Ascoltatemi, riempirò i vostri occhi di lacrime. Nessuno avrà pace, frecce avvelenate colpiranno tutti voi, febbri violente abbatteranno i valorosi e una malattia incurabile colpirà come il fulmine. Il Signore Onnipotente ha detto, l'uomo che ho creato verrà cancellato dalla faccia della terra. Grazie. Per tre terribili anni, tra il 1348 e il 1350, la peste nera portò l'uomo medievale alle soglie di un apocalisse.
I vivi aspettavano solo la morte. Ovunque i cimiteri erano stracolmi di cadaveri. La mortifera pestilenza indusse i vivi a credere per tutta la durata di questo flagello che il giudizio finale fosse arrivato. Era un mondo senza speranza, apparentemente abbandonato da Dio.
Dall'Italia all'Irlanda, l'Europa perse quasi metà dei suoi abitanti. 20 milioni di persone morirono. In questa crisi, ogni strato della società medievale giunse quasi al punto di rottura. La medicina non aiutava i malati. Si diffusero culti religiosi violenti e macabri e la moralità subì un tracollo.
Gli uomini si aggredivano in brutali atti di crudeltà. Nessuno sapeva chi o cosa aspettarsi, se l'anticristo o la fine del mondo. Alcuni sopravvissero e raccontarono i drammatici eventi. Scrittori, dottori, avvocati, preti. Testimonio oculari di questa epidemia.
Le loro parole straordinarie sono la sconvolgente e sconcertante della peggior catastrofe nella storia d'Europa. Nonostante le conseguenze traumatiche, il continente non ripiombò in un'altra epoca buia. Anzi, il graduale risveglio dell'Europa germogliava proprio dagli orrori e dalla tragedia della peste nera. A metà del XIV secolo, l'Europa non era il continente oscuro spesso descritto dagli storici. Era ben abitato, sofisticato, dinamico e religioso.
La gente viaggiava, c'erano commercianti, mercanti, pellegrini, soldati, burocrati, persone che svolgevano le più svariate attività e si spostavano all'interno della società. Nessun luogo era più fiorente e ricco di commerci come i porti e le città dell'Italia settentrionale. Firenze, con una popolazione di oltre 100.000 abitanti, veniva paragonata a un melograno maturo, un crogiolo di relazioni umane, mercanti, agricoltori, ricchi e poveri, affari e piaceri. La popolazione era numerosa, le città erano grandi, affollate, ma erano anche molto ricche e attiravano tantissima gente, quindi rappresentavano un luogo dove una malattia poteva prosperare.
In questo crogiolo medievale, nell'autunno del 1347, si insinuò una malattia terribile e misteriosa. Fu portata dai marinai di ritorno dal Mar Nero ad Est. La peste scorreva già nel loro sangue e nelle loro narici. All'inizio i cittadini non immaginavano le proporzioni del flagello che li avrebbe colpiti. La malattia che in seguito divenne nota come peste nera, minacciò ogni settore della vita medievale, società, religione, feudalesimo, famiglia.
Nella città di Piacenza, l'avvocato Gabriele De Mussi descrive l'arrivo della malattia. Mi hanno pregato di scrivere quanto è successo. Ogni città, ogni insediamento, ogni luogo è stato infettato dalla contagiosa pestilenza. Chiunque abbia contratto la malattia ha contagiato l'intera famiglia e chi si apprestava a seppellire i defunti è stato colto dalla morte in medesima.
...guisa, così la morte penetrò nelle case, devastò città e paesi mentre i sopravvissuti piangevano i loro cari. L'Italia era la prima vittima di un'epidemia sconcertante, nessuno era preparato alla velocità e agli orrori del contagio. Le persone venivano colte da una febbre simile a influenza e cominciavano a vomitare.
Sul collo, sotto le ascelle sull'inguine, comparivano dei riconfiamenti o buboni pieni di pus. Sulla pelle comparivano ematomi rossastri e neri causati da emorragie interne. Nel giro di una settimana subentrava la morte per insufficienza respiratoria.
Nel giro di due o tre mesi, il 20% della popolazione si era trasformato in un mucchio di cadaveri. La reazione più naturale fu probabilmente lo sconcerto. La gente era sgomenta, perché non aveva idea di come fermarla. Sebbene non ci fossero cure conosciute, molti dottori tentarono di tutto.
