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Ilaria Alpi e il suo lavoro in Somalia

Quella era il sogno, perché quei pantaloni, quei scarpi li mi stai giando vuoto. Era la sua tenuta al combattimento, le ciabatte. 21 anni fa, Ilaria Alpi riceve una misteriosa telefonata. Chi la chiama lo fa per tenderle un'imboscata?

Quando arrivano all'appuntamento, lei e il suo operatore, Miran Rovatin, vengono uccisi. Gli hanno proprio mitragliati. Hanno preso due della scorta e l'autista è stato ferito e loro hanno preso 3-4 colpi nella testa. Si vede che sono andati in certi posti che non dovevano andare.

Questo è questo, è tornato a guatto, bello e buono. La fine di Larry e Miran è l'inizio del nostro viaggio. Da 16 anni c'è una persona in carcere per il loro omicidio, ma il testimone chiave ha dichiarato di essere stato pagato per dire il falso. Non ci sarebbe un caso Alpi se le cose fossero state chiare, se come io mi aspetterei un giornalista italiano viene ucciso in un'area di influenza italiana e dopodiché non si dice era un cretino ed era nel posto sbagliato nel momento sbagliato.

Uno Stato vero prende Carri Armati e va lì e fa i repulisti e va a prendere le persone responsabili di questo fatto. In quegli anni la Somalia è una terra persa. C'è la guerra civile, un intervento militare mascherato da aiuto umanitario, una tremenda carestia. Ma c'è anche qualcos'altro.

Uno scenario fatto di traffici illeciti, complotti, omicidi. Su questo sfondo si muovono i nostri protagonisti. Un imprenditore chiacchierato, un agente speciale, due signori della guerra, poliziotti venduti, contrabbandieri, un funzionario incorruttibile, uomini dei servizi segreti. In questo contesto lavora Ilaria.

Ci sono anche molti altri giornalisti, ma alla fine muore lei. Perché? Dopo 21 anni, molti documenti sono stati desecretati. Migliaia di informative dei servizi segreti e le cassette girate da Ilaria nei suoi viaggi. Ho avuto la possibilità di consultare tutto questo materiale inedito.

Cosa ho detto sempre nelle mie deposizioni? Non si può sapere che cos'era e cosa faceva Ilaria e cosa stava cercando Ilaria dagli ultimi sette giorni, se non si sa cosa ha fatto nei precedenti duecento giorni in Somalia. Chi erano gli amici e i nemici di Ilaria?

il aria alpi arriva per la prima volta in somalia come giornalista del tg3 nel dicembre del 1992 vi ritornerà altre sei volte se non ricordo male ilaria finisce la prima volta in somalia per caso cioè doveva andare un altro leando per caso e si innamorò del paese dove è arrivata a Mogadiscio il 19 dicembre del 1992, mi è stata quasi affidata, nel senso che un collega della RAI, Giuseppe, con una volontà mi ha detto se ti arriva questa giovane collega per favore, attenzione, pericolo, ci sono pericoli, eccetera, dalle una mano. Lo sa Massimo? Massimo lo sa, però gli aveva detto di guardarla indietro. Massimo Alberizzi, inviato del Corriere della Sera, è un profondo conoscitore della realtà somala. È lui che aiuta Ilaria a muovere i primi passi nei labirinti di Mogadiscio.

Nel 92 in Somalia infuria la guerra di... Caduto il dittatore Siad Barre, le due fazioni rivali di Alimadi e Haibid combattono senza tregua. L'ONU decide di intervenire per portare aiuti umanitari e cercare di pacificare il paese.

Il contingente americano sbarca il 4 dicembre 1992. Quello italiano qualche giorno dopo. Ilaria arriva a Mogadiscio insieme ad Alberto Calvi, il suo operatore, la persona che le sarà più vicina nei suoi viaggi in Somalia. Noi uscivamo sempre insieme. Stava attaccato a te proprio?

Noi sì, siamo stati quasi 200 giorni in tutto. insieme. Alberto Calvi sarà il suo operatore di fiducia, ma anche la sua guardia del corpo, il suo confidente, i suoi occhi sulla Somalia. E infatti è proprio Calvi che riprende la maggior parte delle immagini che stiamo vedendo.

A quel tempo Mogadiscio è una città divisa in due. A sud comanda il generale Aidid, il nord invece è sotto il controllo dell'altro signore della guerra, Alimadi. In mezzo, la linea verde, una specie di frontiera.

Si diceva hai passato la linea verde, ma la linea verde non c'è uno che la mattina va col pennello e la dipinge per terra solo le nostre guardie del corpo, solo i nostri autisti sanno chi sono gli amici e chi sono i nemici scrive il... Nessuno senza un motivo particolarmente valido passa da una zona all'altra. È un coprifuoco non dichiarato. Qualunque spostamento deve essere accuratamente organizzato. Normalmente oggi va un pick up.

Io stavo dietro con le guardie del corpo, con i fucili, ci vogliono sempre almeno due fucili. Il mio gioco è sempre stato quello del mordi e fuggi. Arrivi in un posto, vedi la situazione, fai le riprese.

Quando arrivava il primo bambino, molti mi sfottevano perché io odiavo i bambini, però per me i bambini sono un segnale d'allarme, perché come arrivano i bambini vuol dire che noi siamo stati identificati. Come i bambini arrivano, i grandi vedono che i bambini sono stati identificati. sono attratti da qualche cosa e da quel momento ci sono due minuti per andarsene.

Mi chiamo Leila, ho 18 anni, mi volevano uccidere, è stato un incubo. Il primo servizio di Ilaria è un'intervista alle donne somale. Ne farà tante altre ed è grazie a loro che Ilaria scopre la complessità di questa terra.

Non era una giornalista istituzionale, non era istituzionale assolutamente. Lei soprattutto amava molto i problemi delle donne e i problemi sociali. Io volevo sapere per quanto riguarda l'infibulazione, se la signora la pratica, se la pratica...

Ilaria vuole capire la Somalia. Visita a campi profughi, scuole, ospedali, carceri. Buongiorno, lei è venuto qui per arruolarsi? Sì Da dove viene?

Da dove viene? Di Mogadiscio? Sì, sì, di Mogadiscio Anche lei è qui per arruolarsi? No, non ho capito, tenetela bene In linea con l'impostazione editoriale del TG3 Al posto delle cronache distaccate che si vedono negli altri telegiornali, lei sceglie di dare voce alle persone, alle loro storie. L'opera nel quartiere di Pondere sembra domenicale.

I cari italiani hanno inaugurato una scuola. Le donne ballano, i bambini giocano e scherzano con i militari. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10. Quello che ha voluto fare nel poco tempo che ha vissuto era conoscere quel mondo che aveva studiato, conoscerlo concretamente e lavorarci.

sopra, fare delle inchieste. Rita del Prete è stata molto vicina a Ilaria. Da giovani negli anni 80 si sono appassionate insieme alla cultura e ai costumi del mondo arabo.

Voi facevate lingue orientali? Sì, abbiamo fatto entrambe studi di lingua araba. Siamo diventate amiche. Mentre lei viveva in Egitto, io vivevo in Giordania.

Abbiamo girato il Senai, la Siria, tutta la Giordania, l'Egitto. con poco anche dall'inizio così di restare in mezzo sì cioè il bello o il lusso di quella vita che volevamo fare e che lei voleva fare era immedesimarsi nel sociale di lario girava con le sue birkestock io io giravo sempre con le scarpe allacciate a combattimento perché un posto assolutamente un posto assolutamente ostile su tutti i posti di vista lei invece si sentiva come a casa e sempre in mezzo alla gente, non è dall'alto in basso, non è su uno scranno, non è in una posizione dominante, è con la gente, è in mezzo alla gente. Detenuti in attesa di giudizio, alcuni sono qui da mesi, aspettano, non si sa neppure se...

alcuni sono qui da mesi, aspettano un processo... Era molto restira. Detenuti in attesa di giudizio.

Ma molto, a volte litigava proprio con gli operatori di non andare, non fare lo stand up classico e quindi non comparire. Poi sover e raccontosi. Questa mattina ad un posto di blocco.

Ma la vedevi raramente in video? Non c'era perché, anzi gli chiedevamo fatti vedere un po'. No, invece lei preferiva che si vedesse il luogo, cioè perché sono le immagini che parlano e tu accompagni quello che vedi.

Viveva questa rassegnazione, questa disperazione di questo popolo che era perso, un popolo perso. Pochi chilometri a nord di Mogadiscio, dove prima c'era una cava di calce, finisce il viaggio dell'immondizia raccolta in città. Di luoghi come questo, purtroppo, a Mogadiscio ce ne sono molti e formano ormai il triste panorama della città. E c'è anche chi dice che... colpevoli siano le organizzazioni internazionali.

Non era una giornalista d'albergo, non era una giornalista che aveva paura soprattutto, il giornalismo deve essere critico e lei era già giornalista critica. molto pesante e continuano le polemiche da parte dei somali. Perché ci mandate gente armata e non cibo?

I somali insistono nel sostenere che gli italiani hanno molto da farsi perdonare qui in Somalia e i militari che hanno fatto venire non bastano, anzi avrebbero fatto molto meglio a restare a casa. Col passare del tempo, Ilaria si fa idee più precise sul reale motivo del nostro intervento umanitario. Accuse pesanti dunque, che dimostrano l'atteggiamento contraddittorio che c'è nei confronti degli italiani. La Somalia è stata una colonia italiana fino al 1960. I nostri interessi economici negli anni 90 sono ancora molto forti e i nostri servizi segreti sono qui per tutelarli.

