L'antica Grecia, la culla della civiltà occidentale. Per oltre mille anni fu una potenza militare e detenne il primato nelle arti e nelle scienze. Una nuova generazione di grandi menti che realizzò capolavori architettonici, studiò la natura e fece progredire il sapere umano. I meravigliosi templi greci parvero ai loro contemporanei opera degli dèi. Ma come riuscirono gli antichi greci a edificare opere così complesse sollevando pietre dalle dimensioni gigantesche?
Queste meraviglie dell'architettura vennero realizzate per volere di grandi personaggi, le cui ambizioni portarono la Grecia allo splendore di un impero. Ma questa esplosione culturale e artistica venne ostacolata a causa di spietate lotte tra le città-stato greche. Lotte che segnarono la fine di un'epoca aurea. 23 settembre 480 a.C. L'alba spuntava sull'isola di Salamina e sul braccio di mare largo un chilometro e mezzo che la separa dalla terra ferma.
Il mare era calmo. Nulla faceva sospettare che di lì a poco si sarebbe scatenata una feroce battaglia e che l'acqua si sarebbe tinta col rosso del sangue. Erano in gioco il futuro e l'indipendenza delle città-stato greche, che erano minacciate da una potenza vicina, il più grande impero del mondo allora conosciuto, l'Impero Persiano.
La Persia era la superpotenza mondiale dell'epoca, ricca e forte militarmente, il più grande impero multietnico e multiculturale mai esistito. I persiani avevano allestito una forza di invasione di proporzioni eccezionali. Circa 700 navi trasportavano 150.000 guerrieri decisi a conquistare la Grecia.
Ma i greci erano pronti a combattere. Il loro leader era l'Ateniese Temistocle, brillante stratega e uomo politico. Da anni, egli si preparava allo scontro con i persiani. Mettersi contro l'impero persiano, la maggiore superpotenza dell'epoca, non fu una scelta facile per Temistocle.
Le forze navali greche erano inferiori nella proporzione di 2 a 1. Temistocle, inoltre, doveva affrontare un grosso problema, tenere unita sotto il proprio comando la coalizione disomogenea e litigiosa delle città-stato greche. Ogni polis, infatti, era una sorta di piccola nazione a sé, autonoma e fiera all'interno del territorio greco. Quindi, per quanto in tutte le polis si parlasse la stessa lingua e si adorassero le stesse divinità, non esisteva un senso di identità nazionale.
Ogni città perseguiva i propri interessi particolari che spesso erano in conflitto con quelli delle altre. E così si scatenavano feroci guerre intestine. Temistocle fu in grado di coalizzare i greci contro il nemico comune.
Lo stratega ateniese non era un aristocratico e non si vergognava delle sue umili origini. Sentiva di non appartenere agli ambienti aristocratici, anzi si vantava di non essere raffinati. Diceva non so suonare la lira né cantare, ma so perfettamente ciò che bisogna fare per rendere una città forte e indipendente.
Temistocle aveva già affrontato i persiani. Dieci anni prima, una forza d'invasione di minori dimensioni aveva attaccato la Grecia, scontrandosi con gli Atenesi e i loro alleati a Maratona. Temistocle fece tesoro di quell'esperienza e a Salamina fondò la sua strategia sull'unico punto debole che aveva individuato nella macchina da guerra persiana, la flotta. Aveva capito che il mare non era l'elemento più congeniale per il nemico. La Persia Era una potenza terrestre, ma sull'acqua poteva essere battuta.
Temistocle convince i suoi concittadini a creare la flotta più potente mai vista al mondo. Lavorando giorno e notte, si iniziò a costruire una flotta di 200 triremi. le navi da guerra più temibili dell'antichità. Una trireme era lunga circa 40 metri, era leggera e affusolata. Sulla prua, a livello dell'acqua, aveva un rostro di legno ricoperto di bronzo.
Un'arma micidiale. Filava come un missile. 170 rematori erano disposti su tre livelli. 62 in quello superiore, 54 in quello intermedio e altrettanti nell'inferiore.
Quelli nell'ultimo livello stavano in un punto bassissimo dello scafo. I fori per i remi si aprivano solo 45 centimetri sopra la linea di galleggiamento. Queste imbarcazioni a remi, costruite in legno, potevano raggiungere la velocità di 8-9 nodi, una prestazione eccezionale per le navi dell'epoca. Erano davvero micidiali.