Tra questi ci fu Gentile da Foligno, docente di medicina all'Università di Perugia, si rese conto di quanto la malattia fosse inarrestabile. Questa pestilenza, come la chiamano i pisani, o epidemia, o comunque la si voglia chiamare, è per i mortali un flagello senza procedenti. Nessuno ha mai riferito di malattie di tale gravità.
I cittadini ricchi si aggrappavano a ogni speranza, acquistando qualsiasi rimedio che potesse salvarli. La causa immediata e specifica è una sostanza velenosa secreta dal cuore e dai polmoni. Come medico non posso curarmi dell'aldilà, ma devo solo concentrarmi sui sintomi e dare sollievo ai malati. Gentile consigliò alla gente di mangiare lattuga e di dormire su entrambi i lati per mantenere costante il calore del fegato.
Anche giacere su pini, a volte può essere letale. Sorprendentemente, a chi presentava sintomi avanzati, applicava un impasto ottenuto dalla resina della gomma, dalle radici di giglio bianco e da escrementi umani essiccati. Per curare un malato si usavano i prodotti del suo stesso corpo, sangue, escrementi o altri prodotti di scarto che venivano sottoposti a una specie di distillazione perché si credeva che potessero fornire un rimedio magico potenzialmente efficace. Questi metodi risalivano all'antico medioevo.
e fallirono senza eccezioni. Come accadde allo stesso gentile da Foligno, il 18 giugno 1348 la peste aggiunse il suo nome alla lista dei decessi. Quando ci si rese conto che la malattia era incurabile, restavano solo la fede in Dio e gli sforzi della Chiesa.
Se in una casa giaceva un malato, nessuno si avvicinava. Anche gli amici più cari si discostavano e piangevano. Il medico non li andava a visitare.
I preti, in preda al panico, amministravano i sacramenti tremando di paura. Nessuno sapeva cosa fare. La religione non era una difesa contro la malattia.
Spesso i preti che osavano avvicinarsi ai moribondi cadevano anch'essi vittime della malattia. A Piacenza la peste nera si insinuò nell'ordine religioso, uccidendo più di 60 sacerdoti. La paura era aggravata dall'ignoranza. Alcuni credevano che la malattia si trasmettesse con lo sguardo, altri erano convinti che il semplice pensiero procurasse la morte. La società italiana era in grave pericolo.
La disgrazia fu descritta dalla penna di Giovanni Boccaccio. Lo scrittore fiorentino fornì una testimonianza lucida e angosciante della peste nera. Era così fatto spavento questa tribolazione entrata nel petto dei vivi, che l'un fratello l'altro abbandonava, così come il zio il nipote, e la sorella il fratello, e spesse volte la moglie il suo marito. E maggior cosa, quasi non credibile.
Li padri e le madri schifavano di visitare e di servire i loro figliuoli, quasi non lo fossero. Confusi, terrorizzati, indifesi, ignoranti. Familiari e amici si evitavano a vicenda.
Tutti quasi a un fine assai crudele tiravano, che era quello di schifare e di fuggire gli infermi e le loro cose. E così facendo, si credeva a ciascuno salute acquistare. Nel 1348 tutti pensavano che l'apocalisse fosse vicina.
Erano stati colpiti da una gravissima calamità. Non c'era mai stata un'epidemia di quella portata e non sapevano come reagire. I legami della società si ruppero e i ritmi della vita medievale vennero pian piano sconvolti.
Nessuno faceva il raccolto, né accudiva il bestiame. Nella città di Siena i tribunali civili furono chiusi e i lavori alla cattedrale furono interrotti e mai ripresi, tanto che la grande navata è incompiuta ancora oggi. Alla morte dei governanti locali, la vita della città si fermò.
Le proporzioni del disastro cominciavano a delinearsi. Oltre al grande numero di malati e di morti, niente ormai funzionava più. Nessuno portava via i cadaveri, la sanità per quel poco che esisteva era allo sfascio, non si produceva più cibo.
Quindi, oltre alla malattia, si diffuse la carestia e il problema di mantenere una sorta di ordine. E in tanta afflizione della nostra città, l'autorità delle leggi umane e divine era quasi scomparsa. Siccome gli altri uomini, i ministri ed esecutori di quelle, erano tutti o morti, o infermi, o rimasti presso le loro famiglie, che ufficio alcuno non potean fare, per la qual cosa era a ciascun lecito da doperare.
In un mondo apparentemente abbandonato da Dio, nessuno pensava di vivere a lungo. Molti si comportavano come se ogni giorno fosse l'ultimo. Nella società italiana, la moralità era in disfacimento.
