Costruita nel 1303, la Cappella degli Scrovegni di Padova venne consacrata il 16 marzo del 1305. In questi due anni, Giotto creò uno dei cicli pittorici più importanti di tutta la storia della pittura italiana del XIV secolo. Ma chi era il committente? E perché commissionare un'opera tanto imponente?
Enrico Scrovegni era un riccomercante padovano e fu lui a commissionare la costruzione e la decorazione della cappella. Nella supplica che rivolse al Vescovo per poterla costruire e decorare, dichiarò di voler in questo modo strappare l'anima del padre dalle pene del purgatorio e di espiare i suoi peccati. Enrico cercava così di riabilitare l'immagine della famiglia e soprattutto del padre Reginaldo, la cui ricchezza affondava le radici nell'usura, ma Enrico fece di più. Nella parete del giudizio universale si fece mettere dalla parte dei beati nell'atto di dedicare l'opera alla Vergine.
Era quindi più che sicuro di meritarsi il paradiso e tanta presunzione fece arrabbiare i frati del vicino convento degli eremitani. I frati scrissero al vescovo che Enrico aveva aperto la cappella per orgoglio, vanagloria. Personale profitto e non per lode, onore e gloria a Dio.
Qualunque fosse lo scopo, una cosa è certa, l'opera è grandiosa. La cappella, a navata unica, misura 29,26 metri di lunghezza, 8,48 metri di larghezza e ha un'altezza di 12,80 metri. È coperta da una volta botte e conclusa da un arco trionfale, al di là del quale si apre il coro. con la piccola abside.
La luce proviene da sette finestre aperte nella parete destra, mentre quella sinistra è cieca. Questa deformità non consentì a Giotto di disporre gli affreschi in maniera speculare nell'una e nell'altra parete. La cappella fu interamente rivestita di affreschi con episodi della vita di Gesù a partire dagli anni precedenti alla sua venuta e arrivando fino alla Pentecoste. Le scene sono disposte in registri sovrapposti e la parete dell'ingresso è interamente dedicata al giudizio universale. Rispetto al precedente grande ciclo giottesco di Assisi, qui rimane il senso della profondità e del rilievo.
Giotto accentua le gradazioni del colore, rende i contorni più morbidi e prosegue la sua ricerca artistica rinnovandosi rispetto al suo stesso passato. I paesaggi diventano parte integrante della composizione e l'azzurro compatto e denso del cielo mette in risalto tutti gli altri colori. Dal punto di vista della tridimensionalità, l'invenzione più stupefacente è l'illusione dei due finti coretti in prospettiva, dipinti sulla parete dell'arco trionfale.
Con la loro profondità straordinaria si inseriscono in un vero programma di simulazione architettonica che riveste l'intera cappella. Non sappiamo se Giotto li dipinse per arricchire un'edilizia modesta e bilanciare con i due immaginati vani l'apertura del coro troppo profonda nella parete figurata, o se addirittura, per l'impegno di differenziare l'arte, che sperimenta nel tromploile le proprie possibilità, da quella intesa raccontare una storia, e che non rifiuta le convenzioni linguistiche, ma solo la loro immutabilità, sapendo che una cosa è la vita, un'altra... è la sua rappresentazione.
Lo stesso tipo di illusione la ritroviamo anche nel finto zoccolo marmoreo e nei quattro pilastri dipinti agli angoli dell'ambiente. A questo aspetto si aggiunge negli affreschi un forte senso del dramma che ritroviamo nelle espressioni dei volti dei personaggi e nel modo in cui elementi delle ambientazioni, come rocce o edifici, esaltano l'azione dei personaggi.