In un giorno forse non certo casuale, il Natale del 1991, la bandiera dell’Unione Sovietica venne calata una volta per tutte dal pennone del Cremlino. Era la fine di un’era durata quasi 70 anni. Quella sera la CNN trasmise in diretta il discorso di dimissioni dell’ultimo segretario del partito comunista sovietico: Mikhail Gorbaciov. La prima reazione internazionale fu quella del presidente statunitense George Bush Senior che, per ben tre volte, definì l’evento come la vittoria definitiva dell’America sul comunismo. Tuttavia, la domanda che già molti si posero all’epoca fu: come si era arrivati a quel punto? Il collasso dell’Unione sovietica fu un susseguirsi di cause. Cause interne ed esterne, cause vecchie, incancrenite, proprie di un sistema ingolfato, e ingigantite da una sequenza di errori madornali. Per parlare del 1991 dobbiamo tornare qualche anno più indietro, il 12 novembre 1982. Gorbachev non era ancora il Segretario generale del Partito Comunista. Quel ruolo era ricoperto da Jurij Andropov. E a dirla tutta l’idea di “ristrutturare” l’Unione Sovietica non partì proprio da Gorbaciov. Ma da Andropov. In Russia molti dicevano: se solo Andropov fosse vissuto un po’ più a lungo, l’URSS sarebbe sopravvissuta. Beh, quando venne nominato da Brezhnev come suo successore, Andropov era consapevole di ereditare un’Unione Sovietica piena di problemi. Nell’82 i Sovietici erano in guerra con l’Afghanistan, la distensione con l’Occidente era fallita e Reagan – campione anti-comunista - era salito alla casa bianca. In Europa Orientale le cose non andavano poi meglio: in Polonia I lavoratori chiedevano una diminuzione del prezzo del cibo e, con l'aiuto di intellettuali dissidenti, avevano fondato un movimento di rivolta, Solidarność, che nei primi anni ottanta contava già milioni di aderenti. I problemi però non erano solo quelli dell’ultima ora: di questioni aperte, l’URSS se ne trascinava parecchie dalla fondazione, e una di queste era l’annosa questione dell’arretratezza storica. Il socialismo in Russia, fin dai tempi della Rivoluzione, pretendeva infatti di poter modernizzare una nazione che, a differenza dell’Europa Occidentale, era ancora intrappolata in un caos economico e politico. Mettiamola in termini pop che faranno imbestialire i professori universitari più conservatori. Era come giocare a un videogioco di strategia: scegli l’URSS e avrai un’handicap di partenza rispetto alle altre nazioni occidentali. Questo handicap di partenza ha generato una condizione immatura, acerba, per i comunisti al potere, e ha fatto sì che essi forzassero le tappe di un processo di modernizzazione che all’Occidente invece aveva richiesto secoli. Per metterla in termini ancora più terra terra che farà incazzare il più reazionario dei cuochi stellati, hanno voluto fare la pasta mettendola direttamente a bollire nell’acqua ancora tiepida. Per alcuni l’Unione Sovietica si era creata su fondamenta instabili: un’economia dilaniata dall’incapacità del governo zarista, classi operaie realmente ancora poco sviluppate e l’assenza di movimenti culturali davvero determinanti. Questa condizione di azzoppamento, o meglio, di mancanze intrinseche al sistema, sarebbe perdurata per tutta la storia sovietica. Certo, con Stalin, l’industrializzazione pesante e l’aumento della centralizzazione avrebbero portato cambiamenti nell’economia, erano stati un impulso decisivo per trasformare l’Unione Sovietica in una nazione non più arretrata ma industriale, la seconda al mondo, eppure le problematiche latenti non erano scomparse, si erano solo incancrenite: la popolazione maggioritaria non erano più i contadini ma gli operai. Ciaone proprio, Kulaki. E sia con Stalin che con i successori Krushev e Brezhnev l’economia era stata dettata da una sola parola d’ordine: intensività… quando in realtà ai sovietici serviva l’opposto, estensività. Per battere l’Occidente, l’URSS adottò il mantra della quantità