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Misteri del Banco Ambrosiano e Calvi

Nell'82 a Milano esisteva una banca, il Banco Ambrosiano. Il suo presidente era un uomo di nome Roberto Calvi. Calvi aveva un soprannome, il Banchiere di Dio. Nome non certo simbolico, in quanto il Banco Ambrosiano intesseva rapporti profiqui e contorti con il protagonista del nostro complessissimo video, il Vaticano.

Questo video è in parte merito anche di due pubblicazioni, Vaticano S.P.A. di Nuzzi e La Borsa di Calvi, a cura di Almeridi. Sono due libri che ovviamente vi consiglio di leggere perché... un video non potrà mai sostituirsi ai dettagli di un saggio.

Ad oggi sono emerse dalle indagini poche cose, colpevoli non certi e dinamiche ancora offuscate, tipico della storia della Prima Repubblica. Ma invece di partire dal principio, partiamo dalla fine. La storia di Roberto Calvi parte con la notizia del suo presunto suicidio, anche se forse sarebbe meglio dire omicidio. Calvi venne ritrovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra l'11 giugno 1982. Con sé aveva ancora il suo orologio dal valore di 100.000 dollari, 14.000 franchi svizzeri nel portafoglio e un passaporto falso, a nome Gianroberto Calvino. In origine c'era anche una valigetta nera piena di documenti compromettenti, compromettenti per il Vaticano, ma quella scomparve subito.

Calvi era fuggito dall'Italia per andare a Londra. Lo aveva fatto sotto copertura e prendendo otto voli differenti. A facilitarlo era stato un certo Flavio Carboni, uomo d'affari sardo con ottime conoscenze. Erano diversi quelli che volevano Calvi sottoterra. La sua scomparsa fece tirare un sospiro di sollievo a molti.

Fu come chiudere il famigerato vaso di Pandora. Il nome di Calvi in quei giorni era legato al collasso della sua banca. E il fallimento, meglio, il banchetto. ai danni del banco, Ambrosiano stava rovinando il sonno di molti investitori italiani, ma anche del suo investitore principale, il Vaticano. Il Vaticano, prima ancora che uno stato, è un centro di potere atipico.

Nelle classifiche dei prodotti interni lordi, lo stato pontificio non compare mai e per un semplice motivo. Non esiste una produzione industriale in Vaticano, le attività economiche hanno una dimensione limitata e quindi il PIL non è calcolabile. La città del Vaticano, come noi oggi la conosciamo, nacque nel XXI secolo.

all'indomani della stipula dei patti lateranensi con il regime fascista. La firma tra Mussolini e il cardinale Pietro Gasparri definì i connotati dell'attuale città-stato, una monarchia assoluta teocratica con a capo il pontefice. Il bilancio statale è controllato dalla Prefettura per gli Affari Economici della Santa Sede, che a sua volta si preoccupa di gestire i bilanci del famoso IOR, l'Istituto per le Opere di Religione, spesso scambiato per la Banca Centrale Vaticana, quando in realtà...

È una semplice, si fa per dire, banca normale, con interessi più elevati di quelli standard, dal 4 al 12%, e con un suo consiglio di amministrazione di cardinali. Nonostante gli ultimi anni di riforme antiriciclaggio, gli accordi con l'Italia hanno garantito all'OIOR un'operatività da banca offshore, tra elusione dei controlli e garanzie di totale discrezione delle operazioni. L'articolo 11 dei patti lateranensi lo sottolinea per bene.

Salvo disposizioni, Gli enti centrali della Chiesa Cattolica sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano. Chi amministra l'OIOR non è necessariamente un uomo di fede, possono farlo anche i laici. Oggi a guidare l'OIOR è l'economista e banchiere francese Jean-Baptiste de François.

Nel 1982 a essere direttore dell'OIOR era un certo Paul Casimir Marsinkus. la figura chiave della nostra storia. Nato negli States da una famiglia di lavavetri, Marsinkus, che si sarebbe più tardi definito il Manovale di Dio, arrivò in Vaticano negli anni 50, neanche trentenne.