I rematori naturalmente dovevano fare lavoro di squadra. Bisognava remare all'unisono. Sembra facile in partenza, ma poi è dura tenere il ritmo.
La flotta di Triremi venne completata in pochi anni, giusto in tempo per fronteggiare l'attacco. Nella primavera del 480 a.C. partì l'imponente spedizione persiana contro la Grecia. Sapendo che la flotta nemica era superiore numericamente, Temistocle scogitò un piano semplice ma astuto per compattare le forze greche ed equilibrare le sorti dello scontro. Doveva trasformare una condizione sfavorevole, quella di avere meno navi dei persiani, in un vantaggio.
Per fare questo, bisognava attirare i nemici in un luogo dove non potessero dispiegare le loro forze al completo, e lì colpirli. Il luogo ideale era lo stretto di Salamina. Temistocle ideò così uno stratagemma per attirare la flotta persiana nello stretto di Salamina.
Era un uomo molto astuto. abile nel tendere trappole. Sapeva che i persiani preferivano sottomettere un territorio senza combattere, ricorrendo all'intimidazione o corrompendo i traditori. Alla vigilia della battaglia, Temistocle inviò un servo fidato all'accampamento persiano sull'altro lato dello stretto. Fingendosi una spia, il servo disse al sovrano nemico che le truppe greche erano allo sbaraglio e che se i persiani fossero salpati quella notte, le avrebbero colte di sorpresa.
I persiani caddero nella trappola. All'alba scoprirono con stupore che la flotta greca non si apprestava a fuggire, anzi si stava disponendo in formazione di battaglia, perciò si trovarono costretti a combattere. Era la condizione perfetta per sferrare l'attacco ideato da Temistocle. 200 triremi con a bordo 34.000 uomini si disposero in linea.
I persiani non avevano spazio per manovrare nell'angusto braccio di mare. Temistocle li aveva attirati in una trappola senza via di scampo. Si susseguirono violenti attacchi per tutto il giorno. Le navi greche circondarono quelle persiane, colpendole con i rostri. Nello scontro morirono moltissimi ufficiali persiani.
Tuttavia, la battaglia si svolse in modo così caotico che a fine giornata i greci non erano certi di aver sconfitto il nemico. Ma alla fine, le migliaia di cadaveri di marinai persiani lungo le rive di Salamina resero evidente la vittoria greca. Secondo le fonti, i persiani persero circa 200 navi, i greci solo 40. Coloro che non morirono annegati vennero massacrati dai soldati greci in attesa sulle rive.
Se i greci non avessero vinto la battaglia di Salamina, la civiltà ellenica e quei valori che noi tutti ancora oggi condividiamo forse non si sarebbero sviluppati. Dopo quella straordinaria vittoria, Temistocle venne acclamato come un eroe, ma le sue ambizioni personali e la sua avidità gli procurarono anche molti nemici. Era solo questione di tempo. Il rancore dell'Assemblea esplose.
A Datene, all'epoca, vigeva una procedura chiamata ostracismo, una sorta di gara di impopolarità. I cittadini votavano qual era, a loro giudizio, l'uomo politico più pericoloso per la città, e costui veniva esiliato per dieci anni. Nel 471 a.C.
Temistocle fu ostracizzato. Per ironia della sorte, l'esilio lo portò alla corte persiana al servizio di nemici che aveva tanto combattuto. Non rivide mai più Atene. Fu esiliato proprio in Persia, dove trovò asilo. Terminò la sua vita parlando la lingua persiana e lavorando come amministratore per l'imperatore di Persia, che lo nominò governatore di una città dell'Asia minore.
Temistocle fu uno dei grandi protagonisti della storia greca. Una storia che affonda le radici nel mito, in un glorioso passato rievocato nei poemi epici dell'Iliade e dell'Odissea, che narrano le gesta di divinità ed eroi. Questi racconti sono forse solo leggende, ma le opere architettoniche realizzate dagli antichi greci sono reali e visibili ancora oggi. Nel XIII secolo a.C., in vaste zone della penisola ellenica, era insediata una popolazione che parlava un dialetto greco.
Erano i Micenei, una fiorente civiltà sviluppatasi nell'Egeo. Le loro imprese militari si trasformarono in leggende, tramandate poi dai greci nei secoli a venire. La loro capitale, Micene, era difesa da un'imponente cittadella, costruita nell'arco di 150 anni.
