Transcript for:
Intelligenza Artificiale e Umanità

Buonasera a tutti, sono Daniela Monti del Corriere della Sera, quindi gioco in casa. Vi ringrazio tutte e tutti per essere qui in questo incontro che almeno dal mio punto di vista, cioè io ho grandissime aspettative su questo incontro. Un po'perché i tre protagonisti, ora ne vedete due, ma un terzo sarà collegato. I tre protagonisti, oltre ovviamente a sapere... Molto bene ciò di cui scrivono e di cui parlano sono anche dei fortissimi comunicatori, per cui confido che riusciranno a portarci dentro questo tema dell'intelligenza artificiale, del rapporto fra l'umano e la macchina, che è un po'complesso. Ci porteranno dentro senza semplificare niente e la cosa bella di questo libro di cui parliamo oggi è anche questa. Nessuna semplificazione ma... Il risultato è una comprensione, insomma tutti si portano a casa qualcosa di importante. Il libro è, come vedete, l'algoritmo di Babiele, storie e miti dell'intelligenza artificiale, edito da Solferino. E qui abbiamo i due autori che sono Andrea Colamedici, buongiorno Andrea, che è filosofo, esperto di digitale e anche... fondatore della casa editrice Tlon insieme alla filosofa Maura Gancitano. Buongiorno Maura. Fra l'altro io Maura Gancitano l'ho sempre letta, l'ho sempre ascoltata nei suoi interventi, ma non l'avevo mai incontrata, per cui a maggior ragione le mie aspettative per il pomeriggio si alzano sempre di più. Allora, Tlon è una casa editrice, ma anche molto di più. Come dice il risvolto di copertina del libro, è una factory. Cioè un posto in cui succedono delle cose, in cui si producono cose, si produce pensiero, si producono eventi. E la cosa bella è che queste cose si producono mescolando saperi diversi, che forse è la chiave giusta per affrontare anche il nostro mondo così complesso. Collegato da Torino abbiamo l'altro autore del libro, Simone Arcagni. Buonasera Simone. Buonasera, scusatela l'impossibilità di essere. No, no, è come se fossi con noi, quindi ti vediamo benissimo. Esperto, ovviamente. Esperto di digitale, di cultura digitale, che insegna anche allo Iulm di Milano. Allora, partiamo proprio dai fondamentali. Poi io mi affiderò molto alla loro capacità di dialogare e quindi di illustrarci bene. Così, il motivo per cui questo libro è nato, sempre quando si scrive qualcosa, altrimenti si farebbe qualcos'altro, immagino magari anche più renditizio, però c'è, insomma, bisogna sentire un'urgenza, l'urgenza di portare magari dentro il dibattito pubblico qualcosa, un tema che è stato sottovalutato, che è stato poco di... qualcosa di nuovo, che possa arricchire il dibattito di tutti noi. Ecco, da cosa nasce quindi questo libro? Grazie della domanda, lascerò poi proseguire eventualmente anche Simone. L'idea di fondo di questo libro è nata da una serie di incontri che abbiamo avuto io e Simone Arcagni all'interno di vari convegni in cui ci accorgevamo che ciò che andavamo portando, incontrandoci, era molto affine. Quindi un certo mito che io raccontavo, una certa storia, una certa teoria, un certo filosofo, si attaccavano bene. l'uno con l'altro e quindi erano due narrazioni che si incrociavano e che avevano lo stesso substrato che era in sostanza l'idea di generare una storia culturale dell'intelligenza artificiale cioè pensare ad un modo diverso di relazionarsi con uno dei temi più discussi e peggio discussi dei nostri tempi cercando di dargli una storia culturale, cioè di riconnettere questa emersione apparentemente contemporanea degli ultimi 70 anni poco meno, con... Miti, letteratura, filosofia, con tentativi nel corso della storia umana di organizzare il sapere, di mettersi in relazione con un'alterità, non necessariamente radicale. E allora quello che abbiamo cercato di fare insieme è stato rispondere a questa nostra emergenza ed esigenza collettiva. E ci siamo accorti poi che dentro c'è finito Platone, ma c'è finito Mero, Kafka, Borges, Leibniz, ci sono finiti scrittori e scrittrici di fantascienza. da LEM in poi fino ad arrivare a Cormac McCarthy, alla fine è stata una lunga cavalcata che ha cercato di mettere le persone nella condizione di comprendere che la tecnologia va riportata all'interno dell'umanesimo, va riconsiderata non soltanto come un sapere tecnico-scientifico, che pure ha e che pure è importante che ci sia, ma che vadano anche comprese determinate istanze, determinati sogni, bisogni, desideri. come scrive Kafka e come abbiamo messo proprio nell'introduzione, le invenzioni ci precedono, e capire anche il modo con cui abbiamo generato questa esigenza attraverso i nostri desideri, attraverso le nostre paure. Paure e desideri che a volte si mescolavano anche tra di loro, perché abbiamo anche avuto il desiderio di una forza che ci superasse, ma anche la paura che qualcosa potesse decidere al posto nostro. E in questa ambivalenza c'è molto del libro. Simone? Sì, io una cosa volevo subito dirla, nel senso che secondo me, e trapela anche poi dal libro se avrete la voglia di leggerlo, è il divertimento. Io non mi sono mai divertito così tanto a scrivere un libro, cioè tutte le volte che ci si incontrava con Andrea era, ah ma tu l'hai letta quella cosa di Platone? No, ma Borges? No, ma guarda che Kafka aveva scritto quell'articolo e veniva fuori un puzzle che poi è diventato una mappa. La cosa interessante è che è davvero una mappa culturale. Allora la domanda è, ma se Omero già nell'VIII secolo a.C. descrive l'intelligenza artificiale, se abbiamo già Apollonio Rodio che descrive l'intelligenza artificiale, abbiamo un testo fondamentale di descrizione di macchine nell'antichità, il De Architettura di Vitruvio, ma allora perché tutti questi racconti di intelligenza artificiale... prima dell'intelligenza artificiale. Probabilmente perché l'intelligenza artificiale è molto di più di quello che ci viene descritto. Non è un semplice fatto ingegneristico, non è la semplice costruzione di macchine, ma è un modo di pensare, una serie di funzioni umane, una serie di idee, di immaginari, di proiezioni verso il futuro, anche di paure, che l'essere umano e nello specifico il... L'essere umano occidentale, noi ci siamo occupati soprattutto della cultura occidentale, perché giocavamo in casa evidentemente, aveva elaborato nel corso del tempo. E ci siamo anche accorti che queste elaborazioni, queste storie, questi miti, questi racconti, questo accavallarsi di idee, ci aiutava oggi a comprendere questa intelligenza artificiale. Perché dobbiamo ricordarci che oggi stiamo parlando di una. intelligenza artificiale, cioè di una forma, di una forma di tecnologia molto specifica che però ha delle radici molto lontane. Quindi l'idea è mettiamola su carta questa mappa, cominciamo a dare forma a queste storie, a cavallarle e farle dialogare con l'oggi, con il contemporaneo, per spiegare secondo noi anche meglio che cos'è davvero l'intelligenza artificiale. Ci fate un esempio di alcune delle tante storie che raccontate nel libro, storie anche dell'antichità, del passato, che però proprio si riferiscono al rapporto uomo-macchina, all'intelligenza delle macchine, alla tecnologia. Ma se posso, allora, Omero è bellissima perché è la storia delle storie, è lo scudo di Achille, Achille deve avere delle nuove armi per poter sconfiggere E. Ettore durante la guerra che vede Greci e Troiani contrapposti, la madre, la dea di Achille va da Efesto che è il grande artefice, cioè colui che fa artefatti, cioè oggetti artificiali, e gli chiede di costruire delle nuove armi per Achille. Lui ascolta quello che gli viene proposto, poi si alza e viene seguito da tre donne che sono fatte di bronzo, ma hanno intelletto. Cioè l'artefice, cioè colui che costruisce oggetti artificiali, ha costruito tre donne artificiali con intelletto, cioè un'intelligenza artificiale. Cioè Omero ha già ben presente una storia, un mito, ma anche una struttura che è legata, essendo legata a Efesto, all'idea di tecnica, di tecnologia, di costruire qualche cosa per l'essere umano, per dominare il mondo. E guarda caso una di queste cose è un robot. che ha intelletto, ma non è Blade Runner, è l'Iliade e questo è veramente sconvolgente. Apollonio Rodio descrive Telos, il grande gigante a difesa dell'isola di