Altri affermavano essere medicina certa a tanto male l'andare a sollazzarsi e il soddisfare l'appetito bestiale d'ogni cosa. Così passando il giorno e la notte da una taverna all'altra, bevendo senza misura e facendo per l'altrui case cose che a loro venissero a grado, poiché ciascuno aveva le sue cose messe in abbandono e il più delle case erano divenute comuni. Così l'usava lo straniero, come l'avrebbe il proprio signore usate.
Durante la primavera e l'estate del 1348, il numero dei morti aumentava in modo inesorabile. A Venezia morirono 90.000 persone. A Firenze, metà della popolazione. Alla gran moltitudine dei corpi portata a ogni chiesa, ogni dì, quasi ogni ora, non essendo sufficiente la terra sacra per le sepolture, poiché ogni parte era piena, fosse grandissime furono scavate, nelle quali a centinaia furono gettati i corpi. A Siena, vicino alla famosa cattedrale gotica, le vittime furono gettate in pozzi bui nelle fondamenta del vecchio municipio.
I loro resti ci sono ancora oggi. Come annotò un cronista dell'epoca I corpi venivano sovrapposti ad altri corpi separati da un sottile strato di terra e così aggiungevano strato sopra strato come si sovrappone il formaggio sulle lasagne A Milano la paura del contagio scatenò una reazione brutale. Le autorità cittadine ordinarono di chiudere e oscurare le case dei malati, lasciandoli dentro a morire. Tutti ormai pensavano che Dio stesse punendo il mondo.
Sull'orlo dell'abisso, il resto dell'Europa si fece forza, cercando delle risposte. Era possibile fermare l'ira divina. A quel punto, mentre la peste nera imperversava in Europa, l'orrore della malattia era offuscato dall'orrore della reazione umana. In sei mesi la peste nera aveva stroncato milioni di vite, sconvolgendo l'Italia. Nella primavera del 1348 arrivò nella Francia meridionale.
E'chiaro che la malattia seguiva le vie dei commerci nell'Europa occidentale, che all'epoca del XIV secolo formavano una rete piuttosto complessa, gestita per lo più da italiani. Infatti fu proprio l'Italia a esportare con successo la malattia in altre zone d'Europa. Nei mesi a venire, la paura della peste nera avrebbe colpito il cuore della chiesa, favorendo il nascere di strani riti di penitenza. Ma ancora peggio, avrebbe scatenato un profondo odio verso gli stranieri. La pestilenza si diffuse rapidamente verso l'interno, fino alla sede papale di Avignone.
Papa Clemente VI teneva udienza qui invece che a Roma. All'epoca Vignone era una città alimentata dal potere religioso e dalla diplomazia. Tutto ruotava intorno alla corte papale che constava di circa 600-700 persone.
Ma la città era anche un punto strategico in Europa, dove convergevano la cultura, la politica, la teologia. l'arte e la scienza. Il Papa era la voce di Dio sulla terra. Nella sua corte correvano voci e dicerie. La religione li avrebbe sicuramente salvati.
Tra i cortigiani, il musico e filosofo Louis Eiligen divenne un testimone unico dell'arrivo e degli effetti della malattia. L'intera provincia è stata colpita da questa grande calamità. Le persone non mangiano più i pesci di mare, perché pensano che siano stati contaminati dall'aria corrotta.
La gente è convinta che tutta la costa e le regioni confinanti siano state contagiate dall'alito putrido del vento che soffiava dalle zone colpite dalla pestilenza. Giorno dopo giorno, molti periscono ancora. Ora, per volere divino...
ha raggiunto anche noi. Come molti uomini devoti e istruiti, Eiligen credeva che la pestilenza fosse un miasma diffuso in tutto il continente da un dio furioso. Il decadimento morale era la causa di questa punizione divina.
Tutte le grandi malattie avevano una causa divina. Dio punì l'Egitto e gli israeliti con le piaghe. Bisognava andare alla ricerca di forme di degrado, inteso nel senso di degrado morale, di vizio, di malvagità. Era il momento di aggrapparsi alla propria fede. Il Papa dichiarò che la preghiera, la devozione e le processioni erano la strada verso la salvezza e la sopravvivenza.
Ma non fu così. Il numero di moribondi era talmente alto che il Papa fece costruire e consacrare nuovi cimiteri dove seppellire i corpi in decomposizione. Consacrò addirittura il Rodano per potervi gettare i cadaveri. Ad Avignone seppellirono un vicimila persone.