Secondo il mito, i Micenei, guidati dal sovrano Agamennone, furono protagonisti di eroiche imprese militari. Le loro gesta vennero narrate, intorno all'VIII secolo, da Omero, nei due poemi epici per eccellenza, l'Iliade e l'Odissea. Per gli antichi greci, l'Iliade era una sorta di libro sacro.
Le storie narrate racchiudevano una morale, indicavano un modo di vivere. Parlavano delle divinità e della religione, ma descrivevano anche persone e situazioni. Insegnavano gli ideali dai quali si sarebbe dovuto trarre ispirazione. I racconti e i personaggi dell'Iliade e dell'Odissea sono tra i più celebri di tutte le mitologie. Il rapimento di Elena ad opera di Paride, l'assedio di Troia da parte di Agamennone e il cavallo di legno che i greci usarono per entrare a Troia e distruggerla.
Nonostante il trionfo ottenuto nella guerra di Troia, una volta tornato in patria, Agamennone non poteva essere acclamato come un eroe. Secondo il mito, venne ucciso dalla moglie Clitennestra, che congiurò contro di lui. I poemi omerici sono da sempre al centro di un dibattito.
È veramente Omero il loro autore o il poeta si limitò a mettere insieme racconti popolari tramandati oralmente? Dal punto di vista di un antico greco la questione non avrebbe senso. Per i greci Omero non era né un cantastorie né uno scrittore.
Per loro Omero era uno storico e le leggende da lui narrate non erano favole da raccontare ai bambini per farli addormentare, ma fatti realmente successi. Ecco cosa resta di Micene, la capitale descritta da Omero. Secondo la mitologia greca, qui regnò Agamemnon. Le rovine mostrano che i Micenei erano abilissimi costruttori e realizzarono straordinarie opere d'ingegneria. Avvicinandosi a Micene, la prima cosa che si scorge è la cinta muraria di fortificazione, che è molto imponente e incute immediatamente un senso di solennità e timore.
Le mura di cinta dell'acropoli di Micene sono costruite con enormi blocchi di pietra, ciascuno pesante fino a 10 tonnellate. Furono progettate con grande precisione. Ogni pietra si incastra perfettamente con quelle vicine.
Ancor più imponente e solenne appare l'ingresso alla cittadella di Micene, la famosa Porta dei Leoni. La Porta dei Leoni era l'entrata principale dell'acropoli di Micene. È una delle opere più importanti della Grecia preclassica, sia per la struttura architettonica, sia per il simbolismo del basso rilievo.
Due leoni in piedi sulle zampe posteriori poggiano gli artigli sul basamento di una colonna. Le teste ormai perdute guardavano all'esterno. Chiunque entrava così percepiva le mire di potere di Micene.
La porta in sé presenta la classica struttura con due montanti e un architrave. Questi monoliti fungono da pilastri per sostenere un gigantesco architrave pesante circa 12 tonnellate. La parte interessante è quella superiore, dove sono scolpiti i leoni. Attorno al triangolo, le pietre sono disposte in modo da formare una specie di arco, che si chiama arco a mensola.
Immaginate che queste siano quattro pietre. Se invece di impilarle così, vogliamo creare un'apertura su questo lato, le facciamo sporgere un po', disponendole in questo modo, con una struttura a gradini. Volendo azzardare un po' di più, Per ottenere un'apertura ancora più ampia, si possono spostare ulteriormente le pietre, sempre con la stessa tecnica.
Così però la struttura potrebbe crollare. E questo è il rischio. Il trucco per evitare che crolli tutto è semplice. Basta disporre via via dei contrappesi così, dietro ognuno dei nostri gradini.
Questo elemento triangolare è un'innovazione introdotta dai micenei. Non si ha traccia di strutture simili precedentemente. Da questo punto di vista non si può negare che rappresenti qualcosa di veramente nuovo e originale.
Gli architetti micenei perfezionarono poi ulteriormente l'utilizzo dell'arco a mensola creando edifici con una struttura interna rivoluzionaria, la volta a Tolos. Questo tipo di copertura era usato solo in un genere di costruzione, le tombe. I micenei realizzarono infatti monumenti straordinari per ospitare i loro sovrani dopo la morte.
La struttura delle tombe a Tolos si discostava da tutte le altre costruzioni micenee. La forma circolare è quasi del tutto assente nell'architettura dei micenei. Essi prediligevano linee dritte e angoli retti. Solo per le tombe ricorsero alla forma rotonda, probabilmente quindi nella loro cultura. Il cerchio aveva un valore simbolico connesso profondamente all'idea della morte.