Creta, che è tutto fatto, costruito, con un unico punto debole, che è l'unico punto che ha di carne e ossa. Quindi l'umano come deficitario rispetto alla macchina, addirittura, se vogliamo. E poi c'è Vitruvio con le sue... le descrizioni delle macchine dell'antichità. La cosa interessante è che nell'antichità si costruivano tra l'altro, non erano solo storie raccontate. Noi abbiamo testimonianze di automi, Erone Alessandrino costruiva automi, ci sono testimonianze di macchine, addirittura in archeologia sono stati trovati dei calendari costruiti in maniera complessa che sono davvero molto simili delle protomacchine di calcolo, dei protocomputer. Quindi non erano solo storie, c'erano anche dei tentativi veri, reali e poi ci sono le riflessioni filosofiche, ma su questo io lascio la parola a chi è più addentro alla questione. Ma ora a proposito di Automi, c'è uno dell'antichità che ti piace particolarmente? In realtà è una storia un po'più recente. Perché a un certo punto si racconta di questa storia che è quella del famoso, del turco meccanico, che tra l'altro, appunto, diciamo, nella presentazione di Roma ha dato spazio anche a tantissime altre storie e ha anche molto a che fare poi, come accade in tante narrazioni, con alcune cose che stanno succedendo, che poi si mettono in pratica nel mondo digitale e anche nel mercato. Perché nel 1836 Edgar Allan Poe pubblica Il giocatore di scacchi. di Melzel, ed è un racconto che si avvicina più al genere investigativo, scrivono, perché Poe gioca a fare il giornalista, investiga sulla meraviglia che arriva negli Stati Uniti dall'Europa, un automa famoso, il giocatore di scacchi, detto anche il turco per via della figura di questo mezzo busto assiso su un'ampia cassa sottostante, poi nel libro c'è anche proprio l'illustrazione. Il volto è infatti segnato da un ampio paio di baffi, il capo è coperto da un turbante che dona all'automa un sapore esotico e quindi quello che accade è che appunto questa meraviglia legge intorno, fa il giro degli Stati Uniti, un mistero tecnologico però a un certo punto questo mistero tecnologico che sembra essere una macchina perfetta ha qualcosa che non quadra e poi riesce a scoprirlo, cioè in realtà svela il mistero del giocatore Perché nell'ampia cassa che sostiene il mezzo busto del turco, tra rotelle e meccanismi vari, si cela, nascosto da un sapiente gioco di specchi, un uomo che attraverso una serie di furbi accorgimenti muove l'automa, giocando effettivamente le partite di scacchi. E di queste truffe poi, di questi giochi da prestigiatore, ce ne sono tanti nella storia delle macchine. E quindi qui, come dire, poi si articola nel libro... anche una meta riflessione che ha a che fare con questo. Io credo che questo libro sia interessante per tante ragioni, intanto perché diventa proprio una collezione di storie difficilissime da trovare tutte insieme, anche perché poi si tende in questi casi, magari in alcuni libri, a trovarne solo una, sempre le stesse. Invece questa è proprio una collezione evidentemente fatta da due appassionati che ci hanno riflettuto per anni e che hanno cercato nei propri percorsi di lettura, di studio, di... rintracciarle, un po'come appunto quando abbiamo un pensiero che alimentiamo e ci sembra di vedere tutte delle cose che ritornano, che ci parlano di quella cosa su cui stiamo ragionando. E però appunto perché è importante fare questo tipo di riflessione culturale? Intanto perché realmente forse è difficile che possa esserci un'invenzione umana che prima non sia stata pensata e immaginata. Nel caso della tecnologia questo è verissimo. Perché poi se andiamo a vedere appunto il turco meccanico è il nome di un sistema, ci diceva Roma Valentina Tanni, applicato da Amazon, che si chiama esattamente così. Il metaverso di meta viene da Stone Crash, che è un romanzo del 92 di Nils Stevenson. Tantissime delle cose che ci sembrano che abbiano nomi, per esempio appunto di luoghi digitali, di strumenti digitali, che ci sembrano che abbiano nomi un po'così particolari, poi se andiamo a vedere hanno un legame fortissimo con la storia culturale. soprattutto con le produzioni letterarie e questo è importante per varie ragioni, intanto perché soprattutto in Italia abbiamo una grande inquietudine nei confronti di questi strumenti, che spesso non è un'inquietudine che deriva da una conoscenza approfondita, ma è proprio un'inquietudine immediata, che può essere reale e che è del tutto legittima, ma che poi rischia di non essere informata e questo secondo me è un problema, perché tu puoi essere è rifiutare certi strumenti, essere spaventato da certi strumenti, sollevare le questioni anche etiche che hanno a che fare con certi strumenti se li conosci. Ma se non li conosci è chiaro che sarà un pensiero che non è realmente un pensiero, sarà un istinto a cui però bisognerebbe dare spazio. E quindi questo libro sicuramente aiuta a farsi un'idea, che è un'idea alternativa rispetto a quelle, al cercare informazioni proprio su come funzionano. Poi... Nel libro ovviamente ci sono delle spiegazioni su cosa sono i large language model, cioè GPT, come funzionano certi strumenti, ma per collegarli spesso con filosofie, teorie, racconti del 1600 che appunto sono impensabili. Quindi secondo me aiuta a alimentare l'inquietudine ma in un senso realmente più profondo e poi perché crea un cortocircuito anche rispetto a quello che ho appena letto. Perché il turco meccanico poi alla fine era una trovata, come tante ci sono state, soprattutto nella storia recente, quindi di cose effettivamente che non erano reali, non erano così automatizzate. E qui c'è un'altra questione, il fatto che noi vediamo le intelligenze artificiali, soprattutto le intelligenze artificiali generative, cioè quelle in grado di produrre testi, immagini, video, musica. nuove, cioè che nascono ovviamente da una grande quantità di dati, ma che sono nuove, quindi possono essere simili, affini ad altre che già esistono, ma le vediamo come qualcosa di disumano, cioè di lontano dall'umano. Ci sono alcune cose, e quindi qui giro a loro la questione, che non vengono sollevate. Cioè il fatto che in realtà, da come il libro teorizza il rapporto uomo-macchina, Non c'è tanto un conflitto, c'è sempre stata una relazione. Questa relazione oggi è particolarmente complessa, anche perché non siamo tutti allo stesso livello. Quindi non tutti hanno lo stesso potere di elaborare e distribuire questo tipo di strumenti, o hanno il potere anche di sapere come vengono allenati questi strumenti. Ma poi c'è un'altra questione, è che realmente dietro le intelligenze artificiali che possiamo scegliere o no di usare, ci sono tantissime persone. Ci sono operatori, ingegneri, persone che l'elaborano, quindi in realtà non è che l'essere umano ha lasciato spazio, c'è sempre una grandissima attività umana dietro che spesso tendiamo a non conoscere. Quindi le questioni già sollevate anche solo da questo breve brano che ho letto, che poi è appunto come tutte le storie e i miti raccontati qui sono affascinanti di per sé, però in realtà gli interrogativi sollevati sono tanti. E secondo me è importante che ci sia questa riflessione perché qual è l'altro grande problema relativo all'intelligenza artificiale e che oggi interessa un ristretto numero di persone che stanno cercando di capire come funziona, che sono i nerd di sempre, che quindi sperimentano, si confrontano, cercano anche di romperla, di vedere come funziona, qual è il meccanismo. Però... tante persone Hanno la sensazione che sia qualcosa di appunto troppo meccanico, troppo disumano per poterlo comprendere. Dare una chiave di lettura culturale può secondo me avvicinare alla comprensione, perché qual è il rischio? E che sia qualcosa che accetteremo passivamente, perché comunque lo accetteremo come tante innovazioni abbiamo già accettato e che prima rifiutavamo. Quindi sarebbe secondo me importante partecipare e comprendere realmente quello che sta succedendo. Farlo attraverso storie e miti può essere un modo alternativo che tra l'altro è anche in grado di far capire quanto in questa storia dell'intelligenza artificiale e anche in quello che sta succedendo oggi rientrino anche tutti i saperi umanistici. Non è