Ragionando attorno a un piatto di pasta, noi oggi, questa mattina, evocheremo delle parole e dei concetti pesanti, pesanti come quelli che sono nel titolo, origini, radici, identità e ancora tradizioni, innovazioni. Parole che spesso usiamo nella nostra vita di tutti i giorni, a cui diamo dei significati spesso un po'ambigui, e sui quali vorrei fare appunto una riflessione con voi a partire da un oggetto semplice, apparentemente semplice, appunto un piatto di pasta. E mi scuserete fin da subito se non vi parlerò di Marco Polo. Perché parlando di pasta e in particolare di spaghetti, Marco Polo salta sempre fuori, è un personaggio inevitabile che dobbiamo liquidare subito perché poi non ne parleremo più. Se non per dire che questa leggenda di Marco Polo che porta gli spaghetti dalla Cina è stata inventata da un giornalista americano nel 1928. e pubblicata su una rivista che si chiamava Macaroni Journal.
E'quindi un'invenzione contemporanea questa storia, eppure un'invenzione che ha avuto un tale successo che viene continuamente riproposta e ripetuta. E fa parte ormai dell'immaginario collettivo. E la forza dei miti, perché questo è un vero mito, come tanti altri, sta nel fatto che inventano delle origini, cioè dei fatti, dei momenti precisi, delle persone con nome e cognome, che determinano il momento in cui qualcosa comincia a entrare nella nostra vita. La forza di questi miti sta nella forza che noi diamo all'idea dell'origine, come se nelle origini ci fosse il segreto della storia, come se le origini potessero spiegare il corso della storia.
Io questa mattina cercherò di mostrarvi che non è vero, cioè cercherò di mostrarvi che le origini di per sé non significano e non spiegano nulla. e che come scrive un grande storico, che per noi medievisti io sono uno storico del Medioevo, è una sorta di mito, anche noi abbiamo i nostri, Mark Bloch, che ritengo sia probabilmente il più grande storico del Novecento. Ecco, Mark Bloch...
per illustrare quello che lui definiva l'idolo delle origini, non solo il mito, ma l'idolo delle origini, cioè qualcosa che viene posto proprio su un piedistallo per essere venerato, proponeva un'immagine molto semplice, spiegando che una ghianda non è una quercia. Dice Mark Bloch, scrive, la quercia nasce dalla ghianda, ma la ghianda diventa e rimane quercia solamente se incontra condizioni ambientali favorevoli. Cosa significa questo? Significa che ovviamente una ghianda è necessaria per ottenere una quercia, ma non è sufficiente, non è sufficiente.
La ghianda cioè l'origine per spiegare la storia dell'albero che da questa ghianda, cioè da questo seme, prende vita e cresce e si sviluppa. Perché i motivi per cui il seme genera una radice e questa radice genera una pianta non stanno nella ghianda, ma stanno... nel terreno, nell'ambiente, nell'umidità, nel suolo, nel clima. Ed è questo che interessa lo storico, cioè non... quando le cose sono iniziate, ma perché dopo essere iniziate hanno trovato sviluppo, si sono affermate, sono diventate qualcosa.
Quindi le origini non sono le cause, le origini sono semplicemente un seme che può diventare una pianta, ma non necessariamente lo diventa. E la storia della pasta, a cui ora ritorno immediatamente, di cui vi parlo questa mattina, È un esempio molto forte, secondo me, per dimostrare storicamente come questa idea degli origini che non servono tanto per spiegare la storia possa avere un significato. La storia della pasta è una storia apparentemente antica, perché già nella cultura gastronomica greca e romana Esiste un tipo di pasta, esiste quella che i romani chiamavano lagana e che noi potremmo tradurre come lasagna.
Il più noto e l'unico ricettario completo che noi possediamo di età romana, quello che è attribuito ad apicio, contiene un paio di ricette di lagane, di lasagne, ma definirei... questa pasta nella storia della cultura antica, la storia di un seme, penso sempre alla ghianda, che non genera radici. Non le genera perché nel sistema gastronomico romano non c'è spazio per la pasta.
È una cosa fra le altre che esiste, ma accessoria, marginale, che non trova veramente l'ambiente favorevole per crescere. Addirittura alcuni storici che si sono occupati della storia della pasta hanno definito con un aggettivo abbastanza lì per lì strano, impensabile, la pasta nella cultura gastronomica antica. In che senso? Nel senso che la cultura romana mediterranea dell'antichità conosce Fondamentalmente due modi per preparare i cereali, due modelli mentali di riferimento e diciamolo subito fare cucina è una pratica ovviamente sono cose che si fanno ma è anche un problema culturale cioè è anche un modo di pensare quello che si deve fare è anche un obiettivo che si vuole raggiungere tra questi due modi tradizionali di usare i cereali sono il modo l'esempio il modello pane e focacce cioè impasti cotti al calore secco nel forno sulla piasta sulla griglia sotto la cenere oppure polente pappe misciele di farina cotte col calore umido dell'acqua ora la pasta Così come noi almeno la conosciamo, cioè un impasto di farina che si cuoce in acqua, non rientra in nessuno di questi due modelli, perché è un impasto, quindi fa parte del primo gruppo, che però viene cotto in acqua, cioè fa parte del secondo gruppo. E'per questo motivo che questi...
studiosi che si chiamano sabbani e serventi che hanno scritto appunto una storia della pasta definiscono impensabile la pasta nella gastronomia antica poi si arriva al medioevo e qui accade la svolta la svolta perché veramente nel medioevo la storia della pasta si accelera cioè questo seme questa ghianda trova il terreno adatto finalmente per crescere. Si sviluppa, diventa una radice, diventa una nuova tradizione e varie circostanze sollecitano la nascita di una nuova cultura della pasta. A questo punto possiamo cominciare a parlare veramente di una cultura della pasta.