Costruire una tomba a Tolos era un'impresa non da poco. Bisognava innanzitutto scavare nel fianco di una collina. Questa specie di trincea costituiva il cosiddetto dromos, che in greco significa corsa o luogo dove si corre. Si tratta infatti di un corridoio che conduce alla tomba, fiancheggiato da due alte pareti di pietre squadrate. Più di 3.000 anni fa, attorno al 1200 a.C., i visitatori che percorrevano il Dromos per avvicinarsi alla tomba si trovarono di fronte un imponente ingresso.
Ai lati dell'entrata si ergevano due alte colonne di marmo verde con decorazioni a zigzag e a spirale. Ognuno di questi blocchi è alto quasi 80 centimetri. Sono disposti ad anello, 33 anelli che vanno a formare un cono. Ognuno è leggermente sporgente rispetto a quello sottostante, così la struttura, una volta livellate le pietre, sembrava una cupola. Per assicurare stabilità a questo tipo di costruzione è necessaria una pressione costante che va dall'esterno verso l'interno, un po' come per una botte di legno.
dove gli anelli metallici sono indispensabili per tenere unite le doghe. Questa pressione nelle tombe micenee era garantita dalla giunta di terra, che veniva compattata intorno alla tomba man mano che la costruzione procedeva. Infatti, una volta terminata la struttura interna, contemporaneamente si formava un cumulo di terra sopra la tomba. Intorno al 1100 a.C., questo la civiltà micenea scomparve, improvvisamente e misteriosamente.
Esistono molte teorie sulla fine dei micenei. L'ipotesi più accreditata è che iniziarono a decadere in seguito alle scorrerie di popolazioni barbare originarie delle steppe, che attaccarono anche l'Egitto e la Mesopotamia, sconvolgendo i traffici commerciali. Dopo la caduta di Micene, per quattro secoli, la Grecia attraversò un'epoca buia dal punto di vista culturale. La rinascita iniziò nell'VIII secolo a.C.
con la comparsa e lo sviluppo delle città-stato. Ognuna gareggiava con le altre per il primato economico e militare, ma anche per realizzare le opere più grandiose. Sull'isola di Samo, ad esempio, venne realizzato uno dei progetti ingegneristici più straordinari e all'avanguardia del mondo antico. un tunnel che attraversava una montagna per portare acqua alla città. Sparta, Atene, Corinto, Tebe sono solo alcune delle oltre 100 città-stato che fiorirono nella penisola ellenica 400 anni dopo la fine dell'antichissima civiltà micenea.
Prima dell'avvento della democrazia nel mondo greco, in molte polis vigeva la tirannide, cioè il governo di un solo uomo. Uno dei più famosi tiranni greci fu Policrate, che regnò sull'isola di Samu, situata nella parte orientale del mare Geo. Ebbe un ruolo di spicco sulla scena politica internazionale.
Strinse alleanza con i persiani e anche con gli egizi. Era un uomo ambizioso. Policrate capì che la più grande risorsa che Samo poteva sfruttare era il mare.
Creò una flotta di cento trireme che seminò il terrore fra le città vicine e impose una tassa a tutte le navi che transitavano in prossimità dell'isola. Sotto Policrate, Samo divenne una grande potenza marittima. Fu lui a gettare le basi della fortuna e del potere dell'isola.
Grazie alle ricchezze accumulate, Policrate fece erigere imponenti mura difensive attorno alla città e poteva affrontare un problema che assillava molte isole del Mediterraneo, la scarsità di acqua potabile. Samo era una grande città con molte risorse. Purtroppo però l'acqua scarseggiava e ce n'era un gran bisogno. Esisteva una sorgente d'acqua dolce, ma era separata dalla città dal Monte Castro, una collina alta circa 300 metri. Policrate doveva trovare il modo di collegare la città alla fonte, ma realizzare un acquedotto sulla collina non era possibile.
Potevano costruire lungo i pendii un sistema di canali per rifornire la città, ma in caso di assedio i nemici lo avrebbero immediatamente sabotato. E così, nonostante le fortificazioni e le nuove mura, la popolazione sarebbe morta di sete. Era necessario trovare un'altra soluzione. Policrate si rivolse a un architetto di nome Eupalino. Egli ideò un progetto quasi incredibile per l'epoca, realizzare un tunnel che attraversasse il Monte Castro da una parte all'altra.
