Le fiamme della rivoluzione si sono spente, Napoleone è stato mandato in esilio e la pace è tornata in Europa. Il continente non potrà mai dimenticare ciò che è successo, ma alcune persone vogliono solo tornare indietro, rimanere nel passato e dimenticare tutto. In una sola parola, restaurazione.
Per definire il nuovo corso iniziato il 18 settembre 1814 con l'apertura del congresso di Vienna, lo storico svizzero Karl Ludwig von Haller conia il termine restaurazione. È chiara la volontà delle grandi potenze che hanno sconfitto Napoleone, ristabilire l'equilibrio sociale e la ristabilità della società. politico infranto dalla rivoluzione francese nel 1789. Regno Unito, Russia, Austria e Prussia, che hanno trionfato su Napoleone, spingono sul ritorno a buoni rapporti tra la politica e la religione. Un'alleanza del trono con l'altare. Favorevole a questo ritorno al tradizionalismo e all'ordine è l'ambiente intellettuale.
Il ricordo della parabola della Francia, infatti, è ancora vivo in tutta Europa. Dalla democrazia al terrore, dal terrore alla dittatura. In questo periodo la Chiesa, sostenuta dalle varie monarchie, riprende potere.
Infatti la fede, non la ragione, deve guidare l'uomo della restaurazione. Così sostiene il savoiardo Joseph de Maistre, uno dei massimi ideologi di questo periodo, ponendo il cattolice di Roma in giro. come base necessaria per la nuova Europa. De Mestre non è l'unico a presentare tesi reazionarie e critiche dell'illuminismo.
Un nuovo movimento culturale inizia a farsi strada, il romanticismo. In questi anni il movimento romantico non è ancora del tutto sviluppato, ma ha già definito molte delle sue caratteristiche. Tra queste troviamo la rivalutazione storica del Medioevo, l'idea di nazione e l'esaltazione dei sentimenti.
Queste suggestioni iniziano a farsi strada nei salotti europei. gli intellettuali discutono sull'idea di nazione, le potenze europee sono a Vienna per riscrivere i confini del continente. A Vienna, tra il primo novembre 1814 e il 9 giugno 1815, sono presenti centinaia di rappresentanti di stati grandi e piccoli.
Nonostante questo, solo quattro uomini, alla fine, prendono le decisioni più importanti. Questi sono Lord Castelrug per il Regno Unito, il principe Clement von Metternich per l'Austria, il conte Nesselrod per la Russia e il principe di Arno Ardenberg per la Prussia. Anche per la Francia c'è un rappresentante, il principe di Talleyrand, veterano delle assemblee rivoluzionarie e ministro degli esteri sotto Napoleone. Talleyrand, nonostante i collegamenti con l'ex imperatore, rappresenta il volere di Luigi XVIII e non si sbilancia in favore di Napoleone quando riprende, anche se solo per cento giorni, il potere. La Francia, grazie alla politica prudente di Talleyrand, riceve un trattamento di favore.
Un principio cardine dell'intero congresso è quello di legittimità. Napoleone aveva spesso spodestato decine di regnanti, ma ora ogni dinastia doveva tornare sul proprio rispettivo trono. I confini degli stati devono inoltre tornare alla situazione pre-rivoluzionaria. Ci sono però delle eccezioni. Al posto del Sacro Romano Impero viene creata la Confederazione Germanica.
Gli stati tedeschi passano da oltre 300 a 39. L'idea che muove i politici del congresso è quindi creare un equilibrio tra le grandi famiglie regnanti. Le Asburg in Austria, i Borboni in Francia, Spagna e Italia. Italia Meridionale, gli Hannover in Inghilterra, i Romanov in Russia e gli Hohenzollern in Prussia. Per fare in modo di conservare questo fragile equilibrio si decide di creare una serie di stati cuscinetto al confine della potenza più minacciosa di tutte, la Francia.
Per questo sul confine orientale sono ricostituiti il Regno dei Paesi Bassi, il Regno di Sardegna, la Confederazione Svizzera e la Westfalia Prussiana. Nonostante tutto la Francia non viene mutilata, questo per evitare di indebolire troppo i Borbone a favore di di Austria e Prussia. I confini della vecchia Francia, prerivoluzionaria, vengono rispettati. L'idea di equilibrio alla base del congresso si concretizza nel concetto di concerto europeo. Sono vari gli accordi siglati a Vienna, ma ce n'è uno sopra tutti gli altri.
La Santa Alleanza. Voluta dallo zar Alessandro I per mantenere la pace, riunisce la Russia ortodossa, la Prussia protestante e l'Austria cattolica. La Santa Alleanza, firmata il 26 settembre 1815, ha una forte carica religiosa.
il diritto di intervento nelle questioni europee deriva dalle responsabilità dei regnanti davanti a Dio. Il sultano dell'impero ottomano, Mahmud II, Papa Pio VII e il Regno Unito si rifiutano di partecipare. Lord Castelrag avrebbe persino definito la Santa Alleanza un documento di sublime misticismo e di follia.
La Santa Alleanza diventa ufficialmente il gendarme d'Europa. Per fermare qualunque contagio rivoluzionario, la Chiesa si attiva per aiutare a mantenere lo status quo. Nel novembre 18... 815 anche il Regno Unito decide di dar vita ad una sua alleanza, senza però coinvolgere Dio.
La quadruplice alleanza, con Russia, Prussia e Austria. Nel 1818 sarebbe stata invitata anche la Francia, formando così la quintuplice alleanza. Questo accordo non ha lo stesso spirito di intervento della Santa Alleanza, ma è un tentativo per assicurare pace sul continente.
Almeno per un po'. Mentre le grandi potenze si alleano dando vita a questo nuovo assetto, anche la penisola italiana vive un periodo di grande cambiamento e, per molti, un ritorno alla normalità. La struttura napoleonica viene smantellata. A nord nasce il regno dell'Omega. Lombardo-Veneto, parte dell'impero austriaco, che gestisce alcune delle sue parti, come il Trentino, Trieste e l'Istria.
I Lorena tornano in Toscana, gli Este a Modena e Reggio. La seconda moglie di Napoleone, Maria Luigia d'Austria, riceve il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, che alla sua morte sarebbe tornato ai Borbone di Parma. Il regno di Sardegna torna sulle mappe, non solo riprendendo il controllo di inizio della Savoia, ma ricevendo anche l'intera Liguria. Le repubbliche marinare di Genova e Venezia non vengono restaurate.
La Repubblica di Lucca, invece, diventa un ducato in mano ai Borbone di Parma e, alla morte dell'ex imperatrice, sarebbe stato inglobato dal Gran Ducato di Toscana. Il ducato di Massa ha lo stesso destino. Sarebbe stato successivamente inglobato nel ducato di Modena e Reggio, alla morte di Maria Beatrice d'Este, accorpandosi ai territori del figlio, Francesco IV, d'Austria Est.
Anche lo Stato pontificio riprende i suoi territori italiani, suddivisi in legazioni guidate da cardinali. L'ex clave di Avignone, dopo la morte di Maria Beatrice d'Este, è stato il ducato di Avignone. Dopo secoli viene ceduta alla Francia.
Il Gran Ducato di Toscana è affidato a Ferdinando III di Lorena, fratello dell'imperatore austriaco. Quando viene ricostituito, ingloba anche il territorio di Piombino e lo stato dei Presidi, territori ceduti dal re di Napoli. Ferdinando IV di Borbone torna sul trono di Napoli che, unito a quello di Palermo, porta alla creazione nel 1816 del nuovo regno delle due Sicilie. Ferdinando IV cambia nome, diventando Ferdinando I delle due Sicilie.
La restaurazione in Italia si è così concreta. conclusa, ma il tempo non può tornare indietro, può solo andare avanti. Nonostante la santa alleanza, gli accordi bilaterali e il ritorno di duchi, granduchi e re, la penisola non sarà mai più la stessa. Napoleone ha lasciato un qualcosa, un germe, un'idea per un popolo diviso da secoli che neanche la più dura repressione avrebbe potuto fermare.
L'idea d'Italia. Con la restaurazione, i grandi d'Europa hanno cercato di riportare indietro le lancette della storia. Un complesso di stati e alleanze artificiali domina il continente. Ma la storia non si può fermare.
Con il ritorno dei diversi regnanti, sulla penisola italiana cala la pesante cappa della censura e del controllo della polizia. Il primo obiettivo di tutti i governanti tornati sul trono è uno solo, stroncare sul nascere tutti i movimenti di opposizione. Le idee liberali e democratiche sono bandite dai circoli intellettuali e dei giornali, anche se a volte qualcosa sfugge all'occhio della repressione. Il Conciliatore, rivista nata a Milano sotto il controllo austriaco nel 1818, è un esempio di questo pensiero libero.
Fra le sue pagine sono discusse il progresso, l'economia e il diritto, in un misto di illuminismo e romanticismo. Ma poco a poco gli austriaci iniziano il loro lavoro di censura. In segno di protesta, la rivista viene stampata con sempre più pagine bianche per segnalare gli articoli malvisti e censurati.
Un anno dopo, nel 1819, Il Conciliatore cessa di uscire. Quando la repressione e la censura non permettono aperte critiche al sistema, la risposta diventa una sola. Agire nell'ombra. Sempre più società segrete e organizzazioni clandestine nascono in questo periodo.
Gruppi di liberali, democratici e nazionalisti si riuniscono lontano da occhi indiscreti. Da una delle più antiche società segrete, la massoneria, si prendono alcuni elementi fondamentali. Simbologia, rituali e codici di comportamento.
Importante è la struttura delle società segrete, definibile a compartimenti stagni, cosicché, nel caso in cui una cellula venisse scoperta, il resto dell'organizzazione sarebbe rimasta al sicuro. Le società segrete non sono solo un fenomeno italiano, ma europeo. Polonia, Grecia, Germania, Spagna e Francia hanno tutti le loro organizzazioni segrete.
In Italia sono tre le società principali. La Federazione Italiana, l'Adelfia, E la più attiva organizzata? La carboneria. La carboneria, nata nel sud della penisola, si diffonde nel nord, in Francia e in Spagna.
Promuove le libertà civili, il diritto dei popoli a partecipare al governo e gli ideali di unità e indipendenza nazionale. È dotata di tre gradi gerarchici. Apprendisti, maestri e granmaestri.
Per mantenere la sicurezza e per evitare una fuga di notizie, le informazioni vengono rivelate poco a poco ai nuovi membri. A volte persino gli obiettivi sono maestri. mantenuti segreti.
Per fare un po'di ordine tra le società segrete sempre più popolari e numerose interviene nel 1818 Filippo Buonarroti. Ad Alessandria nasce la setta dei sublimi maestri perfetti. L'idea è quella di creare una singola società segreta per coordinare l'intera Europa. Nella setta dei maestri perfetti ci sono tre livelli, ognuno con diversi compiti. Le carbonerie locali sono la base legata al costituzionalismo.
I sublimi maestri perfetti, a metà, sono destinate a perseguire obiettivi repubblicani, infine il gran firmamento al vertice all'obiettivo di totale uguaglianza tra gli uomini. Nonostante però tutta questa complessa organizzazione, le società segrete hanno un problema di fondo. Per non essere scoperte, non possono espandersi troppo. L'assenza di un ampio supporto popolare è un limite invalicabile per la carboneria, specialmente nel momento in cui tenta di agire contro l'assolutismo o il dominio straniero.
Nonostante tutto, le società segrete non sono le uniche. non smettono di tramare, aspettando il momento giusto per colpire. Nel 1820 quel momento arriva.