Sono tutta una serie di innovazioni che definirei in maniera... sintetica come innovazione di prodotto, cioè prodotti nuovi, innovazione di processo, modi nuovi di trattare questi prodotti. innovazioni tecnologiche, cioè modi nuovi per realizzarli, e anche innovazioni mentali, cioè nuovi modi di pensare questi prodotti gastronomici. Per quello che riguarda il prodotto, l'innovazione più importante e decisiva è l'apparire nel Mediterraneo orientale durante il Medioevo, cioè nella cultura araba ed ebraica, di un nuovo tipo di pasta chiamato itria che era un nome peraltro presente anche nel lessico greco una pasta di formato lungo appunto gli spaghetti di marco polo e di conseguenza un formato adatto alla conservazione dico di conseguenza perché è chiaro che tutte le paste si possono conservare ma se io ho una pasta filiforme che ha un'esposizione all'aria molto più grande, la brevità con cui io posso ottenere l'asciugatura di questo prodotto, fare una pasta secca e quindi poterla conservare a lungo, perché le cose si conservano se riusciamo a togliere l'umidità. È l'acqua che impedisce la conservazione a lungo degli alimenti.
Disidratare la pasta con questo formato è più facile, quindi diventa più facile conservarla. A questo punto, siccome la tecnologia segue le tradizioni, segue gli usi alimentari, che cosa succede? Succede che la pasta diventa... un prodotto industriale.
Proprio perché si conserva bene, quindi può essere trasportato su lunghe distanze, può essere commerciato, diventa un prodotto industriale. L'uso della pasta secca trasforma questo prodotto in una merce industriale. Il primo documento che noi conosciamo sulla pasta secca in Italia è molto antico ed è del XII secolo.
più precisamente del 1152, quando un geografo arabo di nome Edrisi scrive che nei pressi di Palermo, in un villaggio che tuttora esiste, che si chiama Trabia, e qui cito dalla cronaca, si fabbrica tanta pasta che se ne esporta in tutte le parti, nella Calabria, cioè nell'Italia meridionale. in altri paesi, musulmani e cristiani, e se ne spediscono moltissimi carichi di navi. Cioè è quello che oggi veramente possiamo definire un prodotto industriale destinato al trasporto e al commercio. Farei qui una piccola osservazione. È curioso...
Dal punto di vista storico, pensare che le origini di questo prodotto si collocano in delle culture come quelle del Mediterraneo orientale arabo, che poi storicamente non hanno sviluppato grande attenzione a questo prodotto, mentre grande attenzione a questo prodotto si è riscontrata in una... territorio come l'Europa e in particolare l'Italia che poi lo ha ingigantito fino a farlo diventare oggi un vero segno portante della gastronomia nazionale e dell'economia nazionale. Questa è un'osservazione, diciamo, concettualmente molto importante perché ci fa capire che non sempre gli sviluppi storici coincidono con i luoghi di origine degli eventi.
In questo caso noi ci troviamo di fronte a uno slittamento da un luogo all'altro, un prodotto viene sviluppato in una cultura, poi è un'altra cultura. che lo sviluppa veramente. Questi sono fenomeni che accadono sempre nella storia. Pensate, esco un attimo dalla pasta, vogliamo anche bere qualcosa, pensate al vino. Il vino, chi ha inventato il vino?
Il vino storicamente ha le sue prime attestazioni nel Medio Oriente, nelle aree della Palestina, del Libano. Cioè, luoghi dove oggi il vino non si fa più o comunque è diventato assolutamente marginale, anche per motivi di carattere religioso, perché l'Islam proibisce per motivi di principio l'uso di questa bevanda. Poi storicamente oggi il vino lo pensiamo come una bevanda europea.
L'identità del vino oggi è europea, le sue origini non sono europee. Ecco un altro esempio, abbiamo anche bevuto un po'. Vi parlavo di innovazioni che avvengono durante il Medioevo, quindi non solo un prodotto nuovo, non solo un modo nuovo di fabbricarlo, ma anche un modo nuovo di prepararlo, una innovazione dei processi culinari. Perché cosa accade? Accade che nei processi di cottura si introduce nel Medioevo una pratica che, come dicevo prima, sarebbe stata impensabile nell'antichità, cioè cuocere la pasta in acqua.
Per che motivo? Perché la pasta una volta seccata, disidratata, viene bollita, cioè reidratata. Viene bollita nell'acqua, viene bollita nel brodo, viene bollita anche talvolta nel latte, secondo dei suggerimenti che troviamo nei ricettari medievali. Cioè viene cotta in un ambiente liquido. E questa è una novità.
È una novità che risponde a... dei principi gastronomici ma anche a dei principi dietetici perché nel mondo medievale come anche in altre culture, penso alla cultura cinese, alla cultura indiana, l'idea che cucina e dietetica siano mondi separati è un'idea impensabile, un'idea balorda. Tutto ciò che si fa in cucina ha anche una giustificazione di tipo dietetico, di tipo scientifico.
E la base di questa scienza è la dietetica classica, la dietetica greca e poi latina, che da Ippocrate e da Galeno in poi si basava su un principio fondamentale che era il principio di bilanciare gli opposti, cioè di temperare i contrari con i contrari, che poi è la base della medicina occidentale per duemila anni. Cioè tu hai una malattia di tipo raffreddante, ti devi riscaldare. I principi oppositivi si basano su due assi fondamentali nell'antichità, che sono il caldo contro il freddo, l'umido contro il secco.
Su queste quattro assi si organizza tutto il pensiero scientifico e la pratica medica, antica, medievale, moderna ancora fino a tutto il Settecento. Ed è il principio del bilanciamento degli opposti che noi troviamo in tutte le culture antiche. Citavo prima la cultura cinese, pensate alla contrapposizione dello yin e dello yang nella cultura cinese.