Un progetto imponente e molto lungo da realizzare. Era necessario moltissimo tempo per scavare una galleria del genere. Si decise perciò di realizzare due tunnel, uno che partiva da un versante e uno dall'altro. Sorsero però problemi di misurazione.
Come gli ingegneri del XX secolo che hanno progettato il tunnel sotto la manica, Eupalino fece scavare due gallerie partendo dagli opposti versanti del monte, facendole incontrare a metà strada. Condizione fondamentale era che gli imbocchi venissero realizzati alla stessa quota. Inoltre, le due gallerie dovevano correre sullo stesso piano orizzontale.
altrimenti c'era il rischio che gli scavi procedessero senza mai incontrarsi. Era una bella impresa senza disporre dei moderni strumenti per il rilevamento delle quote. Ecco come Eupalino effettuò i suoi calcoli. Procedendo a piedi intorno al monte, schematizzò il percorso dalla sorgente alla città in una serie di tratti perpendicolari tra loro. Sommando tutti i tratti verticali e tutti quelli orizzontali, ricavò i due cateti di un triangolo rettangolo e ne calcolò quindi l'ipotenusa.
Questa indicava la direzione del condotto attraverso il monte. Per realizzare l'acquedotto, il progetto prevedeva inoltre lo scavo di un'altra galleria più grande per gli addetti ai lavori. Questa galleria principale delle dimensioni di m x m, serviva solo come spazio in cui lavorare per realizzare il tunnel sottostante, che era il vero e proprio acquedotto. Mentre la galleria di lavoro fu scavata senza inclinazione, l'acquedotto venne realizzato con una certa angolazione e una leggera pendenza per far sì che l'acqua scorresse lentamente verso la città.
Nelle viscere della montagna, proseguire i lavori fu arduo. Una volta che si addentrarono all'interno del monte, le difficoltà furono moltissime. Potevano verificarsi crolli imprevisti e l'acqua poteva improvvisamente inondare le gallerie.
Quindi c'erano pericoli continui. inoltre i tunnel erano bui e bisognava illuminarli anche perché gli addetti allo scavo dovevano sapere sempre in che punto si trovavano per fare procedere il tunnel in linea retta ci fu qualche modifica di strumento percorso, ma alla fine gli operai si incontrarono a metà strada all'incirca nel punto previsto da Eupalino. I due tunnel si raccordarono con un dislivello di una sessantina di centimetri, una differenza insignificante se si pensa che la galleria era lunga oltre un chilometro. Quella straordinaria opera ingegneristica doveva essere il fiore all'occhiello del regno di Policrate, ma lo splendore di Samu non durò ancora a lungo. Il governatore persiano dell'Asia minore ritenne che il grado di autonomia di cui Policrate godeva non poteva essere tollerato.
Poteva diventare d'impaccio alle manovre di espansione dell'impero. Il tiranno fu così catturato, brutalmente torturato e infine crocifisso. Policrate è solo uno dei tiranni che governarono le città-stato fino al VI secolo. Per tutta l'età arcaica, fra l'Ottocento e il Cinquecento avanti Cristo, le uniche forme di governo che i greci conobbero furono la monarchia, l'oligarchia e la tirannide. Ma stava per aprirsi una nuova era.
Nel V secolo, Atene inaugurò il primo governo democratico. L'illuminato statista che rese possibile quel cambiamento si chiamava Pericle. A lui si deve anche la costruzione del monumento simbolo della civiltà greca che sorge sull'acropoli di Atene.
È il tempio greco per eccellenza, il Partenone. Nel 480 a.C., quando Temistocle sconfisse i persiani a Salamina, salvò non solo Atene, ma anche la sua giovane democrazia, nata circa 30 anni prima. Anche Atene aveva avuto i suoi tiranni, ma la loro epoca era finita.
La città era ricca, militarmente forte, all'avanguardia nelle arti e nella cultura. Si aprì la cosiddetta Epoca d'Oro di Atene, legata soprattutto al nome di Pericle. Intellettuale, progressista e illuminato, egli favorì le arti e lo sviluppo della democrazia.
Il suo primo obiettivo, però, fu sempre quello di accrescere il potere ateniese a costo di ricorrere al ricatto, alla corruzione e alla forza. Pericle apparteneva a una delle antiche famiglie aristocratiche di Atene. Da un uomo che vantava quelle nobili origini ci si aspettava che assumesse un ruolo di comando in campo politico o militare.
