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Prima Guerra d’Indipendenza Italiana

Buonasera, siamo di nuovo qui. Quest'anno raccontiamo le tre guerre di indipendenza. Ero incerto se dirvi subito che la prima è la più lunga di tutte. È lunga, complicatissima da raccontare, per cui faremo l'una di notte stanotte, ma in compenso le prossime saranno più veloci. Perché raccontiamo le tre guerre di indipendenza? Se dovessi dire proprio tutta tutta tutta la verità, anche perché sono tre, e io ogni anno mi devo inventare tre argomenti da portare a Sarzana, però al di là di questo, quest'anno il tema, il filo conduttore del festival è lo spazio. Ora, la guerra... è sempre qualche cosa di fortemente legato allo spazio, condizionato dallo spazio, le guerre in generale. Ma le tre guerre di indipendenza italiane sono state condizionate dallo spazio della geografia della pianura padana in un modo impressionante. Vi ricordo una cosa che sapete tutti. Noi abbiamo perso, dico noi, ma insomma... la battaglia decisiva della prima guerra di indipendenza nel 48 in un posto chiamato Custoza e siamo riusciti a perdere 18 anni dopo la battaglia decisiva della terza guerra di indipendenza di nuovo a Custoza. Ora uno dice con 8.000 comuni che ci sono in Italia e invece non è un caso. perché la geografia della pianura padana incanalava i movimenti degli eserciti e Custoza, che se ne sta al di là del Mincio, proprio all'altezza dei ponti che un esercito dell'epoca doveva usare per forza se voleva passare il Mincio e invadere il Veneto, Custoza era predestinata a essere un luogo dove gli eserciti si sarebbero scontrati. Il condizionamento geografico dunque dipende da come è fatta la pianura padana, che se ci pensate è spaccata in due dal Po, va bene. Il Po all'epoca, anche adesso, non è facile da passare per un esercito in guerra, all'epoca era molto difficile da passare, o si stava su o si stava giù di solito. Le tre guerre di indipendenza, qual è il tema? Un esercito che viene da Occidente e che vuole invadere il Lombardo Veneto. i piemontesi nel 48, i piemontesi e i francesi che per fortuna sono venuti a dare una mano se no non ce la facevano neanche quella volta lì, nel 59, nel 66 cambia poco, gli italiani hanno già la Lombardia ma bisogna sempre invadere il Veneto, quindi la direzione è sempre quella e il Lombardo-Veneto sta a nord del Po all'ingrosso quindi tu ti muovi da occidente a nord del Po e cosa incontri? Fiumi, uno dopo l'altro, che vengono giù e sfociano nel Po. La Sesia, il Ticino, l'Adda, l'Oglio, il Mincio. E tutti questi fiumi attraversarli con un esercito non è per niente facile. I ponti sono pochi, le strade sono quelle che sono. E quindi lo spazio condiziona le operazioni militari come più ancora che in qualunque altra guerra, forse. Allora, detto questo, la guerra del 48, premetto che vi racconto solo quella del 48, non la ripresa del 49 quando Carlo Alberto ci ha riprovato, perché sennò facevamo le due di notte, quindi noi ci accontenteremo della sconfitta nella prima, che è già molto istruttiva, come vedrete. La guerra del 48, che scoppia in quell'anno che ai contemporanei sembrò un anno pazzesco, non avevano mai visto un anno del genere. L'anno in cui il mondo va a gambe all'aria, tanto che poi generazioni e generazioni continuano a dire è successo un 48, hanno fatto un 48, perché nel 48 veramente sembrava che andasse il mondo sotto sopra. Tutta l'Europa è attraversata dalla rivoluzione, tutti i popoli contestano i loro governi chiedendo più libertà. E l'Italia, che è parte dell'Europa, c'è in pieno in questo movimento, anzi è all'avanguardia. In Sicilia la rivoluzione del 48 comincia già a gennaio e già il 29 gennaio il re di Napoli, Ferdinando II, concede la Costituzione. Notate, la Costituzione è quello che tutti questi popoli in tumulto chiedono. Uno dice la Costituzione, ma quale Costituzione? Come sappiamo ce ne possono essere tante, si possono cambiare, ma lì il problema non è quello. Il problema è che prima Costituzioni non ce n'erano proprio. Le monarchie assolute non hanno bisogno di Costituzione, perché il re fa tutto quello che vuole. Ci mancherebbe che ci dovesse essere lì della roba scritta che obbliga il re a fare certe cose e non farne certe altre. Quindi, sì, non è che non gli importasse cosa mette. nella costituzione ma la cosa decisiva era innanzitutto avercene una il re che concede una costituzione dice io non sono più un sovrano assoluto regno per volontà di dio per