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La Leggenda di Attila, Re degli Unni

Attila, re degli Unni. Tutti lo chiamano il flagello di Dio. Dovunque passi, semina distruzione. Era un violento, un predone, un assassino. Le storie intorno al personaggio di Attila sono tremende, ma vengono tutte da fonti non neutrali, i suoi nemici. Ora sveleremo il mistero che si cela dietro la leggenda. Un gruppo di ricercatori ci mostrerà il volto del vero Attila, sottoponendo le testimonianze a una serie di test rigorosi. Prove archeologiche ci sveleranno come gli Unni riuscivano a terrorizzare i loro nemici. Uno psichiatra analizzerà la personalità di Attila per capire se è davvero il mostro che ci è stato descritto. E lo confronteremo con gli altri cattivi della storia. Un barbaro che è considerato uno degli uomini più malvagi dell'antichità. Ancora oggi il suo nome è sinonimo di crudeltà. Attila Lunno. Per capire meglio la sua personalità, chiediamo allo psichiatra David Mallott di studiarne il comportamento. Attila, re degli unni, era un grande condottiero? O solo un criminale? Un pazzo. Attila verrà collocato su questo grafico delle tendenze omicide. In tale modo potremo confrontarlo con altri tiranni del passato, come Gengis Khan o Caligola. La sua fedina penale è terrificante. Al suo confronto Hannibal Lecter sembra madre Teresa. Attila entra nella chiesa di Reims, in Francia, e decapita l'arcivescopo. Attila voleva imporsi per la sua barbarie e la capacità di seminare il terrore e raggiunse l'obiettivo. Distrugge intere civiltà, uccide uomini, donne e bambini. Per l'oro e il potere. Attila era uno sterminatore di popoli. Saccheggiava, distruggeva, seminava terrore. Un selvaggio. Massacra un intero esercito romano. Attila era un uomo assolutamente spietato. E punisce i disertori nel modo più implacabile. Per Attila la lealtà era tutto. E il tradimento era punito in modo brutale. Il colpevole avrebbe rimpianto di essere nato. È una storia di orrori senza fine, che tramandano un livello di ferocia difficile da immaginare. Forse perché la storia è stata scritta dai Romani, i suoi nemici giurati. È difficile avere un'immagine storicamente accurata degli unni perché abbiamo un'unica fonte. I romani avevano molti pregiudizi nei confronti degli unni. Lo storico Ammiano Marcellino scrive «Sono totalmente incapaci di distinguere il bene dal male. Un popolo selvaggio, consumato dalla brama di bottino, di razzia e di massacro». Ma gli storici romani sono attendibili? Alcune risposte possono venire dall'infanzia di Attila. Le fonti sono frammentarie. Secondo lo storico Prisco, Attila nasce in un punto imprecisato dell'attuale Ungheria, intorno al 406 d.C. È il più piccolo di due fratelli, ed è figlio del re degli Unni. Crebbe in mezzo alla natura, tra immense pianure, tende, cavalli, carri, e iniziò presto a tirare con l'arco. La steppa è la culla degli unni, ma non vi hanno lasciato tracce. Niente strutture permanenti, niente monete, niente monumenti. È davvero molto difficile comprendere chi fosse veramente Attila, perché non abbiamo fonti, non ci sono prove. È come catturare un fantasma. Forse i romani vogliono solo rovinare l'immagine degli unni. L'accuratezza storica non è una loro priorità. Ammiano Marcellino, storico romano, descrisse gli unni con queste parole. Erano rozzi, sciatti, dalle membra informi e incredibilmente brutti. Avevano un'insala passione per il saccheggio. Alla nascita i genitori sfiguravano i volti dei propri figli. Attila è davvero il mostro che descrivono. I reperti emersi da un raro sito archeologico ci forniscono un quadro a tinte fosche. A Gjor, in Ungheria, dalla terra riemergono teschi risalenti all'epoca di Attila. Hanno una caratteristica inquietante. I crani sono deformi. Era pratica molto comune e diffusa tra gli unni di deformare il cranio dei propri figli. Ponevano una benda sulla fronte del bambino e la fasciavano completamente fin sulla nuca. La benda veniva legata molto stretta tutto intorno e finiva per deformare il cranio. Quindi la descrizione di Marcellino è attendibile. Agli occhi dei romani, la loro origine etnica li rende ancora più strani. Gran parte della popolazione unna è di origine asiatica. Questo, unito alla provata pratica di deformare i crani alla nascita, ci spiega perché venissero descritti come esseri terrificanti, alieni, selvaggi. 