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La vita e morte di Giulio Cesare

La nostra storia di oggi comincia attorno all'85 a.C. Giulio Cesare è giovanissimo, ha 16 anni e si sposa. Sua moglie è Cornelia, figlia di Cinna, il capo dei Populares, la fazione legata alla plebe. Allora il capo della fazione... nemica, quella dei nobili, Silla, gli ordina di ripudiare sua moglie, ma Cesare rifiuta. E Silla interpreta questo rifiuto per quello che è un gesto di opposizione politica e ordina di ucciderlo. Le fonti raccontano di un uomo che si è ucciso da un uomo che era di un Cesare fuggiasco, privato dei suoi beni, malato, che cambia rifugio notte dopo notte per evitare i sicari. Ma Cesare è di buona famiglia, allora altri nobili vanno da Silla e gli chiedono di risparmiarlo, e un ragazzino non può essere una minaccia. Silla alla fine cede, tenetevelo pure, dice, ma sappiate che quello che voi oggi siete tanto ansiosi di salvare, un giorno sarà la vostra rovina. La profezia di Silla si avvera molti anni dopo sulle rive di un piccolo... fiume in romagna siamo in romagna nelle campagne tra rimini e ravenna sulle rive di un corso d'acqua dall'aspetto quasi insignificante al punto che nel corso dei secoli ha avuto vari nomi che ne hanno sottolineato la piccolezza come fiumicino, fiumicello, ma quello che conta per noi è il nome più antico, il nome che ha reso questo piccolo fiume, poco più di un torrente, famoso come i grandi fiumi, come il Nilo, il Gange, il Danubio, perché questo è il Rubicone. L'espressione attraversare il Rubicone è diventata così famosa da entrare perfino in una canzone dei Rolling Stones. Rischiare il tutto per tutto, sfidare la sorte, giocare d'azzardo, fare un passo senza ritorno. Tutti questi significati si condensano nel modo di dire attraversare il Rubicone. Dal 10 gennaio del 49 avanti Cristo, da quando Giulio Cesare decide di tirare il dado e attraversarlo. dando così la prima spallata nel processo che porterà alla fine della Repubblica di Roma e alla nascita dell'Impero. Questo è l'arco di Augusto a Rimini, uno dei tanti monumenti che ricordano il passato romano della città. Rimini è uno dei punti nevralgici della cronaca di oggi. Gli altri sono Ravenna, Roma e ovviamente il Rubicone. Il fiume che segna il confine tra l'Italia, cioè il territorio di Roma, e la provincia, una regione subalterna e sottoposta al controllo di Roma, in questo caso la Gallia Cisalpina. Passare quel confine in armi. senza l'autorizzazione del senato romano è un crimine pesantissimo, una dichiarazione di guerra, un golpe. Ma nel caso uno prenda una decisione così grave, la prima città di cui deve assumere il controllo al di qua del Rubicone è proprio questa, è Rimini. Dall'altra parte del Rubicone, in Gallia appunto, la prima città importante che si incontra è Ravenna ed è Ravenna che si trova Giulio Cesare nel dicembre del 50 avanti Cristo. Ha con sé una sola legione, la tredicesima, il che vuol dire cinque. 5.000 soldati e 300 cavalieri. Ed è da Ravenna che Cesare conduce le ultime trattative febbrili con i suoi avversari a Roma. Egli era allora a Ravenna ed aspettava una risposta alle sue leggerissime richieste, nella speranza che la giustizia degli uomini ristabilisse la pace. In questa affermazione così lapidaria, tipica dello stile asciutto di Cesare, si capisce bene qual è e quale sarà sempre la sua posizione in tutta la faccenda del Rubicone. Lui ha fatto delle richieste leggerissime, morbidissime e non si capisce perché non vengano accolte. La giustizia degli uomini è dalla sua parte, quindi anche se sta meditando un colpo di mano, lui è nella legalità, sono gli altri, i suoi nemici, i prevaricatori. Questa premessa è necessaria per capire l'intricato gioco politico che sta alla radice del passaggio del Rubicone. Ma prima di entrare nella scacchiera dove i potenti di Roma Antica muovono le loro pedine, dobbiamo capire perché nel dicembre del 50 a.C. Giulio Cesare è a Ravenna con una legione. Il motivo è che da circa un anno ha portato a termine la più colossale, controversa e anche atroce impresa di quel tempo, la conquista delle Gallie. 58 a.C. Cesare parte per la Gallia. La prima azione di Cesare è stata la di Sardegna. guerra e per proteggere gli alleati gallici contro la minaccia di altri popoli gli elbezzi e i germani pacificare e difendere gli amici con questo pretesto anno dopo anno cesare combatti allargando i territori controllati nella Gallia Centrale, in Belgio, in Bretagna. Tra una guerra e l'altra costruisce un ponte sul Reno e si spinge in Germania. Conduce anche due spedizioni in Britannia. 52 avanti Cristo. I popoli gallici, guidati da Vercingetorige, si uniscono in una grande ribellione che mette a durissima prova l'esercito di Cesare. La battaglia decisiva è ad Alesia. I galli vengono sconfitti. Vercingetorige depone le armi ai piedi di Cesare e viene fatto prigioniero. 51 avanti cristo le ultime sacche di resistenza vengono schiacciate la gallia per dirla con cesare è pacificata in realtà le guerre galliche sono state pura conquista spesso stilini in alcuni casi genocidi interi popoli cancellati in totale è stato calcolato un milione di morti un secolo più tardi plinio intellettuale e uomo di stato a proposito di quelle stragi uso per la prima volta l'espressione crimine contro l'umanità cesare stesso non è reticente sulla violenza delle legioni ecco come racconta la caduta della città di avarico non risparmiarono negli anziani indeboliti dall'età nelle donne nei bambini la popolazione della città era di circa 40.000 persone se ne salvarono a malapena 800 40.000 morti in poche ore un numero da guerra moderna gli orrori in gallia indignano molti anche a roma c'è addirittura chi propone di consegnare Cesare alle tribù galliche perché possano vendicarsi. Ma nell'antichità, in un mondo in cui chi ha la forza la usa, le polemiche sulla crudeltà di Cesare sono poca cosa rispetto ai vantaggi che le conquiste gli hanno procurato. La gloria ottenuta è enorme, ed enorme è la quantità di denaro che Cesare ha a disposizione. Una ricchezza che usa, anche stando in Gallia, per