La sua carriera politica ebbe inizio quando, giovanissimo, entrò a far parte del Collegio degli Strateghi. i dieci uomini che detenevano il comando dell'esercito ad Atene. Abilissimo oratore, Pericle presto divenne il più influente statista ateniese.
Pericle era nato per fare il politico. Era un'attività che gli riusciva naturale. Era bravo con le parole, sapeva convincere e si dedicava anima e corpo al suo lavoro.
Dal 461 al 429 a.C. egli fu al governo ad Atene, ricoprendo diverse cariche pubbliche. All'epoca la marina ateniese non aveva rivali nel Mediterraneo orientale e la sconfitta subita dai persiani a Salamina l'aveva dimostrato.
Ma la minaccia di un'altra invasione incombeva ancora. Per questo nel 478 a.C. Atene aveva stretto con altre città-stato greche un'alleanza a scopo difensivo chiamata Lega Delioattica.
Intorno alla metà del V secolo, Atene aveva ormai assunto un ruolo di preminenza all'interno della Lega Delioattica, assicurandosi anche notevoli entrate. Pericle trovò il modo di impiegare al meglio il denaro disponibile, costruendo opere pubbliche che rispecchiavano la potenza e lo splendore di Atene. Secondo il mito, Poseidone, dio del mare, e Atena, dea della sapienza, si sfidarono sull'acropoli di Atene per il patronato della città.
Giudici della contesa furono gli stessi ateniesi. Poseidone colpì il suolo con il suo tridente, facendo scaturire l'acqua. Atena, invece, trafisse il terreno con la sua lancia e fece nascere un ulivo, che rappresentava una fonte di sostentamento e anche di attività commerciali.
Vinse Atena, che divenne così la dea protettrice della città. Nel corso dei secoli erano stati eretti vari templi in suo onore. A Pericle, però, spetta il merito di avere donato al mondo la più straordinaria opera architettonica dell'antica Grecia, il Partenone.
Pericle decise di ricostruire sull'acropoli Un tempio dedicato ad Atena, sulle fondamenta di un preesistente edificio consacrato alla Dea. Ci vollero migliaia di operai e di esperti artigiani per realizzare il partenone e i costi di costruzione furono elevatissimi. La cifra si aggirerebbe intorno ai 30 milioni di drachme. Oggi corrisponderebbe a qualche miliardo di euro.
Era una cifra astronomica. Non dimentichiamo però che si trattava di un'opera finanziata dallo Stato. La costruzione iniziò nel 447 a.C. In lunghezza, il Partenone occupa circa due terzi di un campo da calcio.
I lati corti misurano 30 metri e quelli lunghi 70. Per costruirlo fu necessario estrarre e trasportare il marmo da una cava distante circa 16 chilometri. Occorrevano in totale 30.000 tonnellate di marmo bianco. Nella cava, gli operai sfruttarono le crepe presenti naturalmente nella pietra per staccare enormi lastre dal fianco della montagna. Per prima cosa, bisognava individuare queste incrinature e calcolare se il blocco di marmo fosse abbastanza grande per lo scopo a cui serviva.
Se andava bene, si inserivano dei cunei all'interno delle spaccature che potevano essere orizzontali o verticali. Ovviamente si usavano cunei di ferro, non di legno. Era un metodo efficace, perché colpendo simultaneamente i cunei con dei martelli veniva impressa un'enorme forza. Così, data la friabilità del materiale, si riuscivano a creare ulteriori crepe. Quando gli enormi blocchi di marmo erano pronti, squadre di operai con l'ausilio di leve, funi e carrucole intervenivano per spostarli e trasportarli verso l'acropoli.
Non mancavano però gli incidenti. In questa fase c'era sempre il rischio che gli enormi blocchi di marmo scivolassero, schiacciando e uccidendo gli uomini al lavoro. Estrarre e trasportare il marmo dalla cava fu solo la prima delle difficoltà affrontate per costruire il Partenone. I tecnici al servizio di Pericle dovettero trovare una soluzione per sollevare gli enormi blocchi, pesanti anche 10 tonnellate. Luglio 447 a.C.
Sull'acropoli di Atene fervevano i lavori per la costruzione del Partenone. Pericle era intenzionato a fare di Atene la città più potente della Grecia, un faro per le altre polis, e il Partenone doveva essere il suo simbolo. Era un modo per affermare la supremazia della città, per dimostrare che Atene era la culla della democrazia e della libertà di pensiero, e che con il suo esercito e la sua flotta era superiore alle altre polis.
