E iniziamo. Allora, ultime due tappe dell'autocoscienza, ultime due tappe della parte della fenologia dello spirito dedicata all'autocoscienza, cioè a quellantitesi che porta la coscienza a diventare ragione. Va bene? Coscienza in sé, coscienza fuori di sé e autocoscienza. coscienza che ritorna a sé passando per l'autocoscienza diventa pienamente ragione. Le ultime due tappe che vediamo sono stoicismo e scetticismo e la coscienza infelice. Eh, secondo Hegel la dialettica servo padrone è stata tipica del mondo dei padroni degli schiavi, cioè del mondo greco e romano. Alla dialettica servo padrone segue un altro momento ed è un momento più filosofico ed è dato dagli stoici. Lo stoicismo che merito ha avuto nelle tappe dell'autocoscienza? Lo stoicismo ha avuto il metodo di voler prendere le distanze completamente, dunque di essere autonomo, l'autocoscienza significa autonomia, dal mondo esterno. Vi ricordate, ragazzi e ragazzi, che lo stoismo sosteneva che il mondo fosse governato da un logos, da una ragione universale che permeava tutte le cose. C'è un logos universale, un soffio vitale, razionale che perme alla natura, il mondo. Era un panteismo logico razionale e secondo gli stoici tutto accadeva perché doveva accadere. Dunque, vi era un'identità tra la natura e la ragione. Ecco perché chiaramente Hegel già li ama e li esalta, perché c'è un elemento, no, anche di egelismo antelittera nel nel negli stoici, o meglio vie dello stoicismo nell'eghilismo. Questa ragione che coincideva con la natura, questa ragione che coincideva con l'universo, portava il saggio sto ad accettare in maniera fatalistica la vita. Il saggio era colui che non viveva contro la natura, contro la ragione, ma secondo la natura e secondo la ragione. Il saggio sto era colui che comprendendo la necessità del tutto si adeguava al tutto, comprendendo la razionalità della natura si adeguava alla natura. E dunque il saggio stoico era l'apatico, colui che non si faceva travolgere dalle emozioni, dalle passioni, dai sentimenti, perché erano portatori di illusioni, di fraintendimenti, di tensioni. Erano portatori di malesseri i sentimenti. Dunque l'autocoscienzialità dello sto nell'essere autonomo rispetto al mondo. Il mondo non deve intaccare la mia libertà, non deve intaccare il mio equilibrio, non deve intaccare la mia autonomia di razionalità. Ma qual è il limite degli stoici secondo Hegel? per quello è un'autocoscienza ancora in crescenza, in evoluzione, perché l'autonomia di cui parlano è un'autonomia interiore. Perché la libertà apatica dello sto dove la si raggiunge? Partiamo dall'aforismo di Seneca. L'uomo è libero anche in catene, eh, ma le catene sono catene reali e ci direbbero i filosofi più della ribellione non solo interiore, ma quella fisica, sociale, economica. Potevano essere potevano essere molti filosofi dell'anarchismo, del socialismo, del comunismo nell'ottocente ci sono delle catene reali da spezzare, no? Seneca dice che per quanto tu possa essere messo in catene dal potere politico vizioso o dagli eventi del mondo, tu dentro hai sempre la possibilità di viverli con il giusto distacco e nessuno potrà intaccare la tua libertà. Ecco perché esaltavano il suicidio. Il suicidio per gli stoici era l'atto massimo di libertà. Se c'è una natura che ti è avversa, o meglio che tu non riesci a comprendere, dunque la vivi come avversa, se c'è un potere politico, sociale, culturale o economico che ti vuole imporre una vita che va contro natura, nessuno ti potrà mai togliere la tua libertà, perché tu un'azione di libertà massima a disposizione ce l'hai sempre, il suicidio. Il suicidio stoico, molti stoici suicidarono, è l'atto massimo di libertà come indipendenza alle cose, ma è un'indipendenza interna, cioè dell'interiorità rispetto alle esteriorità. Dunque, c'è ancora un'insufficienza, dice Hegel, perché è un'autonomia semplicemente dell'interiorità. Un passaggio successivo provano a farlo gli scettici, ma anch'essi cadranno, secondo Hegel in contraddizione. Cosa sostengono