Ci sono molti progetti di cooperazione. ballano tanti soldi ma che fine fa tutto questo flusso di denaro? gli scandali sono già scoppiati la magistratura indaga il vento di pulizia che con Tangentopoli ha investito l'Italia arriva anche qui Franco Liva, questo signore elegante e riservato, è stato funzionario del Ministero degli Esteri Italiano. In Somalia vigilava sui progetti di un'azienda di rinforzamento.

...di cooperazione. Ha denunciato più volte illegalità e malaffare. Cinque mesi prima della morte di Ilaria è stato vittima di un attentato, anche lui a Mogadiscio.

Lo hanno quasi ucciso. Nessuno ha mai... cercato i colpevoli tutti i progetti di cooperazione erano stati realizzati negli anni 90 di tutti i progetti non ce n'era uno che avesse portato un risultato positivo la storia dei pozzi per esempio no progetto diciamo così fallimentare, questi posti che non pescavano acqua, non si riuscì a fare nemmeno il collaudo. La stessa cosa appunto la questione dei silos, i silos hanno mandato dei silos di plastica che si scioglievano sotto il sole, cioè il problema era comunque trovare un pretesto per poter spendere. Dunque, noi parliamo sempre di cooperazione civile.

Esiste però una sorta di zona grigia di passaggio tra la cooperazione civile e la cooperazione militare e di questa, secondo me, si è parlato molto meno. per scopi militari, camion per trasportare medicinali che sono finiti all'esercito e poi le navi Schifko. Come riportato in molti rapporti dei nostri servizi, noi italiani abbiamo donato alla Somalia delle navi da pesca, che però hanno avuto un'attività arrivano nel paese senza le celle per conservare il pesce.

Noi sappiamo che la nave madre doveva avere a bordo 12 celle frigorifere per il pesce. E invece? Veniamo a sapere che a bordo non ci sono più le celle frigorifere. Ora, a distanza di tempo, ci sono state delle dichiarazioni fatte da marinai che erano all'epoca a bordo, i quali hanno detto che a bordo c'erano le armi.

Questo è un documento della Commissione Europea che fa un'indagine sulla pesca nelle aree del nord della Somalia. Si parla della Schifko? Si parla della Schifko.

Chi dice? Esistono possibili resistenze attorno al coinvolgimento della compagnia nel traffico di armi e di altri comodi di disposizione di rifiuti, anche illegali. Il giorno in cui Ilaria parte per il suo secondo viaggio in Somalia, Bettino Craxi esce dall'hotel Rafael di Roma e una folla esasperata lo investe con una pioggia di monetino.

Siamo in piena tangentopoli. Musica con i suoi servizi partecipa a quello spirito di rinnovamento. Continua ad andare nei campi profughi per verificare la distribuzione degli aiuti e denunciare la situazione di miseria.

C'è una mamma? C'è il padre che ha una faccia di una meraviglia. Scrive, a Mogadiscio le organizzazioni umanitarie sono presenti ovunque. Lavorano con diverse filosofie, a volte in contrasto fra di loro.

Qualcuna con la speranza di arricchirsi. Girano molti soldi e le accuse fioccano, di corruzione, di sperpero. Noi eravamo lì per raccontare cosa succedeva in Somalia, anche di bene e di bene, e anche quello che non andava bene a noi, anche quello che non andava bene all'Italia.

Io arrivo in Somalia e mi rendo conto di una serie di... chiamiamo di anomalie, il grosso era rappresentato dall'aiuto sanitario. Il volume piuttosto imponente di farmaci giaceva in una sorta di deposito a oltre 40 gradi di temperatura e che quindi erano destinati ad andare a casa. a deperire. Il problema è che una parte dei farmaci che noi avevamo ordinato e che ancora erano in giacenza presso il nostro centro, era depositata presso un magazzino che era nell'area protetta del famoso Giancarlo Marocchino.

Marocchino aveva un'impresa di trasporti. Aveva dei canyon, aveva dei mezzi, aveva un sistema di comunicazione suo attraverso una grossa antenna dei walkie talkie. Giancarlo Marocchino, tra l'altro che io conosco bene, era un trasportatore che trasportava ben...

Manzina, ovviamente cereali. Chiaramente nel momento in cui gli italiani arrivano, trovano una persona che ha sempre lavorato e che ha collaborato con la cooperazione e hanno bisogno di un supporto logistico, il supporto logistico è naturale che lo dia Marocchini. Marocchino è in Somalia dal 1984 vive in una villa fortificata circondata da alte mura e protetto da decine di guardie armate nei suoi magazzini è stipato di tutto medicine della cooperazione aiuti umanitari anche armi offre logistica per l'esercito italiano gestisce decine di camion è il punto di riferimento per giornalisti militari e uomini di famiglia affari che vivono a casa sua o nelle vicinanze.

Sa che Marocchino ospitava i giornalisti e lei non dormiva mai a casa di Marocchino. Per esempio di Marocchino me l'aveva detto se chiama un tale a io non ci sono, non sa neanche dove sono. I magazzini di Marocchino sono ad un chilometro dall'hotel Amana, nella zona di Alimadi. Vicino c'è la nostra ambasciata e la base dell'esercito.

Alla Mana soggiornano quasi tutti i giornalisti italiani e anche Ilaria nei suoi primi viaggi dorme lì. Ma poi se ne andrà. Ilaria è sempre stata insofferente verso le cronache ufficiali.

I suoi rapporti con i militari erano sempre stati un po'burrascosi perché lei non era... non aveva certo lo spirito dell'embedded. che i militari l'unico giornalista che amano è quello un po'embedded, quello che fa, quello che dicono loro, che si comporta secondo le regole. Vuole mettere la mano nel costato?

No. Come Sant'Omar? No, no, è che ci servono delle immagini sicuramente di lei.

Vivo? No, io non ti chiedo niente. Lei si era fatta subito un'idea, lo ha capito che le notizie non erano lì alle conferenze stampa e ai briefing.

Però prendono... ti bombardano di comunicati, ti danno tutta una serie di notizie e ogni giorno se uno vuole stare seduto in albergo ha tutto. Salvo poi andare a verificare.

Noi facevamo un lavoro che era opposto. Noi prima controllavamo, vedevamo la situazione. Di modo che poi qualche volta se andavamo alla confezza stampa gli facevamo una domanda. Ma scusi, lei sta dicendo questo, ma guardi che non è così.

Ci sfruttavano anche gli altri. qualche volta che dove andava a mangiare alla mana raccontavamo cosa c'era successo poi il nostro racconto ci trovavamo giorno dopo sul giornale che diceva e lari e detto andiamo più perché c'è perché qua stiamo lavorando per loro Si laterali se vuoi da gente, no? Ah, forse se prendo il microfono viene meglio.

Di notte Mogadiscio cambia aspetto. Le strade deserte, qualche raro pedone, la luce fioca delle lampade a gas. Non c'è elettricità se non quella dei generatori.

Il buio della notte è illuminato dai bengala, spesso sparati. Nei piccoli locali lungo le strade la gente si riunisce, beve il tè e gioca ad una specie di dama. Il 5 giugno del 93 una svolta. Le forze dell'Unosom attaccano la sede radio del generale Aidid.

Questa mattina all'alba un'azione combinata terra-aria ha portato i militari americani nel territorio del generale Aidid. Gli americani hanno scelto Alimadi, gli italiani tentano una mediazione, ma per gli americani Aidid è diventato il nemico da abbattere. Aidid era la primula rossa, allora era il ricercato numero uno, c'era una taglia su di lui, non mi ricordo se fosse di un milione di dollari. Ilaria annota nei suoi tacquini Mogadiscio è una città fantasma la bella città sul mare con il porto, i mercati, il quartiere in stile arabo i resti di architettura fascista, la cattedrale non esiste più o meglio, ne esistono i lugubri resti rovine, calcinacci, vetri questo è lo sfondo contro il quale si muovono gli attori di un dramma che è ancora lontano dalla parola fine Marocchino è uno di questi attori. Lui sa muoversi con disinvoltura tra le fazioni di Alimadi e di Aiviglia.

Se pagano 900 sceline al cartone, è meglio che buttano via il cartone di Aiviglia, perché ci viene a costare meno. Marocchino ha rapporti con tutti esercito, signore della guerra, governo italiano chi sono quelli che hanno cercato? un'altra schiavina Chiamiamolo sicurezza di strada, chiamiamolo.

Cioè che in Italia è tutta un'altra vita e qui è tutta un'altra vita. Qui è una vita di avventure, è una vita di un nuovo paese. È chiaro che la Somalia, essendo in condizioni di guerra, era un luogo ideale in quel momento, dove tutto poteva essere fatto nascosto. C'è nella presunzione della totale impunità.

Possiamo dire questo, la Somalia era un po'una terra di nessuno. Dove avveniva di tutto? E'chiaro che era una terra di nessuno, sempre è stata una terra di nessuno. La Somalia diciamo che era una nostra colonia.

L'abbiamo persa alla fine della guerra, ma possiamo dire che non l'abbiamo mai persa perché è sempre stata frequentata da personaggi nostri, personaggi dei nostri servizi, personaggi della famiglia. l'esila, personaggi militari. Questo signore con il passamontagna ha fatto parte di Gladio, un'organizzazione segreta legata ai servizi di sicurezza italiani e americani.

Ma che cavolo succedeva in Somalia in quegli anni? un punto nevralgico dove si poteva operare senza essere visti, senza dare l'occhio a qualsiasi modo, in qualsiasi tempo. Cosa intendi per...

Chiamiamo operazioni sporche e tutto ciò che ne poteva derivare da operazioni militari e commerciali non propriamente pulite, dallo spionaggio al traffico delle armi a tutto ciò che può riguardare una cosa illecita. All'inizio, diciamo negli anni 90... e qui la Somalia comincia a essere in bancarotta, che nessun fornitore è disposto a vendere armi alla Somalia a quel punto. Quindi non poteva che concedere qualcos'altro, diciamo di poter scaricare sul territorio somano, in alcune aree, materiali radioattivi, tossiconoscivi, comunque pericolosi, a costi molto bassi, rispetto a quelli che sarebbero costati al nostro sistema paese, e seguire le normali pratiche, diciamo così, secondo le previsioni di legge. Quindi armi in cambio di luoghi dove smaltire rifiuti speciali.

Ma questi rifiuti sono mai arrivati in Somalia? Certo che sono arrivati, caspita che non sono arrivati. Questo è un documento presumibilmente redatto dai servizi etiopici.

In base alle informazioni che abbiamo ricevuto dalla città italiana di La Spezia, ne deriva che nella regione costiera intorno a Jihar e Obiana siano stati sotterrati presumibilmente una quantità di molte centinaia e migliaia di tonnellate di rifiuti nucleari misti con sabbia. portati rifiuti e con aeromobili e soprattutto con navi venivano gettati a mare moltissimo pure venivano gettati anche i primi tempi venivano gettati anche nelle foci dei fiumi due fiumi grossi lo sceboli e il zuba e questi poi si insabiavano che c'erano una questione di sabbie mobili di fanghi sabbiosi eccetera le scimmie banani seccavano moriva la fauna la flora e poi una gente cominciava questo era uno dei vari smaltimenti che facevo Il 15 giugno 1993, Aidid, l'anti-americano, porta in piazza migliaia di persone per manifestare contro l'intervento ONU e contro gli americani in particolare. Dimmi quando posso tornare. L'SNA di Aydid ha organizzato una grande manifestazione alla tribuna.

Sono presenti almeno migliaia di persone. Gli uomini di Aydid protestano contro gli occidentali. Alimadi invece... Lavora con i militari americani guadagnando armi e aiuti. In mezzo ai seguaci di Aidid c'è solo il lago.

Saliamo sul palco della tribuna, siamo in mezzo alla tribuna. la gente, la gente ci fa passare, quindi passare in mezzo a quella gente che agitano le ciabatte, che agitano i teschi, le ossa, non era una cosa che potevano fare tutti, non c'è nessun'altra telecamera insieme a noi. Il 2 luglio del 93 la rivolta contro gli occidentali coinvolge per la prima volta anche gli italiani che vengono attaccati duramente al checkpoint Pasta. C'è una calma spetrale a Mogadiscio dove all'alba tre soldati italiani sono caduti in una imboscata, probabilmente dei miliziani di AIDID. Adesso anche i soldati italiani, che fino a questo momento sono riusciti a mantenere un buon rapporto con entrambe le fazioni, sono visti come nemici.

Le relazioni fra civili e esercito si fanno più difficili. Al posto di blocco del pastificio dove il 2 luglio tre italiani sono morti, la situazione non riesce a tornare normale. Donne e bambini... Milano contro ONU e americani, vola qualche sacco. E andiamo anche a Checkpoint Pasta dove assistiamo all'arresto di alcune persone che portavano delle armi.

Dove vediamo che gli italiani che spesso avevano la situazione in cui... I bambini andavano a chiedere da mangiare, italiani buoni, italiani carini, eccetera, eccetera. I parà sono spaventati. Che cosa è successo?

Niente, li stiamo fermando tutti quanti. Per sicurezza abbiamo avuto l'ordine di mandare via la gente, di allontanarli. Il 12 luglio del 93, Ilaria torna con Alberto Calvi per la quarta volta a Mogadiscio. Questa volta Ilaria e Calvi non vanno all'hotel Amana, vanno al Safi, nella zona sud della città, quella controllata dai Did.

nemico degli americani. Arriviamo al Safi e in quel momento c'è un attacco contro una palazzetta, contro un quartiere. Ilaria ha rinunciato alla protezione che le poteva dare l'hotel Amana. Vuole documentare i fatti in prima linea. 12 luglio 1993 è una giornata di sangue.

Un punto di svolta per la Somalia e per la vita professionale di Ilaria. Sul tetto c'erano i cobra che sparavano su una presunta postazione dell'Edit. La zona sotto controllo del generale Edit è stata martellata prima dei missili sparati dagli elicotteri degli americani, poi dalle mitragliatrici. Dal terrazzo dell'albergo dei giornalisti è uscita anche uno spettacolo di guerra.

Noi dal terrazzo dell'albergo abbiamo visto gli elicotteri arrivare su questa villa. Subito dopo, quando gli elicotteri si sono allontanati, noi siamo saliti in macchina. Partimo quasi in colonna anche con altri e l'aria era la terza o quarta macchina. Quasi arrivati in prossimità di questa palazzina bombardata successe il pandemonio contro di noi. La folla ci ha stretto.

Vedemmo scomparire l'auto dei colleghi di Reuters e Associati Press. Li hanno massacrati. A un certo punto una donna assoma, strapatta, da terra a uno stecco. Uno stecco magro quanto il suo braccio comincia a battere furiosamente sul colfano della nostra macchina. A quel punto la folla comincia a streggersi, comincia a chiudersi.

Dice andiamo avanti, andiamo avanti, andiamo avanti. Non seguo niente, ho preso il volante dell'autista, ho girato la macchina, la macchina ha fatto un'inversione a U e siamo ritornati verso il Salfi. Continua l'operazione americana con gli elicotteri cominciata questa mattina sul quartiere generale di Haiti. In questo mondimento potrebbero essere in corso le ricerche dei corpi dei giornalisti uccisi dopo essere stati rapiti.

Uno pare che sia stato addirittura... Verso il pomeriggio, fai tonto, tra le 4 del pomeriggio è arrivato un camion carico di cadaveri, che erano i cadaveri ammazzati durante il raid americano. Dopo che ci fu il... E'arrivato un ragazzo che aveva fatto delle riprese all'interno, cioè le immagini che nessuno aveva visto.

Chiaramente cercavano di noi perché Ilaria era conosciuta ed era per loro un riferimento. Sapevano che quella cassetta non sarebbe sparita, che sarebbe stata pubblicata. E il fatto che noi la mandassimo in onda prima della CNN costringeva la CNN a mandarla.

Da allora anche per Ilaria le cose non sono più le stesse. La Somalia diventa per lei non solo un fatto di cuore, l'amore per la sua gente, la sua cultura, i suoi drammi, ma soprattutto un fatto politico. Oh, oh, l'aiuto dell'allamma, l'avvadollato. Ilaria ha capito che dietro la guerra civile e la rivolta antioccidentale c'è chi cerca di sfruttare la fragilità di un paese che sta implodendo. Ma Ilaria, che cosa sta cercando?

Sostanzialmente si parlava di armi. Lei voleva le prove di questo, è questo che cercava, perché tutti ne parlavano, non avevamo riusciti a incasare. Certamente non ce lo diceva l'ambasciatore o il...

capo della cooperazione o della conferenza stampa, ma noi ci compravamo di cose marginali perché dovevamo portare tutti i giorni, dovevamo portare una notizia e fare il nostro lavoro, dovevamo lavorare per il telegiornale, ma noi stavamo lavorando anche all'inchiesta, perché come si fa sempre, ogni giorno noi prendevamo un granello, ma alla fine avremmo fatto la torta. Il 14 luglio 1993 viene annunciata la sostituzione del generale Loy, l'uomo che ha provato a mediare. Da questo momento la nostra politica inizia ad allinearsi con quella americana.

Ilaria è sempre più sola, ma non si ferma e continua con i suoi servizi a documentare gli effetti collaterali dei bombardamenti. Quando qualcuno dice che Ilaria era una cretina che si occupava solamente di fesserie, di bambini e di donne, non sanno che è una cretina. che per noi la nostra fonte informativa principale erano le donne somale che facevano politica.

Di solito si dice proprio questo, lei in realtà aveva solo interessi sociali, aveva solo interessi per le donne, per la condizione femminile, in realtà quello era un interesse principale ma poi c'era il canale per arrivare all'altro. E certo, e certo. Ilaria cerca, prende appunti, scrive in continuazione. Nomi, domande, tracce, riflessioni.

Non c'è un'immagine di lei senza un taccuino in mano. Sono quelli stretti e lunghi della RAI. Lei riempie tutte le pagine, davanti e di dietro. I suoi taccuini, da cui non si separa mai, avranno un peso fondamentale in questa storia. Venerdì di preghiera, venerdì di protesta.

Cosa fai? No. Perché hai cambiato topo? Il 28 settembre 1993 Marocchino viene fermato ed espulso dagli americani con l'accusa di traffico d'armi.

Qualcuno dice che è un avvertimento al nostro contingente. Anche gli italiani devono schierarsi definitivamente al fianco di Alimadi. L'accusa contro Marocchino sarà poi archiviata. Armi, queste qua per me sono tutte delle invenzioni cazzate, perché?

Perché qui a Mogadiscio c'è tre mercati di armi, ti vuoi un bazooka? Andiamo, domani ti lo faccio vedere, andiamo lì al mercato, paghi e ti dai un bazooka. un fucile serbo, vuoi un HE, vuoi qualsiasi cosa, c'è il suo mercato tranquillo, come da noi che vendono pistacci, che vendono da noi fragole.

Lo stesso giorno in cui gli americani arrestano Marocchino, Ilaria va ad intervistare la moglie di Alimadi. Il tema è il traffico d'armi. Ci va con Massimo Alberizzi.

Ce lo racconta lui. Nel suo garage ha ancora i tacquini con gli appunti di vent'anni fa. Quando è?

Di vent'anni fa? Mi ha chiuso tutta la mia vita, in realtà. Anche di più. 93 sono questi. Abbiamo fatto due interviste alla signora Anurta e raccontava di come era stati inviati anche nell'aprile del 92, quindi se a Barre non c'era più, c'era un embargo di armi alla Somalia, mi era stata mandata un cartello.

di armi e soprattutto klasnikov che sono in italia di produzione ex sovietica una lunga intervista in cui la moglie di alimadi la signora nurta ricostruiva i traffici illeciti dei primi anni 90 traffici di armi e rifiuti in cui erano coinvolti imprenditori istituzioni italiane Non ci sono mai le prove. Che ci fosse qualche magagnona su armi e così, anche l'aria lo sapeva. Certo, è un paese in guerra, è ovvio che arrivano le armi. Però in teoria è ovvio no?

perché c'era l'embargo no, non c'era l'embargo siamo quanti anni abbiamo l'embargo non c'è un embargo che funzioni un embargo violato da quelli stessi che poi lo votano all'ONU Negli ultimi mesi del 1993 è ormai evidente a tutti il fallimento della missione Restorop. L'operazione ONU in Somalia sembra ormai diventata una guerra privata tra il generale Haidid e Washington. Il paese è ormai in preda al caos.

Tra i somali regna la paura, ma anche la volontà di reagire. Dicono che la strategia degli americani sia proprio quella di seminare terrore tra i civili. Il 3 ottobre del 1993, gli americani vogliono chiudere la partita col generale Aidid. Due elicotteri vengono abbattuti. I soldati vengono trascinati per le vie di Mogadiscio.

Orrore e morte nelle immagini da Mogadiscio. Nessuno spazio sembra essere rimasto per la pacificazione. È il punto di non ritorno. L'ONU decide di ritirarsi e i vari contingenti si preparano a lasciare la Somalia.

Opinione generale a Mogadiscio è che ormai sia guerra aperta. Alle mie spalle il teatro delle operazioni di questa mattina. Un giorno succede una cosa molto grave.

arriva al SAFI un emissario di Alain Hadi che dice che praticamente noi facevamo tele-I did che noi eravamo troppo sbilanciati che non davamo mai conto delle cose che facevano loro e ha detto ma noi veniamo in volentieri se ci dite qualcosa se rispondete alle nostre domande voi chi? dico noi nel senso l'interlocutore era Alain Hadi era lei che decideva il capotruppo era lei noi andiamo Presidente, mi puoi spiegare qual è la situazione qui a Mogadiscio Nord? Si, a Mogadiscio Nord è calmo... Prima di si aspettava l'intervista, come il gancio ultimo e abbondante, no? Come si fa...

Che ci raccontasse quant'era bravulloso... Lui è quanto erano cattivi gli altri. Ilaria non si lascia intimidire e incalza Limadi accusandolo di avere come alleati personaggi compromessi con il vecchio regime del dittatore Siad Barre. Proprio andando a giocare abbiamo visto che le persone che saranno... Manuelette erano ex ministro dell'agricoltura, ex ministro dello sport, tutti ministri del governo passato.

A giocare? A giocare? No, no, no. Sì. No, no, a giocare no.

Io la posso anche dare in nome. Per niente in soggezione. Assolutamente, tanto è vero che l'intervista gliela fa, a un certo punto si alza, l'intervista finisce, non va mai in onda.

E ma perché non va in onda? Non va in onda perché non l'abbiamo montata, non l'abbiamo fatta, perché lui non ha risposto. È una filiera che è chiara come il sole, perché non è che ci siano tante persone da cercare, perché funzionava così.

L'uomo è animali, che è legato alla cooperazione italiana, che è legato ai militari italiani, e questa è la filiera. Le persone a cui noi rompevamo le scatole sono queste. Poteva averci l'aria, è dentro questo cerchio magico.

E questo è il cerchio. Il 28 ottobre del 93 Franco Liva, che ha denunciato gli sprechi e i malaffari della cooperazione in Somalia, è vittima di un attentato. Rischia di morire.

È l'inizio di una scia di sangue. Sono state molte vittime di quello che potremmo chiamare il caso e poi ci sono delle morti invece che hanno dietro una ragione, una finalità, queste persone hanno costituito un obiettivo in certo senso. Il 12 novembre toccherà l'uomo dei servizi segreti.

segreti, Vincenzo Licausi. Poi, il 9 dicembre, viene uccisa la cooperante Maria Cristina Luinetti. Licausi non era un uomo che diceva che era la prima esperienza, è uno che aveva un buon curriculum, voleva proprio andare via dalla Somalia, era terrorizzato. Tant'è vero che quando lo hanno costretto a rimanere per altri dieci giorni in Somalia, sembra che questo uomo stesse un po'fuori di testa, insomma.

Questo riporta sempre, come filo conduttore, al tema centrale. Cioè, tutto quello che è stato fatto, è stato fatto che è successo ha una logica comune o ogni episodio è frutto di casualità? Il 12 marzo 1994, Ilaria arriva a Mogadiscio. Questa volta non l'accompagna il suo operatore di sempre, Calvi, ma Miran Rovatin.

In città si vive un clima di grande tensione, perché il contingente dell'ONU, e quindi anche quello italiano, hanno incominciato ad evacuare la Somalia. Ilaria e Miran rimangono solo due giorni a Mogadiscio per riprendere il ritiro. Poi, mentre tutti gli altri giornalisti italiani si mettono in salvo sulla porta aerea Igaribaldi, loro partono misteriosamente per Bosaso, una città a nord della Somalia.

Vi rimarranno quasi sette giorni. Poi, il 20 marzo, rientrano nella capitale. Qualcuno, non si sa chi, li va a prendere all'aeroporto e li porta all'hotel Safi.

Lì Ilaria chiama la madre e la redazione del TG3. Poi le arriva una telefonata. Con Miran si precipita fuori dall'hotel Safi, salgono su una Toyota con l'autista e una sola guardia del corpo e corrono verso l'hotel Amana, attraversando la linea verde. Attraversare la linea verde è molto pericoloso. Mogadiscio è una città ormai fuori controllo.

In più l'Amana, dove si dirigono Ilaria e Miran, è nella parte nord di Mogadiscio, quella controllata da Alimadi. Perché si prendono questo rischio? Qualcuno gli ha detto che dovevamo parlare di qualcosa. Se lei è andata lì doveva avere un motivo, perché andare a passeggiare sotto, sotto la mena, per lei era inconcepibile. E'il motivo per cui io ho la rabbia, per cui sono incazzato con il lago.

Perché eri lì? Perché eri lì, Dario? Perché eri lì?

Chi deve incontrare Ilaria Lamana? Si è sempre detto il giornalista dell'Ansa, Remigio Benni. La cosa non coincide con la dichiarazione di un nostro collaboratore somalo che l'aveva incontrata all'arrivo in aeroporto e che le aveva detto che noi eravamo partiti per Nairobi. Quindi non è Benni.

Ha incontrato qualcun altro? Chi l'ha chiamata? Ho recuperato dall'archivio le piantine che hanno permesso alla commissione di ricostruire la dinamica dell'incidente.

Ilaria arriva davanti all'hotel Amana. L'auto degli aggressori è già parcheggiata davanti al chiosco. Ilaria e Miran scendono, entrano dentro l'hotel e la loro macchina fa inversione.

Miran e Ilaria rientrano dall'hotel, entrano in macchina. La macchina riparte, la macchina degli aggressori taglia la strada, li blocca, due somali scendono dalla loro macchina e uno inizia a sparare. Quindi la macchina di Ilaria e Miran inizia la retromarcia fino a che si incastra contro un muro e lì si ferma.

Noi eravamo a casa di Marocchino e a un certo punto arriva la notizia che è successo qualcosa a Ilaria. Improvvisamente ha cominciato a urlare nella radio, si sentiva questa radio tracchiante Gabriella, Gabriella, Giovanni, aiuto, aiuto. La prima frase era confusa.

Abbiamo capito solo Ilaria e poi mi ricordo che... Siamo specificati verso la radio, abbiamo osservato il microfono, abbiamo cercato di capire meglio cosa succedeva e invece lui ha cominciato a dire hanno ammazzato Ilaria, hanno ammazzato Ilaria. La prima cosa che ci ha detto... è stato quello di prendere una scorta e andare immediatamente alla mano. L'unica cosa di cui mi sono preoccupata, mi ricordo, è di toccare l'aria.

Ho sentito che era calda e quindi ho cominciato a dire facciamo in fretta, facciamo in fretta, perché speravo che si potesse fare ancora qualcosa. E poi ho questi ricordi, hai presente degli zoom fotografici? Fum, così, fum, e questi sono i ricordi. Il ricordo della posizione del collo di Mira, il ricordo del foro dietro la nuca di Ilaria, il ricordo del dito di Ilaria, quindi ho pensato immediatamente che lei doveva aver messo la mano per proteggersi perché si vedeva il segno del proiettile che era passato. Nel frattempo Marocchino chiamava l'ambasciatore, l'ambasciatore ha detto che non poteva venire quindi lui imprecava dicendo come non potete venire, cosa possiamo fare qua?

Giancarlo Marocchino al momento dell'agguato si trova molto vicino ed è il primo ad intervenire. Prendo questa ragazza fra le mani, mi sembrava ancora in vita. Corro la macchina, parlo al colonnello Casazza e ci ho detto che mi sembra che la ragazza è ancora in vita.

Lui mi dice assicurati, io mi assicuro. Nel frattempo arriva una macchina della polizia, un colonnello. con il loro gaffo. Gaffo, un alto ufficiale della polizia di Alimadi, è il secondo ad arrivare.

È lì pochi minuti dopo l'attentato. Era già lì? Lo sapeva? Ma la cosa ancora più strana è che sul luogo dell'agguato non si presenta nessuna autorità italiana. E il fatto è ancora più assurdo perché tutto sta avvenendo a pochi passi dalla sede centrale della polizia di Mogadiscio, piena di poliziotti somali.

Perché nessuno è intervenuto? Le tre cose che avevano, allora non è stata una rapina, è solo stato così. Si vede che sono andati in certi posti che non dovevano andare.

Io penso che c'è una spiegazione. Politica anche? Non lo saprei dire.

O è solo questione di così, tanto per far vedere che si creano incidenti? No, no, no. Questo è un agguato bello e buono. Quindi premeditato? Sì, senz'altro.

Continuava a dire facciamo in fretta, facciamo in fretta. tant'è che quando poi abbiamo capito che l'ambasciatore non voleva venire, non sarebbe mai arrivato lì, abbiamo chiamato, anzi sempre marocchino, chiamala Garibaldi. Il risultato è che sul luogo dell'omicidio a dirigere le operazioni è solo marocchino. Il colonnello Gaffo è presente, ma nessuno fa rilevamenti, nessuno raccoglie prove o sente testimoni.

Di fatto nessuno fa nulla per far partire un'indagine. Ho chiesto a tutti i miei amici, loro mi hanno detto carica sulla tua macchina e porta all'aeroporto. Io ho rifiutato, prima cosa era molto lontano, poi li porto al porto vecchio che era neanche 800 metri dal successo.

Siamo arrivati a Porto Vecchio e a quel punto questa palla. Quando arrivano al Porto Vecchio, i corpi di Lari e Miran vengono adagiati su una banchina della rampa nord. E'arrivato il medico con una specie di pompa, non so come chiamarla, per cercare di capire se si riusciva a far qualcosa. E in questo rumore infernale della pala dell'elicottero, lui che fa questo gesto con la testa, che vuol dire che non c'è più niente da fare.

Le salme, avvolte in un lenzuolo azzurro, vengono poi portate dai militari su un elicottero, che vola subito verso la nave Garibaldi. Quando li scaricarono sul ponte, misero l'aria su una piattaforma e io mi accorsi che c'era del sangue ancora che usciva, quindi pedevo pompare del sangue e rimasi lì vicino a questo corpo e la piattaforma cominciò a scendere. Una volta scesi fu immediatamente presa e portata in quella che era il rinuncio.

infermeria, il piccolo ospedalino della nave. Quando hanno riaperto la porta tu hai potuto vederla? Ricordo di essere entrata e lei l'ho ritrovata di nuovo coperta da questo suolo verde e le ho toccato una mano, ho toccato una mano, ho sentito ancora...

Un po'calore, un po'una mano tiepida, l'ho toccata e poi mi ha portato via. Mentre i corpi di Ilaria e Miran sono sulla portaerea ai Garibaldi, la giornalista Simoni con il suo collega Porzio vanno all'hotel Safi. A quel punto io ho pensato di raccogliere gli effetti personali di Ilaria. Miran, Lovato, Ilaria.

Perché pensavo... pensavo alla sua famiglia. Qualcuno è entrato prima di loro nelle stanze di Larry e Miran?

Forse lo scopriremo quando saranno desecretati tutti i documenti. In questi anni sono usciti degli indizi, ma non sono mai stati approfonditi. La prima camera era quella di Miran, c'erano queste cassette se non sbaglio.

Io quello che ho trovato l'ho preso, l'ho messo in una borsa, blu elettrico. Gabriella Simoni parla di 7-8 cassette nella camera di Miran. Nella camera di Ilaria c'erano i tacquini, io ho sfogliato questi tacquini, ho visto che erano pieni di time code, questo ricordo perfettamente.

Immediatamente dopo mi sono occupata di prendere questa borsa a mandarina. Ci ho messo dentro il passaporto, i tacquini e gli oggetti personali. I tacquini che io ho messo via, se non sbaglio, erano cinque, ma due erano vuoti.

I tacquini e le videocassette hanno un grande valore. Possono esserci appunti o riprese che potrebbero spiegare... capire perché il aria miran sono stati uccisi capire che cosa è successo a questo materiale è importante perché c'è una certezza una parte non è mai arrivata a roma chi poteva avere interesse a far sparire Acquini e cassette. Che cosa c'era lì dentro che faceva paura?

Questa borsa io l'ho presa, l'ho chiusa e l'ho tenuta sempre con me. Ed è da qui che nasce tutto poi. Tutte le cose di Larry e Miran vengono poi portate sulla Garibaldi.

La borsa blu con le videocassette del girato viene immediatamente presa dal commissario di bordo. Per alcune ore è messa sotto chiave in una stanza della nave. E infatti, nell'inventario redatto dai militari, risultano solo i dieci cassette vergini. Nessuna traccia delle cassette col girato.

Questa borsa, io ricordo fisicamente di averla tenuta sempre, come non averla lasciata neanche un secondo. Non mi fidavo di nessuno. Doveva arrivare a Roma così.

Quando hanno inventariato tutto, l'hanno chiusa, sigillata e a quel punto io l'ho ripresa. Il giorno dopo, 21 marzo, Gabriella Simoni con la mandarina DAK sale sull'aereo che riporterà in Italia i corpi di Miran e Ilaria. Nella notte l'aereo fa tappa a Luxor. Qui, ad attenderli, ci sono i dirigenti Rai e il giornalista Giuseppe Bonavolontari.

I bagagli devono passare da un aereo all'altro. Io avevo sempre la borsa mandarina d'Hacca e non l'ho mai lasciata finché l'ho consegnata a quelli che partivano con l'aereo. Tu ti ricordi che sono partiti chiusi? Sono partiti chiusi, assolutamente.

Sigillati? Ma poi c'è stato un'altra cosa che mi ha fatto sentire che non c'era più nessuno. Qualcuno ha ammesso che i sigilli sono stati aperti.

Mi sembra che uno o due di questi bagagli, ma credo uno, noi lo apriamo. Quindi qualcuno durante il viaggio ha aperto i bagagli. Alcune borse arriveranno a Roma senza... senza sigilli, fra cui la mandarina d'ac di Ilaria.

E dentro non ci sono più i cinque tacquini messi dalla Simoni, ma solo due. Chi li ha sottratti e perché? E'per questo che io ti dico che questa cosa della borsa è importante.

Perché in quella borsa io ho pensato di mettere tutto quello che poteva essere importante per la famiglia e per chiunque volesse cercare un giorno di capire che cosa poteva essere successo. Il 22 marzo l'aereo con le salme arriva a Roma. Come già è successo sulla Garibaldi, quando le cassette non vengono inventariate, di nuovo accade una cosa strana.

Una volta arrivato a Roma, io incontrai insieme sempre ai dirigenti della RAI, incontrai il mio direttore di allora che era Andrea Giubilo e siccome dovevo andare in RAI per fare il servizio che poi veniva trasmesso immediatamente al mattino presto, mi fu detto di portare le cassette girate in RAI. Nessuna autorità si preoccupa di mettere in sicurezza il girato. Le cassette originali rimangono per dieci anni in RAI, fino a quando nel 2004...

La commissione parlamentare ne dispone il sequestro. Ne vengono consegnate sei, ma non c'è modo di verificare se ne manca qualcuna, non essendo mai state inventariate. Ad alcuni sembrano poche, per un viaggio durato dieci giorni.

Che quello fosse tutto il materiale girato all'aria ho dei grossissimi dubbi, sinceramente. Certo che le cassette erano poche. Per una persona che voleva raccogliere materiale, obiettivamente le cassette sono poche.

Ma evidentemente le cassette mancavano. Ilaria e Miran sono morti da appena tre giorni. Il 23 marzo ci sono i funerali di Stato, a cui partecipa un'immensa folla.

Eppure già qualcuno ha messo in moto la macchina del depistaggio. I rilevamenti sul luogo dell'omicidio mai fatti, il mistero delle cassette sottratte, i tacquini scomparsi, l'autopsia sul corpo di Laria che non viene fatta se non due anni dopo e su insistenza della famiglia. Nessuno che sequestra l'auto su cui sono morti Laria e Miran. L'impressione è che qualcuno fin da subito voglia sottrarre prove per confondere le acque. Succede così che mentre tutti a caldo parlavano di esecuzione......questa è una guatta bella e buona.

Erano stati uccisi con un colpo alla testa, tutti e due. Non era una pallottola che li aveva colpiti per caso. Si sono avvicinati e li hanno freddati con la tecnica da mafiosi. E'trattato chiaramente di un attacco diretto ad uccidere, quindi un attacco... che può essere il motore di matrice politica.

A poco a poco si inizia ad ipotizzare un altro movente. Vi hanno parlato di una sparatoria, che c'era stata una sparatoria o che uno ha fatto una cosa secca? No, una sparatoria.

In quel bivio là è stata la sparatoria, l'autista quando aveva sparato ha fatto marci indietro fino a questo punto qua, è andato contro il muro. Vi vedete che c'è un po'di segno, anche rosso, un po'di segno. E per me la macchina era proprio contro il muro e qui... Questo qua è il sangue di Ilaria. Secondo me, magari è una parolaccia, ma io dico che quella testa di cazzo di quel ragazzo che sparava per primo, lei poteva essere ancora in vita, perché lei, secondo me, la rapivano, secondo la mia opinione.