solo una questione tecnico-scientifica. Certo. Vi ho fatto troppe... Chiedo ad Andrea, anche i viaggi di Gulliver si dimostrano un serbatoio incredibile di premonizione, di immaginazione, di cose che poi si stanno verificando ora. Sì, sì, nello specifico di Swift ora il buon Arcagni lo porterà più a fondo. Io volevo toccare un po'di spunti che sono arrivati perché siamo arrivati qui in taxi, eravamo in ritardo, abbiamo preso un taxi, e la tassista era molto charliera, era molto alla mano, molto chiacchierona. Ci ha raccontato che questo urlava molto, sì, però va bene. A un certo punto, ci ha chiesto, ma dove state andando? Stiamo andando a fare una conferenza, una presentazione, un libro sull'intelligenza artificiale. Ah, l'intelligenza artificiale! E ha detto, eccola là, qui arriva la storia che mi servirà durante la presentazione per riflettere. E a un certo punto lei dice una cosa molto interessante, a parte poi proseguire dicendo che Cruciani è una persona molto colta, che lei ascolta sempre Radio 24, ma quello è un altro discorso. Quello è arrivato molto dopo. A me sembrava di ascoltare una telefonata alla zanzara. Era stato bellissimo. Era proprio... È stato bellissimo. Però... Anche come decibel, appunto. Sì, sì, sì. No, ma è affascinante antropologicamente. Quello che è successo è stato che lei... Diremo tutte le cose che ha detto. No, no. Solo quelle relative all'intelligenza artificiale. Perché ha detto una cosa molto giusta. Cioè, lei ha detto, bella l'intelligenza artificiale, ma io non ci capisco niente. So solo che quando voglio qualcosa, ad un certo punto il telefono me la propone. Allora ho chiesto a mio cugino di togliermi dal telefono tutti questi abbonamenti. C'è un grosso problema con l'intelligenza artificiale che è l'educazione. Alle persone manca l'utilizzo consapevole dello strumento. Ho detto, brava, giusto. Io però non la voglio studiare. È accettabile, è giusto, anche questo. Non è che uno allora deve essere costretto ad impararla. Se sei una tassista, cioè una persona che di mestiere fa una cosa all'interno della quale l'intelligenza artificiale non ha. grande ricadute, per quanto ci sono degli studi interessanti, che è bene che anche i tassisti conoscano, che riguardano l'utilizzo di Uber. Sono stati fatti degli studi dal 18 al 22 in cui hanno preso in esame tutti quegli autisti che venivano contattati tramite app e quegli autisti che venivano contattati invece tramite telefono. Ed hanno scoperto una cosa interessante, e cioè un processo di deumanizzazione tramite piattaforma. Tendiamo a trattare peggio... quelle persone che contattiamo attraverso un'app, che siano rider o che siano autisti, perché li consideriamo meno umani, cioè ci abituiamo a trattarli con meno rispetto, come se l'interazione mediata dall'app ci portasse a considerarli meno degni dell'applicazione della nostra etica o quantomeno del rispetto basilare. Finché sei un tassista magari va bene, ci può stare, tra l'altro lei ha 72 anni, l'anno prossimo non... Questi però sono dettagli ininfluenti. Lei comunque ha detto che a lei non succede. A lei non succede. Perché la trattano comunque bene, perché lei non si fa mettere piedi. Vabbè Maura, però non parlare di lei, altrimenti qualcuno magari la conosce. Perché poi era simpaticissimo. È un personaggio però, incredibile. E ha detto che vuole proseguire, tra l'altro anche una volta interrotta la sua carriera di tassista. Sì, però la presentazione non è su di me. Ma sarebbe bellissimo. Al di là di questo... È un problema quando, per esempio, io sono stato a insegnare strumenti di intelligenza artificiale applicata all'educazione, tanto al Politecnico di Torino quanto al Politecnico di Milano e all'Università di Foggia. In tutte e tre le occasioni io ho avuto la stessa domanda da parte del corpo docente, di persone del corpo docente, che mi hanno detto... Che salutiamo. È stata proprio la stessa domanda a Milano e a Torino, a Foggia è stata un po'diversa, ma mi hanno detto... Ma io... Ok, grazie, perché una delle cose che ho cercato di spiegare è l'utilizzo consapevole di CGPT, e ora ci arriviamo. Ma la domanda che mi ha colpito tantissimo è stata, ma quando è che posso smettere di studiarlo? Cioè, quando è che la so e basta? Non c'è un momento così. La cosa tragica e affascinante, straordinaria, è che non si può più smettere di studiare. Questa è una caratteristica della tecnologia contemporanea che necessita di una formazione permanente. È un problema enorme, evidentemente, però è una caratteristica inaggirabile. Perché quello che ponevo loro come questione era, anche all'altra presentazione, una delle domande aveva a che fare con i ragazzi che copiano attraverso la social GPT. E allora il punto qual è? Togli CiaGPT? Utilizzi dei software antiplagio per riconoscere il testo prodotto o non prodotto da CiaGPT? Puoi farlo, certo, ma sarà sempre una sfida tra gatto e topo, sarà sempre un tentativo di evitare che l'altro ti freghi, sarà sempre un modo per mettere l'altro nella condizione di elaborare scamotage per riuscire a non farsi scoprire. Invece CiaGPT si può integrare all'interno dei compiti che vengono dati, è ovvio. Si terranno sempre più esami orali, è evidente, all'interno dei quali sarà meno facile dissimulare una conoscenza che non si ha. Però è possibile anche integrare strumenti come c'è a GPT, ce ne sono tante di intelligenze artificiali generative text to text, integrarli nel processo di compiti a casa. Tutto sta nel riuscire ad aiutare i ragazzi a comprendere che se loro utilizzano male quegli strumenti, potranno superare l'esame, potranno fare il compito a casa, ma della scuola non gli resterà nulla. Quindi il punto è a monte, il punto è a cosa serve la scuola, non è a cosa serve CiaGPT come prima cosa, perché CiaGPT è straordinario anche per aiutarti a pensare, ma se tu lo utilizzi soltanto per ottenere l'informazione e i compiti a casa ti vengono dati soltanto come recupero di informazioni, è comprensibile che un ragazzo digiti e ottenga. Se invece il compito a casa ha a che fare con la riflessione sul materiale, Si ha a che fare con un'elaborazione personale, con lo sviluppo di una propria prospettiva, anche attraverso CAGPT, con cui misurarsi con CAGPT, tutto quello può aprire a modalità nuove di relazione con la conoscenza, perché di questo si tratta. È un altro modo di relazionarci con la conoscenza che cambia radicalmente la nostra struttura cognitiva. Questa è stata una grande intuizione di Walter Ong. che ha scritto sul passaggio da oralità e scrittura. Alcuni di voi lo conosceranno su questo tema, anche Wolf, Marianne Wolf, in Lettore vieni a casa, vita e pensiero, ne ha parlato lungamente. Giovanni Reale l'ha poi traslato in chiave platonica. E cioè c'è stata una transizione, c'è stata una transizione tra oralità e scrittura. Cioè era una società fondata sull'oralità e quindi sullo scambio, quindi sulla memoria, quindi sulla relazione, perché se ci dovevamo trasmettere delle informazioni, ce le dicevamo a voce. Se dovevamo raccontarci delle storie, le dicevamo intorno e le ripetevamo. C'era una ricorsività come caratteristica apicale, centrale. Poi però si è passati a una società fondata sulla scrittura. Questa scrittura che certo è stata inventata millenni fa, ma che a partire appunto dall'VIII secolo a.C., V secolo a.C., ha avuto la sua centratura. E lo stesso Platone racconta proprio la prospettiva di una persona che ha abitato. quella frattura, quel passaggio. Socrate, che rappresenta pieno l'uomo orale, che non scrive, a maggior ragione, ma che possiede anche dentro di sé un rapporto con la conoscenza diretto, non mediato, e se è mediato, è mediato da un daimon, da un demone, attraverso cui si relaziona però molto più direttamente con la conoscenza su una società fondata sulla scrittura, che attraverso la scrittura acquisisce delle competenze. che prima non erano pensabili. Il pensiero diventa più analitico, riesci a formare meglio dei concetti. A quel punto Ong parla di una oralità secondaria. L'arrivo dell'oralità secondaria a partire dai media elettronici. Quindi la televisione, la radio e via dicendo che hanno riportato l'oralità al centro della scena, ma oggi assistiamo a una sorta