Alcamo è un paese a metà strada tra Trapani e Palermo, una piacevole località balneare grazie a una bella spiaggia sabbiosa sul golfo di Castellammare. Nella caserma dei Carabinieri, la Alcamar, quella notte stanno dormendo due militari, l'appuntato Salvatore Falcetta di Castelvetrano e un ragazzo di 19 anni, il Carabiniere Carmine Apuzzo di Castellammare di Stabia. Era una notte di temporale con tuoni e molta pioggia. Verso le 7 della mattina del 27 gennaio 1976, La scorta del segretario del Movimento Sociale Italiano, Giorgio Almirante, che passa di là, si accorge che qualcosa non va. nella caserma. Il portoncino è stato scassinato usando la fiamma ossidrica.
I carabinieri di Alcamo, chiamati subito, entrano e si trovano di fronte a una scena raccapricciante. Carmine è steso nella sua branda, crivellato di colpi. Non si è neppure accorto di quello che stava accadendo.
Salvatore invece i rumori li sente, cerca di prendere la sua pistola, ma non fa in tempo. Viene assassinato come il suo collega. Dalla caserma sono sparite pistole, divise e altri oggetti.
È un fatto marginale, in un paesino sperduto di una regione che ha ben altri cadaveri eccellenti da ricordare. Ma questa vicenda è allucinante per le conseguenze che ha avuto e anche per il fatto che, ancora oggi, a così tanti anni di distanza, nessuno sa veramente chi sia stato, né tantomeno il motivo di questo accaduto. Certo, si sono fatte ipotesi e qualche racconto è emerso. Ed è proprio di questo che Con questo video vogliamo parlare. Tuttavia i reali esecutori materiali...
niente. Puff. Svaniti. Peccato che quelle persone fossero innocenti. Il clima in cui il paese vive con gli anni non è dei più semplici.
Il pericolo terrorismo, le brigate rosse, la mafia... i servizi segreti dei viati, anche ad Alcamo e Inverno. Non c'è nessuno su quelle spiagge, un luogo e una situazione ideali per sbarchi di sigarette di contrabbando, di droga e forse anche di armi.
Il primo sospetto degli inquirenti cade sulle Brigate Rosse, anche se, a dire il vero, c'è una rivendicazione di un gruppo mai sentito prima. Poche ore dopo l'eccidio, infatti, il nucleo Sicilia Armata diffonde questo messaggio telefonico al centralinista del giornale La Sicilia. con una voce priva di inflessioni. La giustizia della classe lavoratrice ha fatto sentire la sua presenza con la condanna eseguita alle 1.55 ad Alcamo Marina.
Il popolo e i lavoratori faranno ancora giustizia di tutti i servi, carabinieri in testa che difendono lo Stato borghese. Il bottone perso da uno dei componenti del nostro commando armato che ha operato ad Alcamo Marina è una traccia inutile, perché l'abbiamo perso da una giacca a tempo addietro a Orbetello. A quel messaggio gli inquirenti danno poco peso.
Nessuno, infatti, sentirà più parlare di questo gruppo. Si tratta di un depistaggio, ma chi telefona aveva visto saputo molto bene cosa era successo nella casermetta. Tre giorni dopo le Brigate Rosse si dissociano dall'azione e quella pista muore, così si brancola nel buio, come per altri due omicidi che erano avvenuti qualche mese prima contro due amministratori comunali. Poi però il colpo di scena.
Il 13 febbraio a un posto di blocco viene fermato su una Fiat 127 dalla targa falsa un certo Giuseppe Vesco, detto Pino. di Alcamo. È un tipo strano, tanto che i suoi concittadini lo chiamano Giuseppe il Pazzo.
Gli manca la mano sinistra, saltata per aria assieme a un ordigno che aveva fatto brillare in un prato. Gli trovano addosso una pistola, calibro 7,65 dello stesso tipo di quella utilizzata per l'eccidio dei due carabinieri, e poi un'altra pistola, una beretta in dotazione ai carabinieri. La deduzione immediata è stato lui.
Pino si chiude in un silenzio assoluto. rotto soltanto da frasi sconclusionate del tipo «Mi considero prigioniero di guerra». Poi al processo ritratterà tutto. Per la stampa resta il fatto che comunque il mostro rimanga pur sempre lui.
Ma che cos'è che è accaduto tra l'arresto e il processo? Per capirci qualcosa possiamo spulciare tra le lettere che Pino spedisce dal carcere. Lettere alla madre, ma spesso senza destinatario.