Marsinkus avrebbe presto scalato i ranghi della burocrazia, fino a diventare arcivescovo e braccio destro prima di Papa Paolo VI e poi, tralasciata la parentesi brevissima di Paolo I, di Voitila. Quando Calvi fece perdere traccia di sé mettendo in agitazione il Vaticano, Marsincus si incontrò subito con il direttore del Banco Ambrosiano, Michael Lehmans. Lehmans presentò all'arcivescovo delle lettere contenenti i sigilli papali, dove si affermava che lo IOR fosse proprietario delle società con cui il Vaticano si era indebitato e che, qualora San Pietro non avesse ripagato i suoi debiti, adios Banco Ambrosiano. e con esso i soldi e la reputazione della Santa Sede. Tuttavia, come dimostrò Marsincus, il Vaticano non avrebbe mai riconosciuto alcun debito del Banco Ambrosiano.

Alle lettere di Limans, Marsincus tirò fuori delle controlettere, firmate dallo stesso Calvi, nelle quali si liberava il Vaticano da qualsiasi responsabilità. La cosa significava che il Banco poteva andarsene tranquillamente in malora. Marsincus ricordò a Limans una cosa.

Il Vaticano era uno stato sovrano, non rispondeva ad alcuna autorità che non fosse il Papa. I vertici dello IOR potevano essere trascinati in tribunale soltanto con un permesso di sua santità, un permesso che questi non avrebbe mai dato. Fu così che l'Imans, senza altre armi a disposizione e senza le disposizioni di un calvo in fuga, non ebbe altra scelta che cedere alle pressioni della Banca d'Italia di rilevare il Banco Ambrosiano. La mossa bloccò la vendita delle azioni del banco in borsa e staccò la spina all'istituto. Davanti a quella liquidazione rocambolesca, la segretaria di Calvi, Graziella Corrocher, si suicidò lanciandosi dalla finestra del quarto piano della banca.

La sera stessa, la sede europea del banco ambrosiano Overseas, operante alle Bahamas, venne chiusa seduta a stante. Il ritrovamento del corpo di Calvi tre mesi più tardi avrebbe dissipato i dubbi su dove fosse finito il banchiere, ma non certo. né su cosa gli fosse successo, né dove fossero finiti i soldi che il banco aveva contribuito a riciclare secondo le accuse.

Seguendo le transazioni, i soldi partivano dal Banco Ambrosiano, confluivano in una delle sue tante filiali a Monte Carlo e da lì andavano diretti a Panama, in società offshore anonime, che altro non erano che società fantasma in mano al Vaticano. Alcune di queste erano la Starfield SA, la Erin SA e la Bellatrix SA. Soltanto tre persone conoscevano l'esatta relazione tra...

Queste società fantasma e lo IOR. Il primo era Carlo Alessandro Canesi, l'ex dirigente del Banco Ambrosiano, che aveva stipulato gli accordi con il Vaticano negli anni 60. Poi c'era Calvi, suo assistente successore, e infine, forse, Graziella Corrocher, la segretaria personale di entrambi. Tutti e tre morti.

L'unico in vita e che sapeva sicuramente qualcosa era l'arcivescovo Marsinkus. In un'intervista al giornalista americano e professore di scienze politiche Edward J. Epstein, Marcinkus aveva ammesso che il Vaticano fosse in guai finanziari da oltre due secoli, da quando, al tempo di Pio IX, l'unica fonte di reddito rimasta al Papa era l'obolo di San Pietro. una raccolta annuale di soldi che i fedeli di tutto quanto il mondo donavano alla Santa Sede. E purtroppo per il Papa, però, l'obolo non garantiva cifre importanti, al più qualche milioncino. Il papato si era persino visto costretto negli anni venti a riscuotere un debito di oltre 100.000 dollari, dollari ovviamente al valore attuale, contratti con una banca romana per pagarsi il funerale di Papa Benedetto XV.

Per di più, durante il ventennio, come tutti sappiamo, Papa Pio XI dovette scendere a patti con il governo di Mussolini. Con i patti lateranensi, il Papa riconosceva lo Stato pontificio come parte dell'Italia In cambio, Mussolini concedeva al Papa il controllo di quei 440.000 metri quadrati comprendenti Piazza San Pietro, che presero il nome di Città del Vaticano, una città del tutto indipendente dalle leggi vigenti in Italia. Per i beni papali, che erano stati confiscati nel 1870, Mussolini diede al neo-Stato Vaticano un'indennità che, paragonandola in dollari odierni, ammonterebbe a circa 52 milioni. Ma le entrate papali erano ancora insufficienti.