434 d.C. All'età di 28 anni, Attila viene incoronato re degli Unni, assieme a suo fratello maggiore, Bleda. Controllano un territorio che si estende dall'odierna Germania all'Asia centrale e dal Danubio al Mar Baltico. È un immenso impero, ma ai due fratelli non basta. Vogliono l'oro, tantissimo oro, e sanno dove trovarlo. Basta avarcare il Danubio. Da una parte c'è l'impero romano, con tutta la sua civiltà e quanto ne consegue, e dall'altra ci sono i barbari, gli unni, così vicini da sentire il profumo dell'oro. Prima che se ne rendano conto, i romani si trovano gli unni alle porte. Attila, Bleda e i loro uomini saccheggiano una città romana dopo l'altra. Colpiscono Fulminei e si ritirano. Secondo alcune versioni è proprio l'abilità a cavallo a dare agli Unni un vantaggio sui Romani. Gli Unni erano ottimi cavalieri, cavalcavano veloci come il vento e usavano l'arco anche stando in sella. Scoccavano le frecce sia in attacco che in ritirata. È solo propaganda romana o Attila ha davvero un'arma segreta? La differenza tra i cavalieri Romani e quelli Unni è nella sella. Diversamente da quelle dei romani, le selle degli Unni hanno un arcione anteriore e posteriore. Il vantaggio dato da questa sella è semplice perché avevano un supporto anteriore e anche un buon supporto posteriore. Permettono al cavaliere di muovere liberamente il corpo e colpire in ogni direzione. Il corpo rimane stabile sulla sella e questo fa la differenza. Ben saldo in sella, il cavaliere diventa tutt'uno col cavallo, un'arma versatile e letale. Usavano un tipo di sella particolare che permetteva loro di ruotare di 360 gradi. Questo rendeva il cavaliere molto più versatile e superiore all'avversario e trasformava una mandria di cavalli selvaggi in una sofisticata macchina da guerra. Attila è l'equivalente di un terrorista nel V secolo. Distrugge gli accampamenti romani, stupra, saccheggia, uccide e brucia tutto ciò che trova. La sua reputazione si diffonde nell'impero. È un avversario con cui tutti dovranno fare i conti. Invece di combattere Attila e le sue orde, i romani decidono di prenderli tra le loro fila come mercenari. Come dice il vecchio detto, tieni vicini gli amici e ancora più vicini i nemici. I romani compresero le abilità militari degli Unni e promisero loro grandi bottini se si fossero arruolati. Oro in cambio di sangue, un'offerta che Attila e i suoi amici hanno avuto. e Bleda non possono rifiutare. Nel 437 d.C. gli Unni lanciano un attacco in massa contro i Burgundi, insediati nell'odierna Borgogna. L'attacco diventa un massacro. Secondo le fonti storiche, Attila stermina tutti i nemici, inclusi donne e bambini. 20.000 morti, una sorta di pulizia etnica su basta scala. Ma perché? C'è una logica in questa follia? Cosa cela la mente di Attila? Il massacro dei Burgundi da parte dell'esercito di Attila rafforza la tesi che gli Unni combattessero solo per il bottino, senza un obiettivo politico. Il piacere della distruzione in quanto tale, alimentato solo dall'odio. I romani ricompensano generosamente Attila per lo sterminio dei Burgundi. Non si rendono conto di aver creato un mostro. Attila accetta l'oro dei romani, ma capisce che la posta in palio è molto più alta. Dopo aver incassato l'oro dei romani, gli Unni sarebbero tornati per averne