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La Giustizia nella Filosofia Antica

Sì, buongiorno. Il tema che devo trattare è la giustizia nella filosofia antica. Ovviamente sarebbe giusto cominciare con i presocratici, che sono stati i primi filosofi, Alcuni di loro indubbiamente hanno toccato il tema della giustizia. È noto a tutti il famoso frammento di Anassimandro in cui si dice che gli enti devono pagare il fio l'uno all'altro dell'ingiustizia. commessa secondo l'ordine del tempo. E poi c'è anche nel poema di Parmenide la dea che rivela le vie da percorrere o da non percorrere, si chiama dike, che in greco significa giustizia. Quindi ci sono sicuramente degli accenni nei frammenti dei presocratici, ma poiché si tratta di singoli frammenti che si prestano a interpretazioni diverse, Io sono sempre molto diffidente nel ricorso ai presocratici perché, come ho scritto qualche volta, gli si può far dire qualsiasi cosa. Tanti se ne sono serviti, tanti hanno attribuito loro le idee più diverse. Invece i primi filosofi con i quali abbiamo a che fare, dei quali abbiamo opere scritte e dei quali quindi possiamo conoscere con una certa... certa sicurezza il pensiero, sono quelli che poi rimangono i due più grandi filosofi greci, cioè Platone e Aristotele. Platone, come è noto, ha dedicato alla giustizia un intero dialogo, forse il più importante e il più famoso dei suoi dialoghi, la Repubblica. E Aristotele ha dedicato alla giustizia un dialogo in quattro libri sulla giustizia che è andato perduto, di cui abbiamo parlato. solo qualche frammento, ma soprattutto un intero libro dell'Etica Nicomachea, il quinto della Nicomachea. Quindi con Platone e Aristotele siamo in grado di farci un'idea abbastanza precisa di che cosa intendevano gli antichi filosofi per giustizia. Nella Repubblica Platone pone appunto il problema nel primo libro, che cos'è la giustizia. Il personaggio di Socrate, che nella Repubblica è il portavoce dell'autore, domanda ai suoi interlocutori che cos'è la giustizia e ottiene da loro risposte diverse, la più famosa delle quali è la risposta di un personaggio chiamato Trasimaco, della cui esistenza storica non si è... sicurissimi, ma che rappresenta, potremmo dire, il punto di vista di una certa sofistica, della sofistica contro cui Platone combatteva. Trasimaco infatti sostiene che la giustizia è l'utile del più forte. Questa visione pessimistica della società, i più forti sono coloro che fanno le leggi, che impongono la loro volontà e questa chiamano giustizia. Ovviamente Platone non è d'accordo con questa concezione. E quindi attraverso il personaggio di Socrate propone di estendere la ricerca, di considerare la giustizia non più soltanto nel singolo uomo, nella singola persona, ma in un ambito più ampio in cui sia possibile, per così dire, leggere meglio i caratteri della giustizia, e cioè nella città, nella polis. lo Stato parlando della Repubblica, ma il concetto di polis non corrisponde a quello moderno di Stato, perciò io preferisco dire la città, ovviamente nel senso antico del termine. E nota la definizione a cui Platone arriva dopo una discussione che occupa tre interi libri del dialogo, il secondo, il terzo e il quarto, in cui egli mostra come la città è composta di tre parti, l'una formata da quelli che lui chiama i dei. gli urgoi che sono gli artigiani, i lavoratori, i produttori, un'altra che è formata dai phylakes, cioè i custodi, i guardiani, i guerrieri e una terza che è formata dai governanti. i quali poi Platone dirà dovrebbero essere filosofi nel senso antico, cioè conoscere il bene e fare il bene della città. La giustizia, secondo Platone, la giustizia nella città, nella polis, si realizza quando ciascuna di queste parti svolge il suo compito. Quindi la giustizia è fare ciascuno le cose proprie, in greco, cioè ciò che compete a ciascuno, quindi gli artigiani... devono lavorare, devono produrre, i guardiani devono garantire l'ordine e la difesa della città e i governanti devono governare