Nel giro di sei settimane un terzo dei cardinali e metà della popolazione morirono. Avignone, il centro della cristianità, non era stata risparmiata. La Chiesa Cattolica stava tradendo i suoi fedeli? Alcuni lo pensarono.
Sorse un insolito movimento di estremisti laici. Si facevano chiamare flagellanti e sfidavano l'autorità della Chiesa. assistemmo al passaggio della processione di devoti che cantavano litanie uomini e donne avanzavano molti a piedi nudi altri con il cilicio tutti cosparsi di cenere procedendo lentamente tra pianti e lamenti alcuni si colpivano con dei flagelli finché le loro carni non sanguinavano I flagellanti avanzavano di città in città, frustando se stessi e gli altri in una penitenza frenetica e brutale.
Robert Avesbury assistette a una di quelle processioni. Indossavano un cappuccio con una croce rossa dipinta davanti e dietro e portavano una frusta con tre cinghie. Ognuna di queste cinghie aveva un nodo e posto nel mezzo un oggetto accuminato come un ago. Mentre camminavano, cantavano litanie cristiane e uno dopo l'altro flagellavano con le fruste i loro corpi, nudi e sanguinanti.
Gli osservatori dell'epoca descrissero i flagellanti come persone che si colpivano facendo schizzare il sangue sui muri delle case. Cosa pensava la gente davanti a un simile spettacolo? Pensava a Gesù, che soffriva e sanguinava per espiare i propri peccati. Quale gesto più efficace avrebbero potuto compiere per allontanare il terribile flagello che li minacciava?
Il drammatico rituale attirava le folle che speravano nella redenzione. L'episodio gettò lo scompiglio all'interno della chiesa. La chiesa non li amava perché facevano parte di un movimento laico.
Criticava la loro religiosità. da autodidatti e non gradiva affatto che nel bel mezzo di un'epidemia un gruppo di pazzi andasse di città in città. Li considerava malattie di mente.
La religione doveva essere diffusa attraverso i preti, i sacramenti, quindi i flagellanti erano elementi molto pericolosi. Ma la promessa dei flagellanti si dimostrò vana e letale. Queste folle in marcia contribuirono unicamente a diffondere più rapidamente il contagio. Dopo diversi mesi di orrori, la città di Avignone, il centro religioso d'Europa, era diventata una città fantasma.
E così, almeno la metà degli abitanti sono morti. All'interno delle mura cittadine ci sono più di 7000 case deserte, perché chi vi abitava è spirato. E nei soborghi, sembra che anche lì nessuno sia sopravvissuto.
In un disperato tentativo di restare vivo, il Papa ripose la sua fiducia in un giovane dottore, Guy de Choliac, che divenne il medico papale ad Avignone. L'epidemia fu una vera onta per i medici, che non furono di alcun aiuto, soprattutto quando, per timore di contagio, si astenevano dal visitare i malati. E anche se l'avessero fatto, non avrebbero guadagnato nulla da ogni contagiato deceduto, tranne che da pochissimi.
Per le epidemie precedenti fu scoperto qualche rimedio. Per questa invece... Niente.
La storia di Deshaliak è particolare. Contrasse la malattia mentre curava gli altri. E per sei agonizzanti settimane si curò incidenti buboni. I suoi amici lo avevano dato per morto, ma incredibilmente fu uno dei fortunati che guarì. Descioliac lavorò senza sosta per cercare di identificare la natura della malattia.
Eseguendo delle autopsie fu in grado di osservare i polmoni infetti delle vittime. Per lui rappresentavano la prova dell'aria infetta, mandata da Dio. La respirazione è compromessa. Nei polmoni è la maggior sofferenza.
E quando questi vengono contaminati, non c'è alcuna speranza di sopravvivere. Se non per più di due giorni. I resoconti di Desholiac danno una panoramica affascinante sui sintomi della malattia. Ma neanche oggi la medicina moderna è in grado di spiegare cosa fosse la peste nera. Alcune teorie propendono per un ibrido letale tra peste bubonica ed emorragica, ma in realtà questa malattia resta un mistero.
