Un anno fa, esattamente un anno fa, l'orrore, l'orrore di Hamas, i 1200 morti israeliani, le violenze, i 240 rapiti e... Dopo l'orrore di Hamas, l'altro orrore nella risposta israeliana a Gaza, le violenze dei colonici giordani, i missili nei cieli della regione, operazioni speciali contro i leader di Hamas e di Hezbollah. Orrore che scatena orrore, la trappola perfetta come aveva ammonito il presidente Biden, inascoltato ahimè, quando diceva un anno fa ai leader di Israele siamo con voi, vi sosterremo ma non fate gli errori che abbiamo fatto noi americani nella nostra risposta all'11 settembre. orrore che appunto generò orrore. Un anno fa, sempre un anno fa, il grande fiasco, il grande fallimento dell'intelligence dei servizi segreti israeliani.
Non aver capito cosa stava succedendo, un anno dopo, a cominciare dalle ultime settimane, invece la grande riscossa, la riabilitazione, il grande successo, se questo termine possiamo usarlo, dell'intelligence israeliana. I cerca persone, i walkie-talkie che esplodono nelle mani dei leader di Hezbollah, i leader di Hezbollah trovati nei loro nascondigli impenetrabili e uccisi. Un anno, quello che è passato e che sta continuando, di devastazioni, sofferenze, di linee rosse superate. Pensate, i 1200 morti israele e 60.000 sfollati al nord del paese e dall'altra parte i 40.000 morti a Gaza e i 2 milioni di sfollati, quasi l'intera popolazione di Gaza, i 1.000 morti in pochi giorni in Libano e quasi un milione di sfollati, a detta del primo ministro del paese, con il Papa che pochi giorni fa...
ha richiamato sommessamente alla proporzionalità nella difesa. Tutti hanno il diritto di difendersi, ma ci sono delle regole, una proporzionalità. In un'intervista però in cui ha fatto più notizia al suo riferimento ai medici abortisti che non tanto alla proporzionalità della difesa nel Medio Oriente.
con una domanda sempre senza risposta, dove e quando si fermerà tutto ciò, cosa avverrà il giorno dopo, quale sarà per Israele, per la Palestina, per gli altri paesi della regione lo scenario di lungo termine. un anno fa, cerchiamo con voi di chiarire alcuni di questi punti con il mondo in classe, cercando come sempre di essere rigorosi ma chiari. Grazie Paolo Magri e buongiorno a tutte e a tutti.
Sono Nicola Missaglia, un analista dell'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale e vi do il benvenuto a questo nuovo incontro del mondo in classe organizzato dall'ISPI per le scuole superiori di tutta Italia. Sono più di mille le classi connesse oggi. Vi ringrazio per essere qui con noi in questo giorno molto particolare.
Come sapete è il 7 ottobre ed è passato esattamente un anno da quando lo Stato e la popolazione di Israele sono stati colpiti da un ferocissimo attentato, da cui è cominciata una spirale di violenza che ha trascinato anche il popolo palestinese e oggi anche il Medio Oriente in una guerra terribile. È una guerra che non accenna a fermarsi e anzi proprio in queste settimane, in questi giorni, si sta verificando una escalation. La guerra sta diventando più ampia, più caotica, crudele, più veloce anche.
Ed è proprio di quello che è successo fin qui e di quello che sta succedendo e quello che potrebbe succedere, che parleremo oggi con gli analisti dell'ISPI, per provare a fare un po'di chiarezza e un po'di ordine. Do subito la parola a Valeria Talbot, responsabile del nostro osservatorio sul Medio Oriente, e le chiedo, dal terribile attentato del 7 ottobre del 2023 a oggi, dove eravamo un anno fa e dove siamo arrivati oggi? Proviamo innanzitutto a ricapitolare che cos'è successo in quest'anno, Valeria Talbot. Grazie Nicola, e innanzitutto buongiorno a voi che ci seguite dalle vostre scuole. In questi giorni sentiamo parlare di escalation del conflitto in Medio Oriente e in tv e sui social vediamo immagini e video di bombardamenti ed esplosioni.
Che cosa sta succedendo in quella parte di mondo, che sembra distante ma non è poi così lontana da noi? Per capire cosa sta succedendo oggi, partiamo da cosa è successo esattamente un anno fa. Il 7 ottobre del 2023 Hamas, un'organizzazione militante palestinese che controlla la striscia di Gaza, ha lanciato un brutale attacco a sorpresa in territorio israeliano.
causando la morte di circa 1200 persone tra civili inermi e militari, rapendo inoltre 251 ostaggi. Vi do due coordinate. Hamas non riconosce lo Stato di Israele e ne vuole la distruzione.
Israele, dal canto suo, considera Hamas un'organizzazione terroristica da smantellare e non riconosce il diritto dei palestinesi ad avere un proprio Stato. Dunque, dopo lo shock iniziale per l'attacco di Hamas, la dura reazione di Israele non si è fatta attendere. Israele ha dapprima effettuato bombardamenti su Gaza, dove vivono oltre due milioni di palestinesi, e dopo poche settimane ha iniziato un'operazione di terra, cioè entrando con i suoi soldati nel territorio palestinese.
Sono due gli obiettivi dell'azione israeliana. eliminare Hamas dalla striscia di Gaza e liberare gli ostaggi. Nella difficoltà di compiere operazioni mirate solo contro Hamas l'azione israeliana ha avuto conseguenze devastanti sulla popolazione palestinese.
Per avere un'idea delle dimensioni della crisi umanitaria a Gaza bastano alcuni dati. Ad oggi sono più di 40.000 i palestinesi uccisi. L'85% della popolazione è sfollata, cioè ha dovuto lasciare le proprie case e due case su tre sono state distrutte. Per cercare di fermare il conflitto tra Israele e Hamas, la diplomazia internazionale si è subito attivata. Alcuni paesi come gli Stati Uniti, il Qatar e l'Egitto hanno svolto un intenso e difficile lavoro di mediazione per giungere a una tregua tra Israele e Hamas.
Purtroppo in un anno di guerra l'unica tregua è stata quella raggiunta il 24 novembre del 2023. Una tregua che ha fermato le ostilità per qualche giorno consentendo l'arrivo di aiuti umanitari nella striscia e soprattutto la liberazione di 50 ostaggi rapiti da massa il 7 ottobre in cambio del rilascio di 150 prigionieri palestinesi. detenuti nelle prigioni israeliane. Da allora gli sforzi dei mediatori internazionali non sono riusciti a ridurre la distanza tra le posizioni di Israele e quelle di Hamas. Hamas chiede la fine delle ostilità e il ritiro delle truppe israeliane da Gaza, mentre il primo ministro israeliano Netanyahu è fermo nel suo obiettivo della vittoria totale su Hamas.
Con queste premesse capiamo che il cessate il fuoco finora appare come una chimera Per completare il quadro e capire come dal conflitto a Gaza siamo arrivati a parlare di escalation in Medio Oriente bisogna aggiungere un elemento importante Fin dall'inizio altri gruppi militanti della regione hanno iniziato, se così possiamo dire per semplificare, a entrare nel conflitto a sostegno dei palestinesi e contro Israele. Già il giorno dopo l'attacco di Hamas anche Hezbollah, un gruppo militante libanese, ha iniziato a lanciare razzi dal sud del Libano verso il nord di Israele. Questo ha portato a una risposta militare israeliana e a uno scontro sempre più intenso lungo il confine tra i due paesi. Successivamente, alla fine di ottobre, un altro gruppo, i Yuti dello Yemen, ha iniziato a lanciare missili contro il sud di Israele.
Contemporaneamente, gli Yuti hanno anche iniziato ad attaccare navi mercantili in transito nel Mar Rosso. Il Mar Rosso, che collega l'Oceano Indiano al Mediterraneo, è importantissimo per i traffici commerciali ed energetici internazionali, che hanno subito una forte riduzione. Con gli attacchi di questi gruppi il conflitto a Gaza è diventato il centro di altri fronti di crisi.
Nel corso dei mesi poi il rischio di una destabilizzazione del Medio Oriente è aumentato enormemente. La situazione è peggiorata soprattutto da metà settembre con lo spostamento del centro di gravità del conflitto in Libano, dove lo scontro, come dicevamo, è tra Israele ed Hezbollah. Israele ha lanciato attacchi aerei sempre più massicci con tresbolla causando la morte di ben oltre mille persone in meno di una settimana e a fine settembre Israele ha avviato anche delle incursioni di terra.
Questi sviluppi, che coinvolgono anche l'Iran in quanto principale alleato di Hezbollah, hanno aumentato il rischio di una guerra più ampia. Grazie Valeria Talbot. Ma veniamo appunto all'oggi.
Oggi la guerra è entrata in una nuova fase, perché ora non si parla più solo di Gaza, di Palestina, ma anche di Libano e di una milizia chiamata Hezbollah? Lo chiedo a Mattia Serra, analista dell'ISPI. Grazie Nicola. Dopo un anno di tensioni in effetti la situazione del confine tra Libano e Israele è peggiorata radicalmente in queste ultime settimane.
Proprio in questi ultimi giorni abbiamo nei fatti assistito a una vera e propria invasione del sud del Libano da parte di Israele, che ha già prodotto alcune migliaia di vittime. Per il governo israeliano questa campagna militare serve innanzitutto a neutralizzare la minaccia proveniente da Hezbollah, un gruppo armato. Ma chi è Hezbollah? Hezbollah, che in arabo significa partito di Dio, è un attore abbastanza difficile da...
etichettare. Prima di tutto è una milizia, ha droni, missili, un proprio sistema di comunicazione e decine di migliaia di uomini armati. Ma è anche un partito, partecipa alle elezioni, forma alleanze, siede al governo e nomina ministri.
E allo stesso tempo un attore armato è un movimento politico e sociale. E'però anche un attore che fin dalla sua nascita è stato un acerrimo rivale sia degli Stati Uniti che di Israele, che lo considerano un'organizzazione terroristica. La storia di Hezbollah è legata strettamente a quella di Israele. Hezbollah nasce infatti negli anni Ottanta, nel contesto dell'invasione israeliana del Libano. E'un attore che nasce grazie al supporto dell'Iran, con un sostegno che è stato fin da subito sia economico che militare.
L'ultimo scontro diretto tra Hezbollah e Israele risarà nel 2006, quando dopo il rapimento di alcuni soldati israeliani, scusate, il governo israeliano ha deciso di lanciare un'invasione. Una guerra che durerà più di un mese, che porterà più di mille morti. che si crederà di fatto in uno stallo. L'esercito italiano decide di ritirarsi nuovamente dal Libano e Hezbollah sopravvive.
Da allora Hezbollah ha acquisito sempre più potere all'interno del Libano, facendosi strada tra manovre politiche e omicidi mirati. Però vista questa natura multiforme del gruppo, una milizia, un movimento politico e sociale, ma anche un'organizzazione terroristica, è difficile spiegare esattamente che cosa sia Hezbollah. Ma comunque la si guardi, Hezbollah è uno degli attori fondamentali per capire la storia recente del Libano, ma anche la storia recente di tutto il Medio Oriente.
Dal 2006 a oggi, mentre il potere politico del gruppo dentro a Libano cresceva, la situazione con Israele è continuata a rimanere difficile, con momenti di tensioni più o meno regolari. Poi però è arrivato il 7 ottobre del 2023, con l'attacco di Amnesty International, Hamas che avrà fin da subito un impatto diretto anche per il Libano. L'8 ottobre infatti Hezbollah lancia un primo attacco contro Israele in solidarietà, a suo dire, con Hamas e col popolo palestinese. Questo primo attacco colpisce alcune installazioni militari israeliane in una zona contesa al confine tra i due paesi. La risposta israeliana non è tardata ad arrivare e da allora, ormai un anno fa, Israele e Hezbollah hanno continuato ad attaccarsi con razzi, missili e droni, obbligando centinaia di migliaia di civili da entrambi i lati a lasciare le proprie case.
Nei mesi questi attacchi e contrattacchi sono diventati sempre più profondi e più distruttivi, arrivando alla situazione in cui ci troviamo oggi. Dal punto di vista di Hezbollah. Lo scontro al confine serviva per fare pressione sul governo israeliano, per spingerlo verso una tregua a Gaza.
Hezbollah fin da subito ha collegato i due fronti, quello libanese e quello palestinese, sperando che con un cessato il fuoco nella stessa Gaza, la situazione con Israele potesse tornare a un'altra. tornare a come era prima del 7 ottobre. Questo però non era e non è la prospettiva del governo israeliano.
Per loro sembra inconcepibile che un'organizzazione che è da loro ritenuta come terroristica possa obbligare decine di migliaia di israeliani ad allontanarsi dalle proprie case per la paura dei razzi e dei droni lanciati appunto dal gruppo. Per Israele la presenza del gruppo armato lungo il confine ha sempre rappresentato una minaccia, che il governo è ora convinto di dover combattere ed eliminare. C'è però una grossa differenza tra quello che sta succedendo in Libano e la situazione a Gaza.
Mentre i vertici israeliani sono stati colti allo sprovvista dall'attacco di Hamas del 6 ottobre, quella di una nuova guerra in Libano è una possibilità per cui l'esercito israeliano si prepara da 18 anni, appunto dal 2006, quella data di cui parlavamo prima. L'intelligence israeliana ha passato anni a studiare sb... bolle a cercare di infiltrare l'organizzazione.
E'attraverso questo lavoro di infiltrazione che è durato anni che in queste ultime settimane Israele è riuscita a mettere sotto scacco e sbolla, prima colpendo i suoi sistemi di comunicazione e poi uccidendone passo dopo passo l'intera leadership, incluso il leader Hassan Nasrallah. Ma anche senza i suoi capi Hezbollah rimane comunque un attore molto più forte e meglio armato di Hamas. E anche per questo motivo lo scontro in Libano rischia di essere lungo e devastante. Le implicazioni dello scontro tra Israele e Hezbollah riguardano tutto il Medio Oriente. Ed è anche per questo motivo che in questi ultimi giorni in molti hanno criticato la comunità internazionale, accusata di non essere riuscita a evitare che la situazione peggiorasse fino a questo punto.
Ecco, le conseguenze di quello che stiamo assistendo a questi giorni sono conseguenze che vanno ben al di là della regione e che hanno implicazioni anche per noi. Grazie Mattia. Ecco, la guerra si sta quindi velocemente allargando, però prima di provare a capire con voi dove potrebbe arrivare, vorrei fare un focus su uno dei protagonisti, forse il principale protagonista di questa guerra, ed è proprio Israele. Quali sono gli obiettivi del governo israeliano e come è vissuta da Israele questa nuova fase della guerra? Lo chiedo a Maria Gianniti, che è la corrispondente della RAI da Gerusalemme.
Maria. Come è vissuta in Israele questa doppia escalation? Prima il Libano e adesso l'Iran. Ovviamente c'è molta preoccupazione perché non si sa. Che cosa accadrà nel momento in cui Israele risponderà all'attacco che abbiamo visto qualche giorno fa da parte dell'Iran?
Sappiamo che sono giorni in cui si stanno decidendo gli obiettivi, ma la preoccupazione maggiore è legata al fatto appunto a quale potrà essere la risposta. Sicuramente aver visto che in occasione dell'attacco dell'Iran lo scudo di protezione ha ben funzionato, insomma non ci sono stati feriti, c'è stato soltanto un morto a Gerico colpito per un razzo, probabilmente anche i resti. dei razzi intercettori che sono caduti nel deserto, fondamentalmente la protezione è andata molto bene. Certo, la minaccia iraniana preoccupa moltissimo. Per quanto riguarda invece il Libano, diciamo che questa operazione, questa offensiva, seppur sia fatta di operazioni mirate, come ha detto chiaramente lo stesso governo israeliano, all'interno del sud del Libano, da una parte preoccupa e dall'altra invece viene vista come finalmente la soluzione per far tornare la situazione.
tornare tutti gli sfollati del nord a casa. Considerate che ci sono circa 60.000 persone che abitavano nelle comunità del nord di Israele che vivono lontano dalle proprie case da fine ottobre dello scorso anno, da quando Hezbollah ha cominciato a lanciare molti missili verso il nord di Israele. E c'era, siamo andati diverse volte al nord, molta rabbia da parte di questo gruppo di israeliani che vedevano un quasi disinteresse da parte del governo israeliano che era molto... concentrato sulla guerra a Gaza.
Adesso invece da quando è cominciata l'offensiva sul sud del Libano diverse divisioni sono state spostate dalla sud, erano impegnate a Gaza, sono state spostate verso il nord di Israele, quattro divisioni di riservisti sono state giunte proprio negli ultimi giorni. Insomma Israele si sta concentrando molto su questo fronte e quindi c'è un forte appoggio per quello che si sta facendo contro la minaccia di Hezbollah che comunque resta. Quello che viene detto costantemente dai vertici politici ma anche dai vertici militari, Hezbollah non tornerà nel sud del Libano perché la priorità per Israele è riportare la calma. Certo poi c'è il fronte Iran e il fronte Iran quello non sappiamo, non sappiamo veramente a che cosa porterà e comunque forse è la preoccupazione maggiore qui in Israele ma è chiaro che adesso la diplomazia sta lavorando tantissimo per evitare che ci sia una...
un allargamento del conflitto. Viviamo giorno per giorno, se non ora per ora, gli sviluppi su questo fronte. Grazie Maria Gianniti. Ecco, in questa situazione così complessa e fragile, viste anche le notizie che arrivano in questi giorni, in molti si stanno chiedendo qual è il limite e quanto questa guerra potrebbe ancora allargarsi. Proviamo a fare uno scenario, lo facciamo con Mattia Serra.
Mattia, spiegaci innanzitutto che cosa c'entra l'Iran in questa guerra e se ci sono anche altri attori che oltre ai protagonisti sono coinvolti nel conflitto. Mattia. Grazie Nicola.
Come dicevamo prima, la guerra Gaza ha fin da subito assunto dei contorni che vanno ben al di là di Israele e Palestina. Anche per questo motivo che, per chi non si occupa di Medio Oriente, gli eventi di quest'ultimo anno sono un po'sembrati difficili da seguire. Un vero e proprio labirinto polizio. politico, storico e geografico.
Fin dall'inizio, e quindi dai giorni alle settimane successive al 7 ottobre, non si è più parlato solo di Hamas o del governo israeliano, ma si è cominciato a parlare di tanti altri attori, come l'Iran, gli Uti e gli Israeli. e le altre milizie fileragnane. Anche a livello geografico il conflitto si è complicato.
Oltre al contesto di Israele palestinese, si è presto cominciato a parlare anche di Libano, come dicevamo prima, ma anche di Siria, Mar Rosso e Yemen. Per capire come questi attori e questi paesi si legano alla questione di Gaza, è necessario però partire dall'Iran e di e dalla storia della sua rivalità con Israele. Per circa 30 anni, dalla nascita di Israele nel 1948 alla rivoluzione iraniana nel 1979, i rapporti tra questi due paesi sono sempre stati positivi, sia a livello politico che economico-commerciale.
Lo Spartiaco però era stato rappresentato dalla rivoluzione del 1979, che pone Israele e l'Iran in due posizioni contrastanti. Israele continua a rimanere il principale alleato degli Stati Uniti nel Medio Oriente, mentre le relazioni tra Washington e l'Iran peggiorano radicalmente. Quella tra Israele e l'Iran diventa quindi una rivalità strutturale che si riflette in ambito politico e politico.
e militare, ma anche su come i due attori si relazionano col resto della regione. Fin nella fondazione della Repubblica Islamica, infatti, l'Iran comincia a utilizzare una retorica fortemente anti-americana e anti-israeliana, arrivando più volte a minacciare la regione. la vera e propria distruzione di Israele. Teheran comincia negli anni anche a sostenere la nascita e lo sviluppo di partiti, milizie e altri attori armati sparsi per l'intero contesto medio orientale. Contemporaneamente, e soprattutto in questi ultimi 15 anni però, Israele lancia diversi attacchi contro gli interessi iraniani nella regione e verso personalità politiche, militari e civili legate al programma nucleare iraniano.
Ed è qui che si inserisce l'attacco di Hamas lo scorso 7 ottobre. Anche per l'Iran questa data ha rappresentato comunque uno spartiacque, ma per mesi la Repubblica Islamica ha preferito tenersi lontano da un conflitto diretto con Israele, preferendo invece supportare e continuare a supportare i vari gruppi armati come Hezbollah e gli Uti, di cui parleremo tra poco. Nei mesi però la situazione a livello regionale si è fatta sempre più instabile e sempre più difficile. Ad aprile un re di israeliano ha ucciso un importante generale iraniano ad Hamas.
in Siria, in un edificio adiacente al consulato iraniano della città. l'Iran risponde lanciando un attacco con centinaia di droni e missili. Quasi tutti questi missili e droni saranno intercettati da Israele e dagli Stati Uniti, con l'appoggio di alcuni paesi dell'area, spaventati dall'idea di una guerra più ampia che possa riguardare tutto il Medio Oriente. Anche se si trattava di un attacco annunciato che ha provocato danni limitati, però, questa era la prima volta nella storia della rivalità tra l'Iran e Israele che Terand decideva di attaccare direttamente il suo avversario. E questo è il segno di una situazione che stava già iniziando.
già peggiorando, uno sviluppo che ha spinto la regione verso orizzonti ancora inesplorati, ma soprattutto pericolosi. Per altri sei mesi la situazione è rimasta tesa, ma uno sconto diretto sembrava evitato. Poi però due eventi hanno effettivamente cambiato lo scenario. Prima, a fine luglio, un raid israeliano a Teheran uccide il capo politico di Hamas. Poi, a fine settembre, un altro attacco israeliano, questa volta a Beirut e Libano, uccide Hassan Nasrallah leader di Hezbollah e il principale alleato dell'Iran in Medio Oriente.
La situazione precipita di nuovo e ci porta agli eventi degli ultimi giorni. Il 1 ottobre l'Iran decide di lanciare un nuovo attacco, più grande e pericoloso di quello di aprile. Ma riavvolgiamo un po'il nastro e proviamo a guardare il contesto più generale. Come dicevamo prima, dopo il 7 ottobre il conflitto è assunto presso dei contorni regionali, che ha riguardato interamente tutta la regione del Medio Oriente. tanti altri attori coinvolti, uno di questi è Hezbollah, l'abbiamo parlato prima, ma un altro sono gli Uti, un gruppo armato nato negli anni 90 in Yemen, dove appunto da una decina d'anni sono impegnati in una sanguinosa guerra civile.
Anche gli Uti sono un'allegria alleato molto stretto dell'Iran, che li vede un po'anche come un'utile spina del fianco dell'Arabia Saudita, un altro storico rivale di Teheran. Un po'per ragioni ideologiche e un po'per calcoli politici, dopo il 7 ottobre gli Uti hanno deciso di intervenire direttamente nel conflitto. Lo hanno fatto sfruttando la posizione strategica dello Yemen per bloccare i transiti commerciali nel Mar Rosso, dove passa circa il 30% del commercio marittimo globale.
L'hanno fatto col lancio di razzi. mazzi, droni e a volte con veri e propri assalti alle navi cargo che passavano per questa rotta. Il risultato è un duro colpo al commercio internazionale, che provoca una risposta diretta da parte degli Stati Uniti e dell'Unione Europea.
Ma gli aiuti non si fermano a questo. Più di una volta, infatti, in quest'anno si sono spinte ad attaccare direttamente anche Israele, il quale ha più volte risposto bombardando obiettivi militari e infrastrutture nelle regioni controllate dagli aiuti in Yemen. Ma il quadro si complica.
Complica ancora di più se facciamo un zoom out e guardiamo a tutto quello che succede nel resto della regione. A parte Zboll, a parte gli UTI, a parte l'Iran, ci sono tanti altri gruppi armati sparsi per la regione, specialmente in Siria e in Iraq. In questo caso gli attacchi di questi attori si sono concentrati soprattutto contro le basi americane della regione. Anche se, come nel caso degli UTI, non sono mancati attacchi diretti a Israele. Quindi se noi guardiamo all'intero scenario, se noi consideriamo quello che è successo in questi ultimi mesi, guardiamo a Hezbollah, guardiamo agli Yuti, guardiamo all'Iran, guardiamo alle milizie che si trovano insieme all'Iraq, il quadro che abbiamo è quello di un conflitto che fin dal 7 ottobre non è più stato un conflitto soltanto che riguardava Israele e Palestina, ma un conflitto regionale che riguarda l'intero Medio Oriente e che di fatto però ha avuto e costruito un conflitto.
continuano ad avere implicazioni per tutto il mondo. Grazie Mattia Serra. Ma proviamo a tornare ora di nuovo in Medio Oriente. Come i nostri analisti ci hanno spiegato, nella striscia di Gaza, che è un territorio palestinese, è in corso una ferocissima guerra con decine di migliaia di morti. Però la Palestina, come sappiamo, non è fatta solo dalla striscia di Gaza, ma anche dalla cosiddetta Cisgiordania, dai territori palestinesi.
Ecco, che ne è degli abitanti di questa terra? E come si è ripercossa su di loro la guerra in corso? Lo chiediamo a Maria Gianniti da Gerusalemme. I palestinesi, i palestinesi non soltanto di Gaza che sono sotto le bombe ormai da un anno, ma anche i palestinesi della Cisgiordania. Abbiamo parlato molto poco della Cisgiordania in questi mesi di guerra a Gaza, ancora meno lo stiamo facendo in questi giorni.
in cui tutta l'attenzione è concentrata sul fronte nord. Ma sono accadute tantissime cose in Cisgiordania. Sono accadute tantissime cose perché nell'arco di questi mesi di guerra ci sono state molte operazioni militari che Israele ha compiuto nelle città principali della Cisgiordania.
parliamo di genin a turcare mannablus perché perché comunque la presenza di hamas e anche della giada islamica comunque gruppi legati all'iran era molto forte e quindi ci sono state periodicamente con momenti di particolare tensione moltissime operazioni moltissime operazioni che hanno coinvolto inevitabilmente anche i civili e questo accade sempre così insomma non è qualcosa di inevitabile l'obiettivo di israele era smantellare queste cellule anche perché Proprio un paio di mesi fa sono arrivate minacce ancora più forti da parte di Hamas, e cioè il ritorno degli attacchi suicidi. Un attacco è stato sventato proprio due mesi fa, non lontano dalla periferia nord di Tel Aviv, la paura che possano ricominciare gli attacchi suicidi come abbiamo visto durante la seconda intifada. Possiamo dire chiaramente che comunque i miliziani palestinesi non hanno più quella forza che potevano avere all'epoca, e cioè 25 anni fa c'è una...
barriera di protezione, un muro che indubbiamente sta dividendo moltissime le comunità, ma che in qualche modo comunque ha svolto il suo ruolo anche di protezione per la popolazione israeliana. Il problema reale in Cisgiordania non sono state tanto in questi mesi le tante operazioni militari da parte di Israele, quanto la violenza dei coloni. Perché?
Proprio perché l'attenzione era concentrata molto su Gaza e la violenza dei coloni nei confronti dei palestinesi, dei villani. palestinesi è aumentata in maniera esponenziale e questo anche grazie al fatto che all'interno del governo israeliano non ci dobbiamo dimenticare che c'è quella la estremista messianica di estrema destra rappresentata da ben vir e smotrich che sostengono che proprio tutta la cisgiordania dovrebbe essere presa da israele dovrebbe che vogliono l'allargamento delle colonie e proprio anche tutte quante le organizzazioni che monitorano l'andamento della crescita delle colonie in Cisgiordania hanno proprio sottolineato come in questi mesi di guerra a Gaza siano aumentati gli outpost cioè questi piccoli insediamenti illegali che piano piano pongono le basi per qualcosa di più legale. È stato deciso l'allargamento di alcuni insediamenti e sono state decise le creazioni di nuove unità abitative negli insediamenti che già esistono insomma tutte cose che sono passate purtroppo in secondo piano a causa della guerra di Gaza.
Quindi la situazione dei palestinesi è sempre più dura, in particolare è molto dura la situazione in città come Betlemme. I cristiani stanno andando via, i cristiani sempre più stanno andando via perché non vedono veramente, i cristiani palestinesi non vedono veramente più alcun futuro in questa terra. Insomma, una situazione, quella dei palestinesi in Cisjordania, che sta diventando sempre più grave. Grazie Maria Gianniti.
Avviandoci alla conclusione di questo nostro incontro di oggi, arriviamo adesso a uno dei punti centrali di questo conflitto, che riguardano il Medio Oriente in guerra, ma che in realtà riguardano anche tutti noi. Ma perché il mondo non riesce a fermare questa guerra? E oltre a fare la guerra c'è anche qualcuno che sta ancora provando a costruire la pace? Lo chiediamo a Valeria Talbot. Il mondo fatica a fermare la guerra tra Israele e Amassa a causa di diversi fattori che rendono difficile il raggiungimento di un consenso per porre fine alle ostilità.
Le principali potenze globali come Stati Uniti, Russia e Cina hanno interessi divergenti e questo crea divisioni all'interno del Consiglio di sicurezza dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, che comunemente conosciamo come ONU, e impedisce l'approvazione di risoluzioni efficaci. C'è da aggiungere anche che gli Stati Uniti sono l'alleato più importante di Israele e quindi se da un lato fanno pressioni su Israele, Dall'altro non fanno mancare il loro sostegno a Tel Aviv, anche attraverso l'invio di armi. L'Unione Europea è invece divisa al suo interno a causa delle diverse posizioni degli Stati membri e questo limita molto la sua capacità di intervenire efficacemente.
Mentre sembra esserci ampio consenso verso la soluzione dei due Stati, uno israeliano e uno palestinese, per risolvere un conflitto che ha origine nel 1948 cioè quando è stato proclamato lo Stato di Israele, non tutti gli Stati membri dell'Unione Europea riconoscono lo Stato di Palestina. Poi ci sono i paesi del Sud Globale, Cina, India, Sudafrica, Brasile, solo per citarne alcuni, che tendono ad avere un atteggiamento solidale verso la causa palestinese. In Africa e in Asia molti governi si sono espressi a favore del riconoscimento della Palestina come Stato indipendente, e hanno criticato duramente le azioni israeliane nella striscia di Gaza.
Le divisioni tra paesi si riflettono all'interno dell'ONU, che nata dopo la Seconda Guerra Mondiale, fatica a stare al passo con le trasformazioni avvenute nel sistema internazionale negli ultimi decenni. Dall'inizio della crisi, l'Assemblea Generale dell'ONU ha approvato alcune risoluzioni importanti, con la prima del 27 ottobre del 2023 a Chiazza. ha chiesto una tregua umanitaria immediata e duratura e la cessazione delle ostilità, ottenendo 121 voti a favore su 193. Successivamente, a dicembre, è stata approvata un'altra risoluzione simile, con 153 voti favorevoli, risoluzione che chiedeva anche il rilascio degli ostaggi e garantiva l'accesso umanitario a Gaza.
Queste risoluzioni hanno mostrato la volontà della maggior parte della comunità internazionale di porre fine alle violenze, ma non sono vincolanti e quindi sul piano pratico non sono bastate a fermare il conflitto. Solo le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU sono vincolanti, ma qui esiste la questione del diritto di veto che i cinque membri permanenti, Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti. possono usare per bloccare le decisioni che non condividono.
Questo ha reso molto difficile trovare un accordo unanime. Nell'ultimo anno gli Stati Uniti hanno posto il veto a diverse risoluzioni non favorevoli agli interessi di Israele. A fine marzo è stata finalmente approvata una risoluzione proposta da dieci membri eletti del Consiglio con 14 voti a favore e un'astenzione degli Stati Uniti. Questa risoluzione è stata la prima a chiedere un cessate il fuoco immediato. In questo caso però si pone un'altra questione.
Chi si occupa in concreto dell'attuazione della risoluzione? Quindi il conflitto tra Israele e Hamas rimane difficile da fermare. Il cessate il fuoco dovrebbe essere il primo passo verso la soluzione di un conflitto che, come dicevamo, ha radici profonde e riguarda anche uno scontro tra due popoli con due narrative contrapposte rispetto all'identità della stessa terra. Grazie Valeria Talbot per aver fatto questo quadro che di certo è abbastanza preoccupante. E visto che siamo giunti adesso alla fine del nostro incontro di oggi, grazie anche a tutti voi per aver partecipato.
Speriamo di aver fornito qualche chiave di lettura, qualche analisi utile per comprendere quello che sta succedendo in Medio Oriente in queste ore, in questi giorni. Vi ricordo che se volete farci delle domande, se volete avere altri approfondimenti potete seguirci sul nostro canale YouTube, su Instagram, su tutti i canali social e naturalmente... anche sul sito dell'ISPI che è www.ispionline.it dove quotidianamente noi pubblichiamo analisi e approfondimenti. Quindi vi do intanto appuntamento al prossimo incontro del Mondo in Classe che è il 30 ottobre. Sarà tutto dedicato alle elezioni americane che si svolgeranno a novembre.
Ci saranno i nostri analisti che spiegheranno qual è la posta in gioco sia nella politica interna americana che anche nella politica estera. Grazie a tutti ancora per aver partecipato oggi. Musica Musica Musica