Uno non sta senza l'altro, se c'è uno ci deve essere l'altro. Tutto questo ha anche dei risultati di tipo pratico nella culinaria, nella pratica di cucina. Perché ogni volta che noi ci troviamo di fronte a un cibo troppo qualcosa, troppo caldo o troppo freddo o troppo secco o troppo umido, lo dobbiamo temperare nel modo contrario. Quindi un prodotto come la pasta che improvvisamente ce lo troviamo prosciugato, dobbiamo ri-asciugarlo, quindi cuocerlo in acqua.
In questo senso la pratica di bollire la pasta è una pratica collegata direttamente al nuovo uso medievale di preparare la pasta secca che poi è una pasta industriale che poi si bolle. Quindi sono tutte innovazioni che ci riportano a un prodotto e a degli usi che a noi oggi sembrano ovvi ma che hanno un periodo in cui si affermano, in cui nascono per dei motivi culturali e scientifici ben precisi. Fra l'altro aggiungerei che l'affermazione della cultura della pasta nel Medioevo e in particolare della pasta lunga, fa nascere anche nuovi strumenti per mangiare. Mi riferisco in particolare alla forchetta. È ovvio che la pasta si può mangiare anche senza forchetta.
Tutti abbiamo in mente Totò che prende gli spaghetti con le mani dal pentolone nel film e nella commedia Miseria e Nobietà. Poi se li mette anche in tasca. Una scena di fame truculenta.
E magari... Abbiamo presenti certe stampe del Settecento Napoletano, dove i popolani prendono gli spaghetti e se li mettono in bocca così dall'alto. Pare che peraltro queste cose le facessero più per i turisti che per se stessi, cioè erano un po'macchiette.
Comunque è ovvio che tutto si può mangiare con le mani, però la forchetta... che fino al medioevo è sconosciuta negli usi alimentari europei, con la pasta comincia a entrare. Era sconosciuta perché fino ai secoli centrali del medioevo e ancora nell'età moderna gli strumenti per mangiare sono semplicemente il cucchiaio per i liquidi, il coltello per tagliare e le mani. Solo che le mani appunto con un oggetto così scivoloso poi spiegheremo perché scivoloso ma ve lo anticipo subito scivoloso perché la pasta medievale e poi ancora per molti secoli viene rigorosamente condita con burro e formaggio quindi è scivoloso ed è bollente come tutti sappiamo tenere in mano una cosa bollente scivolosa si può fare però bisogna avere una certa attitudine al sacrificio e la penitenza diciamo che la forchetta che non piaceva come concetto, non è mai piaciuta fino al Settecento la forchetta perché dicevano altera il sapore dei cibi, sembra che quello che mettiamo in bocca sappia di metallo invece che di carne o di verdura, insomma c'era una grande diffidenza.
Però nei paesi e nelle culture che introducono precocemente la pasta, e questo è il caso dell'Italia, si sviluppa altrettanto precocemente la cultura dell'uso della forchetta a tavola. Torno al prodotto. Nel Medioevo l'affermarsi del nuovo tipo di pasta, quindi la pasta secca, che si incrocia col vecchio tipo di pasta, cioè le vecchie lagane fresche, provoca la moltiplicazione dei formati e dei modi di...
preparare questo alimento in varie direzioni, una che potremmo chiamare la miniaturizzazione della pasta, cioè i larghi fogli di pasta che erano a base dell'antica lagana e che venivano preparati per servire a tanti commensali, una situazione ancora oggi che conosciamo nel servizio della lasagna, ritagliati in delle forme più piccole, in delle forme lunghe come gli spaghetti, come le fettuccine e poi corte. Una volta che uno comincia a tagliare è l'idea che entra, l'idea nasce e dopo le forme si possono moltiplicare all'infinito. Quindi le paste lunghe, le paste corte come i maccheroni.
Parte larghe, paste strette, tante forme, tanti nomi diversi, perché anche questo è importante. Nel Medioevo nascono nomi per definire i vari formati di pasta. E dare nome a una cosa vuol dire che questa cosa ha assunto per te importanza.
Non esistono nell'antichità nomi per la pasta, esiste la lagana e finito lì. Nel Medioevo decine di nomi nuovi per riconoscere questi formati che un po'alla volta vengono a costituire un nuovo genere alimentare. Non è più la lagana come singolo prodotto, è un genere alimentare che durante il Medioevo e ancora durante il Rinascimento un po'alla volta viene riconosciuto come il genere della pasta o delle paste come dicono i francesi. Quello che noi chiamiamo la pasta, i francesi dicono le pâte. Quindi ci sono lingue moderne che danno la priorità alla sostanza di questo prodotto che è unitaria.
Ci sono lingue che invece danno priorità alle differenze di forma che questo prodotto forma. Anche questo è interessante come esito linguistico. L'altra grande invenzione del Medioevo, oltre ai formati, è quella della pasta ripiena. Tortelli, tortellini, ravioli. E anche questo della pasta ripiena è una invenzione che nasce dalla combinazione di culture diverse.
È la cultura della pasta che si sposa con la cultura delle torte. Le torte non nel senso delle torte di compleanno con la panna che oggi a volte utilizziamo, la torta nel senso che oggi si usa ancora in Liguria, cioè le torte salate. gli oggetti di pasta salata che contengono cose, contengono carne, contengono verdure, contengono formaggio, contengono quello che uno vuole.
Questa tradizione delle torte che contengono quello che uno vuole è una tradizione tipica della cucina medievale italiana, anche di altri paesi europei, però è una specificazione. È una specificità tipica del nostro paese. Ora, incrociandosi questa cultura della torta con la cultura della pasta, viene fuori la cultura del tortello, cioè utilizzare un pezzo di pasta, riempirlo e chiuderlo.
È un meccanismo semplice, ovvio per noi, però bisogna pensarlo. Le cose non sono mai ovvie, bisogna che vengano progettate, pensate. Come scriveva Teofilo Folengo, il tortello è il figlio della torta. E aggiungerei io, il tortellino è il nipote. Ci vuole qualcosa.