Tuttavia, essendo il più acuto osservatore medico dell'epoca, Descioliac capì che si diffondeva per contatto umano, quindi avvisò il Papa. Per prevenire la diffusione, la cosa migliore è evacuare tutta la zona prima che diventi infetta. Diluire il sangue con frequenti salassi.
rinvigorire il cuore con frutta fresca ed essenze profumate, quindi purificare l'aria d'intorno con il fuoco. Il Papa si attenne alle istruzioni. Si isolò dalla corte e dalla servitù tra due grandi camini. Guy de Choliac diede dei consigli al Papa a livello personale per cercare di isolarlo dal contagio per quanto fosse possibile, tenendo lontane le persone che avevano contatti con la malattia. Fu fortunato, dato che nessuno dei suoi illustri pazienti si ammalò.
De Choliac dimostrò di aver ragione. Il Papa evitò la peste nera e sopravvisse. Ma non a tutti andò così.
In un mondo che cercava di placare l'ira divina, la tolleranza cristiana vacillò e la comunità cominciò un'epurazione omicida. I vicini si scagliavano contro i vicini in cerca di capri espiatori, eretici, estranei ed ebrei. Erano convinti che Dio fosse arrabbiato con loro e cercarono di determinare la causa della sua ira. Uno dei peccati più gravi è la negazione di Dio come unico Dio. E questo per loro era il peccato commesso dagli ebrei.
Gli ebrei furono accusati di complotti finalizzati a distruggere il cristianesimo. Nella primavera del 1348, gli ebrei di Narbonne e Carcassonne furono portati via dalle loro case e bruciati sul rogo. Alcuni sventurati furono trovati in possesso di alcune polveri e, giustamente o ingiustamente, solo Dio può saperlo, furono accusati di avvelenare i pozzi.
Tanto che ora la gente, angosciata, si rifiuta di bere l'acqua. Molti ebrei ogni giorno vengono bruciati con questa accusa perché è stato decretato che questa debba essere la loro punizione. Le brutali atrocità furono annotate dai magistrati di corte.
Ecco la confessione di uno degli ebrei rilasciata l'8 ottobre 1348 nel castello di Shion. Belieta, moglie di Acqueto l'ebreo, è stata interrogata e alla fine ha confessato che la scorsa estate l'ebreo provenzale diede del veleno che avrebbe dovuto mettere nei pozzi per avvelenare coloro che li usavano. Lei prese il veleno e fece come le fu detto.
Migliaia di famiglie ebree furono torturate per estorcere loro false confessioni e poi condannate a morte. Nonostante fosse una terribile calamità, La peste non fu soltanto un flagello. Per alcune persone rappresentò un'opportunità per fare cose che sapevano di non poter fare. Questa era la loro occasione.
Alcuni giudici furono nominati per punire gli ebrei dopo averli legalmente processati. Dovete sapere che tutti gli ebrei di Vilnev sono stati bruciati. Per dirla con parole crude, era un'opportunità per tutti quei cristiani che avevano preso soldi in prestito dagli ebrei per eliminare i debiti, eliminando i creditori. Fu un processo studiato, guidato dall'elite, anzi in molte città l'eliminazione degli ebrei avvenne ancora prima che arrivasse la peste.
Durante i tre anni della peste nera, i massacri degli ebrei avvennero in più di 100 città in Francia, Italia, Svizzera e Germania. La moralità dell'Europa era ormai allo sbaraglio. Nella primavera del 1348, il musico del Papa, Louis Eligen, predasse un avviso ai colleghi nella Francia settentrionale. Miei cari, invio a tutti voi questa missiva per informarvi del grave pericolo in cui stiamo vivendo.
Se volete veramente preservarvi, il miglior consiglio è cercare di mangiare e bere con moderazione e soprattutto evitare i contatti con le persone. È meglio restare in casa finché l'epidemia non sarà passata. Ma per lui Heligen era troppo tardi.
Nel luglio del 1348 la peste nera reclamò la sua vita. In un'Europa lacerata dai massacri e da una crisi universale della fede, la pestilenza attraversò la Manica e invase i vicini. per di pascoli inglesi. Che fine avrebbero fatto le secolari certezze del feudalesimo?
L'intera Europa si trovava sul baratro dell'anarchia. In tutto il continente, circa metà della popolazione era morta. L'Inghilterra tendeva, fiera, devota, con i suoi pastori e i suoi feudi.
Ancora una volta, la peste nera arrivò dal mare. Nell'estate del 1348, arrivò ai porti di Southampton, Plymouth e Bristol. Si diffusi in un paese in cui il 90% dei suoi abitanti vivevano di agricoltura.