far sentire la sua influenza sulla politica romana, fa costruire grandi opere pubbliche, compra importanti uomini politici e inizia a spaventare non solo i suoi avversari, ma anche l'altro uomo porte di Roma, che fino a poco tempo prima è stato suo alleato, Pompeo. Pompeo si spaventò e apertamente cercò di trovare un successore a Cesare nelle sue funzioni di comando e gli chiese di restituirgli i soldati che gli aveva prestato per le sue campagne. Come richiesto Cesare restituisce i soldati, ma l'intensità delle schermaglie aumenta. E a questo punto bisogna capire perché Cesare fa così paura. La politica romana, in grande sintesi, si è sempre mossa sul filo dell'equilibrio tra aristocrazia e classi popolari. La roccaforte dell'aristocrazia è il Senato, che ha poteri consultivi ed esecutivi. Ed esprime anche la grande maggioranza dei magistrati, in particolare i consoli, i magistrati supremi, eletti dal popolo, restano in carica un anno. In genere sono senatori anche i governatori delle province, che vengono spremute senza vergogna. La plebe ha il potere di votare i magistrati e le leggi. E anche un'altra arma, i tribuni della plebe, che sono inviolabili e hanno il diritto di veto su tutti. È un sistema di pesi e contrappesi che negli anni che stiamo raccontando si è corrotto in una sorta di guerra tra bande. Le elezioni vengono comprate, il voto di scambio è la regola, omicidi, violenze e intimidazioni sono quotidiane. In linea di massima il metodo è io ricco mi compro le elezioni, poi i miei colleghi mi mandano a fare il governatore di una provincia e mi rifaccio delle spese. In questo clima Giulio Cesare è sempre stato un campione della plebe. Prima delle guerre galliche è stato console e ha promosso leggi agrarie che ridistribuivano la terra ai poveri. Ora è un condottiero famoso, è pieno di soldi. Vuole correre per una seconda elezione a console. Gli oligarchi vedono in lui una minaccia, la rovina della loro classe, il dittatore sostenuto dal popolo, cosa che poi effettivamente sarà. Nelle ultime settimane del 50 a.C., tra Roma e Ravenna, passando da qui, da Rimini, Viaggiano velocissimi dei messaggeri che coprono la distanza in soli tre giorni e portano le richieste dell'una e dell'altra fazione. Il primo dicembre il tribuno della plebe Gaio Scribonio Curione, che Giulio Cesare ha comprato pagandogli debiti per milioni di sesterzi, presenta in Senato questa proposta. Poiché le armi di Cesare fanno paura a qualcuno. Ma anche le legioni di Pompeo fanno paura ad altri. Propongo che entrambi congedino i loro eserciti. Questo restituirà libertà alla politica. La libertà non c'è più e questo è un fatto riconosciuto. Ma se i due capi congedano gli eserciti, la libertà tornerà. La proposta viene approvata a larghissima maggioranza, 370 voti a favore e 20 contrari. Ma la fazione degli oligarchi non ci sta. Contesta il voto, minaccia di rovesciare l'autorità del Senato. E così le trattative proseguono, fino a quando Cesare manda una lettera con le sue ultime proposte, quelle che lui ha chiamato lievissime, modestissime richieste. Propose un ulteriore compromesso. Avrebbe congedato otto legioni e lasciato la Gallia Transalpina, mentre avrebbe conservato due legioni e la Gallia Cisalpina, o almeno una legione e l'illirico, fino alla sua elezione a Consolo. In effetti si tratta di proposte molto accomodanti. Cesare rinuncia a quasi tutto e accetta di starsene buono nell'illirico, cioè nei Balcani, con una sola legione. L'unica cosa che pretende è che gli venga garantito il diritto politico di correre per il Consolato l'anno successivo. Questa lettera dovrà essere letta il gennaio in Senato a Roma. Seguendo il filo e la rega siamo arrivati a Roma, nel foro della città antica. Quelle colonne laggiù sono del Tempio di Saturno, lì c'era l'erario, lì veniva custodito il tesoro dello Stato. Poi qua alle mie spalle i rostri, i palchi da cui parlavano i leader politici. Alla mia sinistra i comizi dove si riunivano le assemblee popolari e dietro la Curia, la sede del Senato. Nel corso dei secoli questi posti hanno subito spostamenti e risistemazioni, ma fin dalle origini della Repubblica il centro politico di Roma è qui. Ed è proprio nella Curia che il primo gennaio del 49 a.C. arriva la lettera con le ultime proposte di Cesare. Dopo che la lettera fu recapitata ai consoli, solo grazie al tenace impegno dei tribuni della plebe si ottenne che essa fosse letta in Senato. Inizia così il resoconto di Cesare sulla guerra civile. Lui era venna in Gallia, ma i suoi informatori a Roma sono molto efficienti e gli permettono di ricostruire con precisione i fatti. In poche parole Cesare ci fa capire che la fazione avversaria, Consoli in testa, non vuole rendere pubblica quella lettera. Hanno già deciso di fargli la guerra. La responsabilità di quello che sta per succedere è loro. E i tribuni della... plebe, solo con grande fatica riescono a far leggere quella lettera in Senato, ma non riescono a farla mettere ai voti. Che le proposte in essa contenute fossero presentate alla discussione del Senato non lo si poteva ottenere. Quindi il Senato non entra nel merito delle richieste di Cesare. I suoi nemici spingono perché vengano presi dei provvedimenti contro di lui, a prescindere da tutti i tentativi di mediazione. Le voci dei più moderati vengono sommerse dalle grida dei più scatenati. Le grida dei consoli, il terrore sparso dalla vicinanza dell'esercito, le minacce degli amici di Pompeo, piegano la maggior parte dei senatori. In questo clima di intimidazione il Senato, che ricordiamo solo un mese prima si era espresso a larghissima maggioranza a favore di Cesare, fa passare invece la proposta di un leader oligarchico, Scipione. Cesare dovrà congedare le sue legioni, entro una certa data, se non lo farà, diventerà nemico dello Stato. I tribuni della plebe Marco Antonio e Quinto Cassio, che sono cesariani, oppongono subito il loro veto, che dovrebbe essere immediatamente effettivo, invece non lo è. E la questione del veto viene dibattuta in toni sempre più esagitati. Si esprimono pareri molto pesanti. Più si è violenti e feroci, più