Il 1 gennaio 1820 a Cadice, il corpo di spedizione spagnolo destinato a sedare le rivolte scoppiate in Sud America, si ribella contro Ferdinando VII, colpevole di aver riportato la censura e l'inquisizione in Spagna. Raffaele de Riego guida la rivolta dei comuneros, i carbonari spagnoli, e prende il potere. Viene così ripristinata la Costituzione di Cadice, o Costituzione Spagnola, del 1921. 1812. La Santa Alleanza, dopo un'esitazione iniziale, decide che la situazione non può continuare. Per questo nel 1823 Luigi XVIII sarebbe stato incaricato di riportare la pace in Spagna. Le forze reazionarie avrebbero vinto rapidamente.
Riego, sconfitto, verrà giustiziato il 7 novembre dello stesso anno. Nel frattempo l'eco dei fatti di Spagna si propaga fino ai territori italiani. Il regno delle due Sicilie è dove tutto ha inizio.
Il 1 luglio 1820 nella base militare di Nola due giovani ufficiali si ribellano. Michele Morelli e Giuseppe Silvati guidano la rivolta. La sommossa si estende anche alla Puglia e alla Basilicata.
I rivoltosi chiedono di accogliere la Costituzione di Cadice come carta del regno. A Napoli la vecchia guardia napoleonica non aspetta altro. Il generale Guglielmo Pepe prende le parti dei ribelli.
Ferdinando I è di colpo da solo. Il re è costretto a promulgare la Costituzione spagnola. Si forma un governo liberale moderato ma...
come in Spagna, i democratici vengono esclusi. La confusione aumenta. Il 15 luglio 1820 scoppia a Palermo una rivolta. Lo spirito è quello indipendentista.
La Sicilia vuole essere libera. Il moto separatista, non di origine carbonara, viene prima tollerato e poi soppresso dal governo liberale. Per questo il generale Florestano Pepe, fratello di Guglielmo, viene mandato in Sicilia per riportare l'ordine sull'isola.
La complicata situazione napoletana non sfugge alle attenzioni delle potenze. della Santa Alleanza. Nel 1820 a Tropau, in Moravia, Metternich convince i vari membri che è necessario un intervento decisivo in Italia. Nel congresso di Ljubljana del 1821 anche Ferdinando I, nonostante fosse stato inviato dal governo costituzionale per chiedere l'esatto posto, chiede di intervenire.
La risposta degli stati reazionari è troppo forte. Le truppe di Pepe non possono nulla e il 7 marzo 1821 ad Antrodoco, vicino a Rieti, l'esercito costituzionale è duramente iniziato. sconfitto.
Nello stesso mese il governo cade e gli austriaci occupano Napoli, riportando sul trono Ferdinando I. Sarebbero rimasti nella capitale per controllare la situazione fino al 1827. Dal sud i moti si propagano in tutta la penisola. I liberali del Piemonte Sabaudo, della Lombardia austriaca, delle Romagne pontifice e dei Ducati di Parma e Modena sanno che è arrivato il momento di agire. In Lombardia i sublimi maestri perfetti a capo degli Adelfi si alleano con i Ferdinandi. i federati, guidati dal conte Federico Confalonieri. Questa alleanza entra in contatto con i federati del Piemonte, raccolti intorno ai conti di Sant'Orre di Santa Rosa e Cesare Balbo.
Il Piemonte è un caso particolare rispetto al resto della penisola. L'obiettivo dell'aristocrazia liberale moderata è di supportare la Casa Savoia nella conquista di uno Stato italiano nel nord, indipendente da potenze straniere, non di rovesciari regnanti. I moti piemontesi partono il 10 marzo 1821 dalla fortezza di Piemonte.
di Alessandria, seguita poi da Vercelli e Torino. Gli insorti, capeggiati da Sant'Orre di Santa Rosa, contano sull'appoggio di Carlo Alberto di Savoia Carignano, giovane nipote del re Vittorio Emanuele I e suo probabile successore. I ribelli formulano la stessa richiesta, la promulgazione della Costituzione di Cadice.
Vittorio Emanuele I, piuttosto che cedere alle loro richieste, decide di abdicare. Ma il successore fratello di Vittorio Emanuele I, Carlo Felice, non è presentato a Torino. si trova infatti a Modena, la regione di Modena.
L'urgenza passa quindi a Carlo Alberto. Carlo Alberto, come prima cosa, promulga la Costituzione di Cadice nel Regno di Sardegna. Alla notizia, Carlo Felice denuncia l'atto come crimine orribile. L'Austria è chiamata ad intervenire.
I liberali piemontesi tentano il tutto per tutto. L'8 aprile 1821 vengono sconfitti a Novara dagli austriaci e dai sabaudi fedeli a Carlo Felice. Santa Rosa ripara in Francia, scegliendo l'esilio, mentre gli austriaci entrano a Torino. L'occupazione sarebbe durata fino al 1000. 1823. La Santa Alleanza ha vinto.
I primi moti di rivolta sono stati prontamente sedati. Ma perché hanno fallito? Le sue mosse sono state frenate dall'assenza di coordinamento tra i rivoltosi, dal coinvolgimento minimo della popolazione e dalle divergenze interne.
Ma nonostante i fallimenti e le perdite, le condanne e gli esili, la lotta continua. Lo scontro è appena iniziato. Una cosa è certa. La repressione potrà fare a pezzi i corpi dei patrioti italiani.
ma non potrà mai spezzare il loro spirito. L'Italia diventerà realtà, a qualunque costo. La prima spallata al sistema della restaurazione aveva fallito. Dopo il 1820 la repressione cala in tutta Europa.
Ma anche nell'ora più buia il desiderio del popolo italiano è più grande di qualunque avversità. Sta iniziando il ritorno. sorgimento.
Nel 1830 l'Europa è di nuovo in subuglio. In Francia, dopo la morte di Luigi XVIII, il successore Carlo X viene cacciato dal trono per la sua politica antiliberale. Al suo posto viene chiamato a lui il duca Luigi Filippo d'Orlean come nuovo re dei francesi, per volontà della nazione.
Il caos della Francia si propaga anche agli stati vicini. Il Belgio si stacca dall'Olanda e si dichiara indipendente il 24 ottobre, mentre a novembre la Polonia insorge contro lo zar. L'instabilità investe anche l'Italia.
Nel febbraio 1831 i ducati emiliani e le romagne insorgono. I moti vengono organizzati da nobili liberali e notabili borghesi, avvocati, commercianti ufficiali. ufficiali e possidenti compongono la base del movimento di rivolta. Tutto parte da Modena. I carbonari, guidati dall'avvocato Enrico Misley e dal commerciante Ciro Menotti, avviano i loro piani per creare un Regno d'Italia centro-settentrionale.
Il duca Francesco IV d'Austria Este non rimane indifferente. Prima si rifiuta di collaborare con i rivoltosi e poi fa arrestare tutti i congiurati il 3 febbraio 1831. Nonostante alcuni degli esponenti più importanti della rivolta siano ora in prigione, Si decide comunque di agire. Da Bologna a Parma tutte le cellule carbonare si attivano.
I moti sconfinano anche nello stato pontificio, mentre Francesco IV e Maria Luigia d'Austria sono costretti a fuggire. A Bologna, il 26 febbraio 1831, nasce il governo provvisorio delle province unite, organo di unione dei governi nati dai Ducati in mani rivoltosi. Metternich è costretto di nuovo a intervenire. In meno di un mese Bologna cade sotto gli austriaci.
Sarebbe rimasta sotto il loro controllo. fino al 1838. I regnanti, supportati dalla Santa Alleanza, ricorrono di nuovo al pugno di ferro contro i ribelli. Menotti viene giustiziato a Modena da Francesco IV, mentre i Carbonari si ritirano di nuovo nell'ombra.
Un'altra vittoria per le forze della restaurazione. Dopo l'ennesimo fallimento, una cosa diventa certa. L'organizzazione settaria non sta funzionando. Senza le masse non si andrà da nessuna parte.
Di questo è convinto un intellettuale genovese, classe 1000. 1805 e Carbonaro dal 1827, patriota della causa italiana, Giuseppe Mazzini. Nel 1830 Mazzini viene arrestato e processato per la sua partecipazione a moti sovversivi. Ha a disposizione due scelte, il confine in Piemonte o l'esilio.
Così nel 1831 Giuseppe Mazzini, a 26 anni, saluta la penisola e parte per la Svizzera. Intanto il dibattito su cosa si debba fare continua a infiammarsi. Nonostante le spaccature e contrapposti, tutti i patrioti condividono un unico obiettivo, unire l'Italia e cacciare gli austriaci dalla penisola. Il dibattito vede due schieramenti.
Da un lato troviamo i democratici, di cui Mazzini fa parte, che vedono nell'iniziativa popolare la via per l'unificazione, con l'obiettivo finale di creare una Repubblica italiana. Dall'altro lato abbiamo i moderati, che contano più sul supporto dei regnanti italiani per cacciare l'occupante. Per loro la soluzione ideale è il federalismo dei vari stati della penisola, e non l'insurrezione.
Mazzini nel frattempo si sposta in Francia, a Lione e poi a Marsiglia, dove incontra l'ex ufficiale piemontese Carlo Bianchi. de Saint-Gioriot e fonda una nuova società segreta. Saint-Gioriot avrebbe influenzato il giovane Mazzini con il suo libro della guerra nazionale di insurrezione per bande applicata all'Italia.
Nel testo l'ex ufficiale afferma che l'unica via per conquistare l'indipendenza sia una sola, la guerriglia. Mazzini in questo periodo entra anche in contatto con il movimento socialista ma decide di non aderirvi. Sempre a Marsiglia nel giugno del 1831 Mazzini stende il programma per un suo movimento, la Giovine Italia. La Giovine Italia avrebbe dovuto rimpiazzare la carboneria, ormai superata, e si sarebbe dovuta basare sul coinvolgimento del popolo.
Per Mazzini pochi iniziati riuniti nell'ombra non avrebbero mai avuto successo, per questo la Giovine Italia vuole essere un movimento dalla diffusione nazionale. Al segreto si preferisce la propaganda, destinata a preparare gli italiani secondo la formula di pensiero e azione. Le idee di questo nuovo movimento vengono raccolti in un testo programmatico, l'istruzione generale per gli affratellati nella giovine Italia. La priorità assoluta è una sola, l'indipendenza dallo straniero.
L'Italia di Mazzini sarebbe stata una libera, indipendente e repubblicana. La via per raggiungere questo obiettivo è l'insurrezione nazionale con la partecipazione di tutti i ceti, non regionale settaria, come quelle appena fallite. Questa rivoluzione deve essere del popolo e deve avvenire senza aiuto esterno. Il metodo di combattimento è la lotta per Bante, teorizzata da Saint-Geriot. La guerriglia popolare contro un nemico più organizzato e addestrato, anche se sanguinosa, per Mazzini avrebbe aiutato lo spirito identitario e unitario degli italiani.
Infatti, sempre per Mazzini, l'Italia ha sempre avuto un ruolo guida della civiltà. Prima con la Roma dei Cesari, poi con la Roma dei Papi, e ora è il momento della terza Roma, quella del popolo. Ed è ora di dimostrarlo. La vittoria sarebbe arrivata solo con la caduta dei due pilastri della restaurazione, l'impero austriaco e lo stato della chiesa.