In Inghilterra, contadini schiavi coltivarono per secoli le terre dei loro signori, pagando un affitto per i loro piccoli poderi. Nei mesi successivi, l'eccidio compiuto dalla peste avrebbe trasformato la società in modo sorprendente. Nel XIII secolo si era verificato un aumento costante della popolazione.
Numerosi nuovi appezzamenti vennero seminati a granaglie. I terreni e le persone si trovavano in un equilibrio instabile e precario. Prima della pericolosità, La festa è nera, per gli agricoltori la vita era piuttosto difficile.
Molti di loro vivevano a livello di sussistenza, molti avevano piccolissimi poderi cercando di sopravvivere con i frutti della terra. L'Inghilterra rurale era debole e vulnerabile. Nel villaggio di Walsham-le-Willows, nel Suffolk, viveva una famiglia chiamata Denny. Nicholas Denny era sposato con Catherine, avevano figli piccoli.
Dalle dichiarazioni annotate sui registri dell'epoca, possiamo dare loro una vera voce e capire come quella famiglia fu distrutta dalla malattia. Nel maggio del 1349, la peste nera bussò alla loro porta. La morte si avvicinò lentamente, ma il fuoco divampò con una tale intensità che nessuno sarebbe sopravvissuto.
Mio fratello maggiore William fu uno dei primi del nostro feudo a soccombere alla malattia. Morì nel giro di tre giorni, seguito dalla moglie e dai suoi tre figli. Mi lasciò la sua abitazione.
Tre ettari di terreno e l'unico figlio scampato alla peste. Mentre la morte si diffondeva nel villaggio, le proprietà dei difunti passarono ai sopravvissuti. Nessuno sapeva chi sarebbe stato il prossimo. Come gli altri prima di loro, i contadini credevano che la malattia fosse provocata dall'aria corrotta.
Con erbe profumate come il timo e l'assenzio, cercarono in vano di purificare le proprie case. Ma in realtà camuffarono soltanto l'odore di morte. Mia madre seguì ben presto mio fratello nella tomba.
Essendo l'unico rimasto, ovviamente i suoi due ettari di terra toccarono a me. Catherine e io ora siamo tre volte più ricchi di prima che questa terribile epidemia di Van Passe, ma chissà quanto durerà. Gli altri abitanti del villaggio ci evitano. Credono che la nostra famiglia sia infetta. Mi sveglio all'alba con il terrore che durante la notte siano comparsi i buboni sui miei figli.
Nel giro di qualche mese, Walsham perse diverse centinaia di anime. Tra loro il signore del feudo che lasciò la moglie Lady Rose de Saxam ad affrontare la crisi. La morte si è presa a mio marito e ha ucciso più di un terzo degli uomini, delle donne e dei bambini del villaggio.
Nel nostro feudo ora c'è una grave penuria di schiavi, artigiani e di braccianti nelle campagne. Tanto che molti di noi, signori del feudo e di coloro che hanno terre e possedimenti, si trovano senza servitù né assistenza. Era come se la metà della popolazione inglese stesse morendo.
Lo si può verificare nel clero. Esistono prove della sostituzione dei preti defunti, che erano circa il 40-50%. Poi si possono esaminare i singoli villaggi. Ce ne sono alcuni in cui si verificò una strage, come a Jarrow, dove morì l'80% della popolazione. L'enorme numero di vittime tra i servi della Gleba paralizzò la vita contadina.
Alcuni villaggi furono abbandonati, le fattorie andarono in rovina e i campi furono lasciati incolti. Dobbiamo sempre ricordare le condizioni di sofferenza in cui si trovarono dopo la peste. La gente passò mesi terribili in cui la malattia portava via persone dai villaggi, dalle città, ovunque.
Ciò nonostante, famiglie di contadini come quella dei Denny si ripresero piuttosto in fretta. Le terre rimaste incolte vengono affidate al villaggio finché non si troverà un altro affittavolo. Questo capita sempre più spesso. Per chi è ancora in vita, c'è abbondanza.
Il nostro mondo è cambiato. Gradualmente i contadini sopravvissuti cominciarono a godere di vantaggi imprevisti grazie agli effetti della morte. Erano pochi e potevano chiedere salari più alti e affitti più bassi.
Prima della peste nera c'era abbondanza di manodopera, che quindi costava poco. Dopo la situazione si rovesciò. Era difficile trovare qualcuno che svolgesse certe massioni come mietere il grano e trebbiarlo. Non c'era nessuno che riparasse i tetti, a meno che non si fosse disposti a pagare tre o quattro volte la cifra che si pagava in precedenza. Nelle campagne i servi della gleba si liberarono dai vincoli del passato.