si viene applauditi. dai nemici di Cesare. Chiusa la seduta in Senato, l'intenzione di forzare la mano si fa sempre più evidente. Questa piazza si riempie di ufficiali, di centurioni, di veterani di Pompeo e per aumentare la pressione una folla di nemici di Cesare viene fatta entrare in Senato. Questa folla vociante atterrisce i più deboli, incoraggia i dubbiosi. Ai più viene strappata la possibilità di decidere liberamente. La comparsa delle armi nelle sedi delle istituzioni segna un punto da cui è impossibile tornare indietro ed è Pompeo a farle entrare in scena, non Cesare. Dell'alleanza tra i due, che li aveva portati addirittura ad essere parenti, non c'è più traccia. Il giovane macellaio. Gli esordi nella politica del diciottenne Pompeo sono segnati da questa definizione. Sono gli anni delle guerre tra la fazione di Mario e quella di Silla e il giovane macellaio si distingue a fianco del secondo. Più tardi la sua abilità e la vicinanza al Senato gli procurano incarichi sempre più importanti. 67 a.C. Estirpa la periateria dal Mediterraneo in soli tre mesi. 66 a.C. Viene mandato in Oriente. Con una serie di campagne vittoriose conquista buona parte dell'Anatolia e il Regno Seleucide in Siria. 63 a.C. Prende Gerusalemme e la Giudea. 60 a.C. Tornato a Roma. Pompeo stringe un patto con Cesare e Crasso per la spartizione del potere. Il primo triunvirato, 59 avanti Cristo. Pompeo sposa Giulia, unica figlia di Cesare. L'alleanza tra i due sembra solidissima, ma dopo pochi anni la situazione cambia. 54 avanti Cristo. Giulia muore di parto e con lei muore anche il bambino. 53 avanti Cristo. Crasso viene sconfitto e ucciso dai parti, a Carre in Asia. Il triunvirato non c'è più. Pompeo inizia a sentire la rivalità di Cesare e ad allontanarsi da lui. Un segno evidente del cambio di atteggiamento di Pompeo è il suo nuovo matrimonio. Nel 52 a.C. sposa Cornelia, figlia di quello scipione, che un giorno proporrà di dichiarare Cesare nemico dello Stato. Ragioni politiche, ragioni personali, lotta per la supremazia. I motivi che spingono Pompeo ad allontanarsi da Cesare sono di varia natura. Sulla questione vale la pena anche ascoltare la versione di Cesare, che dice la sua, come al solito, senza fronzoli. Pompeo, aizzato dai nemici di Cesare, infastidito da un potere pari al proprio, aveva rotto con lui ogni legame d'amicizia ed era tornato in buoni rapporti con quelli che erano stati nemici comuni. Nei giorni successivi al primo gennaio, le riunioni, gli accordi, le decisioni si susseguono ad un ritmo frenetico. Si progetta di fare una leva straordinaria, di arruolare un nuovo esercito per combattere contro Cesare. I capi degli oligarchi pensano a come spartirsi le province e le loro risorse, fino a quando non si arriva, il 7 gennaio, allo strumento istituzionale estremo, il Senato Consulto Ultimo, che si usa soltanto in casi di gravità eccezionale e che conferisce ai magistrati poteri dittatoriali. Si ricorre infine a quel senato consulto ultimo che nessuno mai aveva avuto l'audacia di proporre, tranne quando la città fosse stata in preda alle fiamme e non ci fosse più speranza per la salvezza comune. Per gli oligarchi salvezza comune significa annientare Cesare. Antonio e Cassio, tribuni della plebe e uomini di Cesare lasciano Roma per raggiungerlo. Secondo alcune fonti, costretti con la forza e travestiti da schiavi. Cesare intanto a Ravenna riceve continue informazioni sullo sviluppo della situazione e decide di agire con una velocità che sorprende tutti. Era abituato a confidare nel terrore causato dalla sua velocità e dalla sua audacia, piuttosto che dalla grandiosità della preparazione. Così, decise di aggredire. Velocità e sorpresa, questi quindi sono gli elementi su cui punta Cesare. E per seguire le sue mosse siamo tornati a Rimini. Questa è la Porta Montanara, una delle vie d'accesso alla città, che è uno snodo importante dove si uniscono la Via Emilia e la Via Flaminia. E Rimini è il primo obiettivo strategico di Cesare. La mattina del 9 gennaio del 49 a.C. sceglie i migliori tra i suoi uomini e ordina loro di passare il Rubicone prima di lui, di venire qui e occupare la città. ma senza dare nell'occhio e senza violenza. Ordinò ai suoi centurioni e ad altri ufficiali di occupare Rimini, portando con sé soltanto le spade, senza nessun'altra arma, ed evitando, per quanto possibile, confusione e spargimento di sangue. Lo storico dice che i soldati devono portare con sé soltanto le spade, quindi niente aquile delle legioni, niente insegne, niente trombe, nessuna esibizione di forza. Conferma l'intenzione di Cesare di tenere sotto traccia, di mimetizzare il gesto rivoluzionario che sta per fare. Mentre i suoi partono per occupare pacificamente Rimini, lui sta a Ravenna, li raggiungerà dopo. Queste immerse tra gli aceri e i pioppi sono le rovine dell'anfiteatro romano di Rimini, il posto giusto per evocare l'ultima giornata di Cesare dall'altra parte del Rubicone. Una giornata all'insegna della dissimulazione. Mentre i suoi avanzano di nascosto verso Rimini, lui se ne sta a Ravenna, si fa vedere in giro come se nulla fosse e si dedica alla sua nota passione proprio per i gladiatori. Passò la giornata in pubblico assistendo agli allenamenti dei gladiatori. Verso sera fece un bagno, si vestì e andò a un banchetto. Un altro storico, Svetonio, aggiunge un dettaglio. Cesare si dedica all'esame dei progetti per la costruzione di una scuola di gladiatori. Per inciso, vale la pena ricordare che per un politico romano possedere una scuola di gladiatori è un formidabile strumento di propaganda, un po'come le squadre di calcio. Ma in quel momento per Cesare conta un'altra cosa. Deve essere chiaro a tutti che per lui quello è un giorno normale che non sta tramando nulla. Nascose il suo vero scopo facendosi vedere a uno spettacolo pubblico, esaminando i disegni di una scuola di gladiatori che aveva in mente di costruire e unendosi poi, come al solito, a un banchetto, accompagnato da un grande seguito di amici. Tutte le fonti sottolineano il comportamento teatrale di Cesare. Vogliono lasciarci il ritratto di un