sulla qualità. Per quanto distante dagli Stati Uniti, il modello sovietico si sarebbe sempre fondato su una concezione ancora “fordista”, diciamo così, dove quasi tutti finivano in una fabbrica a lavorare come operai per contribuire all’enorme produzione di materiali, prima bellici e poi ad uso civile. E tale sarebbe rimasta anche quando nel resto del mondo occidentale, negli anni 80, si iniziava a intravedere l’arrivo di una nuova tecnologia: l’informatica. Proprio in quanto promotori di un modello socialista, il grosso problema dei sovietici fu l’essere stati subito sottoposti a un fortissimo isolamento politico e a embarghi economici da quella fetta di mondo avanzata, l’Occidente. L’Unione Sovietica era sì autonoma, ma era finita per essere alla fine della fiera un universo a sé stante, solitario. Andropov negli anni 80 fu il primo a rendersi conto che per modernizzare l’economia sovietica ci sarebbe stato bisogno di soldi e di conoscenze che in Occidente abbondavano. Questo pensiero ovviamente non sminuiva il valore e la qualità di molti scienziati sovietici, bensì l’immobilismo che da decenni contrassegnava il Partito Comunista. Come confessato nell’81 da Andropov a Erich Mielke, capo della Stasi – i servizi segreti della Germania Orientale: “Gli americani sembrano avere soldi illimitati”. Andropov non aveva tutti i torti: la Nato, il Giappone e gli Stati Arabi del Golfo contribuivano a finanziare il debito e le casse di Stato Americane, comprese le spese militari; all’opposto l’Unione Sovietica aveva dalla sua tutta una serie di staterelli socialisti che dipendevano esclusivamente dai sussidi di Mamma Mosca, gravando come pesi morti. L’isolamento dei paesi socialisti aveva contribuito a far capire a tutti che a dettare le regole del gioco a livello planetario era il capitalismo, e il fatto che con la distensione negli anni 70 l’Unione Sovietica avesse fatto sua l’idea di aprire un dialogo con gli Stati Uniti, e quindi bussare alla porta di chi controllava il mercato capitalista, fu – per utilizzare le parole di Eric Hobsbawm – l’inizio della fine . I primi segni di debolezza dell’Unione Sovietica si manifestarono nel 1979, quando i mercati internazionali vennero colpiti da una pesantissima crisi petrolifera. L’ondata si abbatté con tutta la sua potenza sui bilanci sovietici che contavano molto sull’esportazione di gas e greggio (l’URSS nel 79 era infatti la prima nazione produttrice di petrolio, con più di 11 milioni* di barili al giorno). Era stata però un’altra crisi energetica a cambiare le carte in tavola, non quella del 79 ma quella del 73. In quell’anno l’Occidente senza petrolio decise di rinnovarsi in campo tecnico e scientifico per rendersi meno dipendente dai paesi esportatori di greggio e al tempo stesso trovare nuovi metodi di guadagno; la Russia invece, si accontentò di esportare ai paesi occidentali il Petrolio e non ebbe stimoli a volersi innovare (3bis). Fu uno dei tanti treni persi dal Partito. In una riunione dell’82 Andropov denunciò un fatto molto inquietante: i sovietici importavano sempre di più cibo come grano e carne dai paesi stranieri: “Non voglio allarmarvi”, disse Andropov [BART! Non voglio allarmarti] “ma” proseguì Andropov, negli ultimi anni abbiamo sprecato miliardi di rubli”. Parole dure, di uomo davvero strano che però in realtà ci aveva visto giusto, perché invece di utilizzare i proventi del petrolio per investirli in tecnologia e conoscenze per lo sviluppo, l’Unione Sovietica li usava per fare quello che non doveva fare: importare cibo – che poteva produrre benissimo da sé – e sovvenzionare i suoi stati satelliti. Gli Stati Uniti non fecero altro che ringraziare. Quando il petrolio crollò nel 79, i russi si trovarono senza più soldi per pagarsi le importazioni di cibo. A quel punto cosa fecero? Iniziarono a indebitarsi con gli stessi stranieri occidentali. I primi a far esperienza sulla propria pelle del meccanismo dell’indebitamento furono i paesi dell’Est Europa, quelli baltici ma soprattutto Romania, Polonia e Ungheria, dove la necessità di rimborsare il debito straniero aumentò i malesseri sociali, i quali, a loro volta, sfociarono nelle sommosse popolari che portarono lentamente l’Est Europa lontana dal controllo Sovietico. I primi paesi a contrarre debiti con il Fondo Monetario Internazionale furono anzitutto la Jugoslavia che non era più allineata con Mosca, poi fu il turno degli amici del Patto di Varsavia. Mosca si trovò, volente o nolente, già nel 1970 circondata da stati satelliti con bilanci in rosso e con le tasche piene di capitali occidentali contratti a debito. Quando nel 1980 in Polonia un gruppo di dissidenti creò Solidarnosc, Andropov si rese conto di una cosa: dell’incapacità di poter intervenire militarmente come fatto con la Cecoslovacchia nel 68. Anche perché il problema di fondo non era tangibile, il problema erano i piccioli, i soldi. Come evidenziato dallo stor ico Vladislav Zubok la Polonia aveva accumulato 27 miliardi di dollari di debiti con le banche occidentali a interessi molto elevati e, da parte sua, i sovietici non avevano i capitali per risanare i debiti dei polacchi. I Russi sapevano bene le implicazioni di questa cosa: i loro stessi stati satelliti erano diventati gli anelli deboli che rischiavano di far saltare il COMECON, l’alleanza economica all’interno delle repubbliche dell’Unione. In un’inchiesta di Carl Bernstein, giornalista noto per aver contribuito alla fuoriuscita dello scandalo Watergate in America, si riportava che Solidarnosc non era altro che uno strumento in mano agli Stati Uniti e finanziato dal Banco Ambrosiano per scardinare l’URSS dall’interno. Nulla di nuovo sul fronte occidentale: Il Vaticano auspicava di radicarsi non solo nella religiosissima Polonia ma anche nel resto dei paesi dell’Est Europa e gli Stati Uniti, beh, inutile dirlo: volevano vincere la corsa. Come riportava Bernestein, l’ambasciata statunitense nella capitale Polacca Varsavia si era infatti tramutata nel quartier generale della CIA al di là della cortina di ferro. Indubbiamente in Polonia però i malumori c’erano già di suo, i cittadini erano molto sofferenti, altrimenti per i servizi segreti occidentali creare dal nulla delle rivolte così massicce sarebbe stato impossibile. L’uso delle intromissioni dei servizi segreti era comune da entrambe le parti; gli armamenti nucleari obbligavano ad agire nelle retrovie. E a proposito degli armamenti nucleari, c’è chi dice che la corsa agli armamenti e il budget per le spese militari abbiano contribuito allo squilibrio sovietico. Secondo Mark Harrison, docente esperto di Storia Economica, a mettere in pericolo l’economia sovietica non sarebbe comunque stata la spesa militare. In termini numerici, il personale attivo in Unione Sovietica negli anni 80 ammontava a più di 5 milioni e il 12% del PIL era dedicato al budget per l’industria bellica; in confronto, il massimo che gli Stati Uniti avevano fatto fu nel 1963, quando allocarono il 9,30% del PIL. Gli Stati Uniti inoltre, avendo a disposizione un maggior numero di alleati e quindi maggiori risorse a cui attingere, poterono tollerare con più tranquillità questa corsa agli sprechi che, in fin dei conti, era finalizzata a dissanguare freneticamente le casse sovietiche, una cosa che lo stesso segretario di Stato George Schulz avrebbe poi ammesso. Negli anni 80, quando Reagan progettò l’installazione degli Euromissili, i Sovietici dovettero rincarare la dose con la rincorsa alle tecnologie avanzate e la creazione di un arsenale di più di 6000 testate nucleare, uno sforzo immane per la debole economia sovietica che generò scompensi irreparabili. L’economia sovietica infatti, da che Stalin ne prese le redini, si era fondata su uno stato di guerra permanente e nevrosi, e questo aveva spinto i russi a prediligere l’industria pesante – anzitutto bellica e di macchinari industriali – a scapito di quella dei beni di consumo. E come se non bastasse, nonostante i fallimentari tentativi di riformare l’economia da parte di Kosygin negli anni 60, la pianificazione sovietica – che era centralizzata e statalista – aveva gravi crepe al suo interno: informazioni falsate e imprecise, costi di produzione gonfiati, materiali prodotti in eccesso senza render conto delle reali quantità necessarie, scarsa produttività del lavoro, ritmi bassi, assenteismo, e manodopera mal sfruttata. Tutto questo non fece altro che aumentare il divario con il troppo competitivo mondo capitalista. Nei panni di un operaio sovietico, che lavorassi duro 10 ore al giorno o meno, sempre quello stipendio arrivava. Quindi perché sforzarsi inutilmente? Lo stesso accadeva con gli stipendi di tutte le professioni (da medici anche a ingegneri) che, da Krushov negli anni 60, erano stati fissati a un tetto prestabilito oltre il quale raramente si andava. È logico che senza la possibilità di progredire economicamente, uno non ha gli stimoli per migliorarsi. Esempi concreti come questi generarono nei decenni una perdita di fiducia nel socialismo come pensiero politico da parte dei sovietici. Negli anni 70 e 80 in Russia, come riportato da Zaslavsky, gli operai erano passivi, indifferenti, privi di ideali e guidati da comportamenti prettamente consumistici, un pessimismo accentuato anche dal fallimento dell’invasione in Afghanistan. La società era entrata in un labirinto di crisi economiche e sociali. Le stesse aziende sovietiche, sovvenzionate dallo Stato, non puntavano all’innovazione tecnologica e all’investimento, perché tanto non gli sarebbe cambiato nulla. Da qui derivò lo spreco di soldi e di capitale umano sotto tutti i punti di vista. Tenere sott’occhio le finanze era una delle cose che i Sovietici dovevano fare con accortezza e che non fecero. Certo, all’epoca non esisteva, ma noi al posto dei sovietici possiamo usare un salvadanaio digitale come Gimme 5, lo sponsor che ha gentilmente supportato l’episodio di oggi. È da quasi due mesi che, come sapete dal video sulla Gioconda, sto continuando a utilizzare Gimme 5 per risparmiare in previsione di due obiettivi. Il primo, già raggiunto, è un reportage che farò a febbraio inaugurando una nuova serie che sono sicuro vi piacerà. Il secondo è di lungo periodo: accantonare un bel po’ di soldi con cui aprirmi un mutuo per la prima casa, sapete per non finire sotto un ponte quando sarò vecchio. Con Gimme5 potete depositare la cifra che volete per i vostri piani di breve e lungo periodo. Che vogliate comprarvi un’auto o ristrutturarvi casa – e già che ci siete anche l’Unione Sovietica – con Gimme5 potrete mettere in moto in uno dei fondi comuni a scelta i vostri risparmi e lasciare che il tempo li faccia crescere per voi. 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Con l’indebitamento della crisi del 79, il cibo cominciò pian pian o a scarseggiare e la distribuzione dei viveri essenziali si fece sempre più complessa perché proveniva dall’estero, al di là della ostile cortina di ferro. Quando con Gorbaciov alla fine degli anni 80 i prezzi del cibo si conformarono a quelli del libero mercato occidentale, la frittata era ormai fatta e gli scaffali vuoti nei supermercati diventarono la norma in Russia. La crisi dei beni essenziali fu poi accentuata da un’altra piaga interna che si era formata dagli anni 50 in Unione Sovietica: la Doppia Economia. Oggi la definiremmo “il sommerso”, un’economia ombra, parallela a quella statale e composta da transazioni che passavano al di sotto dello scanner della burocrazia sovietica. Nella sostanza la Doppia Economia toglieva introiti allo Stato, facendoli confluire nel mercato nero. Beni come le automobili, per le quali c’erano lunghissime liste di attesa di anni, erano un’ottima opportunità su cui molti burocrati speculavano, rivendendole al mercato nero a prezzi altissimi. Questo riguardava qualsiasi oggetto: mobili, pezzi di ricambio, vestiti e anche la costruzione delle case. Il mercato nero implicava che, oltre ai soldi, allo Stato si rubassero materiali e forza lavoro. Nel tempo, in tutta l’URSS – specie le zone più remote da Mosca - si era formato infatti un sottobosco di imprenditori – che lo storico Zubok chiama pseudo capitalisti. Questi in sostanza erano imprenditori veri e propri con soldi, materiali e lavoratori sottobanco; tutte cose fatte a nero per racimolare altri soldi e guadagnare ben oltre lo stipendio standard che lo Stato offriva. Konstantin Simis nel suo libro “Il mondo segreto del Capitalismo Sovietico” afferma: “sotto la superficie socialista risiede una rete di aziende private. Migliaia di queste producono maglie, scarpe, occhiali da sole, cassette con musica pop occidentale, borse e tantissimi altri beni. I proprietari erano sia piccoli imprenditori che clan familiari multimilionari con in mano decine di aziende”. Quando Gorbaciov salì al potere nell’85 su indicazione di Andropov, nessun politico o burocrate era esente da questo traffico sottobanco. Il sommerso, che nel 60 equivaleva al 3% dell’economia nazionale, nel 90 in Unione Sovietica finì per toccare punte del 13%. A costituire una buona fetta dell’economia sommersa sovietica erano anche la prostituzione e la droga. Fu in questa illegalità che la corruzione e le Mafie trovano infatti un terreno molto fertile. Già nel 1974, tra i massimi rappresentanti di Partito, la Mafia di Mosca intratteneva proficui rapporti commerciali. Con le feroci privatizzazioni nei primi anni 90 la Mafia russa avrebbe trovato l’albero della cuccagna, quello fu il periodo in cui il crimine organizzato diventò il vero padrone delle strade, il dispensatore di morte e violenza per milioni di russi che caddero nel baratro della tossicodipendenza. E a differenza dei predecessori che cercarono quantomeno di nascondere le cose, Gorbaciov ci mise del suo: instillando l’idea di una guerra ormai persa, lui fu il primo a dire nei suoi discorsi che il capitalismo l’aveva spuntata e il comunismo no. Un atteggiamento da vero leader. Molti incolpavano la nomenklatura sovietica e la burocrazia che godevano di privilegi speciali e vivevano come fossero un ceto a se stante. L’immobilismo statale, l’eccessiva burocratizzazione e l’indifferenza dei membri di Partito aveva generato un divario enorme tra cittadini e politica. Gli stessi politici erano talmente vecchi da far sì che si parlasse di una “gerontocrazia”, un governo di anziani gonfiato da nepotismo e clientelismo. E chiaramente quando i vecchi sono al potere, riuniti tutti in un unico partito, a loro interessa solo restare in sella finché non finiscono sottoterra. Migliorare l’economia? Pff chissenefrega Ma i giovani sono il futuro, eh, continuiamo a ripeterlo come slogan vuoti davanti alle televisioni di stato.In Unione Sovietica c’erano due nomenklature: quella politico-amministrativa, che permeava il Partito unico a Mosca (chiusi nella loro bolla), e quella economica fatta di militari, intellettuali e direttori aziendali. Che le due parti fossero separate non era una cosa buona. Perché quando lo Stato Centrale – quindi i burocrati a Mosca – sempre più debole per la scarsità di soldi e beni di consumo cominciò a perdere rilevanza e influenza nel paese, lo scettro del potere passò sempre di più in mano alla nomenklatura economica, ovvero chi deteneva nei fatti le risorse reali del paese: i direttori che gestivano industrie, latifondi e miniere, gli stessi che più avanti, con le feroci svendite delle migliori aziende nazionali, si sarebbero trasformati in oligarchi multimiliardari. La “nomenklatura economica” scelse così, negli anni liberali di Gorbaciov, di giocare con scaltrezza, aprendo società private e joint venture con partner occidentali, che – loro sì - i capitali li possedevano, fornendo informazioni preziose