ancora. E ancora. E ancora. Saccheggiare e massacrare tribù intere non basta più ad Attila. Vuole tutto il bottino per sé e sa dove trovarlo. A Roma. I romani assoldano Attila e suo fratello Bleda come mercenari, pagandoli in oro per combattere i nemici dell'impero. Ma Attila e Bleda non si accontentano di restare fedeli a Roma. Attuano una strategia mai messa in atto dai barbari. Attaccano una città fortificata romana. Attila voleva estorcere denaro ai romani e per farlo doveva provare all'impero che poteva rappresentare una minaccia. Quindi doveva attaccare una città e distruggerla. Una città come Naissus, nell'odierna Serbia. Nel 441 Naissus è un centro di importanza strategica per i romani. È una base fortificata, ma è anche ricca d'oro e Attila lo vuole e non gli sfuggirà. È un predone, non un costruttore di imperi. Ad Attila non interessava controllare le città, voleva solo entrare e prendere tutto ciò che poteva, il più velocemente possibile. E più gente uccideva durante le razzie, più la sua fama cresceva. Attila e suo fratello lanciano alla carica la loro cavalleria. Ma l'attacco era espinto dai romani. Allora cambiano tattica. Secondo Prisco, un diplomatico romano contemporaneo di Attila, la soluzione è molto semplice. Un albero. Infatti, le porte della città di Naissus vengono abbattute da un ariete. Nessuna strategia raffinata. Ma è possibile che Attila e Bleda, due nomadi analfabeti, siano capaci di costruire una riete così potente? È un lavoro per la squadra speciale. La squadra di intervento rapido della Polizia dell'Ontario, Canada, metterà alla prova la riete di Attila. La squadra di intervento rapido della Polizia dell'Ontario, Canada, Prima di tutto è necessario un ariete identico a quello che utilizzò Attila. Prisco parla di una calotta metallica fissata al tronco di un albero, a sua volta sostenuto da un cavalletto. Probabilmente era ricoperto da fronde e ceste, quindi era nascosto, perché quando si voleva far breccia nelle porte di una città bisognava evitare che ti bersagliassero dall'alto. La polizia tenterà di farsi largo in una vecchia fabbrica con porte d'acciaio e mura di cemento. Abbiamo qui un ottimo corrispettivo della porta di una città romana. Doveva essere grande come questa, a due battenti. E poi dall'altro lato c'era una barra di rinforzo che la proteggeva e impediva di aprirla. Pronti? Andiamo, tirate! Quando si attacca a una città, la porta è spesso il punto più difficile da cui entrare. La gente si aspettava che il nemico entrasse dalle porte, perciò era il punto meglio protetto. Se fosse stato facile buttarle giù e aprire una breccia, le intere difese della città sarebbero crollate. La riete è in grado di sfondare questo muro di quasi 20 centimetri, ma ce l'avrebbe fatta con fortificazioni 5 volte più spesse? Questa ricostruzione ce lo dimostra ampiamente. Sono certo che la riete era in grado di abbattere le mura romane, spesse anche un metro. Permette di portare un colpo diretto senza esitazione. Avremmo potuto abbattere le mura di una città romana anche con questo. E'tutto vero. Attila e Bleda espugnano Naissus aprendosi un varco nelle sue mura. Una volta entrati in città, inizia la carneficina. Pochi sopravvivono. L'impero romano è nel panico. Per la prima volta una città fortificata dell'impero è caduta e la notizia si diffonde come un incendio. Attila è diverso dagli altri barbari affrontati finora e le città romane sono ora in pericolo. Immaginate il panico dei romani quando vennero a sapere che Attila aveva espugnato una loro città, radendo al suolo case come questa. Ed era questo l'obiettivo di Attila. Come ogni terrorista godeva nel seminare paura. Il regno del terrore di Attila e Bleda è appena cominciato. Ora alzano la posta e puntano sulla città più ricca del mondo. Costantinopoli, la capitale dell'impero