gli scettici? Gli scettici sostengono che ogni indagine, skepsis vuol dire indagine, ogni indagine è destinata allo scacco matto perché perché la verità è irraggiungibile. E il filosofo invece vuole portare la coscienza, diventare ragione e verità. E gli scettici ci dicono che l'indipendenza rispetto alla verità la si deve ottenere in questo modo. La si deve ottenere col partendo dal fatto che la verità non è conoscibile, non è realizzabile perché perché l'atteggiamento vero è sospendere il giudizio, perché nulla può essere vero. Ma in questa formulazione che vi ho dato vi sta l'errore contraddizione degli scettici. Gli scettici, per essere indipendenti dall'assoluto, della verità, che non sono realizzabili, dicono che non c'è nulla di assolutamente vero se non il fatto che nulla è assolutamente vero. L'unica verità per gli scettici è che nulla è vero, che non si può dire con certezza che una cosa sia vera, bisogna sospendere il giudizio, ma la sospensione del giudizio rispetto alla verità diventa una verità. Gli scettici che hanno voluto negare la veridicità di una realtà hanno assunto su se stessi nella loro prospettiva filosofica una verità, la verità della sospensione del giudizio. Dunque non è vero che non vi è nulla di vero perché vi è una verità e la verità è che non vi è nulla di vero, devo accettarla come vero. Dunque, negli scettici c'è una contraddizione che un filosofo come Hegel che l'idealismo tedesco vorrà ovviamente portare avanti e superare. Il gioco degli scettici era già stato ripreso, non è solo un gioco intellettuale, però anche la dimensione di gioco intellettuale già sta ripresa ovviamente da altri autori sul tema del dubbio. Cosa posso dubitare? è dubito di tutto, ma non del dubbio. Allora, il dubbio è una certezza, un po' come gli scettici diceva: "Sono scettico di tutto, tranne il fatto che bisogna essere scettici", quella diventa una verità. Dunque, anche gli scettici rimangono chiusi in una contraddizione in questa casa tuttina interna in questa tuttinna che non porta a risolvere la autonomia, la crescita autonoma della coscienza diventata autocoscienza. Lo scontro con il mondo e natura degli stoici non si è risolto. Lo scontro con la natura degli scettici, con la verità degli scettici, non si è ancora risolto. Perché? Perché l'assoluto è l'orizzonte che attrae l'uomo. È un orizzonte che attrae l'uomo verso cui l'uomo però non riesce ad avere piena consapevolezza. E allora ecco qua emergere la terza e ultima figura. è una figura bellissima, tra le più struggenti ed è la figura della coscienza infelice. Secondo Hegel, allo scetticismo subentrerà il cristianesimo. E il cristianesimo è nella sua storia, nella sua dinamica anche di evoluzione, la figura storicoideale che ha provato che si è avvicinata che ha provato ad avvicinarsi all'assoluto. Perché? Qual è la coscienza del cristiano? La coscienza del cristiano è diversa da quella dell'ebreo, perché l'ebreo crede a un Dio che è un padre che ha creato il mondo, che ha creato l'uomo, ma poi ha lasciato l'uomo e il mondo soli. Sapete che gli ebrei non credono nella figura di Gesù come nel senso di figlio di Dio e un profeta. Ok? E anzi gli ebrei anche sul tema Gesù che è un profeta si sono divisi tante interpretazioni. Invece per gli islamici Gesù è un profeta. Ma il cristianesimo non lo considera una figura solo storica, lo considera il figlio di Dio, la figura storica religiosa. Dunque, i cristiani rispetto agli ebrei hanno un rapporto con l'assoluto diverso, perché gli ebrei hanno un rapporto di abbandono. Dio Padre ha creato il mondo, ha creato l'uomo, ma poi Dio è trascendenza assoluta, è andato al di là del mondo ed è lontano. Invece la cristianità ha una dinamica dialettica, perché Dio ha creato il mondo tesi, ma poi Dio si è fatto carne, si è fatto mondo, Gesù e nel [Musica] mondo crocifisso, abbandonato e tradito dagli uomini, anche rinnegato da Pietro, il fondatore poi della della Chiesa cattolica, ma in quel momento rinnegato anche da Pietro. Gesù una figura