per il bene della città. ciascuna di queste parti svolge bene il suo compito, si realizza nella polis, nella città, la giustizia. Detto questo, Platone poi sposta la sua attenzione al singolo individuo, all'anima, ed egli mostra come anche l'anima umana, analogamente alla città, è composta di tre parti. La parte concupiscente, cioè il desiderio, poi la parte impetuosa, l'impeto, e infine la parte razionale, la ragione. Anche nell'anima del singolo, ciascuna di queste parti deve svolgere nel modo migliore possibile il suo compito. E per ciascuna di queste parti c'è una virtù, cioè un'eccellenza, una perfezione. La virtù della parte concupiscente è la temperanza, cioè bisogna moderare, bisogna temperare. desideri e le passioni. La virtù della parte impetuosa è la fortezza, il coraggio, e la virtù della parte razionale è la saggezza. Quando ciascuna di queste passioni è una parti svolge bene il suo compito, cioè sostanzialmente quando il desiderio, la parte concupiscente e l'impeto, la parte impetuosa, obbediscono alla ragione, allora si attua la giustizia. Quindi la giustizia non è altro che la sintesi, che l'insieme di queste altre virtù. E come tutti possono vedere abbiamo qui quelle che poi saranno chiamate le quattro virtù cardinali, cioè temperanza. fortezza saggezza e giustizia quindi la giustizia nella repubblica di platone viene a essere la sintesi l'insieme di tutte le virtù e questo un concetto di giustizia che troviamo anche in altre culture. Per esempio nel Vecchio Testamento, nella Bibbia, chi sono i giusti del popolo di Israele? Sono gli uomini virtuosi, coloro che realizzano tutte le virtù. Quindi il giusto, la giustizia, anche nella Bibbia, è appunto la sintesi, l'insieme delle virtù. In Aristotele rimane questo concetto generale di giustizia, anche per Aristotele giusto è colui che obbedisce alle leggi e quindi compie sempre azioni giustizie. giuste. Naturalmente Aristotele pensa alle buone leggi, alle leggi di una città ben governata. Ma direi che questo concetto così generale di giustizia è forse il meno interessante. proprio perché è molto generico, cioè non ci dice in particolare, nello specifico, che cos'è la giustizia. E quindi Aristotele, dopo aver ricordato questo concetto, nel quinto libro dell'Etica Nicomachea, Aristotele propone anche una concezione più particolare, e cioè Come sappiamo, ogni virtù per Aristotele è il giusto mezzo fra due eccessi opposti, il troppo e il troppo poco. Anche nel caso della giustizia, Aristotele la presenta come una forma di medietà, di giusto mezzo. Tra l'eccesso e il difetto, il giusto è colui che sa stare a metà fra il troppo e il troppo poco. Detto in termini più precisi, nei rapporti con gli altri si può essere o eccessivamente avidi, prepotenti e questa è una forma di ingiustizia, ma anche eccessivamente modesti e rinunciatari e anche questa è una forma di ingiustizia. Perciò la giustizia è in questo senso il giusto mezzo, lui dice anche l'uguale. o l'uguaglianza, ma non una uguaglianza intesa in senso meccanico, in senso puramente aritmetico. E qui entra la distinzione. fra due tipi di giustizia che è famosa proprio per essere stata proposta da Aristotele. Lui dice che nei rapporti pubblici, nella vita pubblica, vengono assegnati... vengono distribuiti dei beni che possono essere onori, cariche, ricchezze, denaro. Ebbene, perché si attui la giustizia, questi beni devono essere distribuiti in proporzione ai meriti delle persone. Chi merita di più deve avere di più e chi merita di meno deve avere di meno. Questa è una forma di uguaglianza. ma è l'uguaglianza garantita dalla proporzione. Come in un concorso, è quello che succede poi nei rapporti pubblici, oggi in un concorso pubblico ci si sottopone a delle prove, alcuni risultano più competenti, più abili. e quindi è giusto che siano premiati, che abbiano i posti migliori, che abbiano una maggiore disponibilità di beni, mentre quelli che hanno meriti inferiori è giusto che abbiano anche dei premi. inferiori, è come