romano d'Oriente. Siamo qui sulle antiche mura di Costantinopoli, il gioiello d'Oriente, la preda più ambita. Costantinopoli era lo scrigno del tesoro del mondo antico e Attila era pronto a scassinarlo e a prendersi con la forza ciò che voleva, bottino e ancora bottino. La presa di Naissus è stata impressionante, ma Costantinopoli è un'altra storia. È una capitale imperiale con oltre 500.000 abitanti e imponenti fortificazioni. Queste sono le mura di Costantinopoli e si sono perfettamente conservate nel tempo. Lo spessore è sorprendente, direi 4 o 5 metri. Oltre alle spesse mura ci sono anche altre difese. Guardiamo la scena dal punto di vista degli assedianti. Prima di tutto i campi, che allora erano lontani. Poi c'era un muro difensivo, quindi un terrapieno dove posizionare le truppe. E infine la principale cinta muraria. Erano le difese più formidabili del mondo antico. Ma Attila ha un'arma speciale, molto più potente del suo ariete. La guerra psicologica. La sua reputazione di guerriero spietato raggiunge Costantinopoli prima del suo arrivo. Attila ha conquistato fortezze inespugnabili e quando entra non fa prigionieri. I romani cedono. Invece di fidarsi delle proprie difese, ricoprono d'oro Attila perché se ne vada. Gli pagarono una tangente particolarmente ricca, tre tonnellate d'oro pari a circa 100 milioni di dollari di oggi. Attila non aveva mai visto tanto oro in una sola volta. Eppure, nemmeno tre tonnellate d'oro sembrano bastargli. Attila vuole anche vendetta. Ha dei conti da regolare con dei disertori che hanno trovato rifugio a Costantinopoli. I romani devono riconsegnarli a un tremendo destino. Attila era spietato e se un suo uomo disertava dal suo esercito per passare col nemico, lui lo rivoleva indietro a tutti i costi e non lo accoglieva a braccia aperte. Lo faceva impalare e il supplizio poteva durare anche per giorni, finché non moriva. Era la giustizia di Attila. È la punizione per chi si macchia di tra... ...credimento. Ma un uomo può arrivare a tanto. Il modo in cui Attila uccideva i nemici dimostra una brutalità e una crudeltà al limite del sadismo. Persino Costantinopoli non osa affrontare Attila e Bleda. Significa che nessuno è al sicuro. Attila attua una politica di taglieggiamento in stile mafioso e lo fa su vasta scala. Attila era molto scaltro. Arriva sotto le mura di Costantinopoli, minaccia, si prende il suo oro e se ne va. Ma tornerà. È la stessa mentalità del mafioso che torna più volte, creando un sistema di estorsione. Così entra nella tua vita, nella tua cultura e non puoi liberartene. C'è un solo ostacolo che separa Attila dal potere assoluto. il suo fratello di sangue e compagno di battaglia, Bleda. Attila e suo fratello Bleda tengono sotto ricatto l'impero romano, estorcendo oro in cambio di clemenza. È un'attività di famiglia che va avanti per 12 anni, ma a un certo punto l'amore fraterno si trasforma in rivalità. 445 d.C. Vleda va a caccia e non fa più ritorno. Giordano, uno storico romano, ritiene che fu un omicidio e accusa Attila della morte del fratello. Attila e suo fratello crebbero insieme, facevano tutto insieme, regnavano insieme. Eppure Attila lo uccise brutalmente. Basta questo a farne un assassino psicopatico. Diventa così l'unico capo degli Unni. Attila si arricchisce storcendo oro ai Romani e pagando in questo modo la fedeltà dei suoi uomini. Ma i Romani ne hanno abbastanza. radunano un esercito per affrontare Attila sul campo di battaglia di Utus, nell'odierna Bulgaria. È una vera carneficina. E i romani vengono sconfitti miseramente. I vinti cercano giustificazioni. I romani dovettero spiegare la propria disfatta contro i barbari. La sconfitta non dipese dal fatto che il nemico era più evoluto o più intelligente, ma solo dalla sua superiorità numerica. Una marea di nemici e l'esercito