Per inventare il tortello ci vuole un'idea. È curioso che questa idea sia riconosciuta anche all'epoca come un'invenzione moderna, nel senso che il moderno poteva averne il medioevo, cioè il medioevo non sapevano di essere uomini del medioevo, loro pensavano di essere uomini moderni, ovviamente, ognuno pensa di essere moderno. Vorrei citarvi, perché è abbastanza curioso, un testo del Cinquecento, ormai siamo fuori dal Medioevo, siamo però agli inizi dell'età moderna, siamo nel post-Medioevo, un testo di un erudito milanese che si chiamava Hortensio Lando, il quale, molto preso dall'idolo delle origini, avrebbe detto Bloch, che non è solo un ormai... una pulsione del nostro tempo, è un'idea che gli uomini hanno sempre avuto, cioè di andare alla caccia delle origini delle cose.
Ha scritto nel 1548 un'operetta molto divertente intitolata Catalogo degli inventori delle cose che si mangiano, dove lui elenca, pagine, pagine, Il primo che inventò il modo di cuocere il coniglio infilato nella padella con le erbe. Il primo che inventò il modo di prendere le acciughe e di combinarle. Sto inventando. il primo che ha fatto questo, il primo che ha fatto quell'altro e di solito lui da buon erudito, bibliofilo, cita improbabili o anche probabili personaggi dell'antichità latina, dell'antichità greca, testi classici, Plutarco, Cicerone per dare nobiltà a tutte queste invenzioni gastronomiche.
Poi quando arriva a parlare dei ravioli e dei tortelli, improvvisamente cambia registro e scrive l'inventrice dei ravioli è Libista, contadina lombarda di Cernuschio, inventrice di fare ravioli avviluppati nella pasta, dove noto fra parentesi che secondo la sua immagine, che poi è un'immagine corretta dal punto di vista linguistico, anche se oggi L'abbiamo un po'dimenticato. Ravioli non sono i tortelli. Ravioli sono la polpettina che viene racchiusa nella pasta. Il tortello è il figlio della torta. Dentro il tortello ci sta il raviolo.
Poi dopo capita che storicamente l'uso cambia e noi usiamo spesso in modo ambivalente queste due parole. Ma ancora Pellegrino Artusi nel 1891 A un certo momento descrive i ravioli alla genovese e dice ma veramente questi non si dovrebbero chiamare ravioli perché c'è la pasta attorno, quindi è un'idea che dura molto nel tempo. Allora, questa frase del Hortensio Nando mi piace molto per tre motivi, non mi piace per tre motivi, mi sembra da notare per almeno tre motivi importanti. Primo, che lui questa volta individua una contadina. Quindi non è un personaggio nobile come tutti quelli che ha tirato in ballo prima.
Poi una contadina donna e non un maschio come tutti gli altri. E terzo un personaggio moderno, cioè un personaggio medievale, suo contemporaneo. Per dire che lui parlando dei ravioli avviluppati nella pasta, cioè dei tortelli, non pensa più all'antichità romana ma pensa alla contemporaneità. pensa alle campagne, pensa alle donne di casa e questo è molto significativo dal punto di vista culturale, di usi che si stanno diffondendo proprio allora.
Per quale motivo tutto questo accade in Italia? Il terreno, per tornare al tema della ghianda che si sviluppa, italiano è particolarmente favorevole, è particolarmente favorevole perché si incrociano tante... circostanze.
Prima di tutto il fatto che l'Italia meridionale e la Sicilia sono eredi privilegiati della tradizione antica, quindi quella tradizione che definivo del seme non sviluppato della lasagna. Poi la Sicilia è il luogo in cui nell'alto medioevo si concentra la cultura araba. In Italia c'è un'occupazione araba della Sicilia nel Medioevo e quel documento che citavo prima, non a caso, viene da un cronista arabo. Poi, se vogliamo aggiungere una considerazione di tipo dietetico, è proprio nell'Italia meridionale, a Salerno, che si sviluppa nel X secolo la più antica scuola di medicina europea, la famosa scuola di Salerno. Quindi c'è...
Un incrocio di motivazioni di tipo politico, di tipo scientifico, di tipo culturale in genere, di tipo economico, di tipo commerciale, che in qualche modo spiegano come l'Italia possa diventare durante il Medioevo un foyer di cultura della pasta, che la promuove. Quindi la moltiplicazione dei tipi di pasta. La nascita di nuovi tipi, nuovi modi di cucina, il fatto che diventano sempre più importanti nel sistema alimentare fa sì che la pasta come insieme, già lo anticipavo prima, comincia ad affermarsi, come genere, come concetto.
Dopo la svolta medievale, le minestre di pasta, come vengono citate nei I ricettari italiani del Rinascimento, minestre di pasta, cioè già un'idea di un insieme, diventano il luogo per eccellenza della diversificazione. E vorrei citarvi come esempio un brano del Seicento, tratto da un'opera di Paolo Zacchia che si chiama Il Vitto Quaresimale. Questo titolo non l'ho citato a caso.
Uno in più dei motivi del successo della pasta è che nella logica medievale e rinascimentale dell'alternanza del calendario fra cibi di magro e cibi di grasso, cioè giorni in cui si può mangiare carne e prodotti animali e giorni in cui non si può mangiare carne e prodotti animali, la pasta si trova uno spazio Anche fra i prodotti di magro, i tortelli di magro sono ancora nel nostro lessico, magari non riferiamo più in maniera consapevole ed esplicita a quella cultura, ma è importante come espressione, vuol dire che la pasta si afferma a tutto campo ed ha uno spazio nel cibo di magro che le garantisce un'affermazione importante perché è un bel mangiare quindi poter fare questo bel mangiare anche nei giorni di astinenza garantisce un successo che anche in questo caso è medievale perché è il medioevo che inventa quest'idea del cibo di magro ora Zacchia scrive nel suo Vitto Quaresimale le paste sono fra se stesse differenti secondo che sono secche o rasciutte o più fresche e secondo che sono più grosse o sottili si fanno con la farina di grano o con altra materia ce ne sono delle più varie forme perché alcune sono tonde come quelle che chiamano vermicelli e maccheroni e di queste alcune sono vuote dentro alcune no altre sono larghe e distese come le lasagne altre sono piccole e tonde come quelle che chiamano millefanti. Altre sono piane ma strette a foggia di fettucce, che sono chiamate comunemente tagliolini. Altre ne sono corte e grossette e le chiamano agnolini. Altre più lunghe e grosse, chiamate gnocchi. E insomma ve ne sono di mille altre guise che poca differenza fanno quanto all'essere più o meno sane.
Allora, l'idea che viene fuori da questo testo è proprio quella della pasta come possibilità infinita di declinazione di forme diverse. È per quello che la pasta mi sembra una metafora della cucina italiana, perché la cucina italiana ha un carattere di fondo, infinite varianti locali, ma alcune nozioni comuni, riconoscibili e nella storia della pasta noi riconosciamo questa cultura tipicamente italiana, cioè la grande varietà è la grande unità, la pasta è una cosa ma è anche mille cose diverse. Poi aggiungerei una piccola osservazione su quello che Zacchia scrive e dice Ve ne sono di mille altre guise che poca differenza fanno quanto all'essere più o meno sane.
Può darsi? Anzi, è sicuramente così. Sul fatto di essere più o meno sane, cioè nella sostanza nutrizionale del prodotto, una pasta vale l'altra, ma questo non vale dal punto di vista del gusto. Noi sappiamo molto bene che le paste hanno forme diverse e gusti diversi. Non perché si condiscono in modo diverso, ma perché la forma determina una emozione diversa sul palato.
Questo a me piace molto pensarlo perché mi dà l'idea che la forma non è una cosa accessoria delle cose, ma la forma è una cosa sostanziale delle cose. Se tu hai uno stesso oggetto, lo declini in due forme diverse, queste due forme hanno per te Un gusto diverso significa che la forma è fondamentale nella definizione dell'essenza delle cose. E da questo punto di vista vorrei, esco un attimo dal medioevo, vorrei dire che c'è un piatto geniale di Gualtiero Marchesi, il più grande chef italiano dei nostri tempi, che consiste in un piatto di pasta dove sul piatto che viene servito ai commensali ci sono 4 assaggi di 4 formati diversi di pasta, conditi tutti e 4 nello stesso modo, cioè Burro e formaggio, secondo l'uso medievale.
Ed è una proposta gastronomica molto interessante perché ti dà veramente l'idea di come la forma delle cose significhi cose diverse dal punto di vista gustativo. E lui lo fa proprio come provocazione in questo senso, cioè sentite come le paste sono diverse a seconda della forma. Va bene.
Qualche riflessione di metodo sulle storie che vi ho raccontato le ho già fatte di tanto in tanto, comunque richiamiamole per avviarci a una storia conclusiva. La radice di un fenomeno storico è il risultato di una serie di circostanze innovative che consentono al seme di maturare. Quindi, paradossalmente, quello che noi chiamiamo radice non è l'inizio, è già lo sviluppo di qualcosa che c'era prima.
A sua volta, la radice consente di fondare una tradizione. Quindi, possiamo dire che la tradizione si fonda su un'innovazione, che è un discorso paradossale, se volete. Perché noi sappiamo che le invenzioni si fondano sulle tradizioni, ovviamente. Io non posso inventare, come ha fatto per esempio un quartiero marchesi che ho appena citato, il raviolo aperto, se non ho culturalmente l'idea di un raviolo chiuso.
Quindi, ogni invenzione, ogni innovazione presuppone una tradizione da modificare. Ma è vero anche il contrario. Ogni tradizione si afferma perché è frutto di innovazioni precedenti.
Ovviamente innovazioni che funzionano. Quando mi chiedono che cos'è la tradizione, delle mille risposte più o meno intelligenti che potrei dare, una che mi sembra particolarmente azzeccata è che la tradizione è un'innovazione ben riuscita. Si fanno tante prove, alcune cose funzionano, diventano tradizionali.
Poi a sua volta questa tradizione verrà innovata. Nella storia della pasta in Italia ci sono altri momenti importanti. C'è per esempio il XVII secolo, quando la pasta cambia status, cioè cambia il suo ruolo gastronomico.
Questo accade a Napoli, attorno al 1630, come ha mostrato uno studio esemplare di Emilio Sereni. Emilio Sereni ha dimostrato che per la prima volta a Napoli nel 600 la pasta diventa un cibo popolare perché fino a quel momento era spesso considerata un cibo di lusso. E questo accade perché a Napoli in quell'epoca c'era stata una grave crisi alimentare. Non si trovava più sul mercato la carne, si faticavano a trovare le verdure.
che erano i due perni fondamentali dell'alimentazione tradizionale dei napoletani e quindi si afferma la pasta condita col formaggio e col burro che è il nuovo standard gastronomico dell'alimentazione popolare a Napoli legato anche a delle innovazioni tecnologiche che sono la invenzione della impastatrice meccanica e della trafila cioè quella cosa che dà la forma alla pasta Prima tutto questo si faceva a mano. L'invenzione di queste nuove macchine permette di produrre la pasta in maniera più economica e quindi di trasformarla in un cibo popolare. Questo accade nel Napoletano, accade al sud dell'Italia, principalmente in ambienti cittadini.
che sono i luoghi dove c'è il mercato della pasta. E in qualche modo questa trasformazione modifica il ruolo della pasta nel regime alimentare, prima dei napoletani, poi di altre zone del sud, poi nel Novecento di una fetta molto più alta di italiani. Che cos'è che cambia? Quella che io definisco la grammatica alimentare, il cibo è anche un linguaggio e si organizza proprio con una sua grammatica dove ogni cosa ha un posto. C'è un lessico evidentemente che sono i prodotti, c'è una morfologia che sono i modi con cui questi prodotti vengono confezionati, c'è una sintassi, cioè il posto che ogni ricetta ha nel menù.