capo... che sa comandare gli eserciti in battaglia, ma quando è necessario sa anche muoversi con astuzia e mantenere un profilo basso. La recita continua dopo il tramonto. Durante la cena Cesare dichiara di sentirsi male. Si alza e se ne va, promettendo che sarebbe tornato di lì a poco. In realtà un carro, gli amici più fidati e i suoi cavalieri lo stanno aspettando. Dovranno viaggiare di notte, di nascosto, seguendo strade diverse e ritrovarsi l'indomani qui a Rimini dopo aver passato il Rubicone. Siamo tornati sulle rive del Rubicone per raccontare la cronaca della notte tra il 9 e il 10 gennaio del 49 avanti Cristo e la dinamica dei fatti che portano Giulio Cesare ad attraversare questo fiume. ad infrangere i divieti della Repubblica e a fare il primo passo decisivo verso la costruzione dell'Impero. Noi siamo abituati ad immaginare questo momento storico con la dovuta solennità, Giulio Cesare a cavallo, che indica con la spada il cammino ai suoi soldati. È una scena gloriosa, rimbalzata nelle miniature medievali, nei dipinti del Rinascimento. Nelle illustrazioni per i libri di scuola, in realtà le cose sembrano essere andate diversamente. Secondo lo storico Svetonio, addirittura quella notte Giulio Cesare si perde, non trova il rubicone. Dopo il tremonto si mise in viaggio di nascosto con un piccolo seguito, prendendo delle mule da un forno lì vicino e attaccandole a un carretto. Quando rimase al buio, si perse, vagando a lungo. Alla fine, verso l'alba, trovò una guida e tornò sulla strada giusta, lungo sentieri strettissimi. È una scena quasi paradossale. Il conquistatore delle gallie, il condottiero onnipotente, si fa dare delle mule da un fornaio, parte alla chetichella nella notte, si perde, molla il carretto, prosegue a piedi, con una guida trovata per caso, magari un contadino locale. E finalmente arriva all'appuntamento con i suoi, che lo aspettano qui sul fiume, nervosi per il suo ritardo. Dopo questa notte confusa, il passaggio del Rubicone recupera la sua dimensione epica e le fonti antiche riportano i dubbi di Giulio Cesare e tutta una serie di frasi memorabili. Si fermò contemplando la corrente, meditando sui mali conseguenti a un suo passaggio in armi. Poi, come tornando in sé, disse ai presenti. Amici, se non attraverso questo torrente ci saranno molte sofferenze per me, se lo attraverso, per l'umanità. Cesare è qui, su questa riva, alle prime luci di un'alba invernale, al freddo, tra i vapori del respiro dei soldati e dei cavalli. E prima di fare questi pochi metri, le certezze lo abbandonano. Si fermò un momento, rendendosi conto del passo che stava per fare, si girò verso chi gli stava... vicino. Possiamo ancora tornare indietro, disse, ma se attraverseremo il ponticello tutto dovrà essere regolato con le armi. Abbiamo appena sentito la versione di Svetonio. Un altro storico, Plutarco, per rendere ancora più drammatici i tentennamenti di Cesare, racconta che la notte precedente Cesare ha sognato di avere un rapporto incestuoso con sua madre. Ora non ci vogliono trattati di psicanalisi per capire che la madre in questione è Roma e che lui si sente in colpa per il crimine che sta per commettere verso di lei. A un certo punto però le esitazioni finiscono e il racconto più enfatico del passaggio del Rubicone è ancora una volta di Svetonio. Mentre stava lì a dubitare, gli apparve un segno. All'improvviso, seduto non lontano, apparve un uomo di straordinaria grandezza e bellezza che suonava un flauto di canne. Quando, insieme ai pastori, si avvicinarono per ascoltarlo anche i legionari e tra essi i trombettieri, l'uomo, strappata la tromba ad uno di essi, corse al fiume ed avanzò verso la riva opposta suonando con forza note di guerra. Allora Cesare disse Andiamo dove ci chiamano i segni degli dèi e le ingiustizie dei nemici. Il dado è tratto. Svetogno è l'unico che racconta questo prodigio del pifferaio e secondo alcuni storici potrebbe trattarsi di un trucco. Cesare deve convincere i suoi uomini a diventare dei fuorilegge, a varcare in armi il confine tra la provincia di Gallia e... Roma, un confine che è riportato ancora oggi qui a Savignano sul Rubicone. E per farlo, per convincerli, si sarebbe inventato questa messa in scena servendosi di un gigantesco prigioniero gallico. però al di là dei segni divini veri o presunti anche la frase il dado è tratto è dibattuta. In latino la frase è alea iacta est ma c'è chi pensa che nel corso delle varie trascrizioni del testo antico si sarebbe persa una o e allora la frase sarebbe alea iacta esto. Esto è un imperativo quindi la traduzione in questo caso non sarebbe il dado è tratto il dado è gettato ma si getta il dado o in forma più colloquiale buttiamo questo dado. Una versione forse più vicina al carattere di Giulio Cesare, un giocatore d'azzardo che nel corso della sua carriera ha rischiato e rischierà spesso il tutto per tutto. Rimini, piazza dei tre martiri, che una volta era il foro della città romana. E questa lapide messa qui nel 500 segna il punto esatto, secondo la tradizione, da cui Cesare ha fatto l'ultimo discorso ai suoi prima di muoversi verso Roma. Un discorso a sentire svettonio, pieno di artifici teatrali, vesti stracciate, petto denudato, pianti e lamenti. Qui ci sono i pochi che lo hanno accompagnato nella notte, quelli che sono arrivati seguendo strade diverse, i tribuni della plebe in fuga da Roma, insomma, qui si ritrovano tutti. Gli storici che abbiamo sentito nel corso della nostra cronaca scrivono tutti molto tempo dopo i fatti, quindi a questo punto vale la pena sentire cosa dice Cesare su tutta la vicenda del passaggio del Rubicone. E la sorpresa è... scoprire che lui, il Rubicone, non lo nomina nemmeno. La sua versione dei fatti è lineare, gli arrivano le notizie dal Senato, arringa i suoi soldati, elenca i sopprusi dei senatori, le ingiustizie subite da lui, dal popolo e dai soldati. dai tribuni della plebe e senza pianti e lamenti e senza vesti stracciate accende d'entusiasmo i legionari della tredicesima, con loro marcia su Rimini e poi su Roma, i motivi che l'hanno spinto ad agire li spiega lui stesso. Cesare non ha