prima custodite dai burocrati di partito, ma anche risorse di cui l’Unione Sovietica godeva in abbondanza come il petrolio e il gas. Tutto partì ufficialmente con la famosa Perestrojka di Gorbaciov, letteralmente “la ricostruzione”. La perestrojka ha dimostrato a chiare lettere una cosa: che la dissoluzione dell’URSS, prima di Gorbaciov, non era scontata. Gorbaciov – che è in vita dall’alto dei suoi 90 anni – deve ancora passare al setaccio della storia. Per il momento io lo ricorderò per sempre per la sua IMBARAZZANTE pubblicità della catena americana Pizza Hut, inaugurata insieme a McDonald nel 90 a Mosca. […] Essenzialmente Gorby con quella apparizione pagata 1 milione di dollari ammise implicitamente davanti a tutti che il consumismo era superiore all’ideologia del partito che lui stesso dirigeva. La cosa buffa era che Gorbaciov invocava nei suoi comizi sempre il nome di Lenin, lo considerava un mentore, ma la perestroika, inizialmente presentata come un qualcosa di rivoluzionario, finì per diventare l’opposto, lo smantellamento di tutto il sistema. Lo slogan fu “accelerazione”, recuperare il divario con l’occidente. Ma per farlo, Gorbaciov attuò le proprie riforme sulla base di due condizioni che avrebbero fatto cadere i capelli – quelli rimanenti - al Lenin: destatalizzazione e privatizzazione. Secondo alcuni storici, Gorbaciov aveva agito consapevolmente, aveva voluto smantellare il sistema sovietico pezzo per pezzo, per abbracciare i dogmi del liberismo economico, illuso dei benefici dell’interscambio economico con l’Occidente. Per altri invece, come ad esempio lo storico Vladislav Zubok nel suo libro “La caduta dell’Unione Sovietica”, Gorbaciov era semplicemente un idiota che non aveva idea di come si comandava. Il diretto interessato ammise invece di essere convinto che non era possibile riformare il paese senza prima smantellarlo, renderlo trasparente e libero dal controllo maniacale dalla censura di stato, da qui il concetto di Glasnost’. La Glasnost fu in effetti la cassa di risonanza del disastro della perestrojka, perché gli organi di informazione cominciarono a parlare di quei problemi che in Russia erano sotto gli occhi di tutti ma che nessuno poteva menzionare: alcolismo, mancanza di cibo e abitazioni fatiscenti. E a proposito di alcool: l’abitudine di bere dei Russi è ben nota, al punto da essere una piaga sociale. Gorbaciov pensò che fosse il caso di eliminare il problema alla radice attuando una politica anti-alcol. L’inghippo era però che le tasse sull’alcool garantivano allo Stato una somma pari a circa 666 milioni di dollari. Tuttavia, il Gosplan, il Comitato Statale per la Pianificazione – su pressione di Gorbaciov – tagliò quella fonte di reddito, aumentando i prezzi delle bevande e punendo penalmente chi veniva beccato in uno stato poco dignitoso. Il divieto però non tenne conto di un dettaglio: il mercato nero. La vodka che era diventata un bene di lusso finì di nuovo “miracolosamente” rivenduta per vie traverse. Che fortuna, e anche oggi beviamo oggi. Il disastro finanziario fu immediato: le vendite di vodka scesero da 54 miliardi di rubli nel 1984 a 11 miliardi nell’86. Nella mente di Gorbaciov però i discorsi suonavano così: nessun problema, tempo 5 anni e ristrutturiamo tutto. Gorbaciov ragionò prendendo a modello quanto successo negli anni 30: in quel periodo l’URSS aveva iniziato a modernizzarsi grazie alla costruzione di industrie e impianti eretti da aziende occidentali che, su commissione, avevano anche formato da zero ingegneri e operai sovietici. Un esempio su tutti fu l’azienda dell’architetto americano Albert Kahn, che entrò a far parte del team di consulenza del Cremlino per la costruzione di più di 500 impianti industriali, o la General Electric che diresse i lavori della centrale idroelettrica sul fiume Dniepr. L’errore di Gorbaciov fu invece quello di indirizzare i soldi nelle imprese statali già esistenti, non