romano fu sopraffatto. Fonti romane riferiscono che l'esercito 1 era di 500.000 uomini, mentre i romani erano solo 120.000. Un rapporto di 4 a 1 a vantaggio dei barbari. Per i romani, una versione che salva la faccia. Ma quanto c'è di vero? La risposta sulle reali dimensioni dell'esercito di Attila ci viene da una fonte insolita, la zootecnia. Tutto dipende dal numero di cavalli. Gli unni erano insediati sui pascoli dell'odierna Ungheria, un enclave naturale tra le Alpi, i Carpazzi e il Danubio. Vari studi ci dimostrano che i pascoli ungheresi possono sfamare al massimo 150.000 cavalli. Quindi molto meno dei 500.000 unni di cui parlano le cronache romane. Inoltre è probabile che ogni cavaliere unno... più di un cavallo che alternava durante gli spostamenti se ogni cavaliere uno aveva a disposizione ad esempio 5 cavalli il numero teorico degli effettivi scendeva a 30.000 una forza piuttosto esigua per minacciare l'impero romano quindi se i romani volerò giustificare la loro sconfitta adducendo l'inferiorità numerica inventarono una pessima scusa Questa analisi ci porta a conclusioni opposte rispetto a quanto descritto dai romani. La proporzione non è più 4 a 1 per gli Unni, ma all'opposto. Eppure Attila ne esce vincitore. Alcuni indizi ci vengono dalle cronache dello storico romano Marcellino. Le sue osservazioni sugli Unni nel periodo appena precedente, la nascita di Attila, ci mostrano una diversa tattica di guerra. Prima di tutto, gli Unni inviavano gli arcieri per rompere le righe romane. Poi dispiegano due armi che i romani non conoscono. Il lasso e la rete. Un equipaggiamento semplice, ma usato magistralmente. Queste manovre erano affidate a guerrieri esperti e venivano perfettamente organizzate e coordinate. Ad esempio, se il nemico attaccava su due fianchi, è lì che queste funi entrano in azione in modo quasi coreografico. Di fronte a cavalieri che li prendono all'asso, i legionari romani sono impotenti. Li prendevano per il collo, li trascinavano e morivano in pochi secondi. I romani non sanno come rispondere all'offensiva e cadono a decine di migliaia. Ma c'è un'altra ragione per cui i romani perdono. Non sono più la forza disciplinata che ha dominato i barbari per secoli. Questo è il tipico legionario romano che si vede nei film. In pratica indossava un'armatura chiamata lorica segmentata, detta così appunto perché era costruita da strati sovrapposti. Poi un elmo, un grosso scudo lungo e rettangolare, studiato per il corpo a corpo. Serrava lo scudo nella fila, brandiva il giavellotto, il pilum, e lo lanciava contro il nemico. Poi continuava ad avanzare con lo scudo, sguainava il gladio e affondava il colpo. Questi sono i legionari che hanno conquistato il mondo, ma all'epoca di Attila questi soldati sono già storia. Al tempo di Attila i legionari romani si presentavano così. Erano molto diversi rispetto a quel modello. In pratica erano vestiti quasi come i barbari, con i pantaloni di tela, e anche l'elmo era più simile a quello barbaro persiano. Inoltre, molte fonti storiche rivelano che gran parte dell'esercito romano è ormai composto da mercenari, barbari, e non hanno le armi o le armature con cui Roma ha conquistato il mondo. Intimoriti dalla sconfitta, i romani di Costantinopoli cercano una via d'uscita. Un messaggero si reca nel campo di Attila in Ungheria per trattare. Con lui c'è lo storico Prisco, l'unico cronista che abbia incontrato Attila di persona. Lo storico John Mann ripercorre quel viaggio. Partirono da Costantinopoli e si indiressero verso nord. Impiegarono forse un mese. Giorno dopo giorno, Prisco è testimone della ferocia di Attila. durante il viaggio visitarono luoghi che erano stati devastati dagli uni nelle loro razzie tra questi c'era la città di naissus che era stata rasa al suolo c'erano ancora teschi e ossa lungo le rive