Se volete c'è anche una retorica, cioè il modo in cui si mangia. Ecco, nel Seicento, a partire da Napoli, la sintassi del pasto italiano cambia perché la pasta non è più un prodotto accessorio come era stato, o di lusso, come era stato fin da quel momento, ma diventa il prodotto base. È come se diventasse soggetto della frase.
Nei ricettari medievali e rinascimentali la pasta, che è molto importante, compare spesso come contorno della carne. Tutti quegli ravioli, tortellini, spaghetti, maccheroni di cui parlavo prima, nei ricettari del Cinquecento, sono spesso proposti come contorno delle carni. Esattamente come accade oggi in certi paesi fuori d'Italia. Voi andate...
In Germania, voi andate in Francia, vi servono la pasta come contorno della carne e allora diciamo scandalo, che schifo. Ecco, è possibile che noi non ci troviamo a nostro agio con questo tipo di proposta, però dobbiamo essere rispettosi di questo tipo di proposta perché è la proposta più antica della nostra cultura. Nel Medioevo si faceva così, nel Rinascimento si faceva così, sono cucine più conservative. È solo in Italia, ed è solo a partire dal Seicento, un po'alla volta, che i ruoli si invertono, che non troviamo più la pasta come contorno della carne, ma la carne come contorno del formaggio e della pasta, cioè il ragù. Il concetto di ragù che condisce la pasta è un rovesciamento grammaticale del piatto dove prima la pasta era l'aggettivo, dopo l'aggettivo diventa l'arbo.
la carne. Questo rovesciamento che ripeto si attua a partire dal 600 prima a Napoli poi in altre città del sud poi un po'alla volta anche verso il nord ma qui siamo già nell'8-900 fa sì che la pasta comincia a essere individuata come un cibo tipicamente italiano. L'uomo è ciò che mangia, è un'idea atavica da cui nasce l'abitudine di identificare un gruppo, una comunità, un popolo con quello che mangia, con quello che mangia di particolare, di diverso rispetto agli altri. Allora c'è un epiteto molto... molto tipico, mangia maccheroni, che noi troviamo in Italia da tempi molto antichi, perché nel Quattrocento mangia maccheroni si diceva dei siciliani, non a caso, perché erano i siciliani aver introdotto in Italia la cultura dei maccheroni, nel senso che ancora oggi in meridione si dà questo termine, maccheroni non sono i maccheroni, maccheroni è la pasta.
A cominciare dal 600, cioè da quando a Napoli succede quel fatto che ho appena descritto, mangia maccheroni diventano i napoletani. Poi, quando quest'uso si diffonde, mangia maccheroni diventano i meridionali, i terroni, come dicono allora. I mangia maccheroni sono quelli. E siccome verso la fine dell'Ottocento, L'emigrazione degli italiani oltreoceano o in altri paesi europei riguarda soprattutto, non solo, ma soprattutto le popolazioni del sud, questi italiani vengono identificati come i mangia maccheroni.
Ed è soprattutto fuori d'Italia che comincia a diffondersi l'idea di identificare gli italiani come mangiatori di pasta. Perché quegli italiani che andavano all'estero erano i mangiatori di pasta, non erano tutti così gli italiani. Però siccome gli italiani che uscivano erano prevalentemente del sud, quindi prevalentemente mangiatori di pasta, è fuori d'Italia, in America, o in Francia, o in Germania.
che si costruisce questo stereotipo dell'italiano come mangia maccheroni o come spaghetti, come dicevano i francesi alla fine dell'Ottocento. Questo stereotipo poi viene fatto proprio dagli italiani e voi sapete tutti che nel 1861 nasce l'Italia come Stato, non come cultura. Io sto parlando di Italia, anche vi sareste accorti, sto parlando del Medioevo e dico l'Italia, la cultura italiana, uno potrebbe dire ma nel Medioevo l'Italia non c'è.
È vero, nel Medioevo l'Italia non c'è come Stato, come entità politica, ma come entità culturale esiste naturalmente. Ora nel 1861 nasce l'Italia come nazione uguale Stato e da un punto di vista tecnico L'evento si verifica come conquista e annessione del sud del regno di Napoli da parte dei piemontesi. Comunque uno la voglia girare e interpretare, quel fatto lì dal punto di vista militare è stata una spedizione dei piemontesi che vanno a conquistare il regno di Napoli.
E quindi il re del Piemonte, che si chiamava re di Sardegna, diventa re d'Italia. È molto interessante vedere che dal punto di vista simbolico la conquista del sud viene rappresentata dai piemontesi come una mangiata di pasta. Mi sto riferendo a una lettera molto curiosa scritta da Cavour, primo ministro del Piemonte. al suo ambasciatore di Parigi. La circostanza è che Garibaldi ha già conquistato la Sicilia e anche questo viene rappresentato da Cavour con una metafora alimentare, dice che le arance sono già mangiate.
Poi Garibaldi è lì che sta per entrare in Napoli, poi lo fermano e arrivano le tontesi. Mentre lui sta lì, che non sa bene cosa fare, Cavour scrive all'ambasciatore a Parigi i maccheroni sono cotti e noi li mangeremo. Ora, questa cosa si può interpretare in varie maniere, si può interpretare in modo brutale dicendo io mi mangio Napoli, un atto di conquista. Questa è un'interpretazione un po'brutale, un'interpretazione un po'più raffinata.
come quella che ha proposto anche recentemente uno studioso italiano che si chiama Franco Lacecla in un libretto sulla storia della pasta e dell'identità italiana, è che in questo modo, dal punto di vista delle culture del nord, cioè del Piemonte e del nord in genere, Conquistare il Sud e realizzare l'unità del Paese implica di farsi carico anche delle culture alimentari del Sud. Quindi quello che fino a quel momento era identificato come tipico dell'Italia meridionale, cioè il fatto di essere mangiatore di pasta, deve essere assunto anche dal Nord se il Nord pretende di rappresentare l'unità nazionale. Comunque è interessante vedere come queste metafore non siano invenzioni degli storici, ma siano utilizzate anche dai protagonisti di queste vicende come delle metafore che sono in grado di spiegare gli eventi. A partire da quel momento la pasta diventa il cibo nazionale degli italiani.