Ne esce, almeno all'inizio, la figura di un guerrigliero proletario, stile Brigate Rosse, ed è quindi in questa direzione che le indagini muovono. Ma ha anche un chiodo fisso. Vogliono uccidermi, dice, facendomi passare per pazzo e rinchiudermi in un manicomio.
E racconta delle torture subite durante l'interrogatorio. Lo fa con una straordinaria lucidità, come non fosse neanche toccato a lui. Racconta che, dopo essere stato steso tra due casse, con un grosso imbuto gli hanno versato in gola un liquido che lui, perito chimico, ha riconosciuto essere acqua con molto sale e terra. Serve in pratica per simulare il soffocamento.
Pino non è certo un eroe, come quelli che vediamo nei film Resistrami le sevizie. Ma non basta. Vogliono i nomi dei complici. E a quel punto la tortura riprende.
Alla fine non ne può più e fa quattro nomi a caso. Quelli di quattro amici con cui ogni tanto passa il suo tempo libero. Al processo negherà tutto, ma un omicidio di carabinieri non è una cosa sulla quale si può minimizzare. Pertanto finisce in galera mentre si cercano i suoi presunti complici.
A proposito di confessioni. Nel 1907, 32 anni dopo i fatti, un ex carabiniere, tale Renato Olino, durante uno dei tanti processi ripercorre l'interrogatorio di Vesco, raccontando le torture esattamente come lui le aveva descritte. Ma di questo parleremo più tardi. Ho sempre pensato che tra mafia, servizi e anche massoneria ci sia un'unica regia.
I nomi fatti da Vesco sono Giovanni Mandalà, fabbricante di fuochi di artificio, Vincenzo Ferrantelli, Gaetano Sant'Angelo e Giuseppe Gullotta. Quattro amici. Un paio ancora minorenni che di politica e di lotta armata non sanno proprio nulla.
Eppure anche loro confessano. Poi al processo diranno che le loro deposizioni sono il risultato di torture pesanti subite durante gli interrogatori. A questo processo Pino non ci arriverà.
Muore in carcere, impiccato nella sua cella. La sentenza è immediata. Suicidio.
Come abbia fatto a fare il nodo Scorsoglio e tutto quanto il resto con una singola mano, rimane un mistero che però agli inquirenti sembra non interessare affatto. Prendono così forma le paure di... essere suicidato, confessate da Vesco nelle lettere alla madre. Restano però gli altri quattro.
In attesa dell'appello, i due minorenni, Ferrantelli e Sant'Angelo, fuggono in Brasile, chiedono asilo politico, lo ottengono e lo Stato latinoamericano si opporrà ad ogni richiesta di estradizione italiana. Le sentenze in appello però sono durissime. 20 anni per i latitanti, ergastolo per tutti gli altri. Sant'Angelo tornerà in patria, nel 95, a disposizione della magistratura. Mandala, invece, morirà in carcere di malattia.
Gullotta? Ah, è Gulotta, non Gullotta, e purtroppo l'ho pronunciato male per tutto questo voice-over. Da una prima soluzione passerà all'ergastolo.
Insomma, un tormento. E alla fine, il 29 novembre 1989, viene rinchiuso in carcere dove dovrà scontare il resto della sua vita. A meno che… Durante uno dei tanti processi di revisione, si presenta come testimone un ex carabiniere, che ha molto da raccontare. Siamo nel 2008, sono passati 32 anni dall'ecido di Alcamo, e Gulotta è ormai in carcere da oltre 18 anni.
È invecchiato, ma spera ancora in qualche giudice che abbia un guizzo e dimostri la sua innocenza. Perché nessuno degli arrestati ha niente a che vedere con quegli omicidi. L'ex carabiniere si chiama Giuseppe Olino e quello che racconta è raccapricciante.
Le torture ci sono state, anche con scosse elettriche ai genitali, con la presenza di un medico che stabiliva quando sospendere e quando ricominciare, con militari e ufficiali dell'arma, il cui giuramento niente ha a che vedere con la brutalità di quell'interrogatorio, così vicino ai metodi dell'inquisizione spagnola. Olino dice di non essere stato d'accordo con quelle torture. Quindi perché vuotare soltanto dopo 32 anni il sacco? Interessante anche la scelta degli obiettivi da perseguire durante le indagini. Un ordine dall'alto impone di seguire un'unica via, le formazioni di sinistra.
Anche in Italia. estreme. Olino ricorda perfino una perquisizione a casa di Peppino Impastato, feroce antagonista della mafia di Cinisi, quella di Tano Badalamenti.