di oralità terziaria che è quella prodotta dall'intelligenza artificiale di... diciamo... generativa, ma non solo, in realtà parliamo proprio degli agent, cioè di quelle intelligenze che possono rispondere diversamente alle critiche che Platone faceva alla scrittura. Perché? Platone mette in campo nel Federo un mito bellissimo, che è quello tra Thoth e Thamus, il dialogo sulla scrittura, sulle grammata. Thoth è un dio, è un dio egizio, che ha inventato l'astronomia, ha inventato i dadi, ha inventato varie arti, e si presenta da Thamus il faraone. E gli dà una nuova invenzione, le grammate, le lettere, la scrittura. E gli dice, oh farone, sappi che questa invenzione produrrà memoria e sapienza nei tuoi sudditi. Ecco a te, fanne buon uso. Tammuz lo ferma e gli dice tu, limitati a inventare. Lascia che sia io a decidere quali sono le conseguenze e quale sarà l'utilizzo di questa invenzione. In realtà la scrittura, e qui è bene già farsi la bocca all'idea che poi sostituiremo scrittura con intelligenza artificiale nell'esempio che faremo, la scrittura dà l'illusione della memoria. In realtà tu non ricordi, tu credi di ricordare, ma ti poggi su un... diremmo oggi hard disk esterno ti poggi su un libro, ti poggi su un testo credi di sapere ma non sai e quindi non sei davvero sapiente ma sei in opinione di sapienza sei convinto di sapere delle cose che in realtà non conosci e allora è problematica la scrittura perché ti rende fintamente sapiente e ti fa credere di conoscere delle cose, ma allora perché Platone scrive? perché alla luce di questa critica contenuta nel Cratilo, nel Teteto e nel Fedro Poi alla fine il Fedro stesso è uno dei testi letterari più belli della storia dell'umanità, in cui la descrizione della Valle dell'Illisso, se la andate a riprendere tra le mani, è grandiosa, meravigliosa. Il senso di spaisamento di Socrate di fronte alla natura, oppure il greco spezzato di Alcibiade nel simposio, confrontato con quello rigoroso e generalesco, se volete, di Pausania. Capite che perché scrive? Scrive perché si rende conto che un cambiamento inevitabile stava avvenendo e che la cosa migliore da fare era cercare di edurre, di rendere consapevoli gli altri che si stava perdendo qualcosa e che bisognava fare di tutto per traghettare quello che si poteva traghettare di quel mondo in un mondo nuovo che stava nascendo. Noi viviamo una frattura molto simile, che non è più ovviamente tra oralità e scrittura ma è tra scrittura e scrittura. scrittura è digitale, dove a digitale possiamo sostituire tante parole, possiamo sostituire artificiale, possiamo sostituire metaverso, sono tutte scivolose. Però di fondo sta avvenendo un cambiamento cognitivo nel nostro modo di relazionarci con il circostante. Dobbiamo avere la stessa cura e intelligenza che ha avuto Platone, prendendo anche le misure con gli errori platonici che Popper ci ha raccontato. Però dobbiamo capire che sta accadendo qualcosa di inaggirabile, che non possiamo fare i luddisti o gli apocalittici. Umberto Eco è un altro che citiamo all'interno del libro e di quel che ha fatto con Balestrini, lascerò parlare Simone insieme al discorso di Galliver e di Swift. Ma l'idea di fondo è questa, accettare l'idea che ci stiamo trasformando e che recuperare una storia culturale di questa trasformazione, imparare ad abitare questo ambiente cognitivo nuovo, difficile. Senz'altro pericoloso ma anche affascinante, pericoloso per tutti i temi che conosciamo e affascinante per i temi che altrettanto bene conosciamo, è essenziale. Cioè dobbiamo capire che da una parte noi ci ritroviamo di fronte a delle innovazioni che mettono a repentaglio il nostro concetto di privacy, il nostro concetto di autorialità, il nostro farci bastare anche però la mediocrità. Perché dov'è che è straordinaria l'intelligenza artificiale generativa? Nel sostituirsi a tutta quella produzione mediocre. Chi è che deve avere paura dell'intelligenza artificiale generativa? Chi fa delle cose mediocre. Allora te la prendi con chi fa le cose mediocre? No. Però devi capire anche che l'intelligenza artificiale generativa non mette in difficoltà il nuovo Cormac McCarthy, non mette in difficoltà il nuovo Paul Oster, mette in difficoltà tutte quelle persone che appunto non hanno quella capacità di riuscire a distaccarsi dalla medietà. E quella mediatà ormai è facilmente replicabile nella musica, nell'arte, nel teatro, nella scrittura. Però questo è un farmacon, esattamente come diceva Platone. E tra l'altro è proprio quello che dice Tamus a Thoth. Tu non mi hai dato una medicina e basta. Tu mi hai dato un farmacon, qualcosa che contemporaneamente cura e veleno. Non che a volte cure e che a volte veleno, ma che al contempo cura e veleno. Sta a noi imparare a dosarlo. Simone Allora, la cosa davvero interessante è che dalle parole di Andrea e dalle sollecitazioni di Maura vengono fuori il perché di questo libro, l'importanza non dovrei essere io a dirlo perché sono uno degli autori, ma l'approccio culturale ci fa capire che la questione della tecnologia è una questione culturale, della tecnologia digitale ma della tecnologia precedente, dell'intelligenza artificiale. E Simon Don, il filosofo francese, ci ha spiegato che la lingua e il linguaggio sono delle tecnologie. La cultura occidentale si basa nel passaggio, come ricordava Andrea, dalla fase orale alla fase della scrittura, dove nella scrittura, per come la conosciamo noi, c'è una macchina, che è la macchina di Gutenberg, che non ha cambiato solo la fruizione delle storie, ha cambiato l'approccio alla società. L'atteggiamento, per esempio, nei confronti della religione. La pubblicazione della Bibbia ha fatto sì che nascesse un nuovo modo di affrontare la religione. Ognuno poteva leggerla, chi era in grado di leggerla, o creava una casta di coloro che leggendo potevano interpretarle e via dicendo. Il sistema tecnologico ha una parte evidentemente meccanica, ingegneristica, ma è fondamentalmente una questione... culturale e l'esempio tu chiedevi prima di Swift, è uno dei racconti più belli, sta proprio lì a narrarlo. Swift nei viaggi di Gulliver racconta di una società di scienziati che fanno tutto perfettamente, costruiscono le macchine, pensano, elaborano eccetera, hanno un unico problema tutte le macchine che fanno sono perfettamente inutili oppure non funzionano. Swift Cosa fa? Sta prendendo in giro, siamo nel XVIII secolo, nel 1700, il grande momento delle macchine, di orologi che scandiscono i nuovi tempi della società moderna, gli automi per l'appunto. In quella lui dice, no, io questa società non la voglio, io non voglio una società di macchine. E per farci capire che lui non vuole una società di macchine, descrive una macchina. tipo chat GPT, cioè una macchina in cui inserendo alcune indicazioni, voglio una poesia di tipo romantico in cui ci sia più volte la parola amore eccetera eccetera, produce, genera una poesia o un testo letterario, un testo filosofico, un testo giornalistico. La descrive Swift e la descrive per prenderla in giro, per dire ma sì ma non può essere fatta. La cosa interessante, al di là della storia che è già di per sé bella e gustosa, è il fatto che Swift, c'è una storia nella storia, Swift l'ha scritto per prendere in giro Leibniz, il famoso filosofo che aveva intanto innestato la matematica a due numeri, 0 e 1, dando avvio a quello che poi sarebbe stata la rivoluzione informatica e del digitale. Ma soprattutto era un filosofo che aveva costruito una macchina, un computer, un proto-computer che faceva calcoli complessi, addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione. E su quella macchina a un certo punto Leibniz dice ma se io arrivassi a sostituire ai numeri delle parole, dei concetti, delle frasi, avrei creato una macchina. in grado di generare pensieri. Swift non ci può credere, questo è un pazzo, avrà pensato, e quindi lo prendo in giro e faccio sì di descrivere una macchina come lui l'ha immaginata, ma è una macchina assurda, perché la creatività non può essere sostituita. Dove sta il punto? E che il dibattito di oggi ha delle radici profonde e ci dice che oggi stiamo vedendo soltanto Una tecnologia, un pezzo di una storia della tecnologia, che è una storia