Nel Novecento si generalizza, un po'alla volta. Si generalizza attraverso dei processi molto lunghi che comprendono anche eventi drammatici come la Prima Guerra Mondiale che è un momento di grande confronto e scambio di modelli di consumo durante il periodo fascista, poi con... i mass media, la televisione, tutto quello che volete, da questa storia più recente che non sto a descrivervi perché se no staremmo qui fino a mezzogiorno e verrebbe ora di mangiare e sarebbe un po'indelicato parlare di spaghetti proprio nel momento di andare a pranzo, indelicato ma potrebbe anche essere un'ipotesi, la pasta diventa Veramente il segno dell'identità gastronomica italiana e come tale viene percepita anche all'esterno.
Quindi è un gioco di rimando fra dentro e fuori, è un'immagine che si costruisce fuori, che rimbalza dentro e adesso viene di nuovo rimbalzata fuori. Alla luce di questa vicenda io vi propongo alcune riflessioni finali che poi riportano al titolo di questo intervento. incontro, sul rapporto che esiste fra le idee di origini, radici, identità.
Termini che, come dicevo aprendo questa mattina, spesso vengono confusi mentre io credo che debbano essere distinti in maniera molto precisa. E per fare questo voglio fare una... un esperimento.
Voi sapete che oggi una delle mode degli chef è quella di destrutturare i piatti, cioè prendere un piatto e destrutturare gli ingredienti e metterli separati sul piatto. Io mi metto nei panni di uno storico chef e vi propongo una destrutturazione non gastronomica ma storica. di un piatto tipico dell'identità italiana contemporanea che sono gli spaghetti al pomodoro distinguendo gli ingredienti e le procedure. Gli ingredienti fondamentali di questo piatto direi che sono sei o forse sette.
I due base evidentemente spaghetti pomodoro, olio d'oliva, aglio, basilico, parmigiano Gli spaghetti abbiamo già visto che sono un'invenzione araba del medioevo, che c'è una serie di innovazioni tecnologiche a Napoli nel 600 che consentono a questo prodotto di diventare popolare, di abbassare il suo costo e poi, come sappiamo, è lo sviluppo industriale del XIX e del XX secolo, da Buitoni a Barilla e chi volete aggiungervi, rende questo prodotto veramente un luogo centrale dell'identità e dell'economia italiana. Pomodoro, come tutti sappiamo, è un prodotto di origine americana che arriva in Europa nel 500. La prima menzione è in Spagna nel 1540, in Italia la prima menzione è del 1596. Olio d'oliva. L'olio d'oliva è un prodotto antico, un prodotto tipico della cultura mediterranea, anche se, se pensiamo agli impieghi alimentari, dobbiamo precisare che gli antichi, cioè i greci, percepivano l'olio più come un cosmetico che come un alimento. Cioè per loro, ovviamente, usavano l'olio in cucina, ma l'olio serviva prima di tutto. per ungere il corpo.
Una massima degli antichi greci era se vuoi stare in salute ungi il corpo di olio fuori e di vino dentro. Aglio! Anche l'aglio è un prodotto antichissimo, tipico delle culture mediterranee, però sulla pasta non compare fino a che la pasta viene condita col modello burro formaggio che è il modello medievale rinascimentale seicentesco settecentesco perché col burro il parmigiano l'aglio non ci sta tanto bene basilico basilico è un prodotto antichissimo però nella cucina medievale rinascimentale io lo trovo poco perché allora preferivano profumi diversi. Se c'è un'erba tipica, un profumo tipico della cucina italiana del 4-500 io direi che è la maggiorana, cioè quel profumo dolciastro un po'simile al timo. Voi direte cose di dettaglio, certo cose di dettaglio, ma è qui che si distingue una cucina da un'altra, non è nello spaghetto che è uguale dappertutto, è nel profumo che questo spaghetto assume.
in un contesto o in un altro. Il dettaglio è fondamentale per definire le identità gastronomiche. Pensate che gli emigranti genovesi che andavano in America non stavano a decantare la pasta della loro terra natia che potevano trovare benissimo anche a Nihoa, ma loro dicevano, ah, il pesto. Pesto, basilico, il profumo delle nostre tue... Era quello, l'elemento identitario prustiano della nostalgia alimentare non è nel prodotto base, che puoi trovare dappertutto, ma è nel dettaglio, nel profumo che ti ricorda la casa, che ti ricorda la tua terra.
Per questo è importante anche soffermarsi sul basilico piuttosto che sul maggiorano. Il parmigiano è un'invenzione medievale ed è di tutti i prodotti che sto elencando sicuramente quello più legato alla storia della pasta, perché le vicende storiche di affermazione del parmigiano, che noi oggi chiamiamo parmigiano ma che nel Medioevo chiamavano piacentino o lodigiano, lo facevano in tante... in tante zone e lo chiamavano in tanti luoghi diversi, poi si è affermato modernamente quest'idea del prodotto di origine parmigiano-areggiano va bene, chiamiamolo così è però un prodotto strettamente legato alle fortune della pasta perché questo gesto di grattugiare il formaggio secco, parmigiano, secco o semifresco sulla pasta è un gesto molto antico e di grandissima fortuna E'una delle costanti di questa storia che peraltro è molto discontinua.
Peperoncino se volete aggiungerlo, anche qui aspettate la scoperta dell'America perché viene dal Messico, anche se poi diventa un prodotto identitario di certe cucine locali italiane come la calabrese. Un calabrese senza peperoncino è morto. Non è che è morto, non esiste, non nasce. Qualche osservazione sulle procedure per preparare questo piatto.