avarcato i confini della provincia per fare del male, ma per difendersi dagli insulti dei nemici e per rivendicare a sé e al popolo romano, oppresso dalla fazione dei pochi, la libertà. La stessa parola libertà la invocherà cinque anni dopo. dopo anche quella che lui chiama la fazione dei pochi, quando riuscirà ad ammazzarlo a Leidi di Marzo. Dopo il Rubicone ci sono cinque anni in cui Cesare si muove di continuo da un'estremità all'altra del Mediterraneo, sconfigge Pompeo a Farsalo in Grecia, Pompeo scappa in Egitto dove viene assassinato. contro il volere di Cesare. Cesare stesso arriva in Egitto dove si allea con la regina Cleopatra da cui viene sedotto. Poi sconfigge un re anatolico, farnace in soli cinque giorni e l'occasione del famoso veni vidi vici sono venute Ci sono poi da reprimere le ultime sacche di resistenza pompeiana in Africa e in Spagna nel 45 a.C., nel frattempo emana leggi, promuove piani urbanistici, riforma. il calendario e nonostante la durezza della guerra civile non liquida i suoi nemici. La clemenzia Cesaris, la clemenza di Cesare nelle sue intenzioni dovrebbe mettere fine alla violenza. Le idi di marzo proveranno che ha torto. Roma, largo Argentina. Questi miei piedi è la sagoma di un cadavere, la vittima di un delitto. A dire la verità non sappiamo se il cadavere era messo esattamente così, per due motivi. Il primo è che era qualche metro più sotto, più o meno all'altezza delle radici di questo pilo. Il secondo è che l'omicidio in questione risale a più di 2000 anni fa. È l'assassinio di Giulio Cesare. Le Idi di marzo, il 15 di marzo del 44 a.C. La sera prima delle Idi di marzo, Giulio Cesare ha cena a casa di amici, in una casa che probabilmente è a mie spalle, oppure là, sulla veglia, perché era lì che i romani ricchi avevano la casa. In quelle cene, spesso, gli argomenti di conversazione andavano a finire su questioni filosofiche, come l'onore, il dovere, la libertà. Quella sera, invece, si parla di morte. Un aspetto particolare della morte. La domanda è come vorresti che fosse la tua morte? Giulio Cesare ci pensa un attimo prima di rispondere, ha sentito voci di congiure e magari si domanda perché proprio a me e proprio stasera questa domanda. Alla fine però decide di rispondere. Come vorresti la tua morte? Subitam et celerem, improvvisa e rapida. La mattina dopo, la mattina delle Idi di Marzo, Giulio Cesare verrà assassinato dai congiurati e la sua morte, tutto sommato, non sarà né troppo rapida e neanche improvvisa. Le Idi di Marzo sono andate ben oltre il fatto storico in sé, sono diventate quasi un romanzo. Hanno affascinato poeti, Dante e Shakespeare, tanto per dirne due, e grandi della storia, come Napoleone. Un ruolo decisivo nella costruzione di questa dimensione leggendaria lo ha giocato il carattere dei protagonisti, a cominciare dal più importante. Gaio Giulio Cesare nasce a Roma nel 100 avanti Cristo. Percorre tutte le tappe della carriera politica romana. Nel 63 viene eletto pontefice massimo. Nel 59 ottiene la carica pubblica più alta. Diventa console. Assieme a Pompeo e Crasso crea un patto informale per la spartizione del potere, detto primo triunvirato. Crasso morirà in Siria, Pompeo diventerà suo nemico. Tra il 58 e il 59, in quanto avanti Cristo conquista le Gallie. Nel 49, spaventato dai successi militari di Cesare e dal suo ascendente sulle masse popolari, il senato lo vuole disarmare e processare. Per sventare questa manovra Cesare Giacomo il famoso dado passa il rubicone in marcia su roma seguono cinque anni di durissima guerra civile combattuta e vinta in tutto il mediterraneo balcani egitto libia e spagna sul campo di battaglia di farsalo cosparso dei cadaveri dei nemici commenta lo hanno voluto loro nel 44 avanti cristo prima delle ide di marzo alla carica di dittatore a vita ed è ancora pontefice massimo dittatore a vita e pontefice Massimo. A queste cariche Giulio Cesare aggiunge il titolo di imperator. Una concentrazione di potere così, nelle mani di un uomo solo, a Roma non si era mai vista. Dato a Cesare quel che è di Cesare, ora passiamo a descrivere il teatro dell'Azione, il centro di Roma Antica. Qui, in questa zona, c'è la Domus Publica, residenza del Pontefice Massimo, dove viveva Giulio Cesare. Quindi, quella mattina, lui è uscito di casa ed è sceso lungo la via Sacra verso il Foro Romano. Poi, molto probabilmente, avrà fatto quello che facciamo noi oggi. Non è salito sul Campidoglio, ma ha girato attorno, attraversando il foro che porta il suo nome, il foro di Cesare, e costeggiando la Curia Iulia, la sede del Senato. Quindi, avrà poi attraversato la zona che oggi è Piazza Venezia. Poi, lungo via delle botteghe oscure, sarà arrivato al Teatro di Pompeo, nella zona che oggi è Largo Argentina. È lì che viene assassinato. Insomma, tutta la vicenda delle Idi di Marzo, un evento così importante per la storia dell'umanità, si racchiude in un raggio di poche centinaia di metri. Queste sono le rovine della Domus Publica, ai piedi del Palatino, al centro del Foro Romano. La Domus Publica, la Casa Pubblica, era la residenza del Pontefice Massimo, quindi qui viveva Giulio Cesare. E qui Giulio Cesare passa la notte prima delle Idi di Marzo, una notte agitata da incubi. Cesare stesso poi... Durante la notte che precedette l'alba del giorno in cui venne assassinato, sognò di sentirsi liberare nell'Etere, ora volando al di sopra delle nubi e ora stringendo la mano a Giove. Questo sogno di Cesare, in cui immagina di librarsi sopra le nuvole, di stringere la mano addirittura a Dio, è un sogno un po'megalomane, ma comunque un sogno di morte. E quella notte Cesare non è il solo ad avere incubi di morte, anche sua moglie Calpurnia. Sua moglie Calpurnia sognò che il tetto della loro casa crollava e che il marito le veniva assassinato in grembo. Insomma, dopo una notte piena di incubi, il risveglio la mattina delle iddi di marzo in questa casa è inquieto. Ci sono solo i brutti sogni, ci sono anche i presaggi degli indovini che non sono favorevoli. Cesare non è un uomo superstizioso, ma mette assieme tutti questi segnali negativi e gli passa la voglia di uscire di casa quella mattina. Sta già pensando di cancellare la riunione prevista in Senato. Ed è qui che compare il primo dei congiurati. Si chiama Decimo Bruto, da non confondersi con l'altro bruto, quello più famoso. Decimo Bruto è un cesariano di lungo corso, ha combattuto con lui nelle guerre galliche, ha combattuto con lui nelle guerre civili, quindi è un insospettabile. Infatti Cesare è un cesariano di lungo corso, ha combattuto con lui nelle guerre galliche, quella mattina se lo vede girare per casa e non si insospettisce. Tra i congiurati, Decimo Bruto ha un compito preciso, deve fare in modo che Cesare quella mattina arrivi in Senato. Grazie allo storico Plutarco noi abbiamo gli argomenti precisi che lui usa per convincere Cesare a uscire di casa, quasi virgolettati. Bisognava forse mandare qualcuno ad avvisare i senatori già riuniti di andarsene a casa e di tornare quando Calpurnia avrebbe fatto sogni migliori. E questo non avrebbe indispettito. E noi cosa risponderemo quando bolleranno a questi... comportamenti come tirannici. Decimo Brutto insiste, se Cesare vuole proprio rinviare la seduta in Senato, che almeno vada lui di persona a notificare il rinvio ai senatori. E non usa soltanto le parole, addirittura lo prende per mano e lo spinge letteralmente fuori di casa. Per questo tradimento più tardi Marco Antonio lo chiamerà la Venefica, la strega velenosa. Siamo arrivati all'ora quinta, circa le 10 del mattino. Giulio Cesare esce di casa e si avvia verso il Senato. Ha licenziato la sua scorta e da solo. Cesare è uscito di casa e attraversa il foro, quindi probabilmente, anzi sicuramente passa da queste parti. E chissà se gli viene in mente un altro episodio premonitore, accaduto un mese prima, a metà febbraio. durante la festa dei Lupercali, che sono una festa tribale romana a cui partecipa tutto il popolo. Cesare assiste alla festa seduto su un trono là sui rostri. I rostri erano la tribuna politica della Roma antica, da là i capi arringavano le folle. C'è un tale, un tale Licinio, che viene sollevato ed epone ai piedi di Cesare una corona da re. Ora per un romano antico voler essere re è il peggiore dei crimini, erano repubblicani e convinti. Se Cesare accetta quella corona si mette in difficoltà di fronte al popolo, confessa le sue ambizioni monarchiche. Infatti, in mezzo alla folla, c'è uno dei congiurati, uno dei capi, Cassio Longino, che salta sui rostri, anche lui si solleva e depone la corona sulle ginocchia di Cesare. Cesare la ignora, forse se la lascia scivolare... Giù dalle ginocchia, ma a quel punto arriva Marco Antonio, in testa alla festa dei Lupercali. Tutto nudo e unto, come si usava durante quella festa, salta anche lui sui rostri e addirittura la mette sulla testa di Cesare. Cesare la rifiuta e la getta tra la folla. A questo punto lo storico Nicola di Damasco ci racconta un dettaglio importante. Quelli che erano lontano applaudirono questo gesto, quelli che erano vicini invece gridavano che lo accettasse e non rifiutasse il favore del popolo. È una cosa strana, quelli laggiù, quelli in fondo alla piazza, applaudono Cesare e sono contenti che lui rifiuti la corona e sembra da loro una reazione spontanea. Invece quelli qua sotto insistono, Cesare deve mettersi in testa la corona e loro sembrano una clac organizzata. Una provocazione per costringere Cesare ad ammettere le sue vere intenzioni. Intanto Antonio ha di nuovo in mano la corona e un'altra volta la mette in testa Cesare, che un'altra volta la rifiuta e la butta tra la folla. Quando Antonio gli mise il diadema sul capo per la seconda volta, il popolo gridò «Salve, re! ». Egli non accettò nemmeno allora e ordinò di portare la corona nel tempio di Giove Capitolino, al quale disse più conveniva. Insomma Cesare è cauto, non cade nella trappola. Ma cosa ci dice questo episodio? Ci dice che i congiurati stavano cercando di costruirsi un consenso popolare. Se Cesare avesse accettato la corona, se avesse ammesso di voler diventare re, allora il loro assassino sarebbe stato giustificato davanti al popolo. Resta ambiguo il ruolo di Antonio, amico di Cesare, suo fedelissimo, che invece lo mette in difficoltà davanti ai suoi nemici. Ma chi sono i suoi nemici? Quella casona di mattoni laggiù è la Curia, il luogo dove si riunisce il Senato fin dai tempi più antichi della Repubblica. Alle idi di marzo del 44 è un cantiere, Cesare la sta facendo ricostruire dopo un incendio avvenuto qualche anno prima. La Curia, il Senato, è il nido dei nemici di Cesare. Sono senatori i due capi della congiura, Brutto e Cazzio. Marco Giugno Bruto, nato a Roma nell'85 a.C., discende da Giugno Bruto, l'eroe antico che cacciò l'ultimo re di Roma. Sua madre è Servilia, amante per lungo tempo di Cesare. Per questo si è diffuso il pettegolezzo che Bruto in realtà sia suo figlio, anche se all'epoca della sua nascita Cesare ha solo 15 anni. Durante la guerra civile Brutto si è schierato contro Cesare, ma è stato perdonato e premiato con cariche pubbliche. Alle idi di marzo è pretore urbano, un ruolo prestigioso di amministrazione della giustizia. È autore di opere filosofiche. Di lui Cesare dice, non sa cosa vuole, ma lo vuole fortemente. Questa moneta, coniata dopo le Idi di Marzo, racconta il suo punto di vista. Da una parte c'è il suo ritratto, dall'altra i pugnali che hanno assassinato Cesare. La scritta Idi di Marzo è un berretto, simbolo di libertà. Il berretto che indossavano gli schiavi il giorno in cui venivano liberati. Gaio Cassio Longino, coetaneo di Bruto, è il primo leader della congiura. Anche lui nemico di Cesare, anche lui perdonato. Esistono ritratti, ma anche nel suo caso c'è una moneta. L'ha fatta coniare lui, con il ritratto della libertà. Questo è il Senato di Roma. E nonostante i mille rimaneggiamenti, le modifiche e le ricostruzioni che ha subito nel corso dei secoli, il Senato di Roma resta la sede ideale della parola che Brutto e Cassio rivendicano di continuo, libertà. Ma dietro quella rivendicazione c'è uno scontro politico molto antico, un confine sottile in cui la parola libertà si confonde con la parola privilegio. Partiti