È proprio Peppino che farà circolare un volantino molto duro, in cui chiede perché mai non si è pensato alla mafia. Forse si tratta solo di un depistaggio da parte dei Carabinieri. In effetti, brancolando nel buio più assoluto, non restano che ipotesi, molte ipotesi, che coinvolgono di volta in volta lo Stato, la mafia e il contrabbando. Tutta la storia è piena zeppa di contraddizioni e di cose che non tornano.
C'è il suicidio, tra virgolette, tra molte virgolette, di Pino Vesco, che lascia interdetti. C'è il ritrovamento dei corpi dei due carabinieri che fa storcere il naso. Come mai le guardie di Almirante passano proprio quella mattina davanti alla casermetta in una stradina di nessun conto? e vedono la porta socchiusa scoprendo i cadaveri. Perché il tribunale condanna senza mezzi termini quattro balordi che non hanno precedenti, mentre è evidente che quell'omicidio è organizzato da gente preparata e che il mestiere lo sa fare.
Le deposizioni di Olino fanno nascere nuove indagini e portano alla revisione del processo a Reggio Calabria. Il 13 febbraio 2012... Accade questo.
In nome del popolo italiano, la Corte di Appello di Reggio Calabria, visti gli articoli 637, 639, 530, codice procedura penale, revoca la sentenza di condanne emessa dalla Corte di Assise d'Appello di Catania. Il data 29 11 89 e assolve l'imputato Gulotta Giuseppe dai reati allo stesso ascritti per non aver commesso il fatto. Ordina infine l'immediata liberazione dell'imputato se non detenuto per altra causa. Giorni 90 per il deposito della motivazione.
Vienze tolta. Dopo oltre 22 anni di carcere da innocente, Giuseppe Gulotta viene scarcerato e risarcito con 6 milioni e mezzo di euro. Questa soluzione si porta dietro... altre conseguenze importanti, ma prima di entrare nel loro merito, dobbiamo fare una considerazione sui tanti misteri della nostra Repubblica, che è piena zeppa di depistaggi, false prove, quasi sempre prove che servono a tutelare qualcuno o qualcosa. A questo punto ci tocca dire che forse a Gulotte è andata bene, anche se è stato privato.
per un periodo lunghissimo del bene più prezioso che noi abbiamo, la nostra libertà. In quel periodo, nella procura di Trapani, lavora il sostituto procuratore Antonio Ingroia. Ingroia affermerà quanto segue.
Il depistaggio sull'uccisione di Peppino Impastato e quello sulla strage alla casermetta di Alcamo dove furono uccisi due carabinieri ed arrestati quattro innocenti sono oggetto di valutazione della procura di Palermo e di quella di Trapani. E Ingroia apre tre inchieste contemporaneamente. Una sull'uccisione di Peppino Impastato.
avvenuta il 9 maggio 1978, tra parentesi, se volete un video al riguardo, ditemelo, una sui fatti di Alcamo Marina e una sul presunto suicidio di Pino Vesco. L'idea del magistrato ricalcherebbe il volantino di Peppino. Tutto quello che è avvenuto, secondo lui, avrebbe il preciso compito di depistare le indagini. A quel punto le domande diventano, da chi i carabinieri hanno avuto l'ordine di agire come hanno agito?
Poi per coprire che cosa? O soprattutto chi? A queste domande non c'è una risposta certa. provata dai fatti. E questo può soltanto significare che dietro tutta la manovra c'è qualcuno qualcosa di molto importante.
Anche se non ci sono le prove, non mancano però gli indizi. Un sacco di indizi che adesso proveremo a seguire per capirci un attimo qualcosa. Da un lato c'è la convinzione di ingroia che centri qualcosa l'esercito di Stay Behind, costituito dalla NATO all'indomani della seconda guerra mondiale per resistere da dietro le linee, da cui il nome inglese.
all'invasione comunista dell'Europa da parte dell'Unione Sovietica. Ma dal momento che tale invasione non vi è mai stata, le varie costole nazionali dell'organizzazione, che in Italia prende appunto il nome di Gladio, si dilettano in altri giochini. Forse non è un caso che in Europa si scateni una serie di attentati, a partire dalla madre di tutte le bombe, quella di Piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 69. In Belgio, la banda del Brabante Vallone, affiliata a Stay Behind, compie 16 assalti a supermercati, con conseguenti massacri di civili, compresi bambini, alla fine dei quali si registrano 25 morti e 28 feriti. Può suonare curioso il fatto che Ingroia apra contemporaneamente le inchieste sui fatti di Alcamo e sulla morte di Peppino Impastato, morte che, all'inizio, assurdamente catalogata come suicidio, verrà soltanto molto più avanti nel 2002 attribuita al boss Tano Badalamenti. e ai suoi picciotti.