grazia di dio ma anche per volontà della nazione dunque gennaio sicilia a febbraio la rivoluzione investe il paese che in europa è specializzato in rivoluzioni la francia E i francesi naturalmente fanno le cose molto sul serio, loro non si accontentano della Costituzione, buttano giù la monarchia di Luigi Filippo e fanno la Repubblica. A quel punto anche l'altro re italiano, in Italia ci sono il Papa, gli austriaci nel Lombardo Veneto, vari principi e duchi, ma due re, i Borboni al sud e i Savoia al nord, al nord-ovest, Piemonte e Liguria. Il primo re, Ferdinando di Borbone, l'ha già data la Costituzione. Dopo che la rivoluzione scoppia anche a Parigi, Carlo Alberto, re di Sardegna, decide che effettivamente, forse, il futuro sta da quella parte. Forse conviene accettare questa spinta, questa richiesta dei popoli. Carlo Alberto concede, poi alla fine un piccolo ripensamento. Dice, però non la chiamiamo Costituzione, la chiamiamo Statuto. Ci avete mai pensato? No, perché uno dice lo statuto del 48, lo statuto Albertino, ma non la chiamano Costituzione perché Costituzione è una parola troppo di sinistra. Così la cosa sembra meno dura da ingoiare. E poi, quindi marzo, 4 marzo, e poi succede l'impensabile. La rivoluzione scoppia nel cuore dell'impero austriaco. La rivoluzione scoppia a Vienna. Anche a Vienna il popolo, gli studenti. Chiedono che sia cacciato il vecchio principe Metternich, che governa l'impero da 30 anni, e che siano date libere elezioni, un Parlamento, una Costituzione. E l'imperatore cede, promette ai suoi popoli che verrà convocato un Parlamento che rappresenterà tutti i popoli dell'impero austriaco. Istantaneamente la rivoluzione scoppia in tutte le altre province dell'impero. Il 15 marzo scoppia Budapest, dove si proclama l'indipendenza dell'Ungheria. Il 17 marzo scoppia Venezia, dove si proclama la Repubblica di San Marco, che non era poi un tale vecchiume all'epoca, erano passati solo 50 anni, c'era chi se la ricordava ancora. Il giorno dopo, 18 marzo, Milano. dove non hanno nessuna cosa specifica da chiedere nel passato, non sono mai stati capitale di niente, però comunque chiedono l'autonomia per il Lombardo Veneto e chiedono che il governo imperiale ritiri dalla guarnigione di Milano i reggimenti stranieri e lasci soltanto i reggimenti reclutati in Italia. Il comandante militare austriaco del Lombardo Veneto, Radezchi, rifiuta e a Milano scoppia la rivoluzione. Il 19 marzo Radezchi fa rapporto a Vienna. La città di Milano è sconvolta dalle fondamenta ed è difficile farsene un'idea. Il carattere di questo popolo mi sembra cambiato come per un colpo di bacchetta magica. Il fanatismo ha pervaso ogni età, ogni ceto, ogni sesso. Sono le cinque giornate di Milano, evidentemente. Solo che quando noi in italiano diciamo le cinque giornate di Milano... C'è un po' il rischio che ci faccia l'effetto, sì, vabbè, è una cosa che sappiamo, la sappiamo fin da bambini, ogni tanto arriva uno sceneggiato televisivo a riproporla, ci sono le barricate, gentiluomini in cilindro e popolani col berretto, affratellati dietro le barricate, dall'altra parte gli austriaci in giacca bianca, tutti questi giovanotti con barba e baffi pieni di entusiasmo, le ragazze che gli portano da mangiare dietro le barricate. Ecco, questa visione oleografica delle cinque giornate di Milano non è che sia sbagliata, ma non deve nasconderci quello che vuol dire davvero la rivoluzione in una città di 160.000 abitanti che aggredisce la guarnigione straniera di 14.000 uomini armata fino ai denti per sterminarla, secondariamente cacciarla dalla città, ma possibilmente sterminarla. Le cinque giornate di Milano non vuol dire solo le barricate, vuol dire il giovanotto barbuto che sbuca all'improvviso da un portone con un coltellaccio e sgozza il soldato austriaco che è rimasto isolato dai suoi, vuol dire i soldati che irrompono nelle case da cui si spara e ammazzano a baionettate tutti quelli che trovano dentro, vuol dire le migliaia di morti per la strada. i milanesi hanno avuto qualche centinaio di morti, gli austriaci hanno avuto quattro 4000 morti 4000 cadaveri per la strada in una milano piccolissima che va dal castello sforzesco a porta romana morti ammazzati in combattimento e magari anche morti perché fucilati carlo cattaneo che è membro del governo provvisorio a milano l'unico membro di sinistra del governo provvisorio carlo cattaneo si vanta noi milanesi non ammazzavamo i prigionieri Gli austrieci invece sì, gli austