L'esistenzialismo nasce fondamentalmente nel clima delle guerre che hanno sconvolto il mondo. Guerre che ponevano alla riflessione su quanto l'uomo può perire in ogni momento, su quanto siamo piccoli e fragili e tutte le nostre credenze vengono distrutte. Soprattutto quelle credenze di ottimismo ottocentesco che avevano deluso. L'esistenzialismo affonda le sue radici sicuramente in Kierkegaard, e ne vediamo l'influenza in autori come Dostoevsky, che proclama come il problema dell'uomo sia la possibilità di scegliere, la possibilità della vita, da cui dicendolo bene e male, sono un peso insopportabile, e di fronte ai dilemmi della vita l'uomo, rappresentato dal grande Dostoevsky, è un uomo che non è un uomo, ma è un uomo che non è un uomo. inquisitore cede di fronte al silenzio di Cristo.
La possibilità significa anche il mutamento e questo causa una paralisi quando si deve scegliere. Come Kafka, quando ci parla della metamorfosi. Un uomo che non è né umano né scarafaggio, è qualcosa a metà di orribile, che non riesce a situarsi in nessuno dei due, non ha il controllo del suo corpo e della sua mente e quindi rimane immobile, depresso. Con Kafka abbiamo imparato la presenza di quella minaccia sempre presente, inafferrabile e ineluttabile che è la morte, il processo, e di quanto siamo insignificanti di fronte all'immenso nulla. Altri autori come Camus ci parlano della vita vita vista come assurdo, privo di senso, i nostri sforzi che si infrangono e non riescono a completare uno sforzo.
Esiste una rivolta umana, ma è una rivolta prometeica, designata alla sconfitta, la letteratura è dominata dal decadentismo. muore, tutto fallisce, tutto invecchia. Insomma, abbiamo una critica aspettata alle ideologie ottocentesche, che hanno fallito nell'ottimismo, e che sono accusate di voler sciogliere l'individuo in un processo eterno e non personale.
Abbiamo un forte pessimismo, che si concentra nella solitudine, il mistero, il limite, la scelta, l'oblio, l'irrevocabilità del tempo. Pensate all'ermetismo, Ungaretti, Salvatore Quasimodo. L'esistenzialismo è una filosofia che si concentra sull'individuo in quanto unico, irripetibile, concreto, finito ed immerso in un mondo confuso.
e distrutto che deve chiedersi perché sono qui. Ora, l'esistenzialismo è una scuola di pensieri e come tale abbiamo il problema di infilarci dentro i filosofi. Sartre, ad esempio, negava di essere un esistenzialista, anche se sappiamo che è ridicolo non metterlo tra gli esistenzialisti, e lo stesso fece Leopardi che non si proclamava romantico, ma lo era chiaramente.
Diciamo che, a volte, i filosofi possono sbagliare su se stessi. E questo ci porta a Martin Heidegger. Lui era esistenzialista?
C'è chi dice sì, c'è chi dice no, c'è chi lo divide tra un primo Heidegger, il filosofo dell'esistenza, e un secondo Heidegger, il filosofo dell'essere. E quindi dicono che un è esistenzialista e l'altro no, o viceversa. Ora, se volete la mia personalissima opinione, la divisione tra primo e secondo Heidegger è una cosa che non è possibile.
Il primo e il secondo Heidegger lascia un po' il tempo che trova, ormai vetusta, è sempre più criticata dagli esperti. Non ha molto senso perché il primo e il secondo Heidegger sono in palese continuità e non si può spiegare il secondo senza il primo. E il secondo è anzi la naturale conseguenza del primo. Quindi io in questo video parlerò di tutto Heidegger, non come si fa nei libri, prima la metà e poi qualche filosofo dopo la seconda. Per quanto riguarda la domanda dell'esistenzialismo, Heidegger era esistenzialista.
Lo era, nel senso che influenzò tutti gli esistenzialisti nel 900 e nel 2000. Lo era, nel senso che fu influenzato dagli esistenzialisti. Lo era, nel senso che affrontava i loro sistemi e lo stesso modo. Nacque in una famiglia cattolica.
Inizialmente studiò teologia, cosa che ha portato questo filosofo a venire chiamato un Agostiniano Grigio. dato che è palese l'influenza di Agostino nelle sue filosofie dell'essere, ma in seguito rinunciò al cattolicesimo e si laureò in filosofia. Abbiamo già parlato del suo rapporto con Husserl, che diceva la fenomenologia siamo io e Heidegger.
Heidegger ebbe una scesa strepitosa, si circondò di diversi allievi che sarebbero poi diventati grandissimi filosofi, e tutti lo descrivevano come un uomo affascinante, un maestro per tutti loro. È famosa anche la sua relazione amorosa con la studentessa Anna Arendt, proprio si bombava le studentesse. La sua filosofia è iniziale con la critica agli psicologisti, su quindi basi husserliane e kantiane.
sostenendo che la logica sia temporale, in seguito si allontana dai neocantiani, sostenendo che la logica abbia una fondazione metafisica, che la connette con il mondo dello spirito vivente, uno spirito che ha palesi influenze nella mistica medievale, in Agostino e Kierkegaard, e lui stesso afferma che senza quella origine teologica non ci sarebbe arrivato. Lui utilizza il metodo fenomenologico, che quindi punta sulla concretezza per analizzare il problema dell'essere, utilizzando i fatti della vita per puntare alle cose. Nel suo libro Essere e Tempo, lui si pone la domanda suprema della filosofia.
Che cos'è l'essere? Qual è il suo senso? Lui sostiene che a rispondere questa domanda deve essere l'uomo, che ha un rapporto privilegiato in quanto è l'unica cosa che è e può rispondere. Quindi il concetto, il meme che sentite spesso, l'uomo e l'universo che pensa, deriva da Heidegger. Quindi la filosofia cerca l'essere e il suo senso interrogando l'uomo.
L'uomo è esserci, ossia non solo è un ente, ossia... qualcosa che è nell'essere, che ha l'essere, ma che ci è, cioè sa di essere. Penso, quindi sono. Ora Heidegger compie un'analitica esistenziale, quindi l'esserci è colui che comprende il problema dell'essere e si pone il problema. L'esserci è un insieme di possibilità.
Io sono un uomo, un insegnante, un pompiere, io posso essere tutte queste cose. Il problema è la scelta. Heidegger chiama questo esistere, cioè existere in latino, stare fuori. Fuori nel senso che noi siamo Fuori dal mondo, nella dimensione progettuale, Noi siamo nei mondi possibili futuri.
Ogni esistenza è sempre singola. Esiste questo tavolo, questa tastiera. Quindi il metodo fenomenologico punta alle cose che si danno a noi come manifestazione della cosa stessa. Heidegger va in senso contrario a Kant.
Per Kant c'è un numero e poi c'è il fenomeno che è un velo ingannevole. Per Heidegger è il contrario. Il numero si manifesta proprio in questo modo. Il logos si apre. Quindi per Heidegger la filosofia è un'ontologia universale che si occupa dell'essere e fenomenologica che si occupa della datità.
degli eventi. L'uomo è un essere del mondo, nel mondo, ossia esserci. È l'unico che si pone il problema dell'essere.
L'esserci è basato sul prendersi cura delle cose. Ma che cos'è la cura? La cura consiste nel costruirle, quindi dare di nuovo trascendenza, la progettualità. Ho davanti un pezzo di legno ma io già immagino un tavolo e quindi sto trascendendo la realtà di fatto.
Il manipolarle, quindi il commercio. L'esserci è quello che collega tutte le cose con dei rimandi. Questo martello.
Non è un martello e basta, è un oggetto che io uso per martellare, martellare il chiodo, che serve a tenere sulla parete un quadro e così via, una ragnatela di relazioni che sono create dall'esserci. Ora, ogni strumento heideggeriano serve per qualcosa, è un'estensione dell'io, della sua volontà progettuale. Lo strumento è ciò che sta per qualcos'altro, come il segno nel linguaggio.
Quindi noi siamo creatori di una rete di significati, e questa è la cura. Ma questa struttura del mondo è precompresa. Cioè, noi non creiamo nulla, noi nasciamo in una cultura che ha già una sua lingua, ha già delle idee, ha già dei collegamenti, quindi noi nasciamo con una precomprensione della nostra eredità, noi la riscopriamo.
E questo è il circolo ermeneutico. Capite bene quindi che per Heidegger non esiste solo ipsismo. L'esserci è sempre in mezzo al mondo e tra gli altri.
L'esistenza è intuitivamente apertura verso gli altri, avere cura degli altri. E si possono avere due tipi di cura verso gli altri. O sottrarre. agli altri le loro cure o aiutare gli altri ad essere liberi di avere delle cure.
La prima è detta esistenza inautentica, ossia l'essere insieme. La seconda è l'esistenza autentica, cioè coesistere. Nel primo caso, per comprendersi, l'uomo parte dal mondo e dagli altri, e questo è inautentico, è un modo di vivere anonimo. Oppure può partire da se stesso, e questo è autentico.
Heidegger non giudica l'esistenza inautentica, ma com'è fatta? L'esistenza inautentica, tipica degli antivaccinisti di Diego Fusaro, è basata sul sì. Si dice.
si fa è basata sulle convinzioni ufficiali, sulla chiacchiera. Le cose stanno così perché si dice così. Si tratta di un'esistenza vuota, e siccome è vuota è sempre protesa verso il nuovo e le apparenze, la morbosa curiosità la chiamava lui, come il divertissement di Pascal. Generando quindi l'equivoco. La curiosità, le apparenze e gli equivoci sono i tre contrassegni della vita inautentica.
Questo porta alla deiezione, ossia l'accaduta dell'uomo, a livello di cose mondane, una sorta di peccato originale. Vedete come ritorna il simbolismo religioso. L'uomo diventa un semplice fatto, è fattuale.
L'uomo si ritrova gettato nel mondo, abbandonato ai fatti, manca della progettualità. Come diceva il poeta romano Igino, la cura diede forma all'uomo, la cura possiede l'uomo finché esso vive. Quindi questo ci porta al tema centrale della filosofia di Heidegger e della mia filosofia. La morte, la fine dell'esserci. Noi non la possiamo esperire, noi non moriamo davvero.
Noi diciamo si muore, sono gli altri a morire. E' noto che si possa morire, ma tu non sei mai morto. L'esistenza è sempre singola, è sempre tua, e tu non hai ancora visto la morte.
La morte è la possibilità assoluta e propria dell'esserci. E' incondizionata, tu di fronte ad essa sei un singolo uomo isolato, si vive insieme e si muore da solo, diceva Lost. Tu, quando morirai, dovrai fare i conti con quel terrore da solo.
E tutto quello che pensi di sapere già sulla morte, che ti viene detto, sarà chiacchiera. La morte è insormontabile, è certa, solo riconoscendo la p***a. possibilità della morte è possibile trovare il senso autentico dell'esserci, che è limitato, e comprendere se stessi con quella che è la possibilità dell'esistenza data dalla rinuncia a se stessa. La consapevolezza della morte produce l'angoscia, che come diceva Kierkegaard è diversa dalla paura. Nella paura tu hai un oggetto ben definito.
L'esserci è posto di fronte ad un immenso nulla dato dall'impossibilità della sua esistenza. È di fronte all'abisso. E se guardi l'abisso, anche l'abisso guarderà a te. L'esistenza inautentica è la fuga dalla morte.
Quella autentica invece è l'essere per la morte. E' colui che pensa alla morte, che viene colto da questa angoscia, che osserva l'abisso. Non è solo adottato, c'è nato dentro, è stato plasmato. Non significa realizzare la morte con il suicidio. La morte è una possibilità, una minaccia sospesa.
La voce della coscienza è quella che richiama l'esistenza a se stessa, al suo essere autentico. Quando ci prendiamo cura per i morti, cerchiamo di riportarli nell'esserci, di nasconderli alla verità della morte. e in fondo stiamo cercando di consolare noi stessi. Ma quindi l'esserci è colui che progetta, ma non è progettato, fonda, ma non è fondato sul nulla. L'esserci è una nullità in se stesso, ed anche quando progetta lo fa dicendo sì ad una possibilità e no a tutte le altre.
Quindi l'esserci è doppiamente negativo. L'uomo deve decidersi per il nulla autentico, deve comprendere la nullità della sua esistenza. Vedete che ironia.
Nella prima se all'essere si ritrova al nulla. La morte ci ricorda il nostro limite di possibilità, il famoso ricordati che devi morire, che ora proprio me lo segno, e anche di autentificare il nostro senso della cura. E questo senso è il tempo.
Il tempo degli uomini, vedete che poesia che è la filosofia di Heidegger. Perché l'essere gettati ci lega nel passato, la deiezione ci lega al presente e la cura ci proietta nel futuro. Ora capite il titolo essere e tempo. Lo scopo dell'uomo è quello di rimanere fedele alla comunità a cui appartiene e alla sua storicità, l'erita del passato.
Questo molti lo hanno preso come conservatorismo, ma non è così. Heidegger critica il restaurazionismo conservatore. Lui intende comprendere il destino del popolo, che è dato da un passato, non è il passato. Il tempo è l'orizzonte della comprensione dell'essere, perché ogni cosa viene nel tempo.
Ora Heidegger, alla fine del libro, dice che deve fare una seconda parte dedicata al problema dell'essere in generale, ma non venne mai creata. Era incompleto. E qui inizia il secondo Heidegger, che ha una svolta. Afferma di comprendere come poter parlare del problema dell'essere. Perché il problema è il linguaggio.
Il linguaggio che abbiamo usato finora è completamente sbagliato e insufficiente. Heidegger realizza un cambio di prospettiva. È l'uomo ad essere in rapporto all'essere e non viceversa. La verità è l'accadere dell'essere.
E l'esserci è il fondamento, non in senso idealistico, cioè non è che la mente crea il mondo, bensì la mente permette al mondo di mondificarsi. Questo ha influenzato la mia ontologia. Dunque... L'essere tramite l'esserci rende visibile l'ente. L'essere non si dà mai senza l'uomo, c'è un po' di Hegel.
La differenza ontologica è quella tra essere e ente. L'ente è l'oggetto singolo, la tastiera che è, il mouse che è. L'essere invece è quel è, che è comune a tutti loro.
La scienza si occupa degli enti e nient'altro. Ma che cos'è questo nient'altro? Di questo se ne occupa la metafisica.
Noi dobbiamo immergerci in questo nulla. Trascendendo l'ente troviamo il niente. che è l'orizzonte che rende accessibile l'essere.
Quindi essere e nulla sono identici. Il nulla, la potenza in cui gli enti sono, è l'essere. La verità consiste nella libertà di lasciare essere l'ente, ed è un dono che l'essere fa all'uomo.
Heidegger colpevolizza Platone di aver antropologizzato la verità. I presocratici concepivano la verità come rivelazione dell'essere, mentre Platone fonda l'essere sulla verità al contrario. Questa è l'errore di Platone. Pensare che esiste una realtà profonda e poi c'è una credenza fittizia che bisogna superare per arrivarci. Mentre Heidegger dice che la verità, in greco, si dice aleteia, cioè non nascondimento.
Quindi la verità implica nascondere. Quando tu mostri i singoli enti, la totalità, cioè gli altri possibili, non esistono, restano nascosti. Il manifestarsi dell'ente coincide con l'assentarsi dell'essere, che è il nulla. E questa è l'epochè cartesiano-usserliana in chiave ontologica. Esattamente come bisognava dubitare di tutto per trovare la verità, così bisogna togliere tutto per trovare l'essere, e l'essere per disvelarsi deve sparire.
L'essere è l'evento, e qua c'è molto di Kierkegaard con la sua epifania. La lotta tra terra, Chthonia misteriosa, e mondo aperto manifesto. Il secondo si fonda sulla prima, che si rivela nel secondo.
Per questo l'essere è necessariamente oblio. Per comprendere l'essere bisogna errare, camminare e quindi fare un errore. Questo è il motivo per cui dividere primo e secondo Heidegger non ha senso. Per lo stesso motivo per cui non ha senso dire che Hegel è un romantico ma Fichte no o al contrario.
Sono tutti e due romantici, semplicemente il romanticismo si evolve. Al tempo stesso Heidegger ha una filosofia che muta, sempre guardinga. E tutti i filosofi hanno ereditato questa colpa da Platone, spostando il focus dall'esserci e non sull'essere.
Dalla scolastica che si parlava dell'ente supremo, Dio e non dell'essere, il rinascimento che portava l'uomo al centro del cosmo, che culmina in Cartesio, che fonda tutto sul cogito, e quindi accante la metafisica idealista, in cui il noumeno viene negato. Nietzsche, per Heidegger, è colui che voleva porre fine alla metafisica, ma in realtà lui è l'ultimo metafisico, ragazzi, la dissata più grande della storia della filosofia, in quanto lui riduce la verità ad una volontà cretacea dell'uomo, con lui c'è l'oblio dell'essere, quindi il nichilismo. Quindi, qui Heidegger critica l'umanesimo e l'esistenzialismo, anti-umanesimo e anti-esistenzialismo, che influeranno sul post-strutturalismo, perché pongono al centro l'esserci e l'esistenza prima dell'essere.
Qua sta dissando il suo allievo Sartre, che aveva scritto che l'umanesimo è esistenzialismo. L'uomo non è padrone, ma pastore dell'essere. Tutto parte dall'essere, non dall'esserci. Quindi, ad esempio, la vita inautentica è una forma di oblio dell'essere che si nasconde. Il progetto autentico è un'iniziativa dell'essere.
In questo, per Heidegger, sono importanti l'arte, che è l'evento dell'essere. Si pensa al suo commentario del quadro sulle scarpe della contatina di Van Gogh, in cui quelle scarpe ci raccontano una storia, una serie di legami, della cura. È l'essere che si manifesta su un pezzo di carta.
E poi c'è il linguaggio, che non è parlato dall'uomo, è l'uomo che è posseduto dal linguaggio, diventa Chomsky. Tutto parla, noi parliamo continuamente, parliamo anche quando siamo silenziosi, ed è difficile parlare del linguaggio, perché dovremmo farlo con il linguaggio. Il linguaggio è quello che delinea l'orizzonte entro cui avvengono gli eventi, e ottengono un significato, la cura. Il linguaggio è la casa dell'essere, dove si eventualizza l'evento, e noi siamo ospiti. E quando unisci arte e linguaggio, otteni la poesia, che fornisce ai popoli usanze e costumi, plasma la storia, dissing allo storicismo, che dice il contrario.
In particolare Heidegger ammirava Aldrin, e il suo Dio del Divinire. Da qui deriva il suo etimologismo, lo avrete capito ascoltandomi parlare. Heidegger spesso fa derivare la filosofia dalle origini grammaticali delle parole. Nietzsche è l'ultimo metafisico, ma è anche il primo che annuncia una nuova epoca, l'epoca della tecnica.
L'Occidente è la terra della sera. C'è un tramonto dell'essere e il dominio incontrastato dell'uomo sul mondo. Questa è la tecnica.
La tecnica è la metafisica realizzata sul mondo. Per i greci la techne era il tendere verso ciò che prima non era tale, un disvelamento dell'essere assecondando la natura. Mentre invece oggi la tecnica piega la natura.
Heidegger fa l'esempio dell'agricoltura programmata. Obblighiamo la terra a produrre quanto vogliamo noi. Pensate all'atomo, la bomba atomica che Heidegger vide emergere.
La tecnica che domina il mondo moderno industriale fa smarrire le essenze dell'uomo e della verità. Il primo perché l'uomo non pensa più di incontrare altro che se stesso, perché se tutto obbedisce all'uomo, tutto è estensione dell'uomo, e allora io non incontro altro che altri io in questo mondo. Il secondo perché si confonde la tecnica con l'essere, mentre la tecnica è solo una delle modalità di sviluppo dell'essere.
La filosofia sta morendo, dice Heidegger, dissolvendosi nelle scienze autonome, che unite si chiamano cibernetica. Ma nella tecnica c'è una chance di salvezza suprema. Perché la tecnica è sempre una decisione dell'essere.
La filosofia deve riprendersi da questa malattia diventando qualcos'altro. Quindi si riduce a pensiero memorante, che deve pensare e poetare il problema dell'essere, ricordandolo agli uomini. Bisogna abbandonarsi all'essere, oltre la concettualità.
Ascoltare la poesia dell'essere, che, come diceva la mia professoressa di filosofia, Santa Donna, è sfondo inesauribile di significato. Heidegger prevedeva l'arrivo di una futura filosofia, e questa ha creato la controversia tra le interpretazioni di destra e quelle di sinistra della filosofia di Heidegger, rispettivamente che l'essere potrà essere compreso oppure che l'essere rimarrà sempre inoggettivabile. L'interpretazione di sinistra sembra essere quella più probabile, perché tiene conto della differenza ontologica. Da qui deriva la famosa frase «Solo Dio ci può salvare», a Heidegger la seriemento. La questione religiosa resta ancora ambigua.
Heidegger dice che l'essere non è Dio, si manifesta nell'essere, e i due camminano insieme. Potremmo finire qui, ma è necessario parlare della domanda. Ovunque troverete su internet video e post che accusano Heidegger di essere nazista.
Quanto c'è di vero? Dunque, Heidegger si è iscritto al partito nazista. E molti chiudono la questione qua. Ma questo sarebbe stupido, perché bisogna distinguere tra l'adesione formale ad un partito e l'effettiva convinzione dei suoi ideali e le sue azioni.
Se no, secondo questo ragionamento, ogni singolo non iscritto al partito nazista è estraneo ai crimini nazisti. Invece non è così, ci sono stati tanti simpatizzanti non iscritti. E di contro ogni singolo nazista sarebbe un mostro, e invece molti sono stati nazisti che si pentirono e lottarono contro Hitler, come Schindler e l'operazione Valkyria.
Insomma, se fosse così, ogni volta che voi avete cliccato accetto senza neanche leggere il contratto, tecnicamente lo avreste letto. Che però è falso. Quindi esaminiamo la storia e vediamo se Heidegger era nazista. Partiamo da un fatto.
I nazisti odiavano Heidegger. Lo detestavano a morte. Erich Rudolf Jönnig, che fu suo collega, lo definiva uno schizofrenico. È un pensatore ebraico, avvocato talmudico che ha attirato molti ebrei nel suo corso. E le apparenti somiglianze con il nazismo erano solo un adattamento fatto apposta da Heidegger per rimanere potenti in ambito universitario.
E già questo potrebbe chiudere la questione. Altri nazisti lo consideravano un rivale, aveva conflitti continui con intellettuali burocrati nazisti, veniva criticato perché la sua filosofia non esaltava la razza nordica e perché troppo preso dall'angoscia. Qualche professore... tipo Naumann, cercò di fondere essere tempo con la mitologia norrena, e la cura era vista come odino. Ma Heidegger non l'ha mai fatto.
Heidegger criticò l'idea nazista del complotto giudaico- massonico, dicendo che, correttamente, il marxismo è un'idea occidentale, e che l'idea del dominio della ragione, che siamo tutti uguali, è di origine cristiana, prima che comunista, e che il cristianesimo deriva dall'ebraismo. Quindi, se il marxismo deriva dall'ebraismo, allora tutta la cultura europea deriva dagli ebrei, e i cristiani sono fondamentalmente bolshevichi. Io penso che questa frase abbia appena fatto esplodere il congresso di Verona, dopo implosione.
Ora passiamo a cosa pensarono gli antinazisti. Il processo di denazificazione, con Jasper che faceva il bello e il cattivo tempo, ha dichiarato Heidegger simpatizzante, il più basso livello possibile, e non complice. È stato accusato di aver denunciato tre colleghi per non essere abbastanza nazisti, ma questa affermazione è stata disputata da Edward Langwald.
Uno dei suoi colleghi è stato accusato di essere pacifista da Heidegger, e la Gestapo lo ha confermato, e Heidegger avrebbe chiesto di licenziarlo senza pensione. Anche se questo non è mai successo. L'Hangwald afferma che questo è assurdo, perché Heidegger stesso fu pacifista nella prima guerra mondiale, e iniziare a sventolare fumo sul pacifismo sarebbe alquanto ridicolo e pericoloso per lui stesso. Più probabilmente Heidegger riteneva il nazismo un movimento rivoluzionario, in cui era possibile eliminare il vecchio per far spazio al nuovo, e lui ha preso parte a questa innovazione, ma non in senso filo-nazista. per il secondo collega, denunciato in quanto aveva chiesto l'adesione all'SA e proclamato non nazista ed intellettuale libera al democratico.
E' probabile che Heidegger detestasse queste persone come opportuniste che potevano infiltrarsi nella rivoluzione nazista e usarla per il proprio potere. Lo studente cattolico Müller era uno dei suoi pupilli, ma quando Heidegger si unì ai nazisti, lui smise di seguire le lezioni di Heidegger e Heidegger lo licenziò e perché non era politicamente appropriato e gli impedì di diventare docente. Sempre secondo Langwald, Heidegger non aveva scelta.
Lui era il responsabile dei suoi studenti e Müller era apertamente antinazista. Doveva licenziarlo, altrimenti lo avrebbero preso per antinazista. Ricordiamo che Heidegger fece licenziare anche un leader studentesco nazista perché era troppo vicino al regime.
Quindi sappiamo che Heidegger non era adeso al regime ideologicamente. È vero che si rifiutò di dare lezioni dottorali agli studenti ebraici, però li indirizzava verso il professore cattolico Honecker. Quando venne approvato il decreto Wagner, che impediva ai docenti ebrei di insegnare, e Husserl venne licenziato, Heidegger non c'entrava niente.
La cosa era già decisa. È vero che non si presentò alla cremazione del suo maestro, ma si scusò con la moglie, proclamando un fallimento umano e chiedendole perdono. I suoi studenti dicono che non mostrava alcun timore nei suoi corsi di criticare così esplicitamente il nazismo che i suoi studenti avevano paura che sarebbe stato il prossimo professore a fare una brutta fine con la Gestapo.
Quelli che hanno conosciuto Heidegger ne ammiravano il coraggio per aver usato la sua posizione per attaccare il nazismo. Era l'unico professore a non fare il saluto prima delle lezioni, anche se era obbligatorio per legge, e faceva spesso discorsi ritenuti pericolosissimi. Insomma, possiamo riassumere la sua posizione così. Heidegger si è ritrovato al potere in un momento di cambiamento, in cui tutti i professori erano tenuti sotto stentissimo controllo.
Ha usato il suo potere, cosa che conferma lui stesso nelle interviste, per mantenere le università più indipendenti possibili dal controllo del regime. Ma ovviamente ha anche dovuto giocare la parte dell'obbedienza al regime e allontanare elementi scomodi. Passiamo ora però dalla pratica alla teoria.
Cioè, ok, abbiamo capito che Heidegger non ha lavorato con i nazisti, anti spesso gli ha ostacolati, e le uniche tre volte in cui ha denunciato qualcuno c'erano delle attenuanti. Ma la filosofia di Heidegger è compatibile con il nazismo? Parliamo degli ebrei.
YouTube, per favore, non demonetizzarmi. Nonostante mostrasse simpatie verso studenti nazisti e il loro attivismo, i suoi allievi ebrei, Arendt, Marcuse, Jonas, che pure l'hanno criticato tantissimo su altre cose, hanno sempre rifiutato l'idea che fosse antisemita, ritenendo la sua disonera al partito nazista un errore personale. Come rettore impedì agli studenti di esibire poster antisemiti e bruciare i libri, e anzi preservò molti autori ebraici che dovevano essere censurati. Nel 2013 Franz Lanord ha pubblicamente dichiarato che ancora oggi, nelle opere di Heidegger, non c'è una sola frase antisemita.
Questa dichiarazione viene criticata. dai famosi quaderni neri in cui ci sono 14 espressioni in cui si parla di ebraismo. E sette di queste, decontestualizzate, sembrano antisemite.
In realtà quelle frasi parlano dal punto di vista culturale. Lui sta criticando elementi della cultura di alcuni ebrei, e li ritiene erronei, ma da qui a dire che un intero popolo deve essere gassato ne passa. Heidegger non ha mai condiviso il ridicolo pseudobiologismo razziale e le dottrine razziste, anzi, criticava in una lettera il pangermanismo. alcuni lo hanno accusato di essere antisemita perché ha definito Spinoza estraneo alla cultura germanica.
Allora, partiamo dal presupposto che Spinoza non era un ebreo praticante. Continuiamo dicendo che ha ragione, nel senso che Spinoza non era tedesco. Proseguiamo dicendo che non c'è nulla di antisemita nel criticare una sola persona. Sorry Netanyahu, essere ebreo non ti rende esente da critiche.
E poi lui stesso ha elogiato Spinoza dicendo che se lui è ebreo, allora tutta la filosofia è ebrea. Il suo famoso discorso in cui proclamava la necessità di un Führer era rivolto all'idea platonica di monarca illuminato assoluto, non un elogio a Hitler. Il discorso in cui dice che la Germania è la più metafisica delle nazioni è il classico esempio di ignoranza. Se avessero studiato Heidegger, saprebbero che per lui metafisica è una cosa pessima. Heidegger criticò Hitler, dicendo che nessuna azione è giustificata in maniera assoluta e che i voti di Hitler non gli davano potere di fare quello che voleva.
Alcuni hanno considerato la filosofia di Heidegger conservatrice, il che non solo è falso, ne abbiamo parlato prima, ma anche se fosse, essere di destra non significa essere nazista. Ma quindi, riassuntazzo brutto brutto, Heidegger era nazista o meno? Heidegger è il classico filosofo stuprato dall'estrema destra, insieme a Nietzsche, Lovecraft, Marinetti, D'Annunzio, Mishima, Ezra Pound, Spengler e tutti questi altri che sentite nominare dei fascisti, i rossobruni stalinisti.
Sono tutti filosofi che col fascismo non c'entrano niente, che lo hanno odiato o lo avrebbero odiato se lo stessero stati in vita, che sono tutti opposti tra loro in tutto, ma proclamati essere parte... di una inesistente terza via e di un'ancora più inesistente rivoluzione conservatrice, quando spesso di conservatore non hanno manco il bestiario. Come dico sempre, l'estrema destra è talmente povera di filosofi che deve rubarli agli altri, spesso e volentieri quando sono già morti, decontestualizzando le loro frasi. Heidegger era uno di tanti filosofi che ha visto l'inizio del fascismo e ha pensato, ehi, questa cosa è nuova, magari seguirà le mie idee filosofiche e la realizzazione delle mie profezie, invece no.
Fece lo stesso errore di Pirandello, e ricordiamo tutti come è andata a finire con lui. È il classico filosofo che fraintende un movimento politico e poi si accorge che è solo una irrazionale bestia massiva. E quando se ne accorge è troppo tardi, il movimento è già al potere e lui ora è sotto i riflettori e deve parlare.
Heidegger supportò le esse... ossia la cosiddetta ala, apri mille virgolette, sinistra, chiudi altre mille virgolette, del partito nazista, che aveva idee molto diverse dall'SS, ala che venne distrutta per ordini di Hitler stesso. Heidegger sperava che il nazismo avrebbe portato ad una monarchia filosofica come la voleva lui, salvato la Germania da comunismo e capitalismo americano, ma vide che fallì in tutti questi scopi. Il comunismo ha prevalso in Germania, il rinnovo spirituale... Non ci fu, anzi, fallì in tutte queste cose, e il nazismo fu oscurantista, dogmatico e conservatore, e la riconciliazione non c'è stata.
L'errore di Heidegger fu lo stesso di Hegel che si infatua di Napoleone. Ricordate che non si seppe subito cosa sta facendo Hitler. Ritrovatosi al potere, Heidegger ha usato quel potere. Ha denunciato alcuni ebrei, ma ne ha protetti altri e fatti espatriare. Ha denunciato tre colleghi, ma ha mantenuto l'autonomia universitaria e ha sempre sfidato il regime.
La sua ideologia non ha nulla in comune con il nazismo, tanto che arrivò, dopo la fine del nazismo, a proclamare comunismo, fascismo e liberalismo come le tre facce della tecnica. Heidegger non fu nazista e neanche fu eroico partigiano, fu semplicemente un uomo che si rese conto di aver sostenuto in gioventù una cosa che ora aveva troppo potere e che doveva giocare una parte. Lo possiamo chiamare codardo. Per non aver fatto di più, anche se dalla tastiera a casetta dei genitori il coraggio è a buon mercato, un po' meno quando i tuoi colleghi vengono arrestati davanti a te, ma non nazista. Il suo denunciare quei tre colleghi è stato disgustoso, ma, come ha detto la sua stessa studentessa, è un errore di cui si è pentito per tutta la vita.
Ricordiamo che non firmò la petizione del quotidiano di Hitler, si è iscritto nel 33 e si dimise nel 34. Neanche un anno. Purtroppo viviamo in un'epoca polarizzante, in cui abbiamo bisogno o di mostri o di santi. Senza vedi mezzo, senza pressioni. Senza contesto, ma la realtà è più complessa, anche se questo alla panza non piace.
Heidegger rappresenta il tedesco medio, non può negare di essersi innamorato di alcune delle promesse di Hitler e quando si è reso conto che Hitler, come tutti i fasci, è un bugiardo infame, ormai la partita è arrabbiata. Per questo poi Heidegger si rifiutò di parlare di politica per il resto della sua vita, non perché era innamorato del nazismo, ma perché dopo la cazzata che aveva fatto da giovane non se la sentiva più e anzi passò un terribile... periodo di forte depressione, quando gli venne impedito di insegnare. Depressione curata dal dottor Gapsabel, che era un medico e psicologo della scuola di Mieswager, che era influenzata dalla filosofia di Heidegger.
Cioè, signori, Heidegger è l'unico filosofo che può dire di essere stato salvato dalla sua stessa filosofia. Quando Derrida lesse le accuse di Fai-Farias, lei dirise chiedendosi se avesse mai letto Heidegger per più di un'ora, che è la dissata finale. Heidegger ebbe in totale due relazioni romantiche con studentesse, si vede che proprio c'aveva il fetish, e il bello è che erano tutte e due ebree, aiutandole a scappare durante la guerra.
Il bello è che ne parlava pure alla moglie, proprio palese. E la moglie a quanto pare ricambiava, visto che uno dei suoi figli non era biologicamente suo, ma lo crebbe comunque. Passò il resto della sua vita nella baeta della foresta nera, leggendo poesia, meditando sul mistero e tenendo corsi.
Pochi mesi prima della sua morte incontrò un professore, prete cattolico. Non si sa di cosa abbiano parlato, ma è noto che l'argomento fosse sulla relazione tra Heidegger e la Chiesa Cattolica. Quando Heidegger morì, quel prete ufficiò il funerale. Heidegger è il filosofo più studiato del Novecento.
Il suo pensiero ha creato vere e proprie scuole di pensiero heideggeriano-marxista, tipo la scuola di Francoforte è stata influenzata, e heideggerismo postmoderno. In Italia venne introdotto da Mazzantini e Parison, in contrasto con l'idealismo dominante di Croce, che era invece critico di Heidegger. Ha influenzato Galimberti, Severino, Sioran, Sartre, Camus, Marcuse, Onfray...
Secondo Derrida, la decostruzione stessa nasce da Heidegger. Fu importante nel tradurre i testi di Lao Tzu in Europa. Il filosofo arabo Nadel El-Bizri è considerato l'Heidegger arabo ed ebbe risonanza enorme in tutto il mondo islamico.
Tra le influenze invece, oltre già citati nei studi dei gesuiti, abbiamo sicuramente San Paolo, Aristotele, Lutero, Angelus Silasius e la scuola Fiamminga, mentre Hegel lo odiava. Secondo alcuni, il Dasein sarebbe ispirato alla filosofia del giapponese Okakura Kazuko, del essere nel mondo. Vi lascio il link Amazon di Essere e Tempo in descrizione.
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