culturale, i dibattiti intorno a questo ce ne sono già stati, ce ne sono molti, sono integrati nella nostra società. Andrea citava prima un esempio italiano fortissimo, Nanni Balestrini, il poeta, che affascinato dalle macchine usa, siamo agli inizi degli anni 60, un IBM 7070, una macchina che oggi considereremmo poco più di una calcolatrice, ma la usa per generare una poesia, Tape Mark 1, e la usa proprio come noi oggi usiamo ChatGPT, cioè gli dà delle indicazioni, dei prompt, e poi la fa, gli dà... impasto, la alimenta di tutta una serie di poesie e poi la fa lavorare autonomamente. Qual era la volontà di Nanni Balestrini, seguito dall'amico e in qualche modo persino mentore filosofico di questa operazione Umberto Eco? Far capire che una parte della creatività, una parte del nostro pensiero, del nostro sapere... È macchinico, è fatto di combinatoria, è fatta di informazioni che noi archiviamo. Un altro esempio che noi portiamo, secondo me è un altro esempio bellissimo, è l'enciclopedia di Diderot e d'Alembert. Ma se ci pensate, l'enciclopedia che cos'è? È esattamente un hard disk esterno in cui noi andiamo a inserire una serie di dati e di informazioni che poi possono essere usate e rielaborate in maniera diversa. E come le sistemiamo quelle informazioni? Attraverso la matematica, cioè in un ordine alfabetico con la divisione in pagine. Cioè stiamo costruendo, abbiamo costruito all'interno del libro un sistema matematico di stoccaggio delle informazioni per poi essere rielaborate, riassunte, personalizzate. state rifatte in maniera personale e in parte autonoma. Ecco, entrare dentro queste storie è entrare nel funzionamento vero, nel senso vero della tecnologia, che è un senso culturale con ricadute economiche, sociali, politiche, ideologiche. Prima si citava il caso per esempio della mediocrità. è un caso di etica, l'etica della macchina, dove arriva la macchina. Anche lì abbiamo delle storie pazzesche. Abbiamo un testo di fantascienza di Fritz Lieber, degli inizi degli anni Sessanta, quindi in un'epoca proto-computeristica, dove si immagina, badate bene, che gli editori non vogliono più avere gli scrittori perché gli scrittori sono troppo bizzosi. E in più vogliono essere originali. hai ragione sono bizzosi e in più vogliono essere originali e gli editori dicono a parte il nostro ma i blockbuster i libri che vendono di più non sono originali sono medi sono mediocri lo dice il libro non lo dico io allora cosa dicono? sostituiamo Gli scrittori con le macchine. Nel libro questo succede, ma gli scrittori decidono di riappropriarsi del loro lavoro, distruggono le macchine, ma essendo passati ormai anni e anni non sono più capaci di scrivere e quando si riappropriano della scrittura il pubblico non li vuole più leggere perché si è abbandonato alla mediocrità. del prodotto della macchina allora capite che questa è la sfida oggi e non è il problema di chat GPT è il problema nostro come diceva giustamente Andrea McCartney non ha nessuna paura vabbè poverino è defunto ma comunque ha maggior ragione non aveva nessuna non aveva nessuna paura ma non dovrebbe averla nessuno che ha Qualche cosa davvero di necessario da narrare, da raccontare. Il problema è la medietas, è la mediocrità. Se uno accetta la mediocrità, la macchina in qualche modo è già molto raffinata. Dico soltanto un'ultima cosa perché ci tengo molto. Andare dentro le storie ci fa capire bene che cosa dobbiamo affrontare noi oggi. Per esempio, io mi sono accorto, non lo sapevo, che facendo una breve storia degli automi nell'antichità, il primo automa in qualche modo, a parte è già una donna in Omero, poi è Pandora, perché Pandora non è solo quella del vaso di Pandora, ma è quella a cui viene destinata la tecnica, ma poi abbiamo solo robot donne, Metropolis, Eva Futura, negative, sono tutte... tutti personaggi negativi. Allora dentro quel serbatoio di storie Abbiamo anche delle indicazioni di dove vanno i nostri immaginari, come abbiamo costruito quelli che poi oggi noi chiamiamo i bias, cioè quelle determinazioni etiche che la macchina assorbe dai nostri cattivi pensieri, dalle nostre cattive abitudini, dai nostri preconcetti, dal nostro razzismo e via dicendo, andando a interrogare le storie, la letteratura. la filosofia soprattutto, noi andiamo anche alla radice di queste questioni, cioè facciamo vedere come non è semplice affrontarle perché sono il frutto di un logorio che viene da lontano, di costruzioni che vengono da loro. Ecco che allora, io lo ripeto più volte, il tatto ingegneristico è davvero quello minoritario perché se ci riflettiamo Quello che è l'intelligenza artificiale è fatto soprattutto da ciò che noi desideriamo, da ciò che noi immaginiamo, da ciò che noi creiamo, dai dati che noi abbiamo immagazzinato e continuiamo ad immagazzinare, dalle biblioteche che creiamo, dagli archivi che creiamo, dalle relazioni che creiamo, dalle cose in cui crediamo. Questa è l'intelligenza artificiale. Poi ci sarà quello che ingegnerizza. Il software più efficace e il software meno efficace, ma quelle sono semplicemente delle funzioni. Il vero sostrato sta nelle nostre storie, nella nostra cultura. Certo, ma riprendendo il concetto di mediocrità, io penso che una esperienza quotidiana, che forse può essere molto comune, comune a noi, comune alla nostra amica tassista, è infatti... che in questo rapporto con le macchine poi alla fine ci sentiamo chiusi dentro una bolla, secondo la logica per cui il televisore ti propone di vedere i film in base a quello che avevi già visto, quindi ti continua a tenere lì, non permette nessuna crescita. Ecco mi chiedo a quando un'intelligenza artificiale che invece ci scaraventi nel mondo, che ci faccia uscire dalla bolla, che ci proponga cose che mai avremmo pensato. di voler affrontare, di voler imparare, di voler vivere. Devo... Ah, quindi, poi le questioni complicate... Ma allora, partiamo da qui. Quando è uscita, è stato fatto, insomma, si è iniziato a parlare di CGPT in realtà relativamente, molto recentemente, poi le cose sono molto cambiate, ovviamente poi ci sono le versioni gratuite, le versioni in abbonamento che sono diverse. Ma cos'è stata la prima cosa che quasi tutti hanno chiesto a CiaGPT la prima volta? Se stessi. Chi è? Nome e cognome. E di solito venivano fuori delle cose bizzarre, quindi venivano attribuite delle cose che non avevi mai fatto. Ma è quello, cioè come dire, la macchina risponde anche molto sulla base di quello che tu chiedi. E quindi è la ragione per cui molto spesso le risposte sono mediocri. Soprattutto quando tu conosci il campo. Noi abbiamo fatto un incontro un anno fa con Paolo Zellini, che è tra l'altro un matematico citato nel libro, e Piero Boitani, che è un grandissimo esperto di letteratura. E Boitani, io non pensavo, ma aveva usato CiaGPT per cercare di capire quanto sapesse. E la sua risposta era stata... Non conosce i libri che conosco io, perché ovviamente Piero Boetani studia dei libri che non si trovano distribuiti e digitalizzati su internet. E però mi aveva colpito questa cosa perché evidentemente lui vedeva il limite dei dati che la macchina aveva, e però aveva sicuramente una persona di una enorme curiosità, aveva la curiosità di capirlo. Se la macchina avesse avuto ovviamente quelle conoscenze, probabilmente secondo me Boetani si sarebbe divertito, come si sarebbe sicuramente divertito Platone, a cercare di capire che cosa poteva elaborare. Ecco, secondo me qui la questione è molto umana, ma tutte le questioni di cui stiamo parlando sono umane. In realtà appunto, perché Simone Arcagni diceva poi tutto questo è più culturale che tecnico, sarebbe da dire ovviamente a chi... a chi costruisce quei software perché non ha esattamente la stessa idea di Arcagni cioè la convinzione molto spesso è che sia solo una questione tecnica e basti quello, non serve la questione culturale, è un metadiscorso una sovrastruttura che in realtà non è così essenziale, lo è essenziale perché appunto loro dimostrano che lo è sempre stato e che in realtà lo è stato anche dal 56, cioè da quando si è iniziato a parlare di intelligenza artificiale si è iniziato a parlare anche filosoficamente per esempio di intelligenza artificiale ma la questione