Le aspirazioni di Mazzini non si fermano all'Italia. L'idea di un insieme di popoli liberi e fratelli porta alla fondazione, nel 1834, della Giovine Europa. Il pensiero di Mazzini si basa anche su un altro concetto, l'attuazione della legge di Dio.
Mazzini è laico, ma è convinto che un popolo abbia bisogno di una patria per seguire il suo destino e raggiungere la fratellanza dell'umanità. Il risorgimento è parte di questo disegno provvidenziale, da cui il motto mazziniano, Dio e popolo. Il cristianesimo, per Mazzini, ha reso l'uomo libero solo a livello individuale, quindi da considerarsi ormai una religione superata.
La visione storica di Mazzini vede l'unione di un'unione di un'unione. di tutte queste patrie nate dal popolo in un'unica umanità, una fratellanza completa di tutti gli stati. Davanti a queste idee rivoluzionarie non si può rimanere indifferenti. I giovani italiani iniziano a mobilitarsi.
Ma non tutti sono convinti. L'Italia può essere fatta in vari modi e Mazzini non ha la verità in tasca. Il dibattito si infiamma mentre per le strade di Firenze, Roma, Modena, Milano, Genova e cento altre città si inizia a parlare seriamente di patria. La giovane Italia è pronta ad agire.
Questo sarà un periodo di rivoluzione. Dopo le sconfitte dei moti del 1820 e 1830, Giuseppe Mazzini è convinto di aver trovato una soluzione per la causa italiana. Mazzini e la sua giovane Italia hanno davanti sfide quasi impossibili. Riusciranno dove tanti altri hanno fallito? Già nel 1833-34 l'entusiasmo trasmesso dal messaggio mazziniano e dalla giovine Italia provoca numerose rivolte in tutta la penisola.
Ma uno dopo l'altro i tentativi insurrezionali in Liguria, Piemonte, Emilia e Toscana falliscono. con arresti e condanna morte. A Genova, nel 1834, il fallimento è totale. Al giorno prefissato per l'inizio della rivolta, quasi nessuno si presenta in piazza.
Tra i pochi a presentarsi c'è un giovane di origini nizzarde, Giuseppe. a Pegaribaldi, costretto poi a fuggire in Sud America, pur di salvarsi la vita. Ma cos'era mancato a Genova? Beh, due cose in particolare, l'assenza di coordinamento dei congiurati e la scarsissima partecipazione popolare.
Considerando i cocenti fallimenti e la quantità sempre crescente di morti sulla coscienza, Mazzini cade nel 1836 nella tempesta del dubbio. Da questa crisi ne sarebbe uscito profondamente cambiato, ma sempre sicuro, della causa italiana. Nel 1837 Mazzini si trasferisce a Londra e inizia un processo di rifondazione della giovine Italia, più vicino a questa volta agli operai.
Da queste idee, nel 1839, sorge la seconda giovine Italia. Nonostante non sia un socialista, Mazzini crede nella democrazia repubblicana basata sulla cooperazione delle classi sociali. Anche se lontano, da Londra, il fondatore della giovine Italia continua a promuovere i suoi tentativi di insurrezione. Nel 1844 si presentano in Calabria due Ufficiali veneziani della Marina Austriaca, segretamente membri della Giovine Italia.
Attilio ed Emilio Bandiera tentano di provocare una rivolta tra la popolazione calabrese. Lo sbarco avviene il 16 giugno 1844. Quattro giorni dopo, però, vengono arrestati dalla polizia borbonica e il 25 luglio sono davanti al plotone di esecuzione. Al grido «Viva l'Italia!
» finisce nel sangue l'impresa dei fratelli Bandiera. Nel 1845 vengono sedate altre insurrezioni mazziniani in Romagna. Nonostante gli sforzi, la giovane Italia ha di nuovo fallito.
E continui in successi incrinano la popolarità di Mazzini e dei democratici. Si affermano così nuove idee per raggiungere l'unità d'Italia, più moderate e riformiste. Uno dei primi ad allontanarsi dalle idee rivoluzionari di Mazzini è il repubblicano Carlo Cattaneo.
Milanese e direttore d'E il Politecnico difende le idee liberali e non è convinto della soluzione unitaria e centralizzata di Mazzini. Per Cattaneo si dovrebbe realizzare una federazione di repubbliche, stile Stati Uniti o Svizzera, fondata sulla sovranità popolare. e sull'uguaglianza sociale.
Questo progetto, fondato sulle realtà municipali, prende il nome di federalismo municipalistico o comunale. In questo modo si vogliono garantire le peculiarità socio-economiche della penisola, entrate in crisi, secondo Cattaneo, alla fine dell'età dei comuni. Un passato da ritrovare. Tra i sostenitori del federalismo democratico troviamo il repubblicano Giuseppe Ferrari, esulo in Francia dagli anni 30. Per Ferrari l'unificazione della penisola sarebbe dovuta essere una vera e propria.
e propria rivoluzione sociale, grazie al supporto di una potenza esterna, in particolare della Francia. Con il fallimento dei moti mazziniani in Italia si crea un'altra idea, totalmente opposta alle idee democratiche, rivoluzionarie e repubblicane. L'idea liberal-moderata.
I liberal-moderati si concentrano su tre questioni principali da affrontare. L'introduzione di riforme da parte dei sovrani, l'abbattimento delle barriere doganali e la promozione della cultura, della scienza e dell'economia. I liberali della penisola isola promuovono una lega adoganale fortemente ostacolata dall'Austria ed iniziano ad organizzare congressi scientifici annuali, il primo a Pisa nel 1839. All'interno dei liberal moderati ci sono tantissimi cattolici come Alessandro Manzoni e il sacerdote Antonio Rosmini Servati.
Servati avrebbe pubblicato nel 1848 delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa, in cui accusa i papi e i vescovi di essere legati troppo al potere temporale e di essersi dimenticati della fede. Il libro sarebbe finito all'inizio del 1929. all'indice nel 1849. A Firenze, nel Gran Ducato di Toscana, è importante la rivista Antologia di Giovan Pietro Vissot, intorno alla quale si sarebbe formato un circolo di intellettuali cattolici e liberali. Dal 1821 al 1833 Gino Capponi, Raffaello Lambruschini e Bettino Ricasoli collaborano con l'Antologia, contribuendo a formare le basi di un movimento, a volte definito partito, moderato.
L'idea di questi cattolici liberali è quella di spezzare finalmente l'alleanza trono-altare e, tramite riforme interne, fare in modo di rendere la Chiesa guida di una religione moderna. Tra i cattolici liberali si crea anche un'altra corrente, definita neo-guelfa, dai guelfi, i sostenitori del Papa nel Medioevo. Il neo-guelfismo si basa sull'opera dell'abate torinese Vincenzo Gioberti, del primato morale civile degli italiani, pubblicata a Bruxelles nel 1843. Partendo dalle idee di Mazzini, Gioberti è convinto che l'Italia avrebbe trovato il suo primato.
tra le grandi potenze solo grazie ad un'entità, la Chiesa. Il pontefice, per Gioberti, deve presiedere una confederazione di stati, formatasi attraverso riforme amministrative pacifiche. Nel caso di resistenze, il braccio armato del neoguelfismo sarebbe stato il Regno di Sardegna, unica potenza militare indipendente sulla penisola. Il neoguelfismo, però, trova subito critici accesi.
Francesco Domenico Guerrazzi e Giovanni Battista Niccolini, i due anticlericali e repubblicani, danno vita al movimento neoguelfismo. Ghibellino, dai Ghibellini, i sostenitori dell'imperatore durante il Medioevo. L'idea di una confederazione di stati piace a molti, ma per alcuni intellettuali deve essere guidata dal re di Sardegna, non dal papa.
Il libro Le Speranze d'Italia, scritto dal conte Cesare Balbo, presenta questa idea. Nel testo l'autore torinese espone un metodo per riforme graduali e pacifiche. Ovviamente la nuova federazione per Balbo avrebbe dovuto includere anche il Lombardo Veneto.
Questo però avrebbe potuto causare un po'di conflitti con l'Austria. Balbo propone allora una soluzione per evitare guerre, spingere l'Austria ad est. Gli interessi austriaci, sfruttando l'influenza dei Savoia e dei regnanti europei, devono essere indirizzati verso i Balcani, portando ad un lento abbandono del teatro italiano. Il progetto monarchico-federalista viene sostenuto anche dal piemontese Giacomo Durando nel suo libro del 1846, Della Nazionalità Italiana. Durando ipotizza tre macro stati federati per unire l'Italia.
A nord uno stato a guida Savoia, al centro uno stato sottilorena e a sud un regno controllato dai Borbone, con la città di Roma governata dai papi. più ascoltata del riformismo moderato piemontese è quella di un altro intellettuale, Massimo D'Azeglio. Importante è il suo Degli ultimi casi di Romagna, del 1846, in cui denuncia la retratezza dello Stato della Chiesa.
Nel 1847 D'Azeglio stende a un'altra parte la proposta di un programma per l'opinione nazionale italiana, Manifesto del Partito Liberale Moderato. La proposta è un documento collegiale. I suoi contenuti sono concordati con gli altri maggiori rappresentanti del liberalismo italiano. In esso si esprime la volontà di smetterla con le congiure, si pone come obiettivo finale l'unità nazionale e si accetta la guida di Carlo Alberto di Savoia, re di Sardegna dal 1831, come garante dell'ordine. L'Italia ha bisogno di una guida.
Secoli di guerre intestine e invasioni non sono state gentili con la penisola. Ma poco a poco, con grande impegno, il popolo italiano può sognare in grande. Non sarà abbastanza, ma un biegno di riforme può iniziare a colmare un divario quasi incolmabile.
A metà del 1800 la penisola italiana è ancora divisa, sfruttata e arretrata. Ma per fare l'Italia si deve partire dalle basi, dall'economia e dalle riforme. Non sarà un'impresa facile.
L'economia italiana in questo momento può essere definita con una sola parola arretrata il 70% della popolazione è impiegato nell'agricoltura e lavora in grandi latifondi poco produttivi solo il 18% della popolazione lavora nelle poche industrie presenti Il restante 12% è occupato nel settore terziario. Dal 600 la situazione dei contadini italiani non è molto cambiata e due secoli di stagnazione economica hanno affossato la penisola. La condizione degli italiani poi non è delle migliori. Per colpa di un regime alimentare poco equilibrato, la pellagra affligge le masse contadine. La vita media nei campi è di circa 35-40 anni.
Le precarie condizioni igieniche causano focolai delle più svariate malattie, epidemie di tubercolosi, vaiolo, tibia... e colera si presentano ciclicamente. Per di più, data la diffusione di vaste aree paludose, la malaria, trasmessa dalle zanzare, falcidia la popolazione italiana. In questo periodo il settore industriale è composto da manifatture di piccole dimensioni, dominate dalla produzione tessile, siderurgica e meccanica.
Il lavoro a domicilio, sintomo di arretratezza produttiva, è ancora molto diffuso. La rivoluzione industriale stenta a decollare. Qual è la causa di questo mancato sviluppo? Prima di tutto non c'è un'evoluzione.
un ceto imprenditoriale dotato di iniziative e di risorse da investire nell'economia. Secondariamente, in Italia non ci sono banche o sistemi creditizi adeguati. E terzo, il mercato interno alla penisola è troppo piccolo e provinciale.
La frammentazione in tanti piccoli stati, ognuno con propri confini, dazi e tariffe, uccide le possibilità economiche dell'Italia. Mancano anche i trasporti. Non esiste nessuna ferrovia che colleghi il nord con il sud.
Nonostante lo stato abbastanza disastroso dell'economia italiana, italiana, iniziano ad essere promosse le prime riforme politiche per migliorare la situazione. A livello politico, tra il 1846 e il 1848, si avvia un processo di riforme che avrebbe portato tutti gli stati della penisola ad adottare il sistema monarchico-costituzionale. Ad avviare questa nuova stagione di riforme è il nuovo pontefice, Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti, eletto nel 1846. Pio IX raccoglie intorno a sé le simpatie dei liberali e la sua popolarità è aiutata.
aiutata indirettamente dal tentativo dell'Austria di fermare l'elezione. Il nuovo papa diventa così molto popolare nella penisola. Il primo atto di Pio IX nel 1847 è la concessione di un'amnistia per i reati politici. Ad essa seguono alcune riforme istituzionali di stampo liberale. Viene limitata la censura e si istituisce una consulta di Stato, un organo di consiglio non elettivo composto di cittadini dello Stato pontificio.
Finalmente i laici entrano nel governo delle terreni. re di San Pietro. La polizia pontificia, autrice di infinite persecuzioni e violenze, viene sostituita da una guardia civica, un corpo formato da cittadini volontari. Dopo queste riforme non si fanno attendere le manifestazioni patriottiche. Davanti alle scritte Viva Pio Nono, l'Austria inizia a insospettirsi.
Per riprendere il controllo della situazione, gli austriaci ad agosto entrano nei territori pontifici e occupano Ferrara. Questo intervento porta Carlo Alberto di Savoia ad offrire il suo appoggio alla Santa Sede. Lo stesso ma...
Mazzini da Londra inviò una lettera di supporto al Papa, mentre Garibaldi, che aveva fatto fortuna tra i rivoluzionari sudamericani, offre la sua spada in aiuto. Gli austriaci si ritirano. Ma il popolo rimane comunque in agitazione.
Leopoldo II di Toscana e Carlo Alberto decidono di seguire la via delle riforme indicata dal Papa. Ed è in questo periodo che il sogno di D'Azeglio sembra prendere piede. Pio IX, Carlo Alberto e Leopoldo II fioriscono. firmano il 13 novembre 1847 i preliminari per la creazione di una Lega Doganale per tutti gli stati italiani. Contraria alla Lega sono i duchi di Parma e di Modena con il re di Napoli.
In risposta i tre decidono di firmare una convenzione militare con la Lega. con l'Austria. Il Regno delle Due Sicilie è l'unico che non si muove di un millimetro per quanto riguarda le riforme.
Ferdinando II di Borbone è un intransigente convinto. Questa politica determina sempre più malcontento fra i sudditi del Mezzogiorno e basta poco per arrivare alla violenza. L'Italia tra il 1845 e il 1847 è investita da una crisi economica che esaspera i sudditi del Regno delle Due Sicilie. Il 12 gennaio 1848 scoppia a Palermo un'insurrezione separatista, cappeggiata da Rosolino Pilo e Giuseppe Lamasa.
La rivolta, supportata sia dal popolo che dagli aristocratici, si estende rapidamente all'intera Sicilia. Ferdinando II. mondo non riesce a gestire la situazione e per guadagnare consensi cede alla richiesta dei liberali e decide di concedere una carta costituzionale al regno.
È il 29 gennaio 1848. Ma i ribelli siciliani non si placano. Il 2 febbraio gli isolani avrebbero creato un loro governo provvisorio. Davanti a questa situazione anche gli altri regnanti della penisola vengono costretti dalle piazze a seguire l'esempio di Napoli. Il 17 febbraio 1848 è il turno del Gran Ducato di Toscana di concedere una carta costituzionale.
Il 4 marzo il re di Sardegna concede quello che diventerà noto come Statuto Albertino. Infine tocca al Papa il 14 marzo. I nuovi statuti si ispirano alla Costituzione francese del 1830 ma, grande differenza, sono Sono carte ottriate, ovvero concesse dai monarchi e non forzate dal popolo.
Questo vuol dire che i monarchi possono inserire numerose clausole per creare una monarchia costituzionale in cui controllano tutte le leve del potere. Lo statuto albertino, il più longevo, istituisce ad esempio una camera dei deputati eletta a base censitaria e un senato di nomina regia. Il sovrano mantiene il potere esecutivo, mentre il potere giudiziario passa a magistrati nominati dalla corona. Mentre i regnanti italiani sono impegnati a placerare la sua vita.
placare il popolo, al di là delle Alpi è iniziato qualcosa di grande, qualcosa di rivoluzionario. Venti del cambiamento spirano dalle Alpi, attraversano la pianura padana e arrivano a Roma. Un periodo di caos attende l'intera penisola.
Una cosa è certa, sarà un 48. Mentre i regnanti italiani sono impegnati a riformare i propri domini, al di là delle Alpi sta accadendo di tutto. Nel marzo del 1848, Vienna, la capitale dell'impero austriaco, insorge. Non ci sarà mai più un'occasione del genere.
fare l'Italia. Bisogna agire. Il 17 marzo 1848 dagli arsenali di Venezia parte la rivolta.
Le carceri sono prese d'assalto. Vengono liberati Daniele Manin, avvocato e leader dei democratici, e Niccolò Tommaseo. scrittore cattolico liberale il 22 marzo viene proclamata la Repubblica di San Marco il leone alato torna sui pennoni di Venezia il giorno dopo è formato il nuovo governo presieduto da Manin l'altra città più importante del Lombardo Veneto, Milano, insorge il 18 marzo operai e borghesi si uniscono nella lotta contro gli austriaci sono erette barricate svuotate le armerie e organizzate squadre di patrioti mentre stanno volando i primi proiettili i milanesi danno vita ad un consiglio di guerra capeggiato da Carlo Cattaneo. Le cinque giornate di Milano sono vittoriose.
L'aristocrazia liberale il 22 marzo dà vita ad un governo provvisorio mentre il comandante austriaco Josef Radeschi si ritira dalla città. La direzione delle colonne austriache è il quadrilatero, un insieme di fortificazioni formati da Mantua, Peschiera, Verona e Legnago. Alla notizia delle ribellioni di Venezia e Milano anche i ducati di Parma e Modena insorgono.
I sovrani vengono allontanati e vengono nominati golosi. governi provvisori con un unico obiettivo, cacciare gli austriaci dall'Italia e abbattere l'antico regime. Gli obiettivi comuni però non bastano. Inizia uno scontro interno tra i liberali, formati da aristocratici e borghesi, e i democratici, formati dai ceti più bassi. Le tensioni esplodono quando i liberali, per evitare che le rivolte assumano una deriva repubblicana, convincono Carlo Alberto di Savoia ad intervenire.
Carlo Alberto decide di intervenire per vari motivi, non del tutto patriottici. Primo, la richiesta d'aiuto della ristruttura. aristocrazia lombarda. Secondo, i moderati piemontesi come il conte di Cavour, Balbo ed Azzeglio spingono per l'intervento.
Ma non è tutto. Lasciare Milano ai democratici è una promessa di nuove rivoluzioni. nella penisola.
Infine, i Savoia cercavano da generazioni di oltrepassare il Ticino per espandere i propri territori. L'occasione è troppo grande per conquistare una delle città più grandi d'Italia. Così, il 23 marzo 1848, il regno di Sardegna è pronto.
Viene dichiarata guerra all'Austria. Le truppe piemontesi iniziano a mobilitarsi. È iniziata la prima guerra d'indipendenza.
La notizia dell'intervento Sabaudo irrita Cattaneo, convinto repubblicano, mentre Mazzini riappara a Milano dal suo esilio scolastico. londinese. Mazzini avrebbe deciso in quel periodo di sciogliere la giovine Italia, ormai sfaldata, per fondare un nuovo movimento e continuare a combattere per la Repubblica, l'Associazione Nazionale Italiana. Mentre le truppe sabaudi si stanno organizzando, iniziano ad arrivare in Piemonte volontari da tutta Italia e anche dall'estero. Perfino Garibaldi lascia l'America Latina per andare in aiuto alla causa.
Per evitare una deriva democratica, Ferdinando II di Napoli, Leopoldo II di Toscana e Papa Pio IX decidono di inviare truppe regolari in aiuto a Carlo Alberto. Si sta avverando il sogno federalista di Gioberti, Balbe e D'Azeglio, ma il re di Sardegna ha altri piani. Carlo Alberto, entrato in una Milano ormai in festa, è più interessato ad annettere la Lombardia che a liberarla, mentre il fronte comune si inizia a sfaldare.
Pio IX, per paura di rotture con l'Austria cattolica, decide di ritirare le proprie truppe. L'allocuzione, ovvero il discorso, non semel, del 29 aprile 1848, è la tomba della fase federalista. Il Papa afferma che, dato il suo ruolo religioso, non può aiutare oltre la causa nazionale. Pio IX, da eroe della causa italiana, ne diventi improvvisamente nemico.
Il piano neo-guelfo sia Arena e i cattolici italiani sono davanti ad un grande dilemma. Seguire il patriottismo o la propria guida spirituale? Anche il fronte nazional liberale va in pezzi.
Il 15 maggio Ferdinando II ritira le truppe e, con un colpo di Stato, scioglie il Parlamento appena eletto. indicendo nuove elezioni. La guerra però deve continuare, anche se starà solo Savoia a combatterla.
Dopo alcuni successi piemontesi, al Ponte di Goito a inizio aprile e poi a Pastrengo poco dopo, il maresciallo Radezchi, ricevuti rinforzi da Vienna, inizia il contrattacco. A salvare la situazione ci pensano i volontari, in particolare gli studenti universitari di Pisa e Siena, arrivati con i reparti regolari toscani, guidati da Cesare de la Gé. A Cortatone e Montanara, il 29 maggio, gli austriaci vennero. vengono respinti e il giorno dopo, alla fortezza di Peschiera, le forze austriache si arrendono. Ma la felicità per la vittoria avrà vita breve.
Dopo aver annesso allo stato Sabaudi territori liberati con un plebiscito, i piemontesi si presentano a Custozza per affrontare le austriaci in una battaglia decisiva. Tra il 23 e il 25 luglio 1848 si consuma la battaglia che avrebbe deciso l'intera guerra. Radezchi spezza la resistenza piemontese e Carlo Alberto si ritira a Milano.
Davanti all'avanzata del maresciallo l'esercito sabaudo abbandona Milano, accompagnato dalle maledizioni dei milanesi, lasciati al loro destino. Il 9 agosto non c'è più nulla da fare. Il generale Carlo Canera di Salasco firma a nome di Carlo Alberto l'armistizio con l'Austria. La guerra è persa.
I piemontesi vengono costretti ad abbandonare tutti i territori conquistati nel Lombardo Veneto. Milano è di nuovo occupata dagli austriaci e i ducati emiliani sono riconsegnati ai loro regnanti legittimi. La prima fase dello scontro per l'indipendenza.
La tendenza si è conclusa. Il Regno di Sardegna non è riuscito a radunare abbastanza forze per cacciare gli austriaci. Il federalismo ha fallito. Il new-welfismo non esiste più.
La giovane Italia è stata sciolta. I democratici e i moderati non riescono ad andare d'accordo. La situazione è instabile. Una sola cosa è certa.
Se si vuole fare l'Italia unita, la via da percorrere rimane una sola. la guerra. Carlo Alberto è tornato al di là del Ticino per leccarsi le ferite e riorganizzarsi. Salasco avrà pur firmato un armistizio, ma lo scontro è appena iniziato. Il ritiro inglorioso dei piemontesi a Ovest aveva sconvolto la popolazione del Lombardo-Veneto.