politici a Roma... sono essenzialmente due, i populares, i popolari, che corrispondono grosso modo alla nostra sinistra, e gli ottimati, i nobili, gli oligarchi, il senato, la nostra destra. I popolari seguono una linea precisa che parte dai gracchi e dai loro tentativi di riforma agraria. Prosegue in Gaio Mario lo zio di Cesare e arriva poi fino a Giulio Cesare. Gli Ottimati invece, che rappresentano gli interessi delle grandi famiglie di oligarchi, Hanno i loro campioni in Silla, in Pompeo, in Catone e in un ruolo più di mediazione in Cicerone. C'è un aspetto che va sottolineato. Ai tempi di Cesare, ai tempi della Finice, fine della Repubblica, lo scontro politico non avveniva in un modo dialettico parlamentare come potremmo immaginarci oggi, avveniva attraverso guerre, persecuzioni che costavano decine, centinaia, migliaia di morti. E tutto ruotava attorno a una questione che in termini odierni potremmo definire la ridistribuzione della ricchezza. I popolari, la sinistra, volevano ridistribuire le terre demaniali tra i legionari, tra i veterani, che provenivano tutti dalle classi basse. Per questo i capi dei popolari basavano il proprio potere e il proprio prestigio sull'esercito. Gli Ottimati invece, la destra, poche famiglie che di fatto possedevano tutto il Mediterraneo, non volevano rinunciare a nessuno dei loro privilegi e a nessuna delle loro rendite. Bruto e Cassio, i paladini, i difensori delle libertà repubblicane, appartenevano proprio a questa fazione. Chiarito il contesto politico, ora riprendiamo il percorso di Cesare quella mattina, la mattina delle Idi di Marzo. E'uscito dalla Domus Publica, la casa dove abitava, laggiù, poi è sceso lungo la Via Sacra, ha attraversato il Foro, è passato qua vicino al Senato ed ora sta arrivando in un punto nevralgico per capire le tensioni che attraversano Roma in quel momento. La piazza che porta il suo nome, il Foro di Cesare. Il progetto del Foro di Cesare aveva e conserva ancora delle dimensioni monumentali e dobbiamo immaginarcelo circondato da portici, coperto di marmi, molto sfarzoso, dominato laggiù dalla mole del Tempio di Venere Genitrice. Ma quello che ci interessa non è l'architettura di questa piazza, è il suo valore simbolico e politico, le ragioni per cui suscita risentimento negli avversari di Cesare. Innanzitutto per la sua posizione nel centro di Roma, da quella parte adesso c'è via dei fori imperiali, ma da quest'altra parte dove mi trovo adesso molto è rimasto come era, a partire dalla posizione della Curia, del Senato, che nelle intenzioni di Cesare deve cambiare orientamento e diventare una sorta di appendice della piazza che poi sarà la porta il suo nome. Ancora più importante è la scelta di costruire qui questo tempio dedicato a Venere Genitrice. Venere è genitrice perché è la dea della vita che si rigenera, ma nel caso di Cesare ha un significato in più. Venere è genitrice perché è la sua sua antenata mitica. Venere è la madre di Enea, Enea è il padre di Iulo, Iulo è il capostipite della Gensi Iulia, il clan familiare a cui appartiene Giulio Cesare. Insomma, tutta questa piazza è una celebrazione di Cesare e il Senato, la sede delle libertà e degli interessi repubblicani è laggiù. Schiacciato in un angolo, messo ai margini dal potere di un uomo solo. Le fonti antiche fanno una lunga lista delle ragioni per cui Cesare era detestato dai senatori. Troppi onori, troppe cariche, troppe decisioni arbitrarie, troppi cittadini morti durante le guerre civili. Ma Svetonio ci racconta che l'incidente più grave avviene qui, nel Tempio di Venere Genitrice. Ma l'odio più grande e implacabile se lo attirò con questo fatto. Ricevette, restando seduto davanti al Tempio di Venere Genitrice, il Senato al completo, che era venuto a porgergli i decreti con cui gli conferiva grandissimi onori. Insomma, arrivano i senatori e lui resta seduto. A noi oggi sembra una faccenda di poco conto, ma dobbiamo metterci nella mentalità di un senatore della Repubblica di Roma, che considera se stesso lo specchio delle virtù civili e morali più alte. E dobbiamo immaginarli tutti assieme, i senatori, che attraversano in processione questa piazza, salgono gli scalini di questo tempio, arrivano fin qui per rendere omaggio a Cesare, e lui neppure si alza. È più di un'offesa. È un'umiliazione, per di più pubblica, per di più esibita di fronte a tutta la città e suscita, come dice Svetonio, un odio implacabile. In coincidenza con questo episodio, sui muri di Roma incominciano a comparire delle strane scritte. Bruto dormi? Tu non sei davvero brutto. Ora Bruto è il discendente di quel Bruto che aveva cacciato l'ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo. Quindi in qualche modo queste scritte lo incitano ad agire e a cacciare il nuovo monarca, Giulio Cesare. Con questa campagna murale di graffiti la congiura esce allo scoperto, ma Cesare, ancora una volta, ignora l'avvertimento. Abbiamo lasciato il foro di Cesare e riprendiamo la cronaca del 15 marzo del 44 a.C. Abbiamo seguito il suo risveglio dopo una notte piena di incubi, abbiamo visto che è uscito di casa verso le 10 del mattino, abbiamo seguito il suo percorso verso la riunione del Senato. Sarà passato un quarto d'ora, saranno le 10 e un quarto e Giulio Cesare dovrebbe essere in questa zona, quella che oggi è Piazza Venezia. Ed è qui che c'è un nuovo avvertimento. Molto più concreto degli sogni e molto più esplicito delle scritte sui muri, ce lo racconta Svetonio. Un tale, venuto gli incontro, gli porse un foglietto in cui si denunciava la congiura. Cesare lo unì alle carte che teneva nella sinistra, come se avesse voluto leggerlo di lì a poco. Marco è ancora più preciso e a quel tale dà un nome, si chiama Artemidoro ed è un filosofo greco che fa parte della cerchia di Bruto. Quindi su quel foglietto ci sono delle rivelazioni di un uomo che conosce i segreti di Bruto. Cesare però, come abbiamo visto, sembra intenzionato a leggerlo in un secondo momento e allora Artemidoro insiste. Leggilo Cesare, è in fretta, perché contiene questioni importanti che ti riguardano. Seguendo il percorso siamo arrivati