di morte solitaria, muore in solitudine. Il cristianesimo ha un Dio che tesi si è posto e ha creato il mondo, ma poi si è negato facendosi carne, cioè si è fatto diverso da com'è. E facendosi carne è stato ucciso, abbandonato, si è sacrificato, ma lasciato negli uomini coscienza, il ricordo dell'uomo che si è del Dio che si è fatto carne, del Dio uomo che è stato tradito, abbandonato, che è morto, ha lasciato la nostalgia dell'essere. La nostalgia dell'essere, tipico tema tipicamente romantico, la nostalgia dell'assoluto, il cristiano ce l'ha nel proprio DNA perché c'è la nostalgia di quel Dio che si è fatto carne, che si è fatto carne ed è morto per noi. Dunque, i cristiani sono proiettati verso il ricongiungimento con Dio, perché Dio già una volta li ha salvati. Il Messia è giunto e ha promesso che cosa? La resurrezione, ha promesso la la salvezza. E noi sentiamo questo richiamo e lo andiamo a cercare. Ma quando abbiamo pensato di ritrovarlo noi, perché Hegel parla di noi come civiltà chiaramente cristiana e Benedetto Croce dirà Egliano italiano, noi non possiamo non dirci cristiani perché la nostra cultura è il nostro evoluzionismo, diciamo, culturale, la nostra è il nostro percorso dialettico. E noi quando siamo andati con le crociate che fatte politiche, economiche e non chiaramente culturali, spirituali ovviamente, ma Hegel ne dà una visione più spirituale e filosofica. Quando siamo andati nella Terra Santa a liberare il Santo Sepolcro della presenza musulmana, il santo sepolcro era vuoto. Dio non c'era più, Gesù non c'era. Perché ecco qua il tema di coscienza infelice. Noi abbiamo una coscienza che percepisce l'assoluto, a nostalgia dell'assoluto. L'uto vuol dire la verità, ma la verità non la troviamo. Il sepolcro era vuoto. Dio non è più qui con noi. Dio vuol dire l'assoluto, vuol dire il tutto, ma noi siamo drammaticamente destinati a una coscienzialità infelice perché anelliamo all'infinito, all'assoluto, ma non lo troviamo. Chi ha rappresentato il culmine del misticismo coscienziale infelice? il mistico, la sceta medievale. La sceta medievale, colui che ha provato sacrificando completamente la sua vita, rinunciando alla dimensione materiale mondana della sua vita, a ricongiungersi a Dio. Ma questo ricongiungimento a Dio passa attraverso una lacerazione. il fatto che Dio ci ha lasciato in noi la nostalgia, una presenza, un orizzonte infinito a cui tendere, ma è che è tendenzialmente sempre lontano, sempre irraggiungibile. Dunque, la coscienza infelice perché tende a un qualcosa che sa che c'è, che sa che esiste, ma che non riesce a raggiungere. Perché per questi filosofi, se io tendo all'infinito, vuol dire che l'infinito è un orizzonte che mi chiama sé. Non siamo parlando di materialisti, vediamo prossime settimane come Forbap, come Marx in cui per cui le idee sono una produzione umana. C'è la materia che produce le idee, no? Per questi autori è l'idea che produce la materia. Dunque, se noi siamo una materia che ha dentro di sé l'infinito, non vuol dire che non lo ha prodotto l'infinito, ma è l'infinito che ha prodotto noi. E Gele Forma diranno: "Facciamo camminare però gli uomini con la testa per terra, i piedi in alto, perché non sono le idee che producono la materia, ma la materia cide idee, ma gli idealisti no. Ti dicono, se tu aneli all'infinito o a Dio, vuol dire che Dio esiste, ti sta chiamando, ma non lo raggiungi. Ecco la coscienza infelice. E la coscienza è l'uomo che si mortifica per trovare l'assoluto, l'uomo che si mortifica per giungere a Dio. Ma questa mortificazione ti lascia, immagine molto bella, comunque, cicatrici sul corpo, cicatrici sulle carne. Ecco perché l'autocoscienza nella coscienza infelice si è fatta pronta a diventare ragione perché dopo la coscienza infelice l'autocoscienza ha capito che l'assoluto c'è ed è non riesce a raggiungerlo, ma è pronta a trasformarsi essa stessa autocoscienza in ragione. Non c'è il singolo che raggiunge la ragione, ma è l'autocoscienza che nella sua totalità si farà ragione.