del fiume Alla fine, i due viaggiatori escono dal territorio dell'impero romano ed entrano in quello di Attila, raggiungendo il fiume Tiscia. Sicuramente avevano molta paura di ciò che li attendeva. Un po'come incontrare Saddam Hussein e presentarsi senza appuntamento. Attila era tanto violento quanto imprevedibile. Non si conosce il luogo preciso in cui Prisco incontra Attila, ma John pensa che sia qui vicino. È proprio quello che stavamo cercando. Questo è il tipico posto in cui Prisco potrebbe aver incontrato Attila. E dai suoi scritti sappiamo che fu un incontro sorprendente. Prisco si aspetta di trovare un accampamento di tende, popolato di barbari sporchi e laceri. Ciò che vede lo lascia senza parole. Non solo capanne di legno, ma anche una complessa struttura termale, molto simile a questa. Prisco! vide che c'erano addirittura delle terme nel villaggio di Attila. La cosa fu sorprendente per lui, perché questi erano elementi della cultura romana e non dei barbari. Quindi il fatto che fossero proprio lì, nel covo di Attila, era la prova che gli Unni avevano cominciato ad asseminare la cultura romana. Le terme sono un elemento caratteristico di una città romana. Secondo queste testimonianze, Attila ama rilassarsi in un bagno caldo dopo aver compiuto incursioni e razzie. Inoltre, sembra molto attaccato alla sua famiglia. Secondo la descrizione di Prisco, Attila era un uomo molto cordiale e un padre affettuoso. Prisco lo vide con i suoi occhi ed era molto modesto. Ci mostra il lato umano di questo condottiero inflessibile. Come può questa descrizione combaciare con quella che lo dipinge come grande delitore, predone e tiranno pronto a imparare schiavi e traditori? Chi è il vero Attila? Nelle abitudini Attila non appare diverso da un qualsiasi romano della classe medio alta, ma è il suo comportamento, le atrocità che commette, a rivelarne la vera natura. È un killer psicopatico. Due anni dopo l'incontro con Prisco, Attila ha ottenuto tutto il possibile da Costantinopoli. Ma fortunatamente l'impero romano è diviso in due. Quindi, una volta terminate le razzie ad Oriente, è il momento di dirigersi verso Occidente. All'età di 45 anni, Attila torna in sella, bramoso di sconfiggere i romani ancora una volta. Ma se in passato ha vinto, questa volta sottovaluta la reazione dell'impero. Attila e le sue orde barbare partono per una nuova campagna. Sfideranno ancora una volta Roma. In sella ai loro cavalli, dall'altopiano ungherese, arrivano nel cuore dell'Europa. Tutti rimasero sorpresi del fatto che Attila fosse diretto a nord. Lasciò la sua terra e attraversò il Reno, facendo una delle incursioni più rapide e spettacolari della storia e arrivò in Europa centrale. Attila copre immense distanze con migliaia di uomini a cavallo, tutti guerrieri feroci e bramosi di battaglia. C'è chi dice che mangino carne cruda e forse c'è del vero. Lo storico romano Marcellino ci riferisce della loro dieta, carne cruda messa a frullare tra la sella e il cavallo. La carne cruda è difficile da digerire anche per un barbaro. Possibile che sia una leggenda dei romani per demonizzare il nemico? Lo storico Robert Mason vuole scoprirlo. Sotto la sella veniva sistemata una coperta particolare per evitare che non ci finissero troppi peli. Il cavallo viene fatto camminare per sei ore per capire se la carne diventa davvero commestibile o solo rivoltante. Ecco un altro pezzo. È per te. Qualcosa è successo. La carne è diventata molto più tenera. Non è più cruda. Incredibilmente, la storia sembra essere vera. La nutrizionista Lynn Weaver ci spiega il perché. La carne assorbe il sale del sudore del cavallo e il sale conserva gli alimenti. Forse era un modo per conservare la parte esterna della carne e tenere lontani i batteri. La carne veniva coperta e quindi pressata e... si inteneriva. La