Non potranno contare che su di loro stessi per essere liberi. I democratici si stanno preparando. È il loro momento per riuscire dove i Savoia hanno fallito. La Vagnese è la prima.
tricolore sventolerà di nuovo nei cieli d'Italia. La Repubblica di San Marco continua a resistere ben sapendo di essere circondata, mentre in Sicilia la rivoluzione separatista continua. Dopo il fallimento piemontese, i Borbone decidono di sedare la rivolta sull'isola. una volta per tutte.
Messina viene bombardata per ordine di Ferdinando II, che per questo sarebbe stato soprannominato Re Bomba. Nello stato della chiesa i democratici fanno la loro mossa. Il 15 novembre del 1848 il ministro Pellegrino Rossi viene assassinato. La morte di Rossi un giurista moderna.
Il reato è contrario alla guerra all'Austria, mette in crisi il potere del pontefice. Pio IX, alla richiesta del popolo di convocare un'assemblea nazionale costituente, decide di lasciare Roma e a novembre si rifugia a Gaeta, sotto la protezione di Ferdinando II. A gennaio del 1849 si vota nei territori pontifici per formare l'Assemblea Costituente. Tra gli eletti troviamo anche Mazzini e Garibaldi.
Il 9 febbraio l'Assemblea, dominata dai democratici, dichiara decaduto il potere temporale dei papi e annuncia annuncia, in un clima di festa, la nascita della Repubblica Romana. Gli avvenimenti a Roma investono anche il Gran Ducato di Toscana. Leopoldo II perde il controllo della situazione e decide di abbandonare Firenze per andare a Siena e poi a Santo Stefano. In questo periodo viene formato un triunvirato composto da Giuseppe Montanelli, reduce della battaglia di Curtatone, il democratico anticlericale Francesco Domenico Guerrazzi e il federalista Giuseppe Mazzoni.
Il 15 febbraio 1849 nasce ufficiale. la Repubblica Toscana, mentre anche Leopoldo fugge a Gaeta da Ferdinando II, raggiungendo così il Papa. Il 29 marzo 1849 viene formato un altro triunvirato, questa volta a Roma. Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini e Aurelio Saffi guidano la Repubblica Romana. I triunviri si mettono al lavoro per riformare lo Stato.
Viene abbozzata una riforma agraria basata sulle terre confiscate al clero e i tribunali ecclesiastici vengono aboliti. La Repubblica Romana chiama raccolta patrioti da tutta la penisola. Carlo Pisacane, veterano delle rivolte francesi, e Goffredo Mameli, autore del canto degli italiani, raggiungono la città eterna. Nello stesso periodo a Torino, la guida del governo passa dal moderato Giuberti al generale Agostino Chiodo. Nubi di guerra si addensano sul nord Italia.
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Bisogna ritornare a combattere. Viene appositamente chiamato un generale esperto, il polacco Wojciech Kranowski, per assumere la guida dell'esercito. L'armistizio di Salasco viene stracciato. Il 12 marzo il regno di Sardegna scende di nuovo in guerra contro l'Austria. Il 20 marzo hanno inizio ufficialmente le operazioni militari.
L'esercito piemontese, forte di 100.000 uomini, si prepara allo scontro con Radeschi. Ma il maresciallo austriaco è molto scaltro, approfittando di uno scontro tra generali piemontesi su dove posizionarsi per... per fermare gli austriaci, spezza le forze di Carlo Alberto Novara. È una disfatta. L'esercito piemontese è totalmente sconfitto.
La seconda fase della guerra è durata meno di cento ore, circa tre giorni. Davanti a questo ennesimo insuccesso è arrivata l'ora della verità per Carlo Alberto. Il re di Sardegna non ha via d'uscita.
Il giorno stesso della sconfitta di Novara decide di abdicare. Lascia il trono a suo figlio, Vittorio Emanuele II, per poi ritirarsi a Oporto, in Portogallo. Il governo passa ad un altro militare, Claudio Gabriele, dell'ONEE. Dopo aver liquidato l'esercito sabaudo, l'esercito austriaco inizia la sua vendetta contro le città che si erano sollevate in attesa dei piemontesi. Brescia si trova circondata.
Guidata da Tito Speri, resiste alla sede austriaco per dieci giornate, dal 23 marzo al primo d'aprile. Per questo coraggio Brescia sarebbe stata battezzata da Gesù e Carducci la Leonessa d'Italia. Mentre Brescia sta eroicamente resistendo, il 24 marzo... Marzo 1849, Radeschi e Vittorio Emanuele II si trovano a Vignare per firmare un nuovo armistizio. Le condizioni poste dall'Austria non sono dure per il regno di Sardegna, che però subisce l'occupazione del Piemonte, almeno fino alla pace di Milano, del 6 agosto 1849. Fra le clausole, Torino viene anche costretta a pagare un'indenità di 5 milioni di franchi a Vienna.
Gli austriaci decidono di non infierire. Vittorio Emanuele II infatti viene visto come unico argine ai democratici che animano il Parlamento. di Torino, guidato dal 7 maggio dal governo di Massimo D'Azeglio.
Per questo motivo si decide di non toccare lo statuto albertino, rendendo Vittorio Emanuele II regalantuomo. Questo rende il Regno di Sardegna l'unico Stato costituzionale riconosciuto in Italia. Infatti, per quanto riguarda tutte le repubbliche nate durante questo periodo, il loro destino è segnato.
Pio IX invoca l'aiuto dei sovrani cattolici per ritornare a Roma. L'Austria, la Spagna, il Regno delle Due Sicilie e la Francia di Luigi Napoleone rispondono alla chiamata. Ed è proprio la Francia ad inviare a Roma il corpo di spedizione più grande di tutti, guidato dal generale Audinot.
Mentre le truppe austriache occupano Bologna e Ancona e i Borboni avanzano da sud, i repubblicani capiscono di non avere più tempo. L'unica speranza è nella resistenza popolare, ma poche migliaia di uomini mal addestrati non possono fare nulla contro così tante forze nemiche. Durante l'assedio della città di Roma, il giovane Mameli viene colpito a morte mentre Garibaldi si ritira davanti a lui. la situazione disperata. Il 3 luglio, poco prima della caduta di Roma, viene promulgata la Costituzione della Repubblica Romana, futura base costituzionale per gli ideali democratico-repubblicani.
Il 4 luglio Roma smette di combattere. Garibaldi decide di spostarsi a Venezia, ormai ultima roccaforte repubblicana in Italia. Ormai allo stremo, assediata dai nemici e sfinita dal colera.
La Repubblica di San Marco resiste fino al 24 agosto 1849, quando Venezia si arrende agli austriaci. Garibaldi, con un centinaio di volontari, non sarebbe mai arrivato in tempo. Inoltre, la moglie del generale, Anita, sarebbe morta a Ravenna, per la durezza del viaggio, il 4 agosto 1849. La stagione delle rivoluzioni democratiche finisce con il ritorno sul trono di Leopoldo II in Toscana, di Ferdinando II a Napoli e di Pio IX a Roma. Vengono abolite gran parte delle riforme, e inizia un lungo periodo di feroce repressione.
Numerosi patrioti vengono giustiziati, incarcerati o costretti all'esilio. Ma non tutto è perduto. Il nuovo re di Sardegna, Vittorio Emanuele II, ha intenzione di riuscire dove suo padre ha così sonoramente fallito. Ma il nuovo re da solo non può fare tanto. Ha bisogno di un grande ministro per andare lontano.
E a Torino sembra proprio che l'abbia trovato. Alla fine, dopo i grandi moti partiti nel 48, la situazione sembra essere tornata alla calma. Ma insieme a vecchie conoscenze si stanno facendo avanti nuovi protagonisti sulla penisola. Saranno loro a fare l'Italia?
Nonostante il fallimento delle repubbliche, nate dal 48, a Venezia, Firenze e Roma, le forze democratiche non si sono arrese. Il punto di riferimento dei democratici è l'eroe dei due mondi, chiamato così per la sua esperienza in Sud America, Giuseppe Garibaldi. È lui il braccio armato del pensiero mazzano. ma mentre i democratici cercano di riorganizzarsi, i liberali moderati prendono sempre più forza. Dopo l'abdicazione del padre Carlo Alberto, il nuovo re di Sardegna, Vittorio Emanuele II, ha deciso di mantenere invariata la Costituzione del Regno, lo Statuto Albertino.
Infatti, nonostante lo spirito liberale, lo Statuto garantisce tantissimi poteri al re, come si può vedere alla firma del Trattato di Pace con l'Austria. Davanti alle resistenze del Parlamento, che non vuole in alcun modo scendere a patti con l'Austria, hanno vinto. A novembre del 1849 la Camera Bassa viene sciolta dal re.
Vengono indette nuove elezioni. Per assicurarsi che il governo d'Azeglio possa firmare la pace, con il proclama di Moncalieri il re chiede ai suoi sudditi di votare politici più moderati favorevoli alla pace di Milano, lasciando una velata minaccia in caso contrario. Questa promessa, questi giuramenti, io li adempio disciogliendo una Camera diventata impossibile. Li adempio convocandone un'altra immediatamente.
Ma se il paese, se gli elettori negano il loro concorso, non su me ricadrà oramai la responsabilità del futuro. E né disordini che potessero avvenire non avranno a dolersi di me, ma avranno a dolersi di loro. La nuova Camera, come auspicato da Vittorio Emanuele II, è a maggioranza moderata.
Il primo atto dei nuovi parlamentari è l'approvazione del Trattato di Pace all'inizio del 1850. Dopo aver messo da parte la pace con Vienna, è tempo di riforme. Il re decide di assecondare il programma di modernizzazione del regno, promosso dal presidente del consiglio, Massimo D'Azeglio. In questo clima di riforme, il ministro di Grazia, Giustizia e Affari Ecclesiastici, Giuseppe Siccardi, presenta alle Camere tre nuovi disegni di legge. Il rapporto Stato-Chiesa deve essere rivisto. Le leggi Siccardi vogliono spezzare il rapporto tra Stato e Chiesa, basandosi sull'abolizione di numerosi e antichissimi privilegi ecclesiastici.
Tra questi, il diritto di asilo, ovvero il diritto di rifugiarsi in Chiesa. per sfuggire alla giustizia dello Stato, il foro ecclesiastico, cioè i tribunali speciali della Chiesa, e infine la mano morta. la tanto odiata inalienabilità dei beni ecclesiastici.
Nonostante le resistenze del Senato, le leggi siccardi vengono approvate. Il Regno di Sardegna inizia qui la sua laicizzazione, ma D'Azeglio si spinge troppo oltre. Nel 1850...
viene presentata alle Camere una legge per l'istituzione del matrimonio civile. La Camera approva la proposta, ma era in persona, si oppone. D'Azeglio è costretta a dimettersi il 22 ottobre.
Per rimpiazzare D'Azeglio viene chiamato un nobile piemontese, economista di Garzini. grande esperienza. Camillo Benso, conte di Cavour. Ma chi è questo conte? Cavour è un uomo che guarda al futuro, favorevole alle innovazioni tecnologiche nell'industria e nell'agricoltura piemontese.
Lui stesso aveva dato l'esempio con gli investimenti nella sua tenuta di Leri, nelle terre di Vercelli. Inoltre ha girato l'Europa. Dopo essere stato in Svizzera, Francia, Regno Unito e Belgio, era tornato in Italia con le idee molto chiare su cosa fare.
