roba è? Siamo pazzi?
Ho guardato l'orologio ed era luna. Poi mi sono accorto che c'era l'ora legale e in realtà era mezzogiorno. Possibile che nessun critico l'avesse mai vista?
Come se lo spiega, domando. risposta meravigliosa, a quell'ora si ha appetito e la gente, anche i critici, va al ristorante e così si perde il fenomeno. E lei non va al ristorante?
Io mi porto il panino. Se ti fermi a mangiare perdi un'ora di luce. Ma è comunque strano perché poi ho chiesto alle signore del paese che vanno ad innaffiare i fiori e in dialetto veneto mi hanno risposto sì.
C'è quella luce divina che cade, ma ci pensi? Che cosa voleva dire Scarpa? La tomba è dedicata al tempo, alla morte, al cosmo.
Il complesso è costruito tutto su questo sistema di frecce create dalla luce e dall'ombra. Appaiono da una parte, scompaiono e riappaiono dall'altra. È un sussuuirsi dei rimandi. Bisognerebbe stare lì giorno e notte, vederla nelle diverse stagioni.
Scarpa non può aver previsto tutto, ma anche questa è la sua grandezza. Io dico, ha visto dove nessun altro aveva guardato. È la macchina che vede, che mi permette di vedere. È attraverso la macchina che io posso vedere quello che i miei sensi, condizionati dalle convenzioni o dal mal di denti, altrimenti non vedrebbero d'accordo, però lei si è portato il panino domando io io sono teso a captare il più possibile ma senza lo strumento mi distrago faccia un esempio ancora la tomba Brion ero lì, nella cappella a vedere nel vetro sberigliato del banco ottico il banco ottico è la la macchina fotografica che dicevamo prima che quella che si vedeva nei film dei cowboy in cui c'è il fotografo sotto il panno in cui il mirino non è un mirino ma è un vetro smerigliato a guardare il vetro smerigliato e il banco ottico allora non usavo la lente di Fresnel che permette di vedere tutta l'immagine in un solo colpo così mi muovevo con la testa e...
e guardavo pezzo per pezzo quello che stavo inquadrando. A un certo punto ho visto il parallelepipedo di luce. Che cos'è? Ho fatto uno scatto. Mi sono fermato a pensare.
A un certo punto ho capito. Sono rimasto paralizzato dall'emozione. Ho smontato l'attrezzatura e me ne sono andato. Sul momento è stato così. Poi sono tornato per dieci anni in diversi momenti dell'anno.
Quel fenomeno si vede solo tra l'equinozio di primavera fino all'equinozio d'autunno. Nel periodo successivo l'effetto si modifica. Fuori dalla parete opposta all'altare ci sono due interstizi tra le lesene da cui passa la luce ed inverno quelle fessure proiettano sul pavimento due sottili fasci luminosi che a mezzogiorno toccano i lati alla base dell'altare. È come se la luce sollevasse l'altare, una cosa da far venire i brividi.
Allora, vediamo parte del libro che raccoglie queste fotografie che lui ha fotografato per dieci anni. Vedete, qui c'è la cappella con l'altare. Vedete l'altare sulla destra, nella foto sinistra c'è il parallelepipedo a sinistra, nella foto di destra c'è il parallelepipedo a destra. Questa è la parte da dove entra la luce e qui vediamo il momento esatto in cui la freccia di luce si posa.
sopra l'altare. E qui invece vediamo i due fasci di luce d'inverno che toccano le basi dell'altare. E vedete i rimandi, questo a destra è... lo stagno, non conosco i termini tecnici, ma in cui la forma del triangolo rovesciato ritorna, vedete che è una V e poi d'inverno diventa una X con riflesso. Ancora il triangolo, la freccia che indica, che punta.
Sapete l'insistenza dello sguardo. A volte Guidi cita Ezio Raimondi in cui dice il mio sguardo non è quello del turista ma quello del... pellegrino. Questa è un'altra foto meravigliosa, nel complesso della tomba si entra da un corridoio che è alle spalle di questi due cerchi, quindi qui siamo all'interno e vedete come il cerchio di sinistra, nella foto di sinistra, si accende con la luce.
si accende e si spegne poi c'è tutta una simbologia della tomba che adesso non saprei neanche spiegare in modo però allora Finora ho tracciuto un aspetto, però diciamo che a me emoziona molto questa cosa di scoprire attraverso la fotografia un'opera d'arte, cioè la potere anche di scoperta, di conoscenza, con un'opera d'arte scoprire un'altra opera d'arte. Come spesso è la critica, a volte i grandi critici per introdurci un'opera d'arte, producono, io penso a Roberto Longhi o a Giovanni Testore. Allora, finora ho tacciuto un aspetto fondamentale per comprendere che cos'è la fotografia per Guidi e scusate di nuovo se torno all'intervista del 2014, ma lì è tutto sintetizzato in maniera molto efficace. E dice Guidi, quello che io compio è un atto devoto. nei confronti del filo d'erba, del paracarro, di una colonna d'orica o corinzia.
Fotografare è un atto devoto, in senso laico, nel senso che vuoi tu, ma è un atto devoto. Lalla Romano pubblicò le foto che suo padre, da dilettante, aveva fatto a sua madre perché, diceva, testimoniavano un atto d'amore, che poi è un atto di devozione. per dirla con Didi-Huberman, lo storico dell'arte francese. Domanda. In un'occasione ha detto che quando fotografa qualcosa lei è quella cosa, come se pregasse.
Sì, è così. Agnes Sir, la critica, scrive che nelle mie fotografie non c'è ironia. Per forza.
Come faccio a fare dell'ironia se sto pregando? Ne parla ma... Fattisma anche man rai, nel momento in cui fai, disegni o fotografi, sei quella cosa che cerchi di riprodurre. Non ci sono più io, se io sono pittore sono nel pennello, se io sono fotografo sono nella macchina fotografica, sono fuori di me, è un iperbole, ma solo nel momento in cui sono fuori di me posso essere vicino alle cose.
Allora non posso avere ironia, perché sono dentro a ciò che riprendo. Se mi identifico, come faccio a giudicare? Sono quella cosa là, punto e basta, atto devoto, preghiera. Da dove le viene questo linguaggio religioso?
Domando io. Non sono cattolico praticante. Da ragazzino ero molto religioso, ma poi la scuola, gli incontri, sono diventato un p***o.
un po'agnostico, diciamo così. Però questo aspetto della religiosità che era dentro di me, credo di averlo trasferito nell'atto di fotografare. Fotografare per me è essere nel mondo, toccare le cose, identificarmi con le cose, non giudicare, non criticarle.
E quindi è un atto di preghiera, è un atto devoto appunto. Non è tanto il risultato finale che mi interessa, ma il gesto in sé. Perché il gesto di devozione diventa una forma di conoscenza?
Gregorio di Nissa diceva che le idee creano idoli, mentre lo stupore apre alla conoscenza. È lo stupore, è la reazione che hai davanti alle cose guardandole con quel surplus di intensità, quello di cui parlava Barth. come il bambino che fissa, che fissa, e la mamma gli dice perché guardi fisso e da maleducati? Ma è quell'intensità che ti porta a conoscere, quell'intensità dimentica di tutto, che è solo sguardo, privo di qualsiasi altra cosa. E c'è in questo una lezione che Guidi fa e che pubblica, che si intitola proprio una lezione sull'orante, la posizione dell'orante.
Qui abbiamo uno schizzo a destra di Guido Guidi, a sinistra un autoritratto di Lee Friedlander, che è un altro dei maestri della fotografia americana. E in questa lezione un po'eccentrica, che andrebbe a letta ma è molto... interessante, si dicono delle cose molto importanti. Dice, nella catacomba di Priscilla, nelle catacombe a Roma, l'orante sembra abbracciare un intangibile vuoto che include anche l'osservatore, il quale si trova racchiuso nello stesso spazio che racchiuso. accoglie la figura femminile in preghiera.
I gesti che compio nell'eseguire una fotografia sono differenti se uso una macchina con una pellicola 24x36 mm che è la normale, portandomi la camera all'occhio come un altezzoso monocolo, come il pince-nez usato da Chekhov, quello così. Oppure una 6x6, quelle biottiche che si guardano dall'alto, inchinandomi sul pozzetto, il pozzetto è il mirino in alto, inchinandomi su un pozzetto con reverenza settecentesca. Oppure una pesante 8x10 pollici, quella che dicevamo con il grande negativo all'astra, il rapporto di identificazione che desidero avere con lo spazio.
è anche il rapporto fra il mio corpo e lo spazio. In questa logica, alla fine degli anni settanta, sentì bisogno di fotografare con una macchina di grande formato, mettendo la testa sotto il sacco e alzando le braccia, rivivendo un antico rituale di preghiera propiziatoria. Ero così convinto di incoraggiare una sorta di mer... metamorfosi di identificazione naturalmente non ero indifferente alla qualità della stampa fotografica che questo mezzo permette che doveva essere estremamente dettagliata ogni filo d'erba e ogni sasso doveva essere democraticamente esaltato nella sua esatta apparenza di conseguenza la stampa doveva rispettare rigorosamente le dimensioni del negativo.
Questa è un'altra cosa tecnica per cui le foto di Guido Guidi non vengono ingrandite ma sono della grandezza del negativo. Allora è una posizione questa fisica ed etica che spalanca a uno sguardo sul mondo che inevitabilmente finisce per vedere le cose in profondità. Il mondo inizia a parlare. E Chiaramonte direbbe che il mondo è immagine. E in un certo senso, certamente differente dal modo in cui lo intende Chiaramonte, anche per Guidi il mondo è immagine.
Lo vediamo bene in uno dei suoi libri più recenti, che hanno a che fare direttamente o indirettamente con la Luna. In realtà poi mi sono dimenticato... di farvi vedere questa parte di questo, questa invece è la Santa Apollinare in classe, questi sono gli appunti di Guidi in cui si fanno tutti questi ragionamenti sulla alfa e l'omega, per cui la forma dell'orante è anche un'omega, diciamo che è il fine, cioè l'idea del fine delle cose che lui rivede. anche nella tomba e nell'abside di Santa Polinare in classe e qui vedete il Cristo della risurrezione di Piero della Francesca con la barba W, c'è questo autoritratto di Walker Evans c'è una serie di cose tutte molto interessanti vedete la Cézanne il vescovo nella posizione dell'orante, la W sul muro, vedete gli studi che fa, gli schizzi, le copie di Giotto.
Dicevamo, scusate se ritorno, dicevamo che il mondo parla, il mondo parla e diventa come dire un'immagine, l'immagine parla di le cose. parlano di qualcos'altro e l'anno scorso nel 2020 lui esce con un libro stranissimo, completamente diverso da tutti gli altri, che si intitola Lunario e che raccoglie fotografie dagli inizi degli anni 60 fino al 1999 in cui in un modo o nell'altro le fotografie parlano della Luna. Qui ne abbiamo una, vedete che la lunga esposizione porta a vedere la luna che si muove e vedete che l'ombra del sole proietta su un caco, questi sono i cachi di fronte a casa sua, c'è un filare di cachi meravigliosi. Le cose cominciano a parlare, quindi la mela ricorda la luna. Questo per esempio è un esercizio fatto in università nella classe di fotografia di Italo Zagner in cui si gioca con l'esposizione della pellicola con diversi tempi di esposizione.
Vedete che questa è questa falce di questo albero che ricorda la luna. Le cose parlano del cielo, della luna. Vedete un'ombra, un segno sulla spiaggia, la foto di una foto con la vignettatura nera.
una falce di luce un buco nel muro un buco nel muro ricorda la luna la palla qui c'è la luna Ed ecco Anna. anche qui con una piccola luna in mano e qui che gioca con la luna. Questo è un provino a contatto con tutte queste foto di questa palla, vedete.
E qui c'è un grandissimo momento di fotografia. È l'11 agosto 1999, eclisse parziale di sole. L'avevano annunciata i giornali e Guidi si prepara a fotografare, tanto che c'è l'immagine di sua moglie che guarda la... l'eclisse attraverso una di queste lastre una di queste lastre non esposte che fanno da filtro per non vedere per non bruciarsi la rettina sapete che l'eclisse di sole è molto pericolosa e quindi c'è questa immagine poi cosa succede? lui si gira si gira verso il muro di chi ha le spalle e vede questo fenomeno vedete a destra l'ombra e dice ma cosa sta succedendo e prima, dopo, durante gli viene in mente o qualcuno glielo suggerisce chissà Questo testo contenuto di Aristotele, contenuto nei Problemata, che è un'opera particolare, dice perché durante l'eclissi di sole se si guarda attraverso un crivello, attraverso delle foglie di platano per esempio, o di un altro albere a foglie larghe, o attraverso le dita incrociate delle mani.