Quasi tutti i templi dell'epoca erano esastili, cioè avevano sei colonne sulla facciata e tredici sui lati lunghi. Il Partenone fu progettato invece per essere un tempio ottastilo, cioè con otto colonne sulla facciata e diciassette sui lati. Questo lo rendeva diverso dagli altri templi, che avevano tutti le stesse proporzioni.
Potevano variare le dimensioni, ma l'aspetto era lo stesso. Variando le proporzioni invece... l'edificio appariva più imponente.
L'elemento fondamentale in un tempio greco sono le colonne. Ogni colonna era composta da 11 cilindri di pietra posti uno sopra l'altro, chiamati rocchi. Essi erano scanalati e dovevano combaciare perfettamente quando venivano sovrapposti.
La base superiore di ciascun rocchio era divisa in quattro anelli concentrici. Ciascuno di essi veniva lisciato o mantenuto ruvido. a seconda dell'aderenza necessaria per incastrare il rocchio con quello successivo.
Al centro, gli scalpellini realizzavano un incavo rettangolare profondo una decina di centimetri. Venivano poi inseriti all'interno di ciascun incavo tasselli di legno che servivano ad allineare e centrare ogni rocchio con quello superiore. La fase successiva era la più difficile, sollevare i pesantissimi rocchi.
Si pensi che per ciascuna colonna del partenone si dovettero sollevare fra le 63 e le 119 tonnellate di marmo. Furono usate delle gru. Le gru sono macchine estremamente semplici, composte da un braccio e da una serie di carrucole.
Come noto, il vantaggio di questo sistema è che a seconda di quante carrucole vengono utilizzate, consente di sollevare un peso di 10 tonnellate, abbassando un contrappeso anche di soli 10 tonnellate. 100 kg. Il blocco di pietra veniva fissato alla gru in vari modi.
Uno dei più comuni prevedeva di agganciare delle funi a sporgenze volutamente lasciate attorno al rocchio di marmo. Poi si attaccavano le funi a un gancio metallico a forma di S. Alla parte superiore del gancio veniva infine fissata la corda della gru.
Di solito si lasciavano quattro protuberanze per rocchio. in modo che lo sforzo per sollevarlo venisse distribuito in modo uniforme. Come per le colonne, anche per i muri della cella interna si dovette studiare un sistema per unire i blocchi di pietra. A quei tempi non si usava la malta.
Si utilizzavano degli elementi metallici a forma di doppia T che venivano inseriti in appositi incavi cesellati nei blocchi. Una volta che le colonne e i muri erano completati, si facevano saltare via le protuberanze usate per sollevare i blocchi e la pietra veniva lisciata. Si dice che nel Partenone non esistano linee dritte.
In effetti, quando il tempio venne edificato, gli architetti ricorsero ad una serie di cosiddette correzioni ottiche. Le usarono a partire dai gradini alle colonne fin sul timpano, l'elemento triangolare sulla sommità dell'edificio. Osservate i gradini. Sembrano dritti, ma a uno sguardo più attento, nella parte centrale, c'è una curvatura.
Questo stratagemma è usato anche nelle colonne. Sono di ordine dorico, quindi prive di base. Sembrano venire fuori direttamente dalla pietra.
Ogni colonna ha 20 scanalature, che sembrano ondeggiare grazie al gioco del chiaroscuro. Il fusto della colonna è leggermente rigonfio nella parte mediana. Questo rigonfiamento si chiama entasi.
Una lunga linea retta che si trova all'altezza del nostro orizzonte tende ad apparire curva. Per eliminare questa illusione ottica, gli architetti del Partenone utilizzarono linee curve, così da creare l'effetto contrario e dare l'impressione di una perfetta armonia geometrica. Se la struttura invece fosse stata squadrata, con precisi angoli retti, sarebbe sembrata tutta storta.
All'interno del partenone era custodita la monumentale statua di Atena. I costi per la costruzione del tempio erano stati elevatissimi, ma quelli per la statua all'interno furono altrettanto alti, se non di più. La statua di Atena era alta tra i 10 e gli 11 metri. Era davvero colossale e anche molto preziosa. Infatti, era una statua criso-elefantina, cioè fatta di avorio e oro.
Centinaia di scultori lavorarono ai freggi del Partenone, dimostrando la grande maestria dei greci anche nelle arti decorative. I freggi più famosi del Partenone sono quelli che corrono lungo le pareti della cella interna. Basso rilievo realizzato con uno sbalzo di pochi centimetri, raffigurante le Panathenee, celebrazioni dedicate alla dea Atena, che si tenevano nella città ogni quattro anni. Oggi le rovine del Partenone che tutti vediamo sono bianche.