di crearne nuove. I vecchi dirigenti erano conservatori, poco inclini alle innovazioni. Ricordate I vecchi matusalemme in Politica? Ecco stessa cosa. E per questo molte delle attrezzature che erano state acquistate in Occidente non furono mai utilizzate negli impianti degli anni 30. Geniale. Tuttavia, qualunque fossero i piani che Gorbaciov e il suo enturage di economisti avevano per il lungo termine… ecco, ci penso la catastrofe della centrale nucleare di Chernobyl nell’aprile 86 a cancellarli del tutto. La fuga di centinaia di migliaia di persone da Kiev rievocò scenari da Seconda Guerra Mondiale. Secondo il capo del dipartimento economico Nikolai Ryzhkov, Il costo del disastro di Chernobyl già solo per il primo mese fu di 8 miliardi di rubli. Per parafrasare Ryzhkov, Chernobyl assestò un colpo devastante all'econo mia sovietica. La gente cominciò a mormorare che a portare sfortuna fosse il “leader macchiato”, Gorbaciov, chiamato in quel modo dispregiativo per la vistosa voglia sulla fronte. Lui dal canto suo non si fece amare moltissimo, visto che tenne all’oscuro del disastro l’intera popolazione russa per quasi un mese. Chernobyl o non Chernobyl, Gorbaciov proseguì comunque con la sua Perestrojka, come furono i risultati? Disastrosi. La Perestrojka liberalizzò dal giorno alla notte un’economia sovietica che era stata fin da sempre pianificata, fu uno shock devastante: anzitutto i funzionari del governo approvarono la creazione di prezzi “liberi”, non più controllati e fissati dallo Stato. Solo il 4% dei cittadini approvarono questa manovra. Risultato? Una corsa al rialzo dei viveri di prima necessità e un’iperinflazione che nel 92 avrebbe toccato vette del 2600%. Il denaro venne razionato e al suo posto fu introdotta una sorta di “carta del consumatore”, fogli di carta con tagliandi a strappo del valore di 20, 75, 100, 200 e 300 rubli, con cui i cittadini potevano fare acquisti senza utilizzare i soldi contanti. Quando trovavano un pezzo di pane dopo ore passate a fare la fila, i russi potevano dirsi fortunati se riuscivano comprare una pagnotta da mezzo chilo a 6 dollari, a fronte di uno stipendio medio mensile di 50 dollari. Anche se il tenore di vita sovietico fino ad allora era sempre stato inferiore di almeno un terzo di quello degli occidentali, i cittadini avrebbero notato subito la differenza rispetto ai tempi precedenti: la criminalità, specie quella mafiosa, era minore e c’era un senso generalizzato di maggiore sicurezza. Che poi questa fosse o meno reale è tutto un altro discorso. Con la Perestroika ci fu poi il via libera tutti per chi volesse far affari con le grandi multinazionali straniere, un incentivo da cui derivò tutta una serie di speculazioni e compravendite fittizie, come le strategiche aziende minerarie sovietiche al prezzo simbolico di 1 dollaro. A ciò si aggiunse l’emissione di nuove valute per tutte le repubbliche dell’Unione, un fattore che aggravò la confusione delle transazioni e degli scambi commerciali interni. Inoltre la così detta “legge sulla proprietà” del 1990, che destituiva lo stato dal possesso delle industrie chiave, generò 2 milioni di disoccupati a livello nazionale, un dato mai visto prima di allora. E come sappiamo, un popolo disoccupato affoga le proprie depressioni in alcool e droga, per non dire peggio. Nel 98, l'economia russa, in mano a mafiosi e imprenditori stranieri, si sarebbe quasi del tutto dimezzata rispetto ai dati del 1990, passato da un PIL di 510 miliardi a uno di 270. I prezzi del cibo erano raddoppiati e i salari erano meno della metà. Mentre, tifo, colera e altre malattie avevano raggiunto proporzioni epidemiche nel paese. Era come se l’intera nazione fosse tornata di colpo indietro di 80 anni. Alcuni, come lo storico Stephen Cohen, hanno definito questo risultato come il merito di un fenomeno particolare, il Capitalismo Gangster. L’apertura ai mercati internazionali incentivò inoltre