in una gara, il primo che arriva ha il primo premio, il secondo ha il secondo e il terzo ha il terzo. L'uguaglianza che viene garantita è la proporzione, cioè il rapporto, è proprio come la proporzione matematica, A sta a B come C sta a D, cioè il rapporto tra i primi due termini è uguale al rapporto tra gli altri due anche se non sono tutti uguali tra di loro. i termini, ma devono essere uguali i rapporti. Questa, secondo Aristotele, è la giustizia cosiddetta distributiva. Ma questa non è l'unica forma di giustizia ammessa da Aristotele, perché oltre ai rapporti pubblici, oltre a quelli che noi potremmo chiamare oggi i concorsi, banditi dalle istituzioni e ci sono anche i rapporti privati tra le persone e nei rapporti privati vige un'altra forma di giustizia. uguaglianza in un senso molto più preciso per cui chi per esempio subisce un danno deve essere risarcito in una forma che realizzi in qualche modo l'uguaglianza col danno subito. Chi invece presta un servizio cioè si rende utile ad un altro, deve essere ripagato nella misura corrispondente al servizio da lui reso. Quindi nei rapporti privati è questo per cui qui non conta il merito della persona. Se uno ferisce un altro, che quest'altro sia meritevole o non meritevole, ricco o povero, nobile o plebeo, o ridere... compatriota o straniero, non ha nessuna importanza. Il danno deve essere risarcito, così come il servizio deve essere ripagato. Perciò questa, che è stata chiamata anche giustizia commutativa o giustizia correttiva, è una seconda forma di giustizia che per Aristotele deve essere realizzata nei rapporti tra privati e che prescinde dai mezzi. ma tende a realizzare una perfetta ugualità. La differenza tra le azioni, al danno corrisponde un'uguale pena e al servizio reso, al beneficio reso, corrisponde un'uguale pagamento. diciamo così ecco per queste due forme di giustizia distinte da aristotele direi una tradizione di pensiero che ha attraversato tutto il medioevo ed è giunta sì sino all'età moderna, si è sempre richiamata ad Aristotele. Dopo Aristotele, nella filosofia antica, non si è più approfondito questo concetto con contributi originali. Sostanzialmente il contributo di Aristotele è rimasto definitivo ed è stato tenuto presente da tutto il pensiero etico. e politico successivo. È interessante constatare come anche ancora oggi, ancora nella filosofia del Novecento, in qualche misura la concezione aristotelica continua a rivelarsi attuale. Il tema della giustizia, come tutti sanno, è al centro della riflessione filosofica contemporanea. Un grande filosofo americano, John Rawls, ha scritto un libro intitolato Teoria della giustizia, che ha fatto molto discutere, ma anche altri filosofi di orientamento diverso. Rawls era un liberale. Anche i cosiddetti comunitaristi hanno scritto sulla giustizia, per esempio Michael Wolzer ha scritto un libro Sfere di giustizia, Alasdair McIntyre ha scritto Di chi è la giustizia e di chi non è la giustizia. la razionalità e in un modo o nell'altro tutti questi si sono richiamati ad Aristotele. Rawls ha ripreso da Aristotele il concetto di giustizia come uguaglianza, i comunitaristi il concetto di giustizia come merito riconosciuto dalla comunità, dalla società. A mio modo di vedere però... I pensatori del Novecento che hanno ripreso in maniera più corretta e più autentica il contributo di Aristotele non sono né i liberali né i comunitaristi. bensì altri pensatori, economisti e filosofi politici, qui faccio due nomi, Amartya Sen, premio Nobel per l'economia e Martha Nussbaum. che ha insegnato filosofia politica a Chicago. Credo che adesso sia in pensione anche lei, ma non è molto anziana. Qual è il concetto di giustizia proposto da Sen nel campo economico? Ma poi Martha Nussbaum gli ha fatto notare che senza conoscere Aristotele, Sen aveva detto cose molto simili a quelle dette da Aristotele, per cui è andato anche lui a leggersi Aristotele e ha dovuto... riconoscere di essere d'accordo con lui, che la giustizia nella distribuzione dei beni deve essere basata sulle capacità. È giusto dare a ciascuno la possibilità di realizzare le proprie capacità. Quindi è in base alle capacità che si deve... si devono distribuire i beni. Secondo Amartya Sen, più che preoccuparsi di garantire a tutti Un reddito minimo e una libertà di scelta, come propone Rawls, bisogna dare a ciascuno la possibilità di realizzare nel modo più... migliore questa libertà. Per esempio, dice Sen, in una popolazione in cui nessuno sappia leggere e scrivere, nessuno abbia avuto la minima educazione, che libertà possono avere? le persone, che scelte possono fare, ignorano completamente ciò che possono fare. Quindi bisogna anzitutto aiutarli a sviluppare le proprie capacità e in base alle capacità distribuire poi i beni. Quindi come si vede è l'idea di giustizia che risale ad Aristotele e che in qualche modo riprende e realizza in modo più specifico anche il concetto... di giustizia, continua a rivelarsi attuale, continua a rivelarsi importante. Si potrebbero leggere singoli passi del quinto libro dell'Etica Nicomachea, ma i concetti non sono poi così difficili. Credo di averli riassunti in maniera abbastanza esatta. Ma guardi, Platone, la concezione di Platone nella Repubblica, perché non è poi quella sua definitiva, perché poi in altri dialoghi successivi Platone ha molto moderato la sua posizione, nella Repubblica, come è stato mostrato, secondo me, molto giustamente da una grande filosofa del Novecento, Hannah Arendt. Platone era rimasto sconvolto per la condanna a morte di Socrate. Atene, che era la città che aveva realizzato la democrazia, la libertà, l'uguaglianza, Atene si era resa colpevole di questo. di avere messo a morte quello che Platone considerava il migliore degli uomini. Questo fatto fece perdere a Platone qualunque fiducia nella democrazia e nelle opinioni. Se Socrate non... era riuscito con la sua autodifesa a persuadere gli ateniesi della sua innocenza, vuol dire che la parola, il discorso, l'opinione, la persuasione non hanno nessun valore. secondo Platone, vuol dire che la democrazia è un regime politico sbagliato da rifiutarsi, contano solo i valori assoluti, conta il bene e questo lo conosce soltanto il filosofo, che non è il professore di filosofia, questi erano i sofisti che si facevano pagare per quello che insegnavano, il filosofo è il sapiente, colui che... conosce il bene. Quindi questa concezione che Platone presenta nella Repubblica va letta e va giudicata come una reazione contro la politica del suo tempo. Scrive giustamente Hannah Arendt che con il processo a Socrate, con la condanna di Socrate, si è creata la divisione, il divorzio tra la politica e la filosofia. E Platone come... come rappresentante della filosofia, ha condannato la politica, la politica del suo tempo, la politica della sua città. E questo è il senso della Repubblica, non è che Platone volesse instaurare uno Stato totalitario. Ci sono sì degli aspetti, ma sono degli eccessi forse provocatori, quando fa dire a Socrate che bisogna regolare le nascite straordinarie. come devono essere uniti i coniugi, in quali giorni devono procreare, scende a dei dettagli che fanno un po'ridere, ma non è questo il senso della Repubblica. È invece l'idea che la politica non deve essere basata sulle opinioni, sulla doxa, ma sulla conoscenza del bene. sulla reale conoscenza del bene e questo non è alla portata di tutti, soltanto chi è stato educato, chi si è formato adeguatamente può veramente conoscere e fare il bene. Una forma di società che secondo me va tenuta presente, va studiata e va approfondita perché è molto interessante. È la nascita degli Stati Uniti d'America, come si formano gli Stati Uniti d'America. questi profughi, questi pellegrini, fuggono dall'Europa perché perseguitati dalle guerre di religione e danno vita a una società che non è lo Stato nel senso... europeo in cui c'è l'autorità, c'è il leviatano, in Europa lo Stato nazionale nasce nella forma dell'assolutismo con la Robles, poi