A Mogadiscio, il giorno dopo l'omicidio, i nostri servizi segreti scrivono un rapporto in cui si fa riferimento all'esecuzione. L'attentato sarebbe stato mirato alla persona. Secondo alcuni testimoni somali, l'attentato sarebbe stato eseguito da un comando ben addestrato e secondo quanto riferito, l'azione era stata pianificata in precedenza.

Ma quando arrivano all'ufficio centrale di Roma, queste righe, inspiegabilmente, vengono cancellate. scompaiono dalla stesura finale. Tre giorni dopo l'uccisione, non si parla più di un attentato mirato alla persona. Il rapporto viene sinteticamente battuto così.

Si stanno orientando le indagini sulla tesi della tentata rapina. E'passato più di un anno dalla morte di Larry Miran. Non è successo nulla, tutto fermo.

Fino a quando, nel giugno del 95, alla Vigos di Udine si presenta un somalo che vive in Italia. Dice di avere cose interessanti da rivelare. Io lavoravo alla Dicos sul traffico d'armi.

Quando viene fuori una cosa del genere me la prendo a cuore. Chi parla è uno degli investigatori del tempo. Non lo possiamo riprendere in volto per ragioni di sicurezza.

Noi l'abbiamo protetta perché per noi era una fonte veramente attendibile. ma attendibile al 100% La fonte, che chiede di restare anonima perché ha paura di rappresaglie, indica gli organizzatori dell'omicidio, fra cui Alimadi e Mugne, il proprietario della compagnia Schifko, le famose navi donate dalla cooperazione italiana non solo fa anche i nomi di due esecutori due persone che avrebbero sparato due poliziotti somali somali due poliziotti vuol dire due diciamo dello stato uno di loro potrebbe corrispondere ad un somalo di nome a do cittadino americano che aveva collaborato con la chia chi si sta avvicinando alla verità Non lo sapremo mai, perché dal luglio del 97 la procura di Roma toglie la delega all'indagine alla Vigos di Udine. E ce la tolgono del tutto.

E a chi viene affidato? Alla Vigos di Roma. A inizio così, una delle vicende più incredibili della nostra storia giudiziaria. Non mi interesseva di uscire in carcere, a me mi interesseva scoprire la verità.

Quanti anni sono che sei in carcere? Fra due mesi, 16 anni giusto. Ma chi è quest'uomo che ha passato quasi metà della sua vita in carcere in un paese a 10.000 km da casa sua? Si chiama Ashi Omar Hassan.

Quando mi hanno messo in galera, sapendo che io sono innocente, ho capito come funziona l'Italia. Secondo me è qualcosa che non vogliono dire alla milità, perché se non è successo niente, non prendevano un innocente. E'una pagina nerissima, è una pagina nerissima della giustizia italiana, perché hanno stravolto i principi giuridici del nostro sistema e lo hanno condannato con elementi di prova che in nessun paese del mondo avrebbero ritenuto attenti.

In nessun paese del mondo. Grazie a Dio mi è capitato a me. Se capitava a una somala debola si impiccava già.

Mi è capitato a me. Perché non ho paura di niente. La sua storia comincia quando entra in scena questo signore qui.

È l'ambasciatore Giuseppe Cassini, inviato dal Ministero degli Esteri in Somalia per raccogliere informazioni e per cercare elementi di prova sull'omicidio di Ilaria e Miran. Grazie. Sono stato nominato capo di una delegazione speciale per la Somalia nel settembre del 97. Non si capisce bene a quale titolo l'ambasciatore venga mandato in Somalia a fare indagini, visto che non è né un magistrato né un poliziotto. È al di là di ogni norma del diritto internazionale. Un ambasciatore non si può trasformare in investigatore.

Ma come si fa? Comunque sia a Mogadiscio, l'ambasciatore Cassini in pochi mesi riesce a trovare un testimone dell'omicidio. È un somalo di nome Gelle. Disse che una delle persone che erano dentro l'auto dei assalitori, lui la conosceva bene. Il testimone Gelle viene subito mandato in Italia per essere interrogato.

Accusa Ashi Omar Hassan di avere fatto parte del comando che ha sparato ad Ilaria Miran. Dice di averlo visto con i suoi occhi, perché era lì al momento dell'agguato. Questo signore racconta di essere presente lì al momento in cui c'è stata questa sparratoria.

Dice di aver assistito al prelevamento dei corpi e nel descrivere la scena pone Ilaria Alpi davanti. Ovatin dietro. Ma come?

Era Ovatin che stava seduto davanti, mentre Ilaria era sul sedile posteriore. A quel punto dispongono di far visionare a questo soggetto le riprese della televisione svizzera. Questo signore si sarebbe riconosciuto in un soggetto lì presente.

È lui che dice che era questo oggetto. Dice quello sono io. Quindi, nonostante Gelle sbagli clamorosamente a descrivere la scena dell'omicidio, gli inquirenti gli credono.

Un test così andava gettato al mare, invece è diventato un test importante. Ma un testimone solo non è sufficiente. E così viene fatto tornare in Italia per testimoniare l'autista che guidava la macchina su cui sono morti Ilaria e Miran.

Era già stato sentito. Quando viene sentito la prima volta in Italia... ha dichiarato che non era in grado di riconoscere nessuno degli aggressori, anche dalle modalità del fatto. Anche questa volta l'autista non ricorda niente.

Poi però, durante l'interrogatorio, succede una cosa strana. Lo interrompono per un paio di ore, vanno da Cassini a raccogliere la testimonianza di Cassini, di notte, ritornano, riaprono l'interrogatorio, è negli atti questo, modifica le dichiarazioni, modifica le dichiarazioni e accusa Asci. Shio Amar Hassan viene convocato a Roma per testimoniare su un altro fatto e invece come sbarca lo arrestano.

È il 12 gennaio 1998. Mi hanno messo ragginacelli, subito dopo mi hanno messo rabbibia, mi hanno portato giù un reparto solamente che non si può tenere niente sotto, sorvegliato tutto. Hassan viene indicato come l'assassino di Larry e Miran sia dall'autista che da Gelle. Gelle, considerato il super testimone, non si è nemmeno presentato in aula perché è scappato dall'Italia subito dopo aver deposto davanti al magistrato e alla Digos di Roma. In primo grado, nel 99, Hassan viene riconosciuto innocente e liberato.

Poi nel 2000, nel processo d'appello, dove Gelle continua a non testimoniare perché è irreperibile. La sentenza viene ribaltata e Hassan è condannato all'ergastolo. Hanno deciso tutto e mi hanno condannato a decidere l'ergastolo.

Hai capito? È una cosa organizzata. Hassan viene poi condannato definitivamente a 26 anni di carcere sulla base di un test, Gelle, che durante tutto il processo non si è mai visto. Nessuno in aula l'ha mai interrogato.

È un processo pilotato. Se è voluto, a tutti i costi, condannare quello. Bisognava chiudere il caso, bisognava nascondere la verità.

Luciano e Giorgio Alpi, i genitori di Laria, non hanno mai creduto alla colpevolezza di Hassan. Non si danno pace e nel 2004 finalmente la politica si muove. È istituita una commissione parlamentare d'inchiesta. Il presidente è Carlo Taormina, a capo di un'imponente macchina investigativa. Cinque periti, venti parlamentari, 35 consulenti, 200 testimoni.

E nel 2006, 12 anni dopo la morte di Ilaria, grazie all'aiuto di Marocchino, Taormina recupera la Toyota su cui sono stati uccisi Ilaria e Miran. La macchina è una prova fondamentale per capire la dinamica dell'omicidio. Ma la commissione non fa fare l'esame del DNA del sangue trovato sui sedili.

Due anni dopo lo farà la procura. Verrà fuori che il sangue non è quello di Laria. Nessuno può provare che quella era la sua auto. Invece il presidente Taormina, che ha preso la macchina per buona, chiude le sue indagini così.

Si è trattato di una rapina consumata in maniera improvvisa quando lei è uscita dallo della mano. Scusi un attimo, dunque traffico d'armi non c'entra niente? No, qua il traffico d'armi è buffonato. In questa intervista a Radio 24 che ha fatto scalpore, il presidente Taormina arriva addirittura a dire...

Cioè non è morta per le sue inchieste giornalistiche, dice lei? Ma non stava facendo nessuna inchiesta giornalistica. E che stava facendola?

L'ultima telefonata che ha fatto aveva detto alla madre io sto tanto bene qui, vorrei proseguire questa vacanza. Questo lavoro è... Dunque era, secondo lei era in vacanza?

Certo, era in vacanza, fino al giorno prima era in vacanza. Benissimo. No, ma stiamo screditando la memoria della collega. Spucinati, no? Io non ho screditato nulla, no, assolutamente.

Due mesi fa un colpo di scena. La giornalista Chiara Cazzaniga, di chi l'ha visto, ritrova il super testimone Gelle, scomparso da 18 anni. Vive a Birmingham, in Inghilterra. Quello che le racconta è sconcertante.

Era tutta una bugia, era tutto falso. Io sono stato un mezzo per costruire questa bugia. Questa persona non sono io. Io non ero presente quando Ilaria è stata uccisa. L'accordo era che mi avrebbero portato via e che mi avrebbero dato dei soldi.

La persona che mi ha portato qui è la persona che mi doveva dare i soldi. Ed è l'ambasciatore. Cassini nega di avere mai pagato Gelle.

Naturalmente trovo un po'ridicolo per raccontare che gli erano stati promessi soldi che poi non sono stati dati. Mi hanno detto di questo nome, di questo nome e basta. Chella era disponibile di parlare già tanto tempo fa.