Nel 1847 Cavour aveva fondato con Cedro. Cesare Balbo, il giornale Il Risorgimento, e si era buttato in politica collezionando ministeri durante il governo d'Azeglio. L'11 ottobre 1850 era stato chiamato a ricoprire il ruolo di ministro dell'agricoltura e del commercio, con anche il ruolo di gestione e ammodernamento della marina militare.
Il 19 aprile 1851 diventava anche ministro delle finanze. Convinto sostenitore del liberalismo, Cavour crede nelle riforme come base di un progresso ordinato e graduale. Difide invece delle grandi riforme.
rivoluzioni come quelle mazziniane. Per quanto riguarda il diritto di voto il conte diffida del suffragio universale ma crede nella bontà della rappresentanza. La sua politica è parlamentarista e costituzionalista. Cavour crede inoltre nella libertà economica come forma di libertà politica.
La sua dottrina economica è liberista e pragmatica, sempre in nome del progresso. Infine per la questione più spinosa di tutte, ovvero come fare l'Italia, Cavour crede nella via diplomatica in diretto contrasto con Mazzini. L'idea di Cavour è semplice. Il regno di Sardegna si deve allargare a danno degli austriaci per creare un regno dell'Alta Italia.
Il regno di Savoia era diventato in questo periodo il faro del processo risorgimentale. La borghesia liberale italiana si ritrova in Piemonte. Circa 25.000 rifugiati politici si riversano nelle terre di Vittorio Emanuele II, animando così il dibattito interno e integrandosi nella classe dirigente del regno. Con tutte queste premesse, Cavour, forte anche di un ampio successo, supporto parlamentare, è la persona giusta per ricoprire la carica di Presidente del Consiglio. Il suo mandato è inizio il 4 novembre 1852. Inizia qui il grande Ministero di Cavour, che avrebbe ricoperto la carica di Presidente del Consiglio, con qualche breve interruzione, fino alla sua morte.
Cavour inizia cercando di garantirsi il supporto di un'ampia maggioranza parlamentare. Già a dicembre del 1852 riesce ad unire il centro-destra, di cui è leader, e il centro-sinistra, guidato da Urbano Rattato. Questo accordo viene definito connubio, un termine ideato dalle opposizioni per definire questo bizzarro matrimonio politico.
Cavour in questo modo si assicura un'ampia maggioranza centrista, da cui sono esclusi i radicali democratici di sinistra e la vecchia aristocrazia fondiaria e clericale di destra. Inizia così un nuovo corso per la politica piemontese, il liberismo pragmatico. Grazie al connubio si uniscono la nobiltà progressista di Cavour e la borghesia imprenditoriale di Rattazzi, chiamato come ministro di grazia e giustizia.
e affari ecclesiastici nel governo. La maggioranza è solida, le riforme sono pronte per essere votate. Durante il governo Cavour si avvia l'amodernamento del Piemonte.
Il Regno di Sardegna inizia a recuperare il terreno perso rispetto alle altre potenze europee. Partiamo dalle riforme economiche, avviate quando il Conte era ancora Ministro delle Finanze. Vengono liberalizzati gli scambi con l'estero, grazie ad accordi stretti con Francia, Belgio, Austria e Regno Unito.
Vengono eliminati i dazzi sul grano, si amplia il sistema stradale e ferroviario. inizia la costruzione del traforo ferroviario del Frejus e infine viene ampliato e ammodernato il porto di Genova. Cavour è attento anche alla produzione interna. Per favorire la coltivazione del riso viene costruito un complesso sistema di irrigazione intorno a Vercelli e Novara. Lo Stato inizia ad inserirsi nella produzione industriale pesante, sostenendo con i fondi statali la nascita di nuove acciaierie e industrie meccaniche.
Per esempio nel 1853 viene fondata l'acciaieri Ansaldo di San Pierdarena a Genova. In ambito finanziario viene fondata la Banca Nazionale negli Stati Sardi, specializzata in prestiti ed autorizzata ad emettere cartamoneta. A livello militare il governo decide di riorganizzare l'esercito e la marina, rendendo la Spezia una delle basi militari più grandi d'Italia. Per permettersi tutto questo però il governo è costretto ad aumentare le tasse.
Piuttosto che introdurre delle imposte progressive si decide di aumentare quelle dirette e indirette, che colpiscono tutti i cittadini. Questo è il momento. modello di tassazione a tappeto un po'che accrescere gli squilibri sociali e colpisce molto di più la Sardegna rispetto ad altri territori continentali.
La Sardegna viene vista più come una riserva di risorse naturali, in particolare il legname, per le industrie piemontesi e liguri. Per questo, a suon di disboscamento, e investimenti quasi nulli viene lasciato indietro. Il governo cerca disperatamente altri fondi.
Nel 1855 viene discussa la leggera Tazzi con cui si chiede lo scioglimento degli ordini religiosi contemplativi e l'incameramento dei loro beni nelle case. dello Stato. Si scatena così nel 1855 la crisi calabiana dal nome del vescovo Luigi Nazari di Calabiana, a capo di chi si oppone a questa legge vista come anticlericale ed estremista.
Vittorio Emanuele II interviene e Cavour decide di dare le dimissioni, subito rientrate. Si trova infatti, in puro stile cavouriano, un compromesso. La posizione di Cavour sulla faccenda si riassume con un'unica formula, libera chiesa in libero Stato.
L'idea è di una chiesa senza alcun tipo di privilegio e che non è una chiesa di un'unica vita. e come unico ruolo quello di guida delle anime. La crisi calabiana rientra.
Cavour avvia il suo secondo governo e riesce a far votare la legge sui conventi. Le casse dello Stato si riempiono. Più nono non rimane a guardare.
Il 26 luglio da Roma arriva una scomunica per tutti coloro che avevano proposto e approvato la legge. Cavour, Rattazzi, buona parte dei politici di entrambe le camere e perfino re Vittorio Emanuele II vengono scomunicati. Grazie a Cavour il Piemonte ha fatto uno scatto in avanti. Ma la strada è ancora lunga. Il regno di Sardegna si sta preparando ad un nuovo scontro, ma ha bisogno di alleati.
Vittorio Emanuele II e Cavour osservano la mappa del regno e i suoi confini. Si dovrà di nuovo marciare ad est, oltre il Ticino, contro l'Austria. Ma questa volta saranno pronti. L'Italia si dovrà fare, a qualunque costo. Dopo il fallimento della prima guerra di indipendenza, il Piemonte, grazie a Vittorio Emanuele II e a Camillo Benso, conte di Cavour, sta diventando il faro per tutti i patrioti d'Italia.
Nonostante la sfida sembri impossibile, l'Austria deve essere sconfitta. Iniziano i preparativi per una nuova guerra, per una nuova Italia. Mentre il Regno di Sardegna si sta prendendo al futuro, gli altri stati italiani rimangono ancorati al passato. Tutti gli statuti votati dai governi provvisori del 48 vengono revocati dai regnanti che erano stati spodestati dai rivoltosi. Ferdinando II di Borbone nelle due Sicilie, Leopoldo II in Toscana, Francesco V a Modena e Carlo III a Parma.
La repressione e le condanne colpiscono quasi tutta la penisola. In Toscana vengono incarcerati Francesco Domenico Guerrazzi e Giuseppe Montanelli. A Napoli Luigi Settembrini e Silvio Spavento. venta. Anche nel Lombardo Veneto il maresciallo Radezchi, ora governatore, per gestire i suoi territori opta per una dittatura militare.
Molti fra i condannanti della repressione decidono di rifugiarsi in Piemonte. Nonostante tutto la speranza di una rivolta armata vittoriosa rimane alta, ma i risultati sono sempre gli stessi. L'insurrezione di Belfiore presso Mantova porta solamente al patibolo altri mazziniani.
Il 3 marzo 1853 vengono impiccati Tito Speri e altri nove patrioti. Mazzini? Quindi in tutto questo non ha abbandonato il suo ruolo di cospiratore e nel marzo del 1853 fonda, dalle ceneri dell'Associazione Nazionale Italiana, il Partito d'Azione. Le tesi del nuovo partito sono condivise da Giuseppe Ferrari e Carlo Pisacane. Solo affrontando la questione sociale i moti avrebbero raggiunto il cuore del popolo.
Le riforme agrarie possono essere la base dell'insurrezione. Una delle idee più importanti è di escludere i Savoia dal processo unitario, dandogli così uno spirito democratico. Nel 1856 il partito d'azione, dopo anni di preparativi, è pronto per testare le sue teorie.
Carlo Pisacane punta una località a sud di Salerno, incuneata tra Campania e Basilicata, Sapri. L'obiettivo della spedizione è sbarcare in una delle aree più depresse del mezzogiorno, difficile da raggiungere via terra, ma con un facile accesso via mare. Da qui si sarebbe fomentata una rivolta armata, contadina, nelle due Sicilie.
Il 28 giugno 1857, Pisacane e altri 300, dopo un viaggio avventuroso, e dopo aver perso buona parte delle armi in mare, sbarcano in Cilento. La popolazione rurale però, invece che accogliere la spedizione a festa, attacca i patriotti aiutando la gendarmeria borbonica. Pochi e male armati, gli uomini della spedizione sono massacrati.
I superstiti vengono catturati e giustiziati. Isacane, ferito, braccato e consapevole del fallimento totale, decide di uccidersi. Il cocente fallimento della spedizione di Sapri alimenta le critiche alle posizioni mazziniane, aiutando invece la linea moderata a Filosabauda. La società ritiene che tutte le forze politiche, sia moderate che democratiche, debbano sostenere il Piemonte, riconoscendolo come guida del movimento risorgimentale.
Il nobile milanese Giorgio Palavicino è chiamato a ricoprire la presidenza della società. Al progetto partecipa anche Giuseppe Garibaldi, con il ruolo di vicepresidente. Il motto della società nazionale italiana è Vittorio Emanuele, re d'Italia.
Nel manifesto programmatico si dichiara necessario anche il coinvolgimento popolare come via per l'unificazione. Cavour può ritenere si soddisfatto. Le tesi del maggiore rivale alla corsa unitaria Mazzini hanno appena mostrato tutti i loro limiti. Inoltre la società appena nata sposa in pieno gli interessi piemontesi.
L'obiettivo del conte rimane uno, l'unificazione dell'alta Italia e la cacciata degli austriaci. Ma come fare? Per Cavour è necessario far uscire il regno di Sardegna dall'isolamento diplomatico di cui soffre da quasi un secolo. Per vincere bisognerà trovare amici e alleati. Il nuovo passo per Cavour è diplomatizzare.
il Risorgimento. Nel 1854 lo Stato sabaudo decide di partecipare alla guerra di Crimea sotto invito anglo-francese. Teoricamente il Piemonte non ha alcun interesse nel Mar Nero o nei conflitti russo-ottomani, ma per Cavour c'è qualcosa da guadagnare, farsi notare dall'Europa. 18.000 soldati, guidati dal generale Alfonso Ferrero la Marmora, vengono inviati in Crimea. Il corpo di spedizione piemontese si sarebbe distinto nella battaglia del fiume Cernaia, il 16 agosto 1855. della guerra, con poche perdite in battaglia ma ben 1500 morti di colera, Cavour può partecipare come vincitore al congresso di pace di Parigi del 1856. Il successo nella guerra è un successo d'immagine.