Mio fratello è stato assassinato ed è stato portato qui, su questo binario. Gli hanno messo il tutolo nel petto ed è stato fatto saltare in aria. Ma che relazioni poteva esserci tra Gladio e la mafia sicura?
e poi perché proprio ad Alcamo c'è un particolare degno di nota. Durante la perquisizione a casa di Peppino si trova un fascicolo con l'intestazione Giuseppe Vesco. Questo è un fatto certo, è scritto nel rapporto dei Carabinieri, non sono certo io a dirlo.
Ma che fine faccia quell'incartamento, nessuno lo sa. Sparisce nel nulla. Carabinieri, servizi segreti, mafia, probabilmente Gladio.
La strada indicata da Peppino Impastato. Ma i due carabinieri della casermetta, cosa diavolo c'entrano? Di Gladio abbiamo già parlato in questo video sul canale, ma c'è un elemento che non possiamo non riprendere anche qui.
L'esistenza di Gladio, dopo inchiesta e interrogazioni parlamentari, viene finalmente svelata pubblicamente dalla loro Presidente del Consiglio, Giulio Andreotti. È il 24 ottobre 1990 e, tra le molte informazioni, probabilmente non tutte, c'è anche qui quella sui depositi di armi ed esplosivi che l'esercito clandestino aveva sistemato un po'dappertutto in Italia. Questi depositi, o meglio, NASCO, per usare il gergo delle milizie, erano stati la traccia principale che il giudice Chiogiotto Felice Casson aveva potuto seguire per fare luce sull'uccisione di tre carabinieri a Peteano, in provincia di Gorizia, e iniziare così a capire come le bande nere entravano nei delitti. negli attentati, coperte spesso dai servizi segreti e da tutta la pletora di organizzazioni terroristiche del momento.
Non c'è tanto da sorprendersi, in Italia la gente nasconde di tutto sotto il materasso, armi, contanti e segreti inconfessabili. Ma quando abbiamo a che fare con roba tecnologica, siamo in grado di fare altrettanto? Se la risposta è no, allora direi che è giunta l'ora di testare NordVPN, lo sponsor ufficiale di Nova Alexio versione prima repubblica.
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Riprendiamo dove eravamo rimasti. Eravamo sulle tracce di Gladio ed eravamo finiti a Gorizia, ma dobbiamo un attimo tornare indietro. Mille chilometri più a sud, nel seminterrato di una villa, si scopre un nasco, un nascondiglio di armi. Indovinate dove?
Ad Alcamo. Ma dove, se no? Forse l'ipotesi è questa, i due carabinieri hanno visto, non so, qualcosa, qualche pulmino, che trasportava cose che non dovevano scoprire. Tony Ingroia segue le vicende della mafia da molto tempo ed esclude categoricamente che l'organizzazione criminale possa avere qualcosa a che fare con quel nascondiglio.
A meno che, come ben sappiamo, moltissimi misteri della prima repubblica sono venuti alla luce grazie a quella categoria di persone definite collaboratore di giustizia, che noi tutti, per brevità, chiamiamo pentiti. Ce ne sono stati un sacco di eccellenti, basta pensare a quelli della banda della Maiana, a quelli delle Brigate Rosse e anche a quelli della mafia siciliana. E ci sono anche gole profonde, che, una volta che Andreotti ha svelato alla nazione l'esistenza di Gladio, è stato un po'più forte. Cominciano a parlare.
Lo fanno di nascosto, camuffando le proprie voci durante le interviste. Ma le informazioni arrivano. La prima domanda che viene alla mente è questa.
Cosa diavolo ci fa una sezione di Gladio in un angolo sperduto della Sicilia? Forse serviva da base, da punto di contatto con i colleghi dei Balcani, del Nord Africa, del Corno d'Africa. Per fare cosa?
Beh, se abbiamo imparato qualcosa, cosa dalla morte di Ilaria Alpi e dal suo operatore Miran Rovatin, sui quali abbiamo fatto brevemente un video, è che verso quei paesi c'è stato per molti anni un enorme traffico di armi e di rifiuti altamente tossici e radioattivi, provenienti da un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area di un'area da ogni parte del mondo, armi che viaggiavano su aerei particolari, militari o della cooperazione internazionale gestita dai governi. Ci sono poi diverse indagini a collegare Gladio alla mafia, saltano fuori nomi eccellenti, come quello del sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Lo stesso Giovanni Falcone cerca di capire il legame tra le due organizzazioni mentre indaga sull'omicidio di Piola Torre, ma si trova davanti un muro di omertà e di silenzio anche da parte dei suoi superiori.
Ma tutto questo ha a che fare con l'omicidio dei due carabinieri nella casermetta di Alcamo? Ne parla Vincenzo Calcara, pentito della famiglia mafiosa di Castelvetrano, paese che si trova a soli 50 km a sud di Alcamo. Lui è un pentito importante. È quello che confiderà a Borsellino il piano per ucciderlo.
Dalle sue confessioni si comincia a capire qualcosa. È in cella con Pino Vesco, quando gli arriva l'ordine da parte di Antonio Messina di lasciarlo da solo in cella. La commissione di suicidarlo viene eseguita da un mafioso e da due guardie carcerarie. Sulle responsabilità dei quattro arrestati è chiarissimo.
Sono solo delle vittime, di nessun conto per gli affari della mafia. Già, ma Gladio, una delle ipotesi del del massacro dei due carabinieri è che avessero visto una consegna di armi sul litorale. Forse una consegna di armi che la mafia aveva preparato per Gladio, o viceversa.
Anche il mafioso Antonio Messina non si tira indietro e racconta la sua verità. A dire il vero, ne racconta un paio. Prima sostiene che l'eccidio nella casermetta è avvenuto per errore.
Infatti, in quel periodo erano state programmate alcune azioni mafiose contro sedi istituzionali in vari comuni siciliani. Il contrordine, dato all'ultimo momento, non era arrivato ad Alcamo e perciò la casermetta era assaltata lo stesso. Ma lo stesso Messina confida a Calcara che i due carabinieri avevano visto cose che non dovevano vedere e così è stato impedito loro di danneggiare non personaggi di Cosa Nostra, bensì quelli collegati ad essa. Ed eccola di nuovo, la trama mafia-gladio-servizi segreti.
Uno scambio di favori, insomma, come si usa tra buoni vicini di casa. Come in molte altre storie della nostra Repubblica, le tre domande principali, chi è stato, perché, chi sono i mandanti? rimangono molto spesso senza risposte. Perché le risposte sono quasi tutte coperte di volta in volta dalla posizione del segreto di Stato, dal depistaggio delle indagini ad opera delle forze che in realtà dovrebbero cercare la verità, a volte dall'omertà della gente.
Gente che resta a guardare, mentre i pochi che hanno il coraggio di alzare la voce finiscono vittime di un sistema tanto assurdo quanto spietato e irreale. Non ci resta per chiudere questa triste vicenda che capire come sono andate le cose dopo la sentenza di assoluzione per Gulotta e per tutti gli altri coinvolti. Non per Giovanni Mandalà. Un cancro è più veloce della giustizia e se lo porta via nel 98. Nonostante tutto viene giudicato innocente 15 anni dopo la sua morte.
Ah beh, allora. Vincenzo Ferrantelli e Gaetano Sant'Angelo, i due ragazzi minorenni all'epoca dei fatti che erano scappati in Brasile e condannati a 20 anni, nel 2017 sono stati risarciti dallo Stato per l'errore giudiziario. le richieste di ulteriori risarcimento molto più consistenti sono state rigettate dal governo.
La storia tuttavia più drammatica rimane quella di Giuseppe Gulotta. È uscito anche un libro sulla sua vicenda, scritto per chiare lettere a due mani con il giornalista Nicola Biondo, uno dei più attenti cronisti dell'intera vicenda. C'è anche una fondazione intitolata Gulotta, con lo scopo, come recita il suo statuto, di perpetuare il ricordo dell'errore giudiziario conseguente alle torture subite. Gulotta è diventato il simbolo. degli errori giudiziari che, a leggere le cronache offerte dal sito specializzato errorigiudiziari.com, nel nostro paese sono molti e costano milioni di euro in risarcimento ogni singolo anno.
Tutta questa storia si incentra sulle figure dei malcapitati ragazzi che sono stati imprigionati a torto, si incentra sui possibili moventi, sui possibili esecutori delle cide della casermetta, però presi dall'intrico di relazioni, ipotesi, dichiarazioni, ci siamo lasciati alle spalle i due carabinieri assassinati. Salvatore Falcetta e un ragazzo appena 19enne, Carmine Apuzzo. A loro il lungomare di Alcamo Marina prende il nome e a loro una stele è stata eretta in loro memoria.
Ai piedi della stessa, ogni 27 gennaio, i carabinieri depongono una corona. Come quella stele, anche questo video, nel suo piccolo, per quanto possa servire a poco, è stato fatto per tenere vivo il ricordo di quei due ragazzi. Per Aspera, ad astra.