In antichità, invece, non solo le sculture, ma molte parti dell'edificio erano decorate con vari colori. Non tutti i cittadini ateniesi, però, apprezzarono il tempio. Alcuni lo consideravano brutto, un progetto voluto solo da Pericle per autocelebrarsi.
Molti ateniesi detestavano il Partenone e gli altri templi voluti da Pericle. Li giudicavano orribili, un pugno in un occhio. A Platone, ad esempio, non piacevano.
Molti cittadini non condividevano l'idea di costruire nuovi edifici sull'acropoli, il luogo più sacro della città, perché quelle novità rappresentavano una rottura col passato. Il malcontento ad Atene non riguardava solo la costruzione del Partenone. Più il potere di Pericle cresceva, più i suoi rivali politici tramavano contro di lui. Presto lo attaccarono, colpendo i suoi più stretti collaboratori. Il primo obiettivo fu una donna colta e raffinata di nome Aspasia, un'etera che frequentava l'alta società ed era compagna di Pericle.
Le etere erano cortigiane di alto livello. Vengono spesso paragonate alle geishe della cultura giapponese. Frequentavano ambienti esclusivi e partecipavano alla vita culturale ateniese e greca in generale. In epoca classica, ad Atene le donne erano sottomesse agli uomini.
Aspasia, però, rappresentava un'eccezione. Pericle non la considerava inferiore e l'aveva introdotta negli ambienti. dell'elite cittadina.
Lei e Pericle facevano coppia fissa. Si facevano sempre vedere insieme, suscitando stupore e persino scandalo fra la popolazione ateniese. Pericle una volta fu visto addirittura baciare Aspasia in pubblico.
Evidentemente nell'antica Atene non erano molto gradite queste dimostrazioni di affetto in pubblico. Il Partenone venne terminato nel 432 a.C. C'erano voluti quasi 15 anni di lavoro, ma alla fine il tempio dedicato ad Atena rispondeva al disegno politico di Pericle, mostrare la supremazia di Atene al mondo.
Per ironia della sorte, l'egemonia che il tempio simboleggiava stava svanendo, mentre Sparta, l'antica nemica di Atene, acquistava potere. La creazione della Lega Delioattica da alcuni è vista come la nascita dell'impero atenese. In effetti tutte le città che appartenevano all'alleanza divennero sempre più sottomesse ad Atene, tanto che gli spartani iniziarono a guardare con sospetto gli atenesi e alla fine si sentirono minacciati da essi.
Nel 431 a.C. Sparta mosse guerra ad Atene. Per due lunghi anni... Atene resistette all'assedio, ma la splendida città di Pericle subì anche l'attacco di un nemico invisibile. Dopo un paio di anni, a causa del sovraffollamento all'interno della città, la popolazione fu colpita da un'epidemia proveniente forse dalle regioni del vicino Oriente.
È nota come la Grande Peste Ateniese e causò la morte di moltissimi cittadini. Pericle aveva circa 60 anni. Sopravvisse alla pestilenza, ma ne uscì indebolito fisicamente. A lui fu addossata la colpa della sventura che aveva investito Atene. Nel 429, con la guerra e la peste che gettavano un'ombra cupa sulla sua città, Pericle morì.
Il sanguinoso conflitto che oppose Sparta ad Atene, conosciuto come Guerra del Peloponneso, continuò per altri 25 anni. Si concluse nel 404 a.C. con la sconfitta di Atene.
Al termine della Guerra del Peloponneso, l'epoca di Pericle e la supremazia di Atene erano finiti. Lo splendore della cultura e dell'architettura classica però sopravvissero. I due uomini che contribuirono maggiormente al perpetuarsi di quell'eredità però non erano ateniesi. I nomi di questi due personaggi divennero sinonimo di conquista, ma anche di ellenismo, cioè della diffusione degli ideali e della cultura greca nel mondo fino ai nostri giorni.
Si tratta di Filippo II il Macedone e di suo figlio. Un condottiero che suscitò l'ammirazione di generali e imperatori di ogni tempo, da Giulio Cesare a Napoleone. In soli 33 anni, quell'uomo si impose in quasi tutto il mondo allora conosciuto.
Fu allievo di Aristotele e arrivò persino ad autoproclamarsi Dio. Si chiamava Alessandro Magno.