Se qualcuno andava a cercare, lui raccontava tutto, come ha raccontato adesso. Però hai detto che per tanti anni non sei riuscito a sentire nessuno in sua vita. No, no, la mia famiglia non l'ha sentita da 13 anni.

Non l'ho sentita da 13 anni. Quando l'hai sentita tua mamma che ti ha detto? Ma no, mi ha detto Nosea Omar. Nosea è il mio figlio.

In questa storia dove tutto si capovolge, è la mamma di Laria, la signora Luciana, la persona che si prende cura di Hassan. È grazie a lei se dopo 13 anni Hassan può uscire dal carcere un giorno alla settimana. Nel 2008 avevo trovato un paio di documenti grazie a mamma Luciana e abbiamo chiesto la veneziana e il processo. Mamma Luciana? Mamma Luciana, e io chiamo mamma.

E non usciva per me se lei non scriveva la magistratura di sorveglianza. E ho chiamato mamma Lucia, prima di mia madre. Ah sì? Sì, sì, ho chiamato, e poi dopo ho chiamato mia madre.

Ti fanno impazzire in questi anni? No, non puoi impazzire, no, assolutamente. Perché se impazzisci, vengono loro.

Loro sapevano che sono innocente, sapevano che sono innocente. Non è solo il soggetto del capo respiratorio, badate bene, ma è il movente del fatto. Perché attraverso Asci si è voluto provare che si è trattato di una rapina e che Asci fosse un rapinatore. Quindi caddeva qualsiasi sospetto sul fatto che ci fosse stata una trappola.

Passando Asci, passando Asci come capo respiratorio, passa la teoria della rapina. E il processo si chiude. Mi torna in mente un concetto caro a Franco Liva, il funzionario del Ministero degli Esteri che stavano per ammazzare a Mogadiscio. Solo la nozione di sistema riesce a dare una spiegazione sul perché non si è arrivati né a una operazione sanzionatoria né a un'operazione di verità.

L'episodio Alpi, perché poi si ferma, si insabbia, diventa sempre qualche altra cosa, poi ci va di mezzo un giovanotto e viene messo in carcere? Cioè, se non c'è una nozione di sistema in cui interno trovano logica, sistemazione, tutti i fatti, noi una spiegazione non la troveremo mai. E se un sistema così complesso e articolato, che comprende forze dell'ordine, politica, magistratura, servizi segreti, si muove per vent'anni senza mai mollare di un centimetro, vuol dire che sotto c'è qualcosa di grande, una verità che nessuno deve sapere. Qual è questa verità che Ilaria e Miran avevano scoperto nel loro ultimo viaggio? Ilaria, prima di partire per l'ultimo viaggio, va a trovare il giudice Casson.

Mi aveva chiesto informazioni relativamente a un traffico di armi e la motivazione appunto del contatto era questo traffico che c'era stato di materiale da un momento internazionale, il coinvolgimento dei servizi segreti. Secondo lei quindi questo delle armi, del traffico anche legato ai servizi segreti era un interesse di l'area? Direi che era l'unico perché non c'erano altri motivi per venire a parlarne perché mi ricordo che questo mi aveva...

così il 12 marzo ilaria parte con miran rovati in permogadiscio viaggiano su un aereo militare l'aria chiede disperatamente di andare a coprire questa perché sarà per lei l'ultima occasione di occuparsi di somalia che mi ricordo quando lei mi ha chiesto di partire l'ultima missione Siamo stati un'ora al telefono e lei ha detto esattamente questo, questo qua è lo scoop della mia vita, è il servizio della mia vita. Alberto Calvi in quei giorni non può partire, ha un contenzioso con la RAI, ma Ilaria insiste e disposta a fare il suo lavoro. ad andare anche senza di lui mi ha richiamato e c'era una guarda sai ho risolto alberto trovarsi mi dici così sono tranquilli mi raccomando 70 perché sa che le condizioni per non sono sopra i bt quando ilaria il suo nuovo operatore Miran Rovatin arrivano a Mogadiscio, in città che è già stata abbandonata dai militari della missione ONU, sono rimasti pochi occidentali.

Ilaria, anche stavolta, alloggia all'hotel Safi. I primi due giorni, Ilaria e Miran documentano le ultime missioni umanitarie del nostro contingente, prima a Merca e poi a Joar. Qui, all'improvviso, Ilaria decide di lasciare la missione ufficiale e parte insieme a Miran per Bosaso, una città a nord della Somalia, lontana dalle cronache ufficiali. Questo accade proprio mentre tutti stanno scappando dalla Somalia. La maggior parte dei giornalisti, infatti, è già in salvo sulla nave Garibaldi.

Bosaso è in una zona controllata da tribù vicina ad Alimadi, il signore della guerra con cui l'aria si era scontrata. Come mai l'aria ha tutta questa fretta di andare a Bosaso? Quello di cui si aspettava è che al nord, in questo porto qua, ci fosse il ganglo, ci fosse lo snodo dei traffici della cooperazione.

Questo era il punto. Lei voleva trovare a Bosaso le prove. Appena arrivano, Ilari e Miran vanno al porto.

È strano andare lì al tramonto, non c'è nessuna attività commerciale e può essere pericoloso. La cosa curiosa è che ci torneranno di nuovo la mattina dopo. E qui incontrano uno strano personaggio. È Musa Bogor, il fratello del sultano di Bosaso, una specie di governatore.

natura del posto. L'ho intervista per dieci minuti, poi all'improvviso Ilaria gli fa una domanda. Senta, cambio completamente argomento. Parlano di questo scandalo di questo proprietario somalo con passaporto italiano che si chiama Mugne che avrebbe preso queste navi che erano di proprietà dello Stato e le avrebbe usate a suo uso privato.

Lui con altre persone, io le chiedo di spiegarmi che cosa è successo. Beh durante il collasso lui era a capo di questa flotta, un'internazionale che si chiama Schiff. Ecco, questo è il punto a cui vuole arrivare l'aria, la flotta Schifko, regalo della cooperazione italiana che abbiamo visto implicato in traffici illeciti di armi e di rifiuti, un punto molto delicato. Questa proprietà apparteneva ad una società italiana.

E la società è in collusione con Muglio, perché Muglio non era niente e non è niente tuttora. E la società che manuca. Sai il nome della società?

Il nome? La conosci? Io no. Queste navi sono in Italia adesso? La maggior parte del tempo sono nei nostri mari.

Adesso le abbiamo chiamate. Che cosa è successo? Che cosa avete fatto dopo aver preso la nave?

Il sultano sembra stupito dal fatto che le navi sono in Italia. che Ilaria non reagisca a quella che secondo lui era una rivelazione. Che cosa avete fatto dopo aver preso la nave?

Infatti il tono di Ilaria non è sorpreso. È evidente che Ilaria è già a conoscenza del sequestro di una nave scifco, la Farax Omar. Solo i servizi sapevano di questo sequestro. Sapevano anche che a bordo c'erano tre italiani ed avevano avvertito il Ministero degli Esteri.

In questi casi si sarebbe dovuta attivare l'unità di crisi. Invece niente, silenzio. Ilaria insiste, vuole sapere di più della nave. E dov'è la nave? Non la possiamo vedere?

Come potete vedere? Perché lei viene dal sismo, perché deve vedere? Prendi informazione e basta. Ma Bogor si sottrae. Non posso dirgli l'aria.

Poi dice esplicitamente che parlare è pericoloso. Cosa stava succedendo davanti alle coste di Bosaso in cui giude? giorni.

Sicuramente un'operazione delicata che coinvolge la Schifko. Sicuramente Ilaria stava indagando sul traffico di armi. Questo rapporto ONU riguarda le violazioni dell'embargo al traffico di armi.

Dice che due anni prima della morte di Laria è arrivato in Somalia, trasportato proprio dalla Scifco, un carico di armi partito da un paese molto lontano, la Lettonia. A gestire la spedizione è un tale Dibranci. Finora nessuno aveva mai seguito questa pista.

Rintracciare Dibranch non è difficile. Ci aiuta Iman Sliapins, un noto giornalista investigativo lettone. Ex ufficiale dell'Armata Rossa, Dibranch ha lavorato nei primi anni 90 per il Ministero della Difesa Lettone. Buongiorno, abita ancora qui Yanis Dibranj?

Cosa volete? Siamo dei giornalisti, vorremmo incontrarlo per fargli alcune domande. Di che si tratta? Riguarda la sua attività lavorativa dall'inizio degli anni 90, perché Yanis Dibranj, come lei saprà molto bene, trafficava illegalmente con le armi tra l'Epaia e la Somalia.

Io sono informata sui fatti, è tutto. A me non piace tutta questa situazione. E spero che questo non venga mostrato da nessuna parte. È dentro casa.

Chiamatelo. Signor Yanis Dibranch? Chi siete? Siamo dei giornalisti. Siamo davanti a casa sua e le chiediamo se può uscire per fare una breve intervista.

In questo momento non mi sento bene. Oggi non parlo con nessuno. Va bene, allora veniamo domani. Domani non sono a casa.

Il mio collega Imanz mi porta fino al porto di Liepaja. 200 chilometri da riga, da dove è partito il carico di armi. Quindi da qui, nel 92, partivano le navi cariche di armi dirette in Somalia. Lo schema del traffico illegale d'armi nel 92 era molto semplice.