I raggi del sole hanno a terra la forma di una lunetta e vedete che lui fotografa l'eclisse proiettata sullo stesso muro contro il quale Anna anni prima faceva rimbalzare la palla della luna. Qui si vede forse un po'poco, ma c'è questa trama fortissima, sembrano nuvole, questa proiezione stranissima che pian piano, vedete, ancora qui c'è, pian piano va a sparire. La faccio rivedere perché la luna, l'eclissi di luna sopra il muro della casa, uno dei tanti muri che ha fotografato per tutta la vita, uno dei muri senza nessuna importanza qualsiasi, diventa lo schermo su cui si appoggia una delle... dei fenomeni celesti più affascinanti in cui il mondo si ferma e lui ferma a quel momento quel fenomeno su un muro del suo garage e finisce con la... con la luna che è un'anguria come con questa nota di ironia chiudiamo questo sarebbe già un bel finale però non è finita chiudiamo guardando una delle sequenze più famose e affascinanti di Guidi che sono immagini di una stanza vuota di una casa diroccata a Preganziol, che è un villaggio, un paesino in provincia di Treviso.
Vediamo. Preganziol, 1983. Vedete, in copertina viene riprodotto il disegno, sempre fatto da Guidi, con le quattro pareti della stanza in cui lui entra. Di questa sequenza Marta Dao nel catalogo della mostra alla Fondazione Cartier-Bresson di Parigi del 2014 scrive Se la finestra è stata la soglia preferita per la contemplazione del paesaggio, qui, parla di altre fotografie che non vi ho mostrato, ma qui il fotografo fa un passo indietro e ci mostra il luogo dal quale guardiamo, la cornice tradizionalmente intesa, altresì per le dimensioni e proporzioni della stanza, per la sua sobrietà.
età e per quel raggio di luce, non è un caso che la scena rimandi, dal punto di vista iconografico, alle annunciazioni rinascimentali. La serie composta da queste immagini ci rende quindi complici di una annunciazione, vale a dire di una rivelazione. Daniel Aras ha scritto con chiarezza di locura. che alcuni pittori del Rinascimento tentarono di far affiorare nell'immagine commensurabile di una annunciazione la presenza invisibile di ciò che sfugge ad ogni misura, disobbedendo al principio albertiano, leonbertista Alberti, per cui il pittore si occupa di rappresentare ciò che si può vedere. un po'come diceva Ferdinando Schand.
Allo stesso modo Guidi sembra aver trovato una strada per mostrare come l'invisibile entra nella visione per mettere la prospettiva davanti ai suoi limiti e raggiungere la sua incarnazione nella fotografia. L'annunciazione è stata un soggetto eccezionale per mettere la prospettiva davanti ai suoi limiti e alle sue possibilità di rappresentazione e Arras ha giustamente notato che non a caso le prime opere dipinte in prospettiva erano annunciazioni. Quello che Guidi sembrerebbe suggerire in questa sequenza e per estensione in tutto il suo lavoro è il modo in cui attraverso il medium della fotografia si manifesta quella fessura, quel varco, quell'intangibile vuoto che abbraccia lo spettacolo. Proviamo a rivederla, proviamo a rivederla, proviamo a rivederla e a pensare a questa cosa.
Proviamo a rileggere. Quello che Guidi sembrerebbe suggerire in questa sequenza è per estensione in tutto il suo lavoro, è il modo in cui attraverso il medium della fotografia si manifesta quella fessura, quel varco. quell'intangibile vuoto che abbraccia lo spettatore.
Ecco che anche qui arriviamo alla fessura, al varco, al taglio che squarcia la superficie e che ci apre alla profondità delle cose e che unisce Lucio Fontana, Giovanni Chiaramonte e forse inaspettatamente anche Guido Guidi. io ho finito grazie Luca di nuovo una serata commovente un'altra serata commovente grazie mille grazie veramente Luca io ti lascio con un pensiero che è quello che mi porto a casa io dopo questa serata ma da riguardare è questa insistenza dello sguardo su cui che fa vedere i riflessi del sole sulla mura della nostra quotidianità la trovo veramente una bella ipotesi con cui cominciare questa nostra estate 2021 grazie tantissimo Luca ringrazio tutti quanti quelli che erano con noi questa sera, grazie a voi, grazie a tutti ci rivediamo a settembre, grazie mille arrivederci