salvaguardare i fondi durante la guerra, Pio XII autorizzò la creazione di una banca all'interno delle mura vaticane, lo IOR. Il funzionario messo a sovrintendere la struttura fu Giovanni Battista Montini, all'epoca un prete, con alle spalle un'importante famiglia di banchieri dell'Italia settentrionale che aveva lavorato nella segreteria di Stato Vaticana per 20 anni. Nel momento in cui Montini divenne papa nel 63, succedendo a Giovanni XXIII con il nome di Paolo VI, uno dei primi...

problemi di Montini fu il dover fare i conti con una nuova legge italiana che richiedeva agli investitori stranieri, che operavano nel mercato valutario, compresi investitori vaticani, di dover pagare una tassa del 30% sui dividendi. Un'imposta che avrebbe compresso ancora di più le già striminzite entrate vaticane, al che Paolo VI si rifiutò di pagarla. motivando la cosa come una violazione dei patti lateranensi.

La soluzione fu però presto trovata. L'OIOR avrebbe inviato in nascosto la maggior parte dei suoi investimenti esteri a società anonime nell'Ichtenstein, a Panama, in Svizzera e a Monte Carlo. Tra il Vaticano e queste società anonime si sarebbe eretto tutto uno strato di intermediari e banche per evitare qualsiasi tipo di indagine. Per cominciare a trasferire in assoluta segretezza i capitali nei vari conti anonimi sparsi nei paradisi fiscali, la prima banca a cui l'amministrazione papale si rivolse fu la piccola e giovane banca privata finanziaria.

La banca era gestita da un finanziere messinese, Michele Sindona, il quale aveva una discreta esperienza nel manovrare fondi offshore. Per Sindona gli anni 60 furono un tripudio di affari. Sindona era diventato il tramite di un business in un triangolo che toccava l'Italia, il Vaticano e gli Stati Uniti.

Consulente del boss italo-americano Joe Adonis, della famiglia di Don Vito Genovese, Sindona aveva individuato i migliori canali per riciclare denaro sporco ricevuto dalla mafia. Ma non solo. Sindona deteneva il 24% delle quote dello IOR, come anche il pieno possesso della banca svizzera Finbank.

una volta già del Vaticano, ed era in affari con David Matthew Kennedy, futuro segretario al tesoro nel governo Nixon. Non da ultimo si era affiliato alla loggia massonica più influente dell'epoca, la P2 di Licio Gelli. Gelli aveva una buona nomea in Vaticano, tant'è che aveva contatti con Paolo VI e con lo stesso Marsinkus. Per conto del Vaticano, Sindona trasferì milioni di dollari, stando a Beniamino Andreatta a 1 miliardo e 200 milioni, dalla banca privata finanziaria alla Finbank più un'altra banca di Zurigo, la Amincor.

Secondo le dichiarazioni di diversi pentiti, il banchiere siciliano sfruttava i conti della Santa Sede per depositare i soldi sporchi della mafia, in particolare quelli di Cosa Nostra, una parte dei quali sarebbero anche confluiti nei conti della democrazia cristiana per tutta una serie di campagne politiche. I conti vaticani erano sinonimo di discrezione, di sicurezza per gli uomini di Totorrina. Come riportato da Massimo Ciancimino, il figlio del boss Vito, Gli sportelli bancari dello IOR erano il crocevia dei bonifici a favore di mio padre.

Mio padre riceveva politici all'interno dello IOR, incontrava anche personaggi legati a personaggi di Cosa Nostra. Mio padre entrava senza... Cosa Nostra dentro lo IOR? Sì, dentro il...

Dentro il torrione di Niccolò V? Ha incontrato anche all'interno della curia, all'interno di stanze di alti prelati, se non posso anche dirlo, di vescovi, ha incontrato latitanti del carico di Provenzano, per cui non è un mistero che... la Chiesa o si prestasse cosciamente o inconsciamente a tenere saldi questi rapporti. Tuttavia legarsi a Sindona non fu una delle mosse più brillanti perché i rischi erano enormi e perché neanche qualche anno più tardi il nome del faccendiere sarebbe stato coinvolto nel fallimento di alcune delle banche che teneva in gestione. Il Vaticano così, avvedendosi del pericolo, nel 69 tolse Sindona dall'amministrazione delle transazioni internazionali e incaricò lo stesso Marcinkus.

La sua missione? Trovare una nuova banca affidabile per continuare il lavoro iniziato da Sindona. La banca che scovò fu proprio il venerabile Banco Ambrosiano, sito in piazza Paolo Ferrari a Milano.

A Marsinkus l'idea piacque subito. Per decenni il banco era stato diretto da Franco Ratti, nipote dello stesso Papa Pio XI, e al di là delle parentele, il Vaticano possedeva nel suo portafoglio azionario il blocco maggioritario delle azioni del Banco Ambrosiano. Calvi, che era figlio di uno degli impiegati della banca, consolidò le holding del Vaticano sotto una filiale interamente controllata nella capitale delle Bahamas, Nassau, e chiamata Cecil Pine Overseas Bank. La Cecil Pine divenne il fulcro di un'enorme quantità di trasferimenti e prestiti direzionati da un ufficio della filiale a Monte Carlo. Quando Marcinkus diventò, con il consenso del Papa, presidente della banca vaticana, la prima cosa che fece fu entrare da subito nel consiglio di amministrazione della CIS Alpine.

In un primo istante Calvi riuscì a generare enormi profitti per le casse vaticane, ma le cose non durarono a lungo perché nel 77 Sindona tornò alla ribalta. L'ex banchiere era stato arrestato a New York per aver fatto false dichiarazioni nel tentativo di rilevare una banca americana e pretendeva dallo stesso Calvi un risarcimento di circa 10 milioni di dollari. Secondo Sindona quei soldi erano un credito fatto a Calvi per delle commissioni.

e quei soldi mi servivano per sostenere le spese legali in America. Calvi ovviamente si rifiutò e sin d'ora decise di vendicarsi. Il 13 novembre 1977 le mura esterne dell'Ambrosiano vennero ricoperte di manifesti, nei quali si rivelava nei minimi dettagli l'esistenza di alcune transazioni estremamente riservate e fatte dal banco, tra cui i conti cifrati nascosti in Svizzera nei quali passavano i soldi del Vaticano. I conti cifrati non sono poi così cifrati e anonimi. Sono le giurisdizioni di nazioni offshore a proteggere il possessore del conto, e in realtà sono pochi gli strumenti che garantiscono in tal senso un certo anonimato.

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Un enorme grazie a NordVPN per aver sopportato questo episodio, che è dedicato a un capitolo particolarmente controverso della nostra prima repubblica. Ormai divulgazione della storia della prima repubblica e NordVPN vanno a braccetto. Ma parlando di scandali, la faccenda dei conti cifrati costrinse la Banca d'Italia ad avviare una prima indagine.

Il commissario liquidatore nominato dalla Banca d'Italia, Giorgio... Gio Ambrosoli riferì di aver rinvenuto le prove di pagamenti illeciti a un un vescovo americano e un banchiere milanese per la bellezza di quasi 7 milioni di dollari. Tuttavia, prima che Ambrosoli riuscisse ad approfondire meglio la faccenda, venne ucciso a bruciapelo sotto casa da un mafioso americano, William Haricot, pagato niente po'di meno che da Sindona e con il beneplacito della P2.

Materialmente come si spostavano questi soldi? Sempre con il giro delle operazioni cosiddette fiduciarie, cioè i fondi venivano mandati dall'Italia a una banca estera. Con l'incarico, e quindi apparentemente come depositi tra banche, c'era poi l'incarico alla banca estera di utilizzare quei fondi destinandoli a un particolare soggetto che era una società di simbolo.

Alla fine, nonostante l'omicidio a Ambrosoli, quando due anni più tardi poi scoppiò proprio lo scandalo della P2, Calvi finì nel registro degli indagati e per le sue ripetute violazioni finanziarie venne arrestato. Dal carcere di Lodi, in cui si trovava, Calvi avvisò Marsinkus con un biglietto su cui era scritto «Questo processo si chiama IOR». Marsinkus non poteva riconoscere il debito delle società del banco, perché così facendo avrebbe ammesso le colpevolezze della Santa Seda in quei traffici poco leciti. Ad ogni modo Calvi sarebbe stato di lì a poco rilasciato dal carcere e sarebbe entrato in contatto con il già menzionato Flavio Carboni.

l'uomo che più tardi lo avrebbe aiutato nella sua fuga in Inghilterra. Ma come sappiamo la fuga si interruppe bruscamente, e ancora oggi non sappiamo se, anche per demerito e tradimento dello stesso Carboni, Carboni, lei... è accusato dai magistrati di costituzione di associazione segreta, la P3.

Per il momento per me è qualcosa di inesistente. Carboni non fu l'unica conoscenza di Calvi. All'uscita dal carcere, Calvi era deciso a fare tutto il necessario per avere protezione politica contro altre beghe. La persona che offrì a Calvi tale protezione fu il prezzemolo della prima Repubblica italiana, Licio Gelli.

In cambio della sua protezione, Calvi doveva soltanto trasferire 21 milioni di dollari verso una banca sudamericana. Nell'82, Jörg Herr, il direttore esecutivo della divisione crediti della banca Rothschild di Zurigo, fu testimone di alcuni di questi trasferimenti insoliti che andavano dalla filiale lussemburghese di Calvi a una società fantasma controllata da Gelli a Panama, chiamata Bellatrix. Questi prestiti, che secondo Herr ammontavano a 142 milioni di dollari, furono temporaneamente depositati dalla Bella Trix nella sua banca di Zurigo. Con questo escamotage, quasi il 90% dei 142 milioni di dollari del prestito del Banco Ambrosiano finì nelle tasche di Gelli e dei suoi soci. Il gioco fu talmente palese che nella primavera dell'82 il direttore di Herr, secondo quanto riportato dal giornalista Epstein, affermò Dobbiamo trovare una soluzione, o presto finirò in fondo al lago di Zurigo.

Herr affermò che le istruzioni di Gelli erano quelle di depositare temporaneamente il denaro della Bellatrix in due conti separati della banca. Uno si chiamava Zirca, l'altro Resiota, e da lì i soldi venivano poi versati in conti cifrati dello stesso Gelli. Come rinvenibile da questo telex del febbraio 81, mandato dalla filiale dell'Ambrosiano in Lussemburgo alla banca di Herr, si riportava, confermiamo che per conto del nostro buon cliente, La società Bellatrix Abbiamo effettuato un bonifico a vostro favore presso la Chase Manhattan Bank di New York, per un importo totale di 46 milioni di dollari.

Come la cronaca ha poi testimoniato, nel settembre 1982 Gelli sarebbe stato arrestato in Svizzera per aver fatto un prelievo di 55 milioni di dollari. Le indagini successive avrebbero rivelato che la fonte di buona parte di quel denaro proveniva dalle transazioni che Calvi aveva sviato sul conto Bellatrix. Quanto al dipendente Herr, questi venne citato in giudizio dalla banca Rothschild, dove lavorava, per aver abusato della propria autorità.

favorendo queste transazioni. E poi lo avremmo ritrovato casualmente in un'azione come la Thailandia. Alla fine, comunque, il 6 agosto 82, il ministro delle finanze, Beniamino Andreatta, ordinò la liquidazione del Banco Ambrosiano, così come la cessione di tutti i suoi beni a un consorzio di banche.

In sostanza, più di un miliardo di dollari mancanti da quella liquidazione non vennero mai recuperati. Gli unici che conoscevano a fondo i dettagli delle transazioni, l'origine precisa di questo miliardo di dollari e a chi fossero finiti erano Calvi e Sindona. Il primo era già andato, il secondo era in un carcere americano con una condanna di 25 anni.

Il giornalista Epstein chiese a Sindona i nomi delle società e lui rispose che alcune di queste avevano nomi in codice, Suprafin, Zitropo, Manic e che erano in realtà dei semplici contenitori. per nascondere i trasferimenti di soldi. Era un classico schema di riciclaggio di denaro, una cosa che però era inattaccabile in quanto toccava uno stato sovrano, indipendente, il Vaticano.

Secondo quanto ammesso da Sindona, il Vaticano, con l'aiuto del Banco Ambrosiano, avrebbe utilizzato questi soldi per compiere investimenti molto discutibili, dal finanziamento dei Contras nella guerra contro i sandinisti marxisti in Nicaragua, fino alla gestione dei capitali depositati dagli uomini di Totorrina. Sindoro sapeva bene che, fosse stato rimandato in Italia, avrebbe fatto la stessa fine di Calvi. E purtroppo per lui le sue parole furono profetiche.

Nel settembre 1984 venne stradato in Italia e neanche un anno dopo morì in carcere a Roma dopo aver assunto una pasticca di cianuro in una tazzina di caffè. Suicidio. Ma forse sarebbe meglio dire che era stato suicidato. La rete offshore per il riciclaggio di denaro nelle mura vaticane continuò anche ben oltre la morte di Calvi. Negli anni 90, a tesserne le tele, era il vescovo Donato De Bonis.

Uno dei primi conti correnti offshore da lui gestito era questo, un deposito di quasi mezzo milione di lire con un tasso di interesse garantito del 9% annuo. Per tenere lontana anche l'ombra dei sospetti, De Bonis avrebbe intestato il deposito alla Fondazione Cardinale Francis Pellman, secondo alcuni in realtà un conto nelle mani dello stesso Andreotti, un fatto mai verificato, anche se nel saggio di Nuzzi, Vaticano S.P.A., si trova questo messaggio a firma dello stesso De Bonis. In caso di morte di De Bonis, il conto sarebbe passato direttamente a Giulio Andreotti. Secondo sempre Nuzzi, dall'87 al 92, De Bonis avrebbe introdotto fisicamente in Vaticano cash liquidi più titoli di Stato per oltre 32 milioni di attuali euro, depositandoli tutti quanti nella fondazione Spellman. La fonte di questi soldi?

Direi non certo l'obolo di San Pietro. Su alcuni bonifici è indicata anche una motivazione di apparente beneficenza. È il caso dei 2 miliardi e mezzo di lire che fece accreditare il barone siciliano Bruno di Belmonte. Motivazione? Fondo caritatevole.

Ho fregato i foratini in un cantiere di Le Saicara? Signore, mancano sei foratini. Allora non si farà l'ospedale, lo dirò ai bambini. Per Nuzzi tutto questo sistema era lo scheletro che componeva il cosiddetto IOR parallelo, cioè la vera struttura che accoglieva le transazioni del Vaticano.

Una struttura composta da finte, ma sostanziose donazioni che si univano a più modeste donazioni, quelle... davvero reali, quelle elargite dai fedeli. Pensiamo soltanto ai 660 milioni di lire inviati e mescolati nel fondo Mamma Roma per la lotta alla leucemia.

Come disse Balzac, dietro ogni grande fortuna, in fin dei conti, c'è sempre un crimine. Nel caso di quel miliardo di dollari mancante, il crimine fu mettere a tacere i calvi che, in quanto semplice strumento, venne utilizzato come un fazzoletto usa e getta. Gli interessi di banche offshore, della P2, del Vaticano e di intermediari mafiosi erano diventati tentati troppi per un singolo uomo.

Un ex mafioso, Francesco Marino Mannoia, nel 91 ribadì di aver sentito dire sul caso Calvi che un tale Francesco Di Carlo, altro sicario mafioso incarcerato, aveva ucciso Calvi su ordine del boss Giuseppe Calò. Ma, come sappiamo, le accuse dei mafiosi in gattabuia non sono fonti del tutto affidabili. Il fatto certo era però che Calvi sapeva troppe cose sulle finanze del Vaticano. Due settimane prima di morire, Calvi scrisse a Papa Giovanni Paolo II queste parole. Sono io infine che oggi vengo tradito e abbandonato.

La gerarchia ecclesiastica temeva che, qualora il Vaticano non avesse risolto i problemi bancari di Calvi, questi avrebbe potuto minacciare la Santa Sede divulgando i documenti che attestavano il riciclaggio di miliardi di dollari. Quei documenti erano nella famosa valigetta che Calvi si era portato nella sua fuga dall'Italia a Londra. Erano l'unica prova con nomi e cognomi di chi era coinvolto.

E così come Calvi, la valigetta è svanita nel nulla. Calvi fu giustiziato e i giustiziari la fecero franca. Il destino del banchiere di Calvi è stato il suo.

di Dio era stato segnato in partenza dai segreti che in fin dei conti lui stesso custodiva, segreti temporali di uno stato spirituale. Lo IOR, la banca vaticana. Lei cosa pensa che ci fosse nella borsa che suo marito aveva con sé? I documenti che riguardavano il debito del Vaticano, la banca rotta del Vaticano, che ha trascinato il... Banca Ambrosiano alla rovina, però con la complicità, e questo è un parere mio e possono darmi querela finché vogliono, con la complicità dei ministri italiani, perché a me risulta che siano stati eletti dal popolo italiano e che devono difendere gli italiani, non che devono difenderli i vaticani.

Vaticano, questo proprio nella maniera più assoluta e comunque anche la Banca d'Italia, hanno coperto letteralmente la bancarotta del Vaticano, al punto che il Papa arriva a dire che loro non ne hanno mai saputo niente, ma se Carboni, che è Carboni, diceva, signora ha visto, siamo riusciti a interessare personalmente anche il Papa.