diventa liberale, poi diventa democratico, ma in America, negli Stati Uniti nasce democraticamente, nasce dal basso, con dei vantaggi ma anche degli svantaggi, intanto non bisogna rinedicare la schiavitù, la società americana. che pure era una delle più evolute, delle più progredite, è stata macchiata da questo grave crimine che è stato la schiavitù e di cui l'America ha saputo liberarsi solo con la guerra civile nell'Ottocento, per più di un secolo. Come peraltro nelle città antiche, anche nelle città antiche c'era la schiavitù, anche questo non va dimenticato e Platone la considera quasi un fatto ovvio e Aristotele. si sforza addirittura di giustificarla con degli argomenti, quindi questo va tenuto presente, però una società come quella americana in cui almeno alle origini il potere è veramente espressione del popolo, nasce dal popolo, il presidente degli Stati Uniti è eletto direttamente dal popolo e rappresenta anche fisicamente l'intera nazione, La Costituzione americana propone tra i fini dello Stato anche il perseguimento, di garantire a tutti la possibilità di perseguire e di realizzare la propria felicità. Queste sono concezioni molto interessanti che meritano, secondo me, un'attenzione particolare proprio perché somigliano per molti aspetti alla polis antica, alla città antica di cui parla. parlavano Platone e Aristotele. Ma poi lei mi ha chiesto... Rispetto all'oggi. Rispetto all'oggi, come ho detto, ci sono oggi dei filosofi, Hannah Arendt, Martha Nussbaum... a Marti e a Sen, che si rifanno a queste concezioni antiche. E c'è in atto un processo di cui nessuno è in grado di prevedere l'esito, perché non siamo profeti, di superamento delle forme di organizzazione politica tipiche dell'età moderna, cioè dello Stato. La forma Stato si sta rivelando insufficiente sia al suo interno per lo sviluppo delle autonomie locali e anche per la difficoltà e la complessità di governare e al suo esterno perché nessuno Stato ormai è autosufficiente, tutti dipendono da tutti, c'è questa interdipendenza globale. Per cui io credo che il mondo sia avviato verso... un superamento dell'organizzazione politica attuale basata sullo Stato verso nuove forme di organizzazione politica che è difficile prevedere, difficile dire come saranno, specialmente in questo momento quando una di queste forme di organizzazione nella quale credevo era l'Unione Europea, ma proprio... in questo momento sta rivelando tutta la sua fragilità, la sua incapacità, ma forse superando questo momento e avviandoci verso forme di organizzazioni più generali, addirittura mondiali, si potrà realizzare un ordine diverso, un ordine nuovo. Io ho partecipato due anni fa, mi sembra, a Roma a un incontro organizzato dalle Romane Disputazioni e sono rimasto colpito dall'enorme partecipazione di studenti. e di insegnanti e dà l'attenzione dal trasporto con cui hanno seguito e hanno partecipato alla discussione. A loro vorrei dire sia agli studenti che agli insegnanti. potere incontrarsi per parlare di filosofia, di letteratura, di arte, di religione, di scienza come si fa a scuola è una fortuna, è una grande fortuna per esempio per gli studenti, per i giovani è forse il momento più bello della vita intanto perché coincide con la giovinezza ma poi anche perché è l'occasione che ci mette in contatto con i valori, con le idee, con le cose migliori che l'umanità ha prodotto. E agli insegnanti ricordo che la nostra professione è per molti aspetti una delle più belle. Siamo fortunati, anche se poi non sempre viene riconosciuta in termini economici e in termini sociali, ma è la professione che ci permette per tutta la vita di essere un'unica. vita di restare a contatto con i giovani, con la scienza, con l'arte, con la letteratura, con tutto ciò che forma la cultura, quindi potendo fare anche di più dello stretto necessario credo che ci si debba considerare fortunati, perciò auguro che l'impegno di coloro che partecipano e che organizzano le romane disputazioni. abbia il migliore successo.