Bollire la pasta, lo abbiamo già detto, è una tecnica che nasce nel Medioevo insieme con la pasta secca. Condirlo con la salsa di pomodoro. E questo è molto tardivo, perché il pomodoro arriva in Europa nel Cinquecento. Ma usare il pomodoro per fare una salsa... è un'abitudine che compare solamente nel Seicento e compare in Spagna tant'è vero che nei ricettari italiani di fine Seicento dove per la prima volta si parla della salsa al pomodoro per condire la carne la si chiama salsa spagnola il connubio tra la salsa al pomodoro e la pasta si realizza solamente nella prima metà dell'Ottocento Quindi dal punto di vista dei tempi storici siamo molto vicini a noi e si realizza non a caso a Napoli che nel frattempo era diventata la capitale degli spaghetti.
Quindi sono i ricettari napoletani dei primi dell'Ottocento che per la prima volta propongono gli spaghetti conditi con la salsa al pomodoro. Ma la prima ricetta italiana di spaghetti con la salsa al pomodoro prevede l'uso dello strutto. alla faccia della cucina mediterranea.
E qui ritorna il discorso del condire con l'olio, come oggi ci sembra così normale, è un uso molto recente. È un uso molto recente che sovverte la tradizione medievale rinascimentale di usare burro o grassi animali, a livello più popolare come lo strutto, e che viene... diciamo codificata solamente da Pellegrino Artusi nel 1891. è Pellegrino Artusi che codifica in realtà gli spaghetti al pomodoro conditi con l'olio ed è lì che lui lancia un po'la palla alla modernità alimentare. Fine della storia.
Questo esempio, questo esempio di destrutturazione storica della ricetta spaghetti al pomodoro mostra che una lunga serie di innovazioni avvenuti in luoghi e tempi diversi, ha contribuito a costruire questa tradizione tipicamente italiana. Noi abbiamo visto prodotti antichi con usi moderni, è il caso dell'olio, è il caso del basilico, prodotti antichi ma che vengono impiegati modernamente in questa ricetta. Abbiamo visto prodotti e usi medievali, lo spaghetto e il parmigiano sono due usi. e prodotti medievali.
Abbiamo visto prodotti e usi moderni, pomodoro e il peperoncino se volete. La conclusione che si può trarre da questa storia è che le radici storiche di questo piatto si trovano in gran parte fuori dell'Italia, le radici, ma non l'identità di questo piatto che invece è. fortemente italiana.
Cioè le radici non sono l'identità. L'identità è una costruzione storica che un po'alla volta costruisce delle realtà che ci definiscono. Cioè l'identità è ciò che noi siamo. Spesso si dice conserviamo l'identità, ma un'identità non si può conservare.
Non è una cosa che si mette in frigo, l'identità è una cosa che si è, e uno è, è quello che è. Se non ha conservato la sua identità vuol dire che ne ha costruita una nuova, ma non è che uno non ha, non puoi non avere un'identità, puoi avere un'identità che non ti piace magari, ma una ce l'hai. Le radici invece sono i mattoni, gli ingredienti, se volete usare ancora una metafora alimentare, stratificandosi gli uni sugli altri, interagendo fra di loro, storicamente hanno consentito a questa identità di formarsi. Cioè se provate a immaginare i due concetti di radici e di identità dovete collocarli su una linea nei due punti estremi.
Le radici stanno all'inizio, le identità stanno alla fine. Non sono la stessa cosa. Non sono la stessa cosa al punto che se io vado alla ricerca delle mie radici, che è un'attitudine culturale tipica del nostro tempo, se io vado alla ricerca delle mie radici, non trovo la mia identità, ma trovo altre cose che mi portano fuori di me.
Cioè se io cerco... Le radici di un piatto fortemente identitario come gli spaghetti al pomodoro o di qualsiasi altro fenomeno gastronomico, non gastronomico, tutto quello che volete, questa ricerca delle radici sottoterra non mi porta a raggiungere il punto da cui io provengo, ma al contrario mi porta a raggiungere tanti punti lontani da me, più vado giù a fondo e più vado lontano da me, che poi mescolandosi insieme, intrecciandosi insieme, hanno prodotto questa pianta di cui io sono il frutto, cioè la mia essenza. Ora, la metafora delle radici, l'immagine delle radici è un'immagine molto bella, molto suggestiva, però bisogna usarla bene. Ora, le radici non sono delle carote. perché spesso si utilizza l'immagine delle radici come se noi fossimo alla ricerca di quel punto dove si capisce tutto, cioè di quelle origini di cui parlavo all'inizio, il mito, l'idolo delle origini che spiegano tutto quello che è successo poi.
Ma le radici non funzionano così, non hanno una... Una punta di carota in fondo, non è un carotaggio nel terreno, la ricerca delle radici si allargano sotto il terreno, cioè hanno una forma esattamente contraria a quella della carota. Quindi la ricerca delle radici mi porta... in dei luoghi che si allontanano progressivamente da me. Se io cerco le radici del mio piatto, che sto mangiando lì oggi tranquillamente, a casa, i miei spaghetti al pomodoro, trovo delle radici che vanno a finire nel Medioevo, nell'Antichità, ma anche nelle culture americane, anche nelle culture arabe, anche in epoche molto più vicine a noi.
Trovo di tutto. Quindi il paradosso finale di queste considerazioni, che non sono considerazioni di tipo teorico, ma sono considerazioni basate sulla storia e di oggetti che conosciamo molto bene, è che la ricerca delle radici in realtà non è un modo per trovare noi stessi al fondo della storia, ma un modo per trovare gli altri al fondo della storia. e di capire che le radici della nostra identità sono anche gli altri. Non voglio dire solo, ci siamo un pochino anche noi in mezzo, noi facciamo parte degli altri.
Quindi tutti questi altri dei quali facciamo parte anche noi sono coloro che noi troviamo andando alla ricerca delle nostre radici fuori dalla nostra identità.