Le questioni che sollevano questi strumenti sono questioni umane relative alla proprietà dei dati e delle conoscenze, alla proprietà degli strumenti, alla distribuzione, all'accessibilità. Quindi alle diseguaglianze, diseguaglianze economiche ma anche culturali, perché qui c'è una grande questione culturale, c'è il fatto che si possono fare delle cose incredibili ma chi le potrà fare? Non è solo una questione di economia, è anche una questione di disinvoltura anche rispetto all'uso di questi strumenti. E ci sono delle questioni etiche, ci sono delle questioni di democrazia, questioni politiche, istituzionali, ci sono anche tantissime questioni che non sono solo relative alla macchina, ma sono relative a noi. Quindi quello che tu dicevi, finiamo chiusi in una bolla, finiamo con il ricevere sempre gli stessi contenuti, anche non avere la consapevolezza di quello che accade alle altre persone, quali sono le convinzioni delle altre persone. Questa distorsione oggi è fortissima, perché noi possiamo non conoscere niente anche di... tendenze, fenomeni, meme che per altre persone invece sono così importanti. Secondo me questa cosa ce la domandiamo perché ha di nuovo a che fare con qualcosa di cui tanti di noi sentono la mancanza, cioè lo spazio per la curiosità e lo spazio anche per l'imprevisto, perché poi le nostre vite anche attraverso la tecnologia e come veniamo invitati a usare la tecnologia sono sempre più produttive e performative. Cerchiamo sempre di più la strada più veloce, il modo per fare più cose nel più breve tempo possibile. Tutto questo distrugge proprio la creatività. Perché le intelligenze artificiali generative hanno fatto così paura? Perché erano in grado e sono in grado e sono realmente in grado di generare qualcosa che prima non esisteva, che si assomiglia a tante cose che già esistevano. ma in qualche modo hanno toccato un nervo scoperto, qualcosa che pensavamo che fosse solo umano. E ci danno anche quella frustrazione del fatto che riescono a farlo molto velocemente e anche con una leggerezza che a volte è difficile che noi abbiamo. Noi facciamo ogni tanto, facciamo intervalli abbastanza regolari, facciamo uno spettacolo con la rappresentante di lista. Abbiamo inizialmente fatto questo spettacolo sulla meraviglia, che era solo appunto sulla meraviglia, musica e filosofia sulla meraviglia. Poi a un certo punto lui, da appunto grande critico, ma anche grandissimo entusiasta dell'intelligenza artificiale, e uno che appunto poi costruisce costantemente quelle relazioni per capire cosa sta accadendo, ha deciso un giorno, eravamo all'auditorium di Roma, era un anno e mezzo fa, di inserire in uno di questi incontri l'intelligenza artificiale e quindi la cosa è stata, vediamo che canzone, una hit per l'estate o una hit per Natale, a seconda del periodo, elabora l'intelligenza artificiale e cosa riesce a fare, riusciamo a fare noi sul palco, il pubblico, con l'intelligenza umana collettiva. Inizialmente i risultati erano da ridere, cioè era ridicolo quello che l'intelligenza artificiale tirava fuori. E quindi ci bevamo del fatto che invece le canzoni che creavamo noi umani erano bellissime. Ma nel corso del tempo, e l'ultima volta che abbiamo fatto questa cosa è stata a Piacenza a settembre, lui ne ha inserite altre in intelligenza artificiale, ha inserito la musica, quindi qualcosa che sembrava fosse solo una capacità umana. E quindi le cose sono cambiate. Poi è chiaro che ovviamente i musicisti, cioè come dire... Non è la stessa cosa di qualcosa che nasce anche da un senso di urgenza. Però fa capire che ci stiamo interrogando su tante cose che hanno a che fare con noi. Hanno a che fare anche con lo spazio che abbiamo per la creatività. Chi oggi fa un lavoro creativo è devastato dalla produttività che deve avere, dalla velocità con cui deve estrarre da sé qualcosa. Quindi quando le intelligenze artificiali ci danno quella sensazione di star generando, di star toccando qualcosa che dovrebbe essere solo nostro. La mia domanda è, forse ci dà così fastidio perché stiamo chiedendo troppo a noi quell'estrazione di valore, la stiamo facendo troppo rispetto a noi, ci stiamo chiedendo così tanto in così poco tempo e quindi questo ci dà la sensazione poi che si crea in qualche senso la competizione. E qui arriviamo a un'altra questione, quindi la mia risposta è Non possiamo chiedere che sia la macchina a farlo. Se solleviamo la questione che esiste, è perché abbiamo noi un problema di mancanza di curiosità, ma a volte di spazio per la curiosità. Quindi è di nuovo una questione umana. E poi c'è una questione proprio legata alle macchine, perché loro raccontano tanti esempi di macchine che gli esseri umani hanno costruito, esseri umani che non si erano mai visti, culture completamente distanti. E sembra quasi un bisogno di creare qualcosa di alieno rispetto a sé, che sia un'attrazione, ma anche quasi il bisogno della costruzione di un nemico, perché appunto poi tante di queste figure sono state figure negative, figure di nemici. E qui c'è un autore che si chiama Frank Pasquale che ha riscritto le leggi della robotica, nel senso dell'intelligenza artificiale. Una di queste leggi che lui, secondo... che hanno a che fare con l'etica dell'intelligenza artificiale quindi quali sono le cose che non dovremmo fare rispetto a certi usi dell'intelligenza artificiale una di queste leggi è dobbiamo impedire che le intelligenze artificiali possano contraffare l'umanità cioè possano simulare l'essere umano e questa cosa sta già avvenendo sono tante sperimentazioni su robot per esempio che vengono considerati umani ma qui di nuovo il cortocircuito riguarda noi Perché noi abbiamo paura di credere, anche qui Ian McEwan, Cormac McCarthy, tanti autori hanno scritto tanto su questo, abbiamo paura di scoprire che qualcosa su cui abbiamo rovesciato delle emozioni, per cui abbiamo provato un coinvolgimento emotivo, a cui abbiamo creduto, non era umano. E questa paura la fantascienza l'ha già raccontata moltissimo. E però dall'altro lo desideriamo. Perché abbiamo bisogno di credere a delle storie, abbiamo bisogno di costruire qualcosa al di fuori di noi. E questo ha a che fare con la tecnologia, ma ha a che fare anche con la religione, ha a che fare con tutte le cosmogonie che abbiamo inventato nel corso della storia. E quindi qui la questione è che, se per Pasquale, per esempio, non bisogna contraffare l'umanità, d'altra parte sembra che l'umanità voglia contraffare se stessa. E quindi lì è difficile capire come uscire. Cioè da un lato ci inquieta, dall'altro ci attrae. Però la questione è sempre nostra, è come se avessimo poi due tendenze diverse. Quelle tendenze non le possiamo risolvere finché quegli strumenti non li conosciamo, finché non lo esplicitiamo e non ne parliamo. E allora secondo me poi questo tipo di riflessione è utile per chiunque, perché siamo tutti poi immersi in un mondo in cui poi queste intelligenze artificiali sono ovunque più di quanto pensiamo, ma... In particolare, forse, per chi si occupa di questi temi da un punto di vista tecnico e rischia di non vedere che poi sta manipolando una materia che non ha solo a che fare con degli strumenti, dei dati e qualcosa che è in qualche modo tangibile, che è immisurabile. Non c'è solo il misurabile, c'è anche la storia. E siccome noi siamo degli animali che hanno a che fare con le storie, noi abbiamo bisogno delle storie, non abbiamo mai prodotto così tante storie. nella storia dell'umanità, tante di quelle storie che nessuno è in grado né di leggere tutti i libri che escono, né di guardare tutte le serie tv e abbiamo bisogno di costruirle, di produrle, ne siamo veramente circondati e quindi questa cosa però ha a che fare con l'intelligenza artificiale perché chi nutre l'intelligenza artificiale, chi la costruisce, chi la distribuisce sta in qualche modo costruendo un immaginario senza rendersene conto e allora è importante che ne sia consapevole. Posso dire una cosa velocemente su questo? Perché Maura, grazie, a proposito delle tendenze, vorrei fare due esempi proprio in ambito culturale della domanda che facevi tu. Cioè, da una parte abbiamo Netflix che crea il suo impero con l'intelligenza artificiale, il famoso