carne cruda è difficile da digerire per via della complessa struttura cellulare. L'azione ripetuta di cavalcare spezza i legami cellulari e rende la carne tenera. È un'antica versione della nostra odierna tartare, un cibo pratico che consente ad Attila e ai suoi uomini di trascorrere più tempo in sella. Niente male! Attila e le sue truppe si muovono nei territori dell'Europa occidentale fino alla città fortificata di Metz. Sfoderano i potenti arieti e la città cade. Attila avanza in Europa ma incontra solo città fantasma. Tutti sono fuggiti. Nella città di Rams, l'arcivescovo Nicasio decide di restare. Prega e canta inni in attesa dei barbari. Ma Attila non se ne cura. E decapita il prelato. In questo caso, possiamo parlare di strategia? O Attila è solo assetato di sangue? Nell'attacco di Attila all'impero romano di Occidente, non riscontriamo alcuna strategia. C'è solo disprezzo, vendetta, odio e distruzione. Attila raggiunge infine i campi catalaunici nel nord della Francia e lì si trova faccia a faccia con l'esercito dell'impero romano di occidente. Il generale romano Ezio ha una strategia molto semplice, punta tutto sulla forza del numero. Percorre la Gallia e raduna tutti i popoli che abbiano motivo per odiare Attila. Dai Burgundi superstiti ai Visigoti. I due eserciti si affrontano. È il momento della battaglia. La chiave della battaglia è nella morfologia del terreno. I campi catalaunici hanno al centro un pendio che entrambi gli eserciti cercarono di raggiungere, ma arrivarono prima i Romani. Il che permise loro di appostarsi in cima e vedere l'esercito di Attila che risaliva il pendio. La cavalleria si lancia contro la fanteria romana che si è trincerata. Entrambi gli eserciti subiscono grosse perdite. Sidonio Apollinare, un poeta gallico dell'epoca, scrive che oltre 100.000 uomini muoiono in un solo giorno. E il fiume che attraversa la piana è rosso di sangue. Immaginiamo gli unni che a ondate risalgono la collina e vengono respinti di continuo, fino a che i visigoti, nel momento decisivo, decidono di caricare. Attila viene sospinto fino al suo accampamento. E succede l'impensabile. Attila ha perso la battaglia. Il generale Ezio obbliga Attila a combattere in campo aperto, rinunciando alle sue tattiche da guerriglia. Attila ne esce duramente sconfitto. Attila perse la sua prima grande battaglia, ma questo non lo scoraggiò, perché lui credeva solo nella forza bruta, quindi si infuriò e cercò la vendetta. Avrebbe puntato ancora più in alto. È questa la sua prossima mossa. Attila decide che Roma deve pagare, quindi punta sull'Italia. Attraversa le Alpi, lasciandosi alle spalle un'altra scia di morte e distruzione. Prima espugna la città fortificata di Aquileia. Gli arieti fanno il loro lavoro. Gli unni si riversano nella città e la distruggono. La tremenda fama di Attila lo precede. Intere popolazioni sono già sparite al suo arrivo. Qualcosa, però, lo ferma. In un episodio a metà tra storia e leggenda, è il Papa che lo convince a tornare indietro. In realtà la sfera spirituale c'entra poco. La spiegazione è forse nelle malattie che all'epoca dilagano in Europa. C'erano molti motivi per tornare indietro, la carestia forse o più probabilmente la peste. Non furono gli italiani a sconfiggerlo, ma le malattie. La peste colpisce e falcidia il suo esercito. Così Attila fa l'unica mossa sensata e decide di tornare a casa. Per i parametri di Attila non è stata una delle migliori campagne in Europa. Tuttavia riporta indietro bottino e tributi in oro. Attila ha 49 anni e ne ha passati almeno 19 combattendo senza sosta. Ma non saranno i nemici a sconfiggerlo, quanto piuttosto il suo stile di vita sregolato. Attila, re degli Unni, nato per scatenare l'inferno. Terrorizza l'Europa e i Balcani per 10 anni. Ammasa immense ricchezze e fa centinaia di migliaia