Il nuovo ordine della società inglese stava cambiando. Ho saputo che 12 servi della gleba, sia uomini che donne, hanno lasciato il loro signore per una paga più alta. Condannati per disprezzo dell'ordinamento feudale, sono ormai lontani.
La legge non riuscirà più a raggiungerli. Le certezze feudali si stavano sgritolando, i rapporti di vassallaggio si stavano ormai inclinando, l'intero sistema era sull'orlo del collasso. Ho sofferto in misura indicibile a causa dei miei schiavi, questa mancanza è profondamente...
sentita sia nel mio feudo che in tutta l'Inghilterra, così come tra i signori e il clero. Proprio per questo i notabili del regno disperati hanno chiesto udienza al re affinché prenda provvedimenti per porre rimedio a questo problema. I salari fuori controllo destavano preoccupazione e la risposta di re Edoardo III non si fece attendere.
Nel 1349, mentre la pestilenza imperversava, ordinò che i lavoratori accettassero i salari del 1346. Era un segno di quanto fosse scompaginato il sistema. Furono istituite commissioni in tutto il paese che multavano chi chiedeva troppo per il proprio lavoro ma le leggi della domanda e dell'offerta erano troppo forti. La peste nera stava provocando un cambiamento sociale ed economico su una classe dominante refrattaria ma chi stava alla base della piramide fiutò la peste nera.
Era una minaccia politica alla società. Non era semplicemente una questione di soldi. Si rischiava di destabilizzare il sistema politico dell'Indieterra medievale. Nonostante gli sforzi del re e del paese per fermarla, la peste nera aveva avviato un'evoluzione della società. Nell'autunno del 1350, dopo tre anni di terrore e 20 milioni di vittime, la peste raggiunse i confini dell'Europa del XIV secolo.
Il vigore della morte ben presto cessò, ma non prima di aver visitato un ultimo testimone perseguitato e profetico. John Cleen, un frate francescano-irlandese, credeva fosse arrivato il giorno del giudizio. Lottando contro la malattia che lo attanagliava, fece un ultimo sorprendente gesto.
Io, fratello John Cleen, dei frati minori di Kilkenny, ho descritto in questo libro gli straordinari eventi accaduti nella mia epoca. Affinché tali accadimenti non svaniscano nel nulla, Ma vivano nella memoria delle generazioni future? Lascio alcune pagine in bianco. Nel caso qualcuno fosse ancora vivo in futuro e qualche figlio di Adamo sfuggito a questa terribile pestilenza possa continuare il lavoro che io ho cominciato.
Ma le pagine volutamente lasciate in bianco dal moribondo John Klin rappresentarono molto di più di uno spazio su cui annotare gli ultimi giorni dell'umanità. In realtà non fu così. Per i figli di Adamo sopravvissuti, la malattia stava finalmente perdendo virulenza.
La guerra era finita. La nuova pagina di Franklin rappresentava in realtà l'inizio di una nuova era. Negli anni successivi alla peste nera, attacchi ricorrenti dell'epidemia tornarono a farsi sentire, ma la capacità di ripresa dell'Europa medievale si sarebbe rivelata in modo eclatante. Dopo il primo impatto sconvolgente del 1348, le popolazioni si abituarono alla peste.
Avevano visto l'abisso ed erano sopravvissute. Le epidemie tornavano ogni dieci anni, ma la gente sopravviveva. Quindi, alla fine del XIV secolo, si era diffusa una grande energia, una gioia di vivere espressa nella pittura e nella poesia. Imparare a convivere con la malattia era una sfida che gli uomini e le donne medievali affrontarono.
Nella pittura e nella letteratura ci fu un grande diffondersi di arte macabra, dipinti in cui gli individui venivano incoraggiati ad avvicinarsi agli orrori della morte. L'arte subì un cambiamento dopo la peste nera. La rappresentazione di elementi come scheletri attraversati da vermi o di donne sane con uno scheletro alle spalle era molto comune.
Tutti sapevano che la peste aveva colpito indiscriminatamente e la morte era la compagna a ogni presente che avrebbe seguito chiunque per la vita. Le immagini con lo scheletro alle spalle rappresentavano il pensiero dell'epoca. Era un messaggio raffigurato in molte chiese inglesi alla fine del XIV e nel XV secolo.