algoritmo di Netflix che rielabora modelli cinematografici e seriali del passato e gli dice, allora, statisticamente... tu devi avere questo regista con questo attore con questa storia, vai a riprendere quella vecchia serie inglese che era andata bene ma che non aveva avuto il successo meritato, metti di questi ingredienti e confeziona House of Cards. House of Cards è il momento in cui Netflix da mera piattaforma di distribuzione di contenuti diventa uno dei più grandi realizzatori di immaginari del contemporaneo. House of Cuts è frutto di un algoritmo, dall'altra, e quindi qui potrebbe rispondere alla tendenza di utilizzare come sistema produttivo per uno velocizzare ma anche per non creare ma rielaborare creativamente. Dall'altra abbiamo due dei più grandi artisti contemporanei, Ian Cheng, americano, e Refika Nadol, turco, che invece... Lavorano con le intelligenze artificiali e nelle loro dichiarazioni dicono la cosa più interessante per noi delle intelligenze artificiali sono le allucinazioni. Per chi non lo sapesse, tecnicamente vengono considerate allucinazioni quegli output, cioè quelle risposte dell'intelligenza artificiale che non sembrano adeguati agli input dati. Cioè un errore. Ecco, gli artisti dicono a noi interessa quella cosa lì perché dentro quella cosa lì si apre un nuovo percorso che non è tanto sulla creatività delle macchine, ma è quanto la macchina interroga noi, esseri umani, sulla creatività. Ecco la domanda che mi facevi prima, no? Ci facevi prima, la mediocrità o lo spunto a uscire dalla bocca della mediocrità? Noi basculiamo in questo momento in queste due tendenze. Dipenderà da noi, non dai software, ma da noi. Io ricordo che quattro anni fa, quando ChatGPT era ancora in versione beta in Italia, un amico me la fece provare e con un risultato per me meraviglioso. Se vi ricordate, ai tempi ChatGPT non funzionava tanto con i prompt, quanto col fatto che si metteva una frase e lui la continuava. Allora io ho cominciato a mettergli dentro un po'di famosi incipit di poesie e lui li rielaborava in qualche modo con lo stile di quei poeti, però diversamente. Poi a un certo punto ho messo, ne ho scritto un articolo sul Sole 24 Ore, ho messo dentro nel mezzo del cammin di nostra vita. Puntini, prompt, e la macchina ha risposto. Mi trovai per una selva oscura e la retta via era smarrita. Cioè, c'era un chat GPT umile. Cosa vuoi fare di più di Dante? È Dante! Non mi prendere in giro! Più di Dante? Non si può. Ma ancora una volta, quello mi ha dato un grande riscontro. Che quella macchina non era una macchina di elaborazione. Era uno specchio... della mia umanità. E questo forse, perché quest'idea dello specchio tra l'altro è qualcosa su cui Andrea sta molto riflettendo. Sì? No, no, vai, vai Andrea. No, perché posso andare all'altranza. No, vabbè, forse hai capito che di persone naconiche non ce ne sono. Simone, volevi... No, no, no, io finisco. Finito, finito. No, il tema è veramente grande e vasto, noi abbiamo 9 minuti e 11 secondi. Intanto, Simone, questa parte la potevamo inserire nel libro, questa che racconti su GPT, perché è perfettamente un altro libro. No, ma questa in realtà era perfetta per il libro attuale, perché noi parliamo di Pierre Menard. Questo è perfettamente Pierre Menard, se ci pensi. Questo è Pierre Menard. Allora, noi citiamo vari racconti di Borges. Per noi Borges dovrebbe essere inserito in un corso di propedeutica per l'intelligenza artificiale. Se vuoi capire culturalmente che cosa fa l'intelligenza artificiale devi leggerti Alef, finzioni quantomeno e poi tutto il resto. Ma la Biblioteca di Babele, la scrittura del Dio, Pierre Menard, Tlonuk Bar Bisterzius sono racconti che vanno letti per forza. Il Pierre Menard è esattamente la storia che ha raccontato Simone, cioè la storia di uno scrittore francese che cerca di riscrivere il Don Quixote di Cervantes. ma non copiandolo, rifacendolo. È un gioco quello che si inventa Borges, ma è bellissimo perché fa vedere lo sforzo di quest'uomo che cerca di riscrivere parola per parola ma senza copiarla. E poi si dice, ma che vuol dire? Vuol dire che, dice Borges, lo scrivere, l'incipit, per esempio il nono capitolo che riesce a scrivere Menard, beh, quello aveva un valore maggiore rispetto a scriverlo... nell'epoca di Cervantes, anche perché Cervantes non aveva Cervantes prima di sé. E quindi Menard, riuscendo a riscrivere tale e quale pur non copiando, stava compiendo un'opera d'arte innovativa. Ora, Borges è straordinario in questo perché ci mette costantemente di fronte a una serie di paradossi, di specchi, appunto, di urgenze, che hanno a che fare incredibilmente con la nostra contemporaneità, a livelli inverosimili. La biblioteca di Babele, per esempio, ne... una dimostrazione straordinaria, ma l'idea stessa di Babel è che il libro prima doveva chiamarsi La macchina di Kafka, si apre con una serie di riflessioni su Kafka. Poi però ci siamo resi conto che per tante persone l'idea di una macchina di Kafka rischiava di polarizzare il testo solo da una direzione, perché tante persone non hanno contezza appunto del fatto che, come raccontiamo proprio in alcuni scenari nel testo, kafkiano non è semplicemente tragico, è molto di più. E allora abbiamo poi... optato per un altro titolo che è l'algoritmo di Babel. L'algoritmo di Babel ha come fondo innanzitutto Babel, Babel che noi ricordiamo malissimo. Esattamente come ricordiamo malissimo il mito della caverna, una delle grandi opportunità del recuperare le storie è osservare quanto ce le raccontiamo male. Per esempio, nella fiaba dei vestiti dell'imperatore di Andersen noi ricordiamo che tutti quanti sapevano che il re era nudo. Ma in realtà il re era nudo sì, ma nessuno se ne rendeva conto. Un bambino arriva e non solo rende dotto il re, ma rende dotti tutti. Nel mito della caverna noi ricordiamo che ad un certo punto un uomo si libera dalle proprie catene ed evade, ma non è quello che succede nel mito della caverna. Nel mito della caverna succede tutt'altro, e cioè che una persona viene costretta ad andare via, viene trascinata a forza fuori da quel luogo simile ad una caverna e poi l'ultima cosa che vorrebbe è rientrare, ma una volta fuori. E questi ovviamente sono dei significati che ci riguardano molto da vicino, nello specifico quanto noi facciamo fatica. ad abbandonare ciò che ci è familiare sebbene ci sia costrittivo, perché non riusciamo ad accorgerci della prigione finché è l'unica cosa che abbiamo visto. Ma Babele è un altro di quelle storie, un altro di quei miti che in realtà non ricordiamo, perché noi ricordiamo del mito della torre di Babele, un dio arrabbiato che distrugge una torre per eccesso di iubris, di tracotanza, ma non è quello che succede in Genesi Quello che succede è che delle persone arrivano. Un gruppo di uomini decide di edificare una torre, di cuocere mattoni ed edificare una torre la cui cima tocchi il cielo allo scopo di farsi un nome e stabilirsi. A quel punto quello che accade non è nessuna tragedia, non è alcuna distruzione della torre, non c'è soprattutto nessuna vendetta. Quello che succede nel passo biblico è che Dio si accorge di ciò che sta accadendo e dice letteralmente ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un'unica lingua questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non è loro impossibile scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro e a quel punto li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città ma è con la torre è esattamente con l'idea di aver costruito la torre che gli esseri umani possono farsi il nome solo che non accade ciò che gli umani pensavano e cioè stabilirsi in un posto avrebbe prodotto la stirpe Dio si accorge che gli umani hanno iniziato un'opera e a quel punto non c'è una punizione ma semmai un premio c'è una dispersione come premio possiamo interpretarla anche così quel passaggio perché non c'è nessuna vendetta esplicita Ed è un'intuizione che arriva fino a Borges nel comprendere che in realtà questa confusione delle lingue potrebbe essere un'occasione se impariamo ad abitarla, più che la perdita del senso unico con cui abitare lo spazio. Quello che succede appunto è che poi, subito dopo, arriva un passaggio bellissimo, un