in via delle botteghe oscure. Noi dobbiamo immaginare le strade dell'antica Roma molto più strette e anguste di questa, piene di gente, con folle di postulanti che si accalcano attorno a Cesare, mani che si allungano. Cesare, forse distratto, quel foglio se lo dimentica, non lo legge e non lo leggerà mai. Adesso siamo scesi nell'area sacra di Largo Argentina. Sono quattro templi e risalgono tutti all'età repubblicana, tra il IV e il I secolo a.C. Per quanto in rovina, questo è esattamente il paesaggio che ha visto Cesare la mattina delle Idi di marzo. Da quella parte c'era il teatro di Pompeo, adesso c'è un altro teatro, il teatro Argentina. E nel teatro di Pompeo si riunisce provvisoriamente il Senato in attesa che finiscano i lavori alla curia che abbiamo visto prima, la curia Iulia. È proprio lì che i congiurati aspettano Cesare. Prima di iniziare la seduta in Senato, Cesare fa dei sacrifici rituali, poi si avvia verso la curia provvisoria. Ha licenziato la scorta, forse perché si fida di un giuramento che hanno fatto i senatori, che hanno... congiurato di proteggerlo a costo della propria vita. Con lui è rimasto solo Marco Antonio, che è suo amico ed è un uomo forte. Ma Marco Antonio si lascia trattenere fuori dalla curia con un pretesto da un congiurato. Nella nostra ricostruzione dei fatti è passata circa un'ora da quando lui è uscito di casa alle 10 del mattino. Sono quindi le 11, Cesare entra nella trappola completamente solo. Quando si fu messo a sedere, i congiurati gli si fecero attorno come per rendergli onore e Cimbro Tiglio, che si era assunto il compito di dare il segnale, gli si avvicinò come per chiedergli qualcosa e poiché Cesare gli opponeva un rifiuto, lo afferrò per la toga e mentre egli gridava, ma questa è violenza, uno dei due cascal lo colpì, frendolo poco sotto la gola. Cesare, afferrato il braccio di Casca, lo trapassò con lo stilo e tentò di balzare in piedi, ma venne fermato da un'altra ferita. Istaquidem vis est. Questa è violenza. La cronaca di Svetonio ci riporta questa frase stupita di Cesare. L'altro cronista, Plutarco, aggiunge un dettaglio. Cesare si difende e blocca con la mano la lama di un pugnale diretto a lui. Ma questo non basta a fermare i congiurati. Ognuno dei congiurati snuda il pugnale e Cesare, circondato da tutte le parti, ovunque si voltasse si trovava di fronte un'arma mirata ai suoi occhi e alla sua faccia. Trascinato qua e là come una bestia selvaggia, era intrappolato nelle mani di tutti. C'è un dettaglio su cui concordano tutti e due i cronisti. Quando Cesare si accorge di non avere più scampo, prende un lembo della toga e si copre la testa per cadere dignitosamente. In uno dei quadri ottocenteschi che raccontano le idy di marzo, c'è il particolare di Brutto che si gira dall'altra parte mentre sta per dare la pugnalata, come se si vergognasse per quello che sta facendo. L'ultima frase, quella rivolta a lui, la più famosa, la riporta solo Svettoni. Qualcuno però ha tramandato che rivolto a Marco Brutto, mentre questo gli si avventava addosso, abbia esclamato, anche tu figlio. Così, secondo le fonti, muore Giulio Cesare. E secondo una tradizione romana molto consolidata, il punto esatto in cui è caduto il suo corpo è là, alla radice di quel pino. Sempre grazie alle fonti antiche, possiamo anche divertirci e giocare alla polizia scientifica e scoprire qualcosa di più su questo assassino. La prima pugnalata è al collo ed è di striscio. Il totale delle pugnalate è 23. Anche il numero dei congiurati è 23. Quindi ognuno di loro ha dato una pugnalata. E'un po'come in quei rituali delle organizzazioni criminali, in cui tutti devono partecipare fisicamente all'atto, tutti devono essere complici, in modo che nessuno possa poi chiamarsi fuori. 23 pugnalate, una sola mortale, la seconda al petto. Tutte le altre sono poco più che graffi. Plutarco ci spiega perché. Molti dei congiurati si ferirono l'un l'altro, mentre cercavano di piantare tutte quelle pugnalate in un solo corpo. È un particolare importante, perché ci racconta lo stato di sovrecitazione in cui erano i congiurati, che addirittura si feriscono l'un l'altro. Sono consapevoli dell'enormità del loro gesto, hanno appena cambiato la storia. hanno appena assassinato l'uomo più potente del loro tempo, un grande condottiero, un grande politico, addirittura anche un grande intellettuale e scrittore amato dal popolo. Forse in questo stato di esaltazione si dimenticano o trascurano, non hanno il coraggio di fare una cosa che avevano pianificato, far sparire il cadavere. È un errore gravissimo e lo pagheranno molto caro, ce lo racconta Svetonio. I congiurati avevano l'intenzione di gettare il suo corpo nel Tevere, ma non lo fecero, per paura del console Marco Antonio e di Lepido, il comandante della Cavalleria. Il cadavere di Cesare resta abbandonato per ore sul pavimento. I congiurati sciamano per Roma, urlando libertà, libertà, e sono convinti di accendere gli entusiasmi del popolo. Invece la città resta muta e spaventata. Cesare verrà portato via da tre schiavi su una lettiga. E quel cadavere si trasformerà nell'arma più potente contro i congiurati. Qualche giorno dopo, il funerale di Cesare susciterà una rabbia popolare incontenibile e i leader della congiura saranno costretti ad abbandonare Roma. L'attentato, riuscito da un punto di vista pratico, fallisce nelle intenzioni. Quasi nessuno dei suoi assassini gli sopravvisse per più di tre anni. e nessuno morì di morte naturale. Furono condannati tutti e perirono in circostanze diverse, parte in naufragio, parte in battaglia. Alcuni si tolsero la vita con lo stesso pugnale con cui avevano violato il corpo di Cesare. Anche Cesare, come suo nemico Silla, prima di morire fa una profezia. In sostanza dice, se mi ammazzano pazienza, in fondo io ho avuto tutto, ma per lo Stato sarà un disastro, ci saranno guerre molto peggiori. E anche lui... Ci ha visto giusto perché dopo la sua morte ci saranno 15 anni di scontri durissimi, da cui alla fine emerge unico padrone del campo, il suo erede Ottaviano Augusto, un altro ragazzino a cui all'inizio nessuno dà credito.