Le armi, prodotte in Polonia e commercializzate dalla CENREX, arrivavano nel porto Lettone di Lepaia con la scusa che una parte di esse era destinata all'esercito Lettone a titolo di donazione. Ne scaricavano solo una piccola parte, circa 300 AK-47. La parte rimanente del carico principale proseguiva verso le coste della Somalia, dove le armi erano trasportate dalla nave Nadia sulle navi di proprietà della società locale Schifko.

Proprio all'ep Lepaia, perché era necessaria questa triangolazione? Il porto di Lepaia è stato scelto perché Dibranch, uno degli organizzatori di questo traffico, aveva i suoi contatti proprio qui sin dai tempi in cui lavorava nell'esercito dell'ex Unione Sovietica. Dibranch, come dipendente del Ministero della Difesa, firma dei contratti falsi e insieme ad altri complici concorda un enorme traffico d'armi che con un solo carico procura agli organizzatori grandi guadagni. La figura centrale di questi traffici era Monser Al-Kassar.

Al-Kassar, il famoso trafficante internazionale di armi. Imas, mentre parliamo, ci dice una cosa per noi fondamentale. Lo stesso schema e lo stesso traffico del 1992, D-Branch e Al-Qassar lo rimettono in piedi nel marzo del 94. Stesso punto di partenza, il porto di Lepaya. E stessa destinazione, la Somalia.

Questa è una notizia inedita che dà una nuova luce alla vicenda di Laria. Lei e Miran Abosaso stavano seguendo questa pista? Subito dopo aver chiesto notizie sulle navi Schifko al fratello del sultano, Ilaria e Rovatin partono.

E'il pomeriggio del 15 marzo. Muoversi in Somalia dopo il tramonto è molto pericoloso. Loro però si avventurano lo stesso sulla strada Garò e Bosaso, che da anni è al centro di strane voci.

Si parla di rifiuti tossici interrati e di camion che al buio transitano con carichi misteriosi. Arrivano nella notte a Gardo, un pugno di baracche in mezzo al deserto. Tutti gli spostamenti di Larry e Miran probabilmente sono monitorati.

Sono sempre stati dentro gli occhi, sempre e continuamente. Non li hanno mai lasciati, neanche per un istante. Ma quando dici così, cosa vuol dire?

Che erano seguiti? Che c'era qualcuno che gli stava... Sono sempre seguiti, almeno da quando l'Alpi ha cominciato a mettere il naso su certi affari nei quali non doveva mettere. Un'informativa del SISDE segnala in quei giorni, nell'area di Bosaso, la presenza di un agente della struttura segreta Gladio, Jupiter. Cosa stava succedendo lì a Busaso?

Perché c'era uno di Gladio che stava lì? Questo era un agente operativo e serviva per togliere di mezzo o pulire il terreno. qualora il terreno si fosse sporcato.

In questo caso il terreno era sporco, era sporco dell'Alpi e di Romani. Ilaria e Miran la notte fra il 15 e il 16 dormono a Gardo. La mattina fanno un giro nei dintorni, riprendendo pozzi e intervistando volontari di una ONG americana.

Poi ripartono sulla strada Garò e Bosaso. La sera devono prendere l'aereo per Mogadiscio, ma il volo del 16 marzo parte senza di loro. In questi anni molti hanno sostenuto che hanno perso l'aereo perché erano in ritardo.

Ma Locke, il capo redattore di L'Area, smentisce. Per cui non ha perso l'aereo? No, non ha perso l'aereo. Questa storia che lei ha perso l'aereo?

Ma no, è una sciocchezza. L'aereo non è lei. È l'aereo che perde lei.

Quindi Ilaria vuole partire, è pronta, ha già in mano tutto quello che le serve. E mi dice, c'è un servizio importante, c'è una roba grossa senza dire il quale. E quindi si spostano i satelliti.

Cosa aveva in mano Ilaria? Sapeva qualcosa del carico di armi che viaggiava sulle navi? A Riga, in Lettonia, incontro di nuovo i Masliepins.

Mi mostrano un rapporto dell'ONU mai visto in Italia. In questo rapporto dell'ONU, a pagina 20, è segnalata la violazione dell'embargo verso la Somalia nel 1994. Dice che nel marzo 94, proprio quando Ilaria era bosaso, un consistente carico di armi è arrivato in Somalia presumibilmente violando il divieto. Ma la rivelazione sorprendente è che una parte del carico proviene dagli Stati Uniti.

5.000 fucili d'assalto e 5.000 revolver che viaggiano insieme a lancia granate e mitra di una società polacca. Non so dirti di più circa la parte americana del carico. Perché i documenti del processo sono stati inspiegabilmente secretati. Bisogna considerare che la Lettonia proprio in quegli anni stava entrando nella Nato. Ma posso dirti che il carico è partito dalla Lettonia.

E prima di arrivare in Somalia è stato trasferito su navi locali Schifko. Hai parlato di Schifko, quindi vuol dire che c'è sempre di mezzo la Schifko anche nel 94 in questa triangolazione di armi? Sì, è stato così. quelle del 92 e del 94, vedevano come protagonisti D-Branch e Alcassar.

La destinazione poi era la stessa. Non penso proprio che possano cambiare i vettori. Quindi a marzo 94, si presume a bordo delle navi Schifko, stava navigando un carico assolutamente anomalo. Armi americane mischiate ai traffici illegali di Al-Qassar, il trafficante implicato nello scandalo dell'Iran Gate, che fece traballare i vertici dell'amministrazione Reagan.

Ma le sorprese continuano. Digitando la composizione del carico e le parole chiave esce un documento inaspettato, un documento del governo americano. Il presidente Clinton a fine 93 dispone la spedizione di 5.000 fucili d'assalto, 5.000 pistole calibro 45 e altro materiale per completare la missione di pace in Somalia.

È esattamente lo stesso carico individuato dal rapporto ONU. Perché delle armi spedite dal congresso americano viaggiano illegalmente insieme ad un carico partito dalla Polonia? Perché queste armi, pagate 25 milioni di dollari dai contribuenti americani, le troviamo in un documento sulle presunte violazioni dell'embargo? Ilaria e Miran sono bloccati a Bosaso.

Gli hanno fatto perdere il volo del 16 marzo. Un documento del controspionaggio del 14 marzo ordinava all'uomo di Gladio, Jupiter, di rientrare a Mogadiscio. Il primo volo era proprio quello del 16 marzo.

Questo Jupiter deve rientrare. Può essere che abbiano fatto perdere in un qualche modo l'aereo ai ladri Miran perché su quell'aereo doveva viaggiare lui? Sì e no. Gli hanno fatto perdere forse anche per quel motivo lì.

Un motivo era quello che dovevano stare. preparando la buona accoglienza alla Alpigio a Mogadiscio. Quindi rallentando la partenza dei giornalisti, loro hanno tutta la facoltà, la facilità operativa di poter prepararlo bene. Tre giorni prima di essere uccisi, il 17 marzo, Ilaria e Miran riprendono dei pozzi petroliferi abbandonati.

Il 18 è l'ultimo giorno di Ramadan e non si può lavorare. Il 19, prima di partire, tornano un'altra volta al porto di Busaso. Ilaria sta indagando sul traffico di armi.

Le navi Schifko sono il suo chiodo fisso. La nave sequestrata a Bosaso, la Faraxomar, però è troppo piccola per trasportare il carico indicato dal rapporto ONU. L'unica nave scifco in grado di portare quel carico è la 21 ottobre, la nave madre della flotta, che in quei giorni fa un giro strano.

Dai documenti della Lois di Londra, possiamo ricostruire che passa davanti alla Somalia, ma non si ferma. Arriva fino in Iran. Lo stesso giorno la Farax Omar viene liberata al porto di Bosaso. Era evidentemente ostaggio fino alla consegna del carico. In effetti le armi americane non sono mai state consegnate in Somalia.

E guarda caso, l'ambasciatore americano Peter Galbraith, proprio nello stesso periodo, apre un canale segreto di forniture di armamenti dall'Iran alla Croazia. Bisognava armare il fronte croato contro i serbi filorussi. Le armi che Clinton aveva spedito per la missione di pace in Somalia finiscono illegalmente in Croazia ad alimentare una guerra fratricida? È per questo che muoiono Ilaria e Miran? Addosso a Ilaria c'è un foglio macchiato di sangue con il numero di telefono di una società americana che commercia armi, la Ramco.

Un tenente italiano, mesi dopo, scrive che l'omicidio sarebbe stato commissionato dalla CIA. E la Digos di Udine, prima che la bloccassero, stava indagando su un esecutore dell'omicidio. Un somalo di nome Addo, probabile collaboratore della CIA.

Questa storia noi l'abbiamo ricostruita così. Chissà se anche Ilaria, nel suo ultimo servizio, l'avrebbe raccontata allo stesso modo. E soprattutto, che cosa sarebbe successo nel 94, se Ilaria e Miran avessero raccontato al mondo questa ingombrante verità?

Io posso vedere il disco di Manolo a tre di memoria. Pronto? Ciao, sono io. Ciao. Bene, come va?

Bene? Sono qua. Quelli della Digos ti hanno più richiamato? No, niente.

Però se mi chiamano e dico a cazzo adesso, sarete contenti, avete preso due bandi, il caso è finito, no? Ci dirò. Vediamo che cazzo dicono.

Però io adesso è possibile che mi danno un documento. dove c'è tutti i nomi di quelli che erano sulla macchina, tutti i nomi, è un documento che non dicono che l'hanno rubato alla polizia, se è così loro sapevano già tutto dall'inizio. e hanno nascosto tutto, che poi in realtà è quello che so io, però è una documentazione effettiva, fatta.

Se è vero così che mi danno questi documenti in mano, è come avere una bomba atomica.