l’arrivo di banche private che penetrarono il sistema del credito dapprima esclusivamente in mano alla Banca Statale. Il debito sovietico nei confronti delle banche occidentali schizzò da 27,2 miliardi di dollari nel 1985 a 40 miliardi nell'86. Il voler riformare le cose troppo in fretta investì anche il fronte politico. Gorbaciov sapeva che il partito – e i suoi membri - erano il nucleo operativo. Se voleva modificare l’assetto dell’Unione, l’unico modo era togliere ai membri di Partito i vari Dipartimenti e spogliarli dei loro poteri. Con una serie di riforme Gorbaciov fece proprio questo, tolse a al Partito il monopolio decisionale. Nel farlo però fu come decapitare lo Stato, fu un suicidio politico, sotto tutti gli aspetti. Senza più una testa – lo Stato – il corpo (l’Unione Sovietica) smise di funzionare di colpo, un po’ come staccare la spina. A quel punto bastava una spintarella, un evento internazionale di grande risonanza magari che sgretolasse l’intero blocco orientale. Oh, già, che sciocco, era già successo nell’89: Con la caduta simbolica del Muro di Berlino, come un domino, tutte le repubbliche sovietiche, a partire da quelle Baltiche, si staccarono una dopo l’altra sulla scia dell’euforia indipendentista che fece inorridire i nazionalisti russi. E proprio il nazionalismo fu la carta decisiva, l’asso di briscola, che avrebbe chiuso la partita. Il primo a rendersi conto che le regole di quel gioco stavano cambiando fu proprio lui: Yeltsin. Come una vecchia volpe, Yeltsin sfruttò le frustrazioni dei comunisti più radicali e di alcuni dei membri dei servizi segreti per staccarsi dall’ala di Gorbaciov, vestire i panni del leader populista, andare all’opposizione, guadagnarsi il supporto delle frange più nazionaliste e muovere un colpo di stato personale - contro Gorbaciov - nel 91 nella capitale Mosca. Le immagini di lui che saliva sul carro armato avrebbero fatto il giro del mondo, infervorando i più insoddisfatti che non ne potevano più delle politiche di Gorbaciov. Il golpe fallì nell’immediato, perché ovviamente non c’era più uno stato, era stato decapitato. Decapistato. Tanto ormai il video è finito. Ma quel fallito golpe fece comunque guadagnare prestigio a Yeltsin che ebbe così tutto il supporto popolare per poter oscurare Gorbaciov, privarlo del consenso rimastogli e costringerlo alle dimissioni alla fine di agosto. Nel Novembre dello stesso anno Yeltsin avrebbe promulgato un decreto con cui rendere di fatto illegale qualsiasi attività del Partito Comunista e sciogliere una volta per tutte lo Stato sovietico. L’11 dicembre 91 soltanto due delle 15 repubbliche sovietiche erano ancora parte dell’Unione: la Russia e il Kazakistan. La prima uscì formalmente il giorno successivo, il 12 dicembre. Fu la fine dell’URSS e l’inizio della Federazione Russa. Signori, è stato un onore suonare con voi [sad soviet music] Non è ancora finita. Con l’uscita della Russia, a diventare Unione Sovietica fu niente popò di men oche il Kazakistan. Per 4 giorni, fino a quando si autoproclamò Repubblica indipendente il 16 dicembre 1991, il Kazakistan era in pratica l’Unione Sovietica. Mitico Kazakistan, grazie, anche oggi ci hai fatto vivere un incubo che neppure Lenin si sarebbe mai azzardato sognare. Per aspera ad Kazakistan. Era da un anno che volevo fare questo video, ci ho provato per ben 3 volte ma ci ho sempre rinunciato, sintetizzare le cause del crollo dell’URSS in un video di mezz’ora era qualcosa di impensabile. Eppure eccoci qui. Per questo video ho fatto tutto da solo, da ricerca a editing, a un certo punto credevo di uscire fuori di testa. Io non so voi, ma raramente rimango soddisfatto da un mio video, stavolta però non è così. Mi sono finalmente tolto un sassolino dalla scarpa. Grazie a tutti voi e soprattutto ai mecenati che supportano il canale per aver reso possibile questo episodio. Stavolta diciamolo per bene, per aspera ad astra, e non kazakistan.