di vittime. Nel 453 è stanco e pronto a fermarsi e riposare. Non ripartirà più. Attila prese una nuova moglie e la storia ci dice che era molto bella. Era giovane e affascinante. La portò nel suo letto. e il mattino dopo era morto. Secondo Perisco, quando fu scoperto, qualcuno notò che perdeva sangue dal naso. Possibile che un così temibile condottiero potesse morire in modo così ignobile? Il flagello di Dio ucciso da una banale emorragia, è possibile? Prisco ci fornisce alcuni resoconti medici relativi alla morte di Attila. Attila fu trovato in stato catatonico, con molto sangue intorno alla bocca e anche nelle sue immediate vicinanze, ma non c'era traccia di vomito. Grazie a questo simulatore medico è possibile ricreare una probabile causa di morte. È possibile che il sangue provenisse dai polmoni o dal tratto gastrointestinale. La tubercolosi, un'infezione o un tumore potrebbero causare un'emorragia polmonare. ma solo una minima fuoriuscita di sangue denso. Una tesi che non combacia con la versione di Prisco. Attila era un gran bevitore, per cui è probabile che avesse dei danni ai polmoni. Una delle conseguenze di questo comportamento è che i vasi sanguigni che irrorano il fegato si espandono fino a scoppiare. I vasi sanguigni nella gola sono collegati alle vene principali del fegato. Quando c'è troppa pressione, queste vene possono anche rompersi, provocando vaste emorragie. Queste sono le probabili conseguenze di uno stile di vita estremo. Troppo alcol, troppa baldoria e troppo stress. La notte di piacere di Attila finì probabilmente con un attacco di tosse, un'improvvisa emorragia e un fiotto di sangue. Il paziente soffoca, cioè finisce per strozzarsi col suo sangue. Nel caso di Attila può essere stata una combinazione di queste due cose, lo stato di shock derivante dall'emorragia, così come un afflusso di sangue nella trachea che lo soffoca, provocandone la morte. Una morte nel sangue per il più sanguinario degli uomini. Attila cresce nomade nelle pianure dell'Est e si batte contro la potenza dell'impero romano. Il numero di morti provocato dalla sua furia è incalcolabile. Semina terrore e vive di razzia. Si macchia di genocidio, sterminando il popolo dei Burgundi in un feroce spargimento di sangue. Distrugge ogni città che incontra sul suo cammino. Riempie le strade di cadaveri decomposti. La sua vendetta contro i traditori è terribile. Li impala, riservando loro una morte lenta e dolorosa. Oggi, come possiamo classificare Attila, confrontandolo con gli altri cattivi della storia? Attila è un assassino psicopatico che uccide solo per il gusto del sangue come Caligola? Oppure è mosso da un sogno di conquista, come Gengis Khan? La sua violenza, le sue conquiste, non sembravano avere un obiettivo preciso. Entrava in guerra per distruggere, quasi solo per il piacere di farlo. Un assassino crudele e senza rimorso. Attila incarna al massimo il comportamento psicopatico. Attila vuole solo distruggere. Dopo di lui, infatti, gli Unni spariranno dalla storia. Paragonato ad altri tiranni dell'antichità, Attila non era certo dotato di grande creatività. Non risosse problematiche, non costruì nulla, non lasciò niente alla sua morte. Quando aveva un dubbio, uccideva. È un profilo psicologico nefasto che ha riscontri anche nel presente. Attila mi ricorda un po'un narcotrafficante, un Pablo Escobar. Gli interessava il potere in quanto tale, la ricchezza. Non creò nulla, non costruì nulla. E se qualcuno provava a intralciarlo, lo uccideva. Attila è forse il primo grande terrorista della storia. Accumula un'immensa fortuna grazie al suo sistema di estorsione. Ma la mancanza di un obiettivo gli impedisce rigettare le basi di una civiltà che gli sopravviva. Con la sua scomparsa tutto finisce. Soli 30 anni dopo la morte di Attila, del suo impero non resta più nulla.