Nella chiesa di Latterworth, nell'Estershire, i morti si alzano al richiamo delle trombe divine. I dipinti dimostrano che la morte è inevitabile, ma lo è anche l'estasi della risurrezione eterna. Tuttavia, nel mondo medievale, i dipinti dei morti contribuirono a insegnare i sopravvissuti a vivere. In villaggi come Walsham-le-Willows, i contadini sopravvissuti, come i Denny, dovevano affrontare il nuovo mondo. Lady Rose ha deciso di rinunciare alla metà dei soldi che noi le versavamo per ogni acro, finché il mondo non migliorerà o non troverà dei fittavoli disposti a pagare l'intera cifra.
Quindi, abbiamo più terre di una volta e le paghiamo di meno. È la signora ad avere più bisogno di noi. adesso. Alcuni agricoltori non erano disposti ad accettare le vecchie condizioni perché ormai avevano più potere contrattuale, quindi volevano di più.
Chiedevano salari più alti, la possibilità di andare in altri villaggi e di avere più appezzamenti. Molti sopravvissuti dalle campagne si trasferirono nelle città, riempiendo il vuoto lasciato dalle numerose vittime. Non solo sono migliorate le nostre condizioni, ma lo scompiglio portato dalla peste ci ha offerto nuove opportunità. Mia sorella Agnese, una ragazza determinata, ha abbandonato le terre ed è andata a Ipswich, dove ha sposato un calzolaio senza il permesso di Lady Rose. Nessuno conosce il suo nome e credo che a questo punto dovrebbe essere salva.
Per quei contadini che ci riuscirono la vita migliorò. Non si poteva dire lo stesso per i proprietari terrieri. Tutti i muri del mio castello si stanno sgretolando e il mio feudo ha fruttato a malapena dieci sterline l'anno scorso.
Nessun lavoratore è più disposto a prendere ordini né dei suoi pari né da inferiori o superiori. E quelli che accettano di lavorare sembra che lo facciano contro voglia e con animo maldisposto. Nel 1353 nel feudo di Walsham, 55 servi della gleba, uomini e donne, fecero addirittura sciopero.
C'erano alcuni feudatari che cercavano di mantenere le cose come nel passato, ma questo suscitò un grande dissenso che sfociò nella rivolta dei contadini del 1381, rivolta nata per l'insoddisfazione di una classe che si sentiva privata delle opportunità che aveva a portata di mano. I contadini inglesi ingrossavano i muscoli in una società che aveva superato le pastoie e le certezze dell'alto medioevo. Possiamo far coincidere la nascita del mondo moderno con la peste perché da allora scomparvero le identità sociali trasmesse per nascita. Il secolo successivo fu un'epoca felice per i servi della gleba inglesi.
La schiavitù gradualmente scomparve. Anche sul continente i sopravvissuti alla peste scrissero capitoli nuovi nella storia dell'uomo come Giovanni Boccaccio, Guido Choliac e Gabriele De Mussi. Mentre l'Europa rifioriva, gli ingenti capitali lasciati dai defunti furono spesi per la ricostruzione. I pisani continuarono l'edificazione del loro famoso simbolo completando la torre campanaria nel 1350. Si doveva guardare avanti, non indietro.
Nel 1350 il Papa concesse un giubileo che doveva incoraggiare i pellegrini ad andare a Roma. Megliaia di persone si misero in viaggio, anche se dopo un'epidemia era l'ultima cosa che volevano fare. Era una rinascita. Nei vicoli delle città italiane, dove prima imperversava la peste, ci fu un graduale risveglio.
Nei successivi cento anni, gli uomini del Rinascimento riscoprirono con orgoglio le radici classiche della cultura europea. Ci fu uno sbocciare della creatività, in architettura, letteratura, arte e scienza. Nuove idee che celebravano lo spirito dell'uomo e del suo mondo.
Era stato il secolo peggiore da vivere. E in nessun'altra epoca ci si sentì mai così vicini alla fine. Ma gli abitanti dell'Europa medievale non avevano perso la calma. Una delle conclusioni più salutari è ricordare che l'Europa è sopravvissuta alla peste, che ha superato anche le sue manifestazioni successive per 300 anni.
Va sottolineata la perseveranza dello spirito umano di fronte a questa spaventosa avversità. Lentamente stava nascendo una toccante storia di sopravvivenza umana. Dalla soglia dell'Apocalisse, una nuova visione di speranza e umanità era stata strappata alla disperazione.