versetto successivo che conferma questa interpretazione perché inizia con la genealogia di un personaggio cruciale nella Bibbia che è Sem. Inizia quindi con lo stesso termine, sem, che sta quasi a rappresentare quel nome che cercavano di farsi. Quel farsi un nome in fondo riesce ad essere un'attività vera e propria nel momento in cui si disperdono sulla Terra. E quello che racconta Borges nella biblioteca di Babel è un luogo all'interno del quale è contenuto tutto il sapere. E che però è contenuto in maniera tale da essere fondamentalmente inattingibile. In questi infiniti ottagoni gli umani possono... Innanzitutto, inizialmente, guardarsi intorno e sviluppare un grande entusiasmo. È quello che ci è successo quando abbiamo scoperto CGPT. Quando ci siamo detti, wow, adesso, adesso ho la conoscenza sotto mano. In fondo, che cos'è l'intelligenza artificiale? Appunto, se non uno specchio, se non un'opportunità per riuscire a guardarsi, a capirsi, a conoscersi, come se l'emersione della coscienza fosse stato un grande trauma collettivo che cerchiamo ancora di elaborare. Come se organizzare il sapere fosse un tentativo di riuscire a capire perché cacchio siamo vivi, perché siamo qui, come fare a gestire il fatto che moriremo e che siamo consapevoli del fatto che moriremo. E allora in questa biblioteca di Bobbele, a tutta prima, c'è l'entusiasmo, c'è la gioia, c'è il dire ah, finalmente ho accesso alla verità. E poi però comincia la depressione, la disperazione, scrive Borges. Cioè cominciamo a sentire proprio la paura di abitare un luogo all'interno del quale è impossibile trovare un libro giusto. Perché? Perché se ci sono tutti i libri, tutti i libri possibili. È impossibile trovare il libro giusto, è impossibile orientarsi, e però questa può essere una maledizione? Oppure, se immaginiamo si ci fu felice, diciamo così, oppure può essere una fortuna. Imparare ad abitare quella foresta di senso, imparare ad abitare quella confusione, quel caos, forse è il modo con cui possiamo imparare ad abitare il mondo. È il mito delle sirene che noi raccontiamo nella lettura, nell'interpretazione che ne fanno Sloterdijk e Eliot, quindi un grande filosofo contemporaneo e un grande scrittore e poeta del Novecento. Che arrivano a dire che Odisseo, quando si lega all'albero maestro, non lo sta facendo perché è semplicemente curioso. Sloterdijk dice perché le sirene gli raccontano la sua storia. Lui si lega affinché le sirene gli dicano che cosa ha vissuto. Eliot arriva a dire, è incredibile perché poi si raddoppia la strada, ma arriva a dire che le sirene si mettono d'accordo con Ulisse affinché l'Odissea venga scritta. E quindi il canto dell'Odissea è il canto delle sirene. E in fondo quello che voleva Odisseo era legarsi all'albero maestro, perché le sirene sono pericolose, perché l'intelligenza artificiale è pericolosa, è pericolosissima. Però è un'opportunità di sentirci raccontare la nostra storia, di metterci di fronte a un conscio collettivo, ad un'elaborazione della conoscenza umana, quella che siamo riusciti a filtrare. con i bias che ci sono dentro, con le difficoltà e le strutture che abbiamo, con appunto anche il terrore di riuscire a guardare in faccia che forse un senso non c'è. Però nella strada che compiamo, in questa ricerca di senso, che ci porta poi inesorabilmente a gestire quell'assurdo dell'esistere che i greci sapevano abitare, noi possiamo scoprire un'intensità della vita che in fondo è quella che stiamo cercando, comprendendo che i populismi... i sovranismi, tutte le dinamiche contemporanee oggi non si possono sconfiggere col fact checking, oggi tutto questo non è più qualcosa che si può affrontare all'antica oggi non abitiamo più un mondo in cui esiste una verità e quella verità viene scalzata da qualcuno, viene messa in dubbio da qualcun altro oggi esistono dei produttori di realtà alternative che finiscono però con l'essere più interessanti della realtà e quindi le persone non vanno a accompagnate a capire la verità semplicemente fornendogli gli strumenti per attingere al dato concreto. Perché la finzione estremamente più affascinante è Tlonuk Baror Bisterzius, è Borges che racconta appunto come un mondo vero finì per diventare favola. Quello che serve è un'erotica della complessità che porti a capire quanto l'intelligenza sta nel riuscire a distinguere Il rigore degli scacchisti dal rigore degli angeli, scrive Borges. Cioè, l'abitare un mondo che è infinito e goderne di più l'essenza rispetto a un mondo che è semplicemente indeterminato. Imparare ad abitare uno spazio che è oggettivamente un inferno paradisiaco, che è la Terra, accettando... che sia sempre e comunque meglio di qualunque paradiso artificiale per chiudere Maura e Simone una battuta su questa straordinaria figura dell'erotica della complessità di cui ci ha appena parlato Andrea urca Maura prego no no quando c'è un problema sempre così ci mette in difficoltà Ma poi in una battuta è molto difficile, credo non ci sia molto da aggiungere rispetto a quello che ha detto Andrea, a meno che non si voglia andare avanti per un'altra ora e mezza e come vedi siamo tutti e tre disposti a farlo senza problemi. Credo che sia una cosa importante, credo che questo sia un momento in cui tante persone si sentono sole e tra le poche ad aver bisogno di qualcosa di diverso. Avere la sensazione che si è diventato troppo scarso lo spazio per confrontarsi e troppo scarso lo spazio per la complessità. Complessità è un termine che viene citato tantissimo, però spesso viene citato in modo molto vago e è sempre come rimandare oltre o non risolvere le cose. In questo senso l'erotica ha a che fare invece con qualcosa che può attrarre. Oggi la complessità sembra esagerata, sembra qualcosa di difficile. da metabolizzare, da digerire e ovviamente viaggiano molto più velocemente invece tutte le narrazioni alternative che ti danno una spiegazione semplice delle cose secondo me erotica è una complessità qualcosa che si può cercare di alimentare individualmente, da soli anche in uno spazio meno rumoroso rispetto a quello del mondo circostante però ha tanto bisogno di confronto di intelligenza collettiva E questo può partire dalla considerazione che non è vero che sia in pochi. Poi io credo che ci sia una moltitudine che in realtà sente questa necessità. La grande difficoltà è riuscire a trovarsi e incontrarsi. E questo ha molto a che fare con, secondo me, poi una vita oggi contemporanea e insostenibile dal punto di vista del tempo, delle energie. E quindi è chiaro che se siamo così stanchi, se abbiamo la sensazione di non poterci fermare, se coltivare la curiosità diventa così difficile, poi... sembra che non ne valga neanche la pena e invece Dovremmo cercare di capire di nuovo, sta a noi, quindi ha molto a che fare con noi esseri umani, continuare a credere che invece ne valga la pena. E poi Simone, nel libro parliamo anche di un'erotica della tecnologia. Sì, ma io infatti, a me la cosa che fa impazzire a proposito di erotica, è che quando si parla di tecnologia, normalmente si parla di una sorta di scissione umano-tecnologia, umano-macchina, e invece io... Noi abbiamo osservato e visto quanto la macchina invece sia un potentissimo strumento di ricerca dell'umano. Cioè la macchina, se ne volessimo dare una definizione semplice, è una sorta di funzione umana di potente ricerca di se stesso. In questo senso è un'erotica, perché è veramente un desiderio forte. che tanto più in questo tempo, nel tempo contemporaneo, come diceva giustamente Maura, è un tempo che ci provoca dei dissidi. Negli anni Ottanta si parlava dell'epoca postmoderna come epoca della schizofrenia, dove il termine andava a definire una incapacità di identificarsi, ma di essere franti in tante individualità che poi non si ricongiungevano più. Oggi c'è ancora qualche cosa di più, ma la macchina è un luogo dove noi, volenti o nolenti, sia giusto o sbagliato, andiamo a cercare l'essere umano. E questo è la cosa potente e la cosa davvero determinante dell'oggi. Allora io direi che con questa idea della macchina come un potentissimo strumento di ricerca dell'umano possiamo salutarci e ringraziare moltissimo i nostri ospiti. Grazie. Grazie a tutti. Grazie a voi.