Dopo l'avventura in Crimea, il Piemonte attira le simpatie dell'opinione pubblica europea. Ed è proprio a Parigi che Cavour inizia a intrecciare una tela di rapporti diplomatici con l'imperatore dei francesi, Napoleone III. Napoleone III ha le sue ragioni gli austrieci dall'Italia avrebbe aiutato la Francia a rafforzare la sua egemonia sul continente. Inoltre, Cavour evidenzia una cosa. Più l'Italia rimarrà divisa, più i moti insurrezionali aumenteranno, causando instabilità nel continente.
La conferma di questa teoria arriva il 14 gennaio 1858, quando, a Parigi, Napoleone III subisce un attentato da parte di un patriota italiano, Felice Orsini. Orsini, democratico e legato all'ormai sciolta Giovine Italia, viene arrestato e colpito. condannata a morte il 13 marzo 1858. L'evento però lascia una forte impressione nella mente dell'imperatore.
Napoleone III, ancora scosso, è decisamente più convinto a sostenere le teorie di Cavour. Tutto è pronto per un incontro epocale. Tra il 20 e il 21 luglio 1858 vengono firmati, nella località termale di Plombier, accordi segreti tra Cavour e Napoleone III.
Gli accordi di Plombier stabiliscono che la Francia sarebbe entrata in guerra contro l'Austria se, e solo se, attaccato per prima nel Regno di Sardegna. In caso di vittoria, l'Italia sarebbe stata divisa in questo modo. Al nord, liberato dalle austriaci, sarebbe nato il Regno dell'Alta Italia, sotto Vittorio Emanuele II.
Al centro, un regno formato dalla Toscana e dei territori pontifici, retto da Leopoldo II o, nel caso, da Maria Luisa di Borbone, duchessa di Parma. Roma e il territorio circostante sarebbero andati al pontefice, sotto protezione francese. Al sud, il Regno delle Due Sicilie sarebbe rimasto ai Borbone, oppure affidato a un regno di Sardegna. dato al principe Luciano Murat, figlio del Gioacchino dei tempi napoleonici. Questi quattro stati avrebbero formato una confederazione guidata dal papa, come risarcimento per le perdite territoriali dello stato pontificio.
In cambio dell'aiuto promesso, la Francia avrebbe ricevuto dal Piemonte Nizza e la Savoia. Il 10 gennaio 1859 Vittorio Emanuele II decide di fare il passo decisivo. In un discorso davanti al Parlamento, passata la storia come discorso della corona, afferma. Il nostro paese...
piccolo per territorio acquistò credito nei consigli d'Europa perché grande per le idee che rappresenta per le simpatie che esso ispira questa condizione non è scevra da pericoli, già che nel mentre rispettiamo i trattati noi non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di noi dopo questo discorso il 24 gennaio del 1859 il regno di Sardegna e la Francia firmano un trattato ufficiale di alleanza basato come a plombier sul concetto di intervento nel solo caso di aggressione austriaca. Venuto a sapere di questi accordi, Mazzini è furioso. Cavour sta demolendo il suo sogno unitario e democratico, alleandosi con una potenza straniera.
Il conte diventa per i mazziniani un traditore della patria. La frattura tra democratici e moderati diventa insanabile. Nel frattempo, truppe piemontesi si avvicinano al confine del Ticino, affiancate da un corpo di volontari guidato da Giuseppe Garibaldi, i cacciatori delle Alpi. La tensione è alle stelle. Basta solo che l'Austria risponda alla provocazione per far scattare la trappola.
Da Mazzini a Garibaldi, da Vittorio Emanuele II a Cavour, tutti i patrioti italiani trattengono il respiro. Dopo dieci anni, l'ora della verità è arrivata. Dopo tre lunghissimi mesi di tensione e un mancato congresso europeo sulla questione italiana, il 1859 sarà un anno molto turbolento per la penisola.
Il 23 aprile, come sperato, arriva alla corte di Torino un ultimatum di Vienna. La trappola è scattata. Cavour avrà la sua guerra.
Le richieste dell'Austria sono inaccettabili per il Piemonte, ovvero ridurre l'esercito a 60.000 unità e congedare i volontari di Garibaldi. L'ultimatum viene rifiutato. Cavour ha ottenuto quello che voleva. Un ultimatum rifiutato pone Vittorio Emanuele II come il sovrano offeso e il regno di Sardegna... come l'aggredito e non l'aggressore.
Il 29 aprile cominciano a sentirsi i primi spari sul Ticino. E'appena iniziata la seconda guerra di indipendenza. Ora gli accordi di Plombier devono essere rispettati.
III dichiara guerra all'Austria. Il Piemonte non è più solo a combattere. Il 12 maggio 1859 l'imperatore in persona si presenta a Genova, prendendo il comando supremo delle forze alleate.
Grazie alle nuove ferrovie il dispiegamento di truppe è veloce e decisivo. 120.000 soldati francesi e 300 cannoni raggiungono rapidamente il teatro bellico per via Ferrata, prima volta nella storia. La velocità delle truppe francesi coglie di sorpresa gli austriaci che, nel frattempo, sono arrivati a Chivasso, alle porte.
Le tappe della guerra sono scandite dalle vittorie dell'esercito franco-piemontese. Il 20 maggio a Montebello, il 30 maggio a Palestro, passato il Ticino, il 4 giugno a Magenta. L'esercito austriaco viene cacciato dal Piemonte.
L'8 giugno, dopo la battaglia di Magenta e la fuga austriaca, Napoleone III e Vittorio Emanuele II entrano trionfalmente a Milano. La guerra continua. A Solferino e San Martino, il 24 giugno, le truppe austriache vengono sparagliate. Le perdite sono enormi.
si contano tra morti e feriti 23.000 austriaci e 17.000 franco-piemontesi. Mentre le truppe regolari avanzano, i cacciatori delle Alpi si impegnano sul fronte dei laghi. Varese viene liberata dagli uomini di Garibaldi.
L'avanzata continua. Vicino a Como, a Sanfermo, il 27 maggio i volontari garibaldini sconfiggono le austriaci. La via per Bergamo è aperta.
Mentre i cacciatori entrano anche a Brescia, la società nazionale attiva le sue cellule dormienti nel centro Nord Italia. Inizia l'insurrezione generale. Anche il Gran Ducato di Toscana, i Ducati di Parma e Modena e le legazioni pontifice di Romagna e Bologna insorgono.
I governanti locali vengono messi in fuga. Un tentativo di insurrezione avviene anche nelle Marche e in Umbria, senza però trovare fortuna. A Perugia, il 20 giugno, i patrioti vengono giustiziati.
Nonostante alcuni fallimenti, nascono nuovi governi provvisori a Firenze, Parma, Modena e Bologna e viene immediatamente richiesta la presenza di commissari piemontesi. I nuovi governi desiderano infatti essere annessi. messi al regno di Sardegna. Così i democratici e i repubblicani vengono tagliati fuori dai moderati dalla gestione dei territori insorti.
Napoleone III inizia a dubitare di Cavour. Gli accordi di Plombier non avrebbero potuto fermare queste annessioni. La Francia inoltre è già stanca della guerra. I cattolici francesi stanno facendo pressioni per la salvaguardia del Papa e in più la Prussia sul Reno sta diventando sempre più minacciosa.
L'imperatore non è interessato a continuare, a costo di tradire gli accordi. Ed è proprio durante l'avanzata franco-francese Piemontesi in Veneto, che Napoleone III decide di aprire le trattative con l'imperatore d'Austria, Francesco Giuseppe. Gli austriaci sono più che felici di interrompere lo scontro.
A Villa Franca, vicino a Verona, l'11 luglio 1859 viene firmato l'armistizio fra Francia e Austria. Cavour non è stato neanche avvisato delle trattative. L'armistizio di Vilafranca stabilisce che la Lombardia, tra ne Mantua e Peschiera, sarebbe passata alla Francia, che l'avrebbe ceduta subito a Vittorio Emanuele II.
Inoltre, impone di sciogliere i vari governi filo-piemontesi del centro-nord. Così. Così la seconda guerra di indipendenza è interrotta nel momento di massimo slancio delle forze franco-piemontesi. Di nuovo l'Italia viene tradita da un Napoleone. Prima Campoformio, nel 1797, ora Villa Franca.
Si infrange di nuovo il suo paese. il sogno di un'Italia unita. Vittorio Emanuele II accetta di controfirmare l'armistizia e Cavour, dopo una sfuriata Corrè, presenta le sue dimissioni.
L'offese è troppo grande, il tradimento troppo duro da accettare. Il re di Sardegna è comunque soddisfatto. La Lombardia, obiettivo secolare dei suoi antenati, è stata finalmente conquistata. I commissari regi, come patuito, vengono richiamati dall'Emilia e dalla Toscana.
Davanti a questo pasticcio diplomatico, l'opinione moderata Filosabauda si sente tradita. Il sentimento patriottico nazionale ha conquistato troppe persone per essere ignorato. Anche Mazzini, in quel momento in Italia centrale, accantona le pretese repubblicane. Tutto pur di vedere un'Italia unita. Le assemblee rappresentative toschemiliane decidono di non sciogliersi e di ribadire la volontà assoluta e ferrea di unirsi al Piemonte.
Anche a livello internazionale sembra che finalmente il vento stia soffiando a favore dei patrioti. La Gran Bretagna si schiera. Il primo ministro britannico Lord Palmerston annuncia che avrebbe appoggiato il processo di unificazione piuttosto che ...pollerare l'egemonia francese sulla penisola. Cavour viene richiamato sulla breccia da un rassegnato Vittorio Emanuele II. Il 21 gennaio 1860 nasce il Terzo Governo del Conte.
Nonostante l'astio, il nuovo governo contatta Napoleone III. ci sono accordi da fare. Le condizioni sono semplici. Il Piemonte cederà la Savoia e Nizza.
In cambio, l'imperatore appoggerà plebisciti in Emilia Toscana per sancirne l'annessione al Regno di Sardegna. Napoleone III dopo aver perso la faccia, non può che accettare. I plebisciti vengono indetti per l'11 e il 12 marzo 1860. Emilia e Toscana passano così sotto Vittorio Emanuele II.
L'Italia si sta formando. Allo stesso tempo, Nizza e la Savoia votano per unirsi alla Francia. Agli occhi di Cavour si tratta di un sacrificio necessario.
È disposto perfino a cedere la città natale di un patriota di fama internazionale, Giuseppe Garibaldi, per la causa italiana. Il voto in Toscana e in Emilia mette in luce la città. luce due aspetti importanti. Primo, che l'iniziativa piemontese può coincidere con quella popolare insurrezionale. Secondo, che il principio dell'autodeterminazione dei popoli inizia a scalzare quello di legittimità.
Poco dopo il voto, Papa Pio IX, dopo aver perso alcuni territori in Emilia, si pronuncia sulla questione. Con il breve Cum Catholic Ecclesia del 26 marzo, scomunica tutti i patrioti impegnati nella causa nazionale. Pio IX ha deciso da che parte stare.
Nel frattempo, Vittorio Emanuele II si gode i suoi nuovi territori. Il regno di Sardegna ha di colpo triplicato la sua estensione. Ma mancano ancora all'appello molte altre regioni per avere un'Italia veramente unita. Dopo i Savoia è il turno per i democratici di agire.
L'obiettivo ora è il regno delle due Sicilie, in cui Borbone, nonostante i colpi di mano, i moti e le rivolte, sono sempre riusciti a resistere ai patriotti italiani. A volte però una forza anche piccola guidata dal giusto condottiero può dove tutti gli altri hanno fallito. Qualcuno come un eroe dei due mondi e mille uomini in camicia rossa. I plebisciti del marzo 1860 hanno riportato un po'di pace sulla penisola, ma la strada per l'unità è ancora lunga. L'entusiasmo è alle stelle.
Ora è il turno dei democratici. Mazzini e Garibaldi hanno un piano. C'è bisogno di un paio di navi, armi, patrioti e di mille camicie rosse. Davanti ai successi dei Savoia, il partito d'azione di Mazzini non può restare a guardare.
La vittoria nella seconda guerra d'indipendenza per Mazzini è un semplice compromesso. promesso. Cavour si è accontentato.
Mazzini non ha intenzione di farlo. Garibaldi nel frattempo assume la direzione del partito. La sua città natale, Nizza, era stata ceduta alla Francia e l'eroe dei due mondi non l'aveva presa molto bene.
Il piano è da manuale democratico, provocare una rivoluzione nel sud dell'Italia. Si spera che questa volta possa andar bene. Il regno delle due Sicilie infatti non è mai stato così debole. Ferdinando II è morto nel 1859 e al trono è salito Francesco II, noto a Napoli come Franceschiello. Il trono è instabile, la Sicilia è da dieci anni in stato d'assedio e anni di colpi di mano e rivolte hanno lasciato un regno alle corde.
La popolazione può infiammarsi con poco. Il 4 aprile 1860 Francesco Riso cerca di sollevare Palermo. Il piano fallisce, ma la notizia della rivolta della gancia manda in subuglio tutta la Sicilia. Riso si era basato sulle indicazioni di Francesco Crispi, siciliano mazziniano esula in Piemonte. il principale punto di riferimento per i rivoltosi siculi.
Crispi, veterano dei moti del 1848, si rende conto che la guerriglia siciliana, nonostante l'arrivo sull'isola del patriota e veterano Rosolino Pilo, non può durare in eterno. Bisogna agire. Viene organizzata una spedizione comandata da Garibaldi in persona e gestita dal partito d'azione.
Il re Vittorio Emanuele II riceve la notizia che i mazziniani stanno organizzando qualcosa di grosso, ma decide di non intromettersi. Ufficialmente il governo... Il governo di Cavour non supporta l'impresa garibaldina, ma dietro le quinte appoggia la società nazionale, che fornisce le armi per la spedizione.
Nella notte tra il 5 e 6 maggio, tutto è pronto. 1.087 volontari guidati da Garibaldi partono da Quarto, vicino a Genova, su due piroscapi requisiti alla società di navigazione Rubattino. Questi volontari, passati alla storia come i mille, sono per lo più studenti, commercianti, professionisti, operai e artigiani provenienti da tutta Italia. Uniti dal loro patriottismo.
e dalla loro uniforme. Una semplice camicia rossa. Dopo una breve sosta per rifornirsi a Talamone, in Toscana, i Mille sbarcano l'11 maggio 1860 a Marsala. Le truppe borboniche sono poche e mal organizzate. Il grosso dell'esercito delle due Sicilie si trova a Palermo per tenere sotto controllo la guerra.
La marcia verso la capitale siciliana ha inizio. I mille vengono acclamati come liberatori dalla popolazione e sempre più insorti locali, i famosi picciotti, si aggiungono all'impresa. Il 14 maggio a Salemi Garibaldi assume la dittatura della Sicilia.
nel nome di Vittorio Emanuele, re d'Italia, dichiarando in un testo redatto dal primo segretario di Stato, Francesco Crispi, Giuseppe Garibaldi, comandante in capo dell'esercito nazionale in Sicilia, dietro l'invito dei principali cittadini e quello dei comuni liberi dell'isola, considerando che in tempo di guerra è necessario che i poteri civili e militari siano concentrati nella stessa mano, decreta che egli prende in nome di Vittorio Emanuele, re d'Italia, la dittatura in Sicilia. Il giorno dopo, a Calatafimi, le truppe borboniche del generale Francesco Landi si scontrano con i Mille e con i volontari siciliani. Garibaldi, nel pieno della battaglia, avrebbe detto «Qui si fa l'Italia o si muore». Lo scontro, con circa un centinaio di morti, non è troppo sanguinoso, ma ha un valore importantissimo.
A furia di assalte alla baionetta, più o meno coordinati, i mille hanno ragione delle forze borboniche. Il generale Landi si ritira a Palermo con i suoi uomini, sconfitti, feriti e stremati. Davanti a questo spettacolo è alla notizia che l'eroe dei due mondi sta avanzando senza resistenza verso la città. La popolazione inizia i prezzi.
preparativi per un'insurrezione. Il 27 maggio 1860 i Mille raggiungono Palermo, occupata da 20.000 soldati borbonici. Dopo tre giorni di lotte durissime con l'aiuto dei rivoltosi siciliani, guidati da Rosolino Pilo, morto durante gli scontri, Giovanni Corrao e Giuseppe Alamasa, la città viene conquistata. Dopo il successo dell'impresa, Cavour si schiera apertamente a favore dei Garibaldini.
Una flotta piemontese si presenta in Sicilia, portando 20.000 truppe di rinforzo, mentre Garibaldi inizia a fare la sua stessa. formare un governo dittatoriale. Il lavoro però non è ancora finito.
Il 25 giugno Francesco II, in un tentativo disperato di fermare i patrioti, promette di iniziare a lavorare su una costituzione liberale, adotte il tricolore e avvia trattative con il regno di Sardegna. Ma è troppo poco, troppo tardi. Da Palermo i Garibaldini raggiungono Milazzo, l'ultimo ostacolo prima di Messina.
Dopo una settimana di scontri durissimi, dal 17 luglio al 24 luglio, la fortezza cade. L'esercito borbonico non ha più speranze di controllare l'isola e si ritira sul continente. La campagna di Sicilia culmina con l'entrata delle camicie rosse in una messina in festa il 27 luglio. Conquistata l'intera Sicilia, il governo passa al pro-dittatore Agostino De Pretis il 22 luglio. Infatti il dittatore della Sicilia, Giuseppe Garibaldi, ha intenzione di andarsene dall'isola.
L'obiettivo? Napoli. Nel frattempo in tutta Europa l'impresa dei mille diventa rapidamente leggenda. Un'avventura epica in terra italiana, seguita da numerosi giornalisti internazionali nella marcia di Garibaldi da Palermo a Messina.
In Sicilia il governo dittatoriale provvisorio emana le prime riforme. Viene abolita la tassa sul macinato e ai contadini che avevano prestato servizio militare vengono affidati piccoli appezzamenti demaniali. Ma le difficoltà sono tantissime. De Pretis non vuole avere problemi con i galantuomini, ovvero i nobili e i borghesi, intromettendosi nella loro lotta contro i cafoni. i contadini.
Il governo provvisorio non ha le basi politiche, militari ed economiche per riformare l'agricoltura come promesso. Il malcontento aumenta tra le masse contadine. Nell'agosto del 1860 a Bronte, Nino Bixio, fedele di Garibaldi, fa fucilare alcuni rivoltosi in risposta ad un massacro di notabili locali.
I fatti di Bronte allontanano parte della popolazione siciliana dalla causa unitaria. I proprietari terrieri invece vedono di buon occhio questo ritorno all'ordine, mentre per il resto di anni il governo è stato re delle due Sicilie, Franceschiello, arriva alla resa dei conti. I tentativi del re delle due Sicilie di mediare e tenere il trono non bastano. Il 20 agosto 1860 i mille sbarcano in Calabria.
L'obiettivo è la capitale del regno, Napoli. Dopo una campagna brillante davanti ad un esercito in perenne ritirata, il 7 settembre Garibaldi entra trionfalmente a Napoli. Francesco II si rifugia a Gaeta. Tutti i grandi repubblicani, Mazzini, Crispi, Cattaneo e Ferrari si precipitano a Napoli.
Cavour è consapevole che il rischio che si proclami una repubblica nel sud Italia è altissimo. Il conte allora contatta Napoleone III. Solo un intervento piemontese avrebbe salvato la penisola dalle forze radicali e democratiche.
C'è un problema però. Per intervenire bisogna passare per lo stato pontificio sotto protezione francese. L'imperatore acconsenta l'idea di un intervento sabaudo. I francesi, questa volta, non difenderanno il papa. Nel settembre 1860...
le truppe di Vittorio Emanuele II passano il confine dello stato della chiesa e invadono le Marche e l'Umbria. La corsa per il sud è iniziata. L'esercito papalino è sconfitto a Castelfidardo il 18 settembre e nell'assedio di Ancona il 29 settembre. Il centro Italia, meno il Lazio, cade in mano ai Savoia.
Tra il primo e il 2 ottobre Garibaldi sconfigge le truppe borboniche sul Volturno. Nel frattempo Cavour fa votare una legge lampo che indice nuovi plebisciti in tutti i territori conquistati. Nonostante le richieste dei repubblicani di ignorare Cavour e di marciare su Roma, Garibaldi decide di non provocare un nuovo scontro tra italiani. In tutta Italia. Tutti i nuovi territori conquistati vengono indetti plebisciti, voluti da Cavour.
La vittoria della linea del conte è schiacciante. La stragrande maggioranza dei votanti chiede l'annessione al Regno di Sardegna. Garibaldi si ferma allora per aspettare i piemontesi. Il 26 ottobre 1860 a Teano si incontra con Vittorio Emanuele II usando la celebre formula «Saluto il re d'Italia». Dopo l'incontro di Teano quasi tutti i mille vengono congedati e Garibaldi, dopo aver consegnato la sua vita, il sud Italia al re, si ritira a Caprera, un'isola semi disabitata della Sardegna.
Mazzini invece, deluso dagli ultimi avvenimenti, decide di tornare in esilio a Londra. Si infrange così l'alleanza tra democratici e moderati. Ma l'attenzione di tutti è focalizzata su altro.
È tempo di votare. Tra gennaio e febbraio del 1861 è tutto pronto per le prime elezioni del nuovo Parlamento nazionale. Il voto è a suffraggio censitario, come stabilito dallo Statuto Albertino. Il 17 marzo marzo 1861, a Torino, il Parlamento appena formato proclama Vittorio Emanuele II re d'Italia. Il re decide di mantenere il suo nome e il suo numero dinastico, per mostrare continuità con il passato.
Alla notizia della fondazione del regno, Papa Pio IX, a cui è rimasto solo il Lazio, interrompe ogni rapporto diplomatico con il nuovo Stato. La linea moderata Filosabauda ha ufficialmente vinto. Il partito d'azione è stato manipolato con successo da Cavour E i democratici non sono riusciti a sfruttare la loro grande occasione. L'unità d'Italia viene così percepita come il risultato dell'alleanza tra i borghesi liberali del nord e i grandi latifondisti del sud.
Dopo mezzo secolo di lotte, l'Italia è fatta. I sacrifici di così tanti patrioti hanno finalmente pagato. Un territorio formato da antichi regni, ducati e repubbliche unite in un unico Stato.
Il Regno d'Italia ha davanti a sé tantissime sfide. Vittorio Emanuele II, re d'Italia. e Cavour, il suo presidente del Consiglio, sanno che non è ancora finita.
Garibaldi, dal suo esilio a Caprera, ha già nuovi piani. Mazzini non ha ancora detto l'ultima parola. E in tutto ciò Veneto e Lazio mancano all'appello.
Il risorgimento sta finendo e si avviona una nuova fase per la penisola italiana. Come avrebbe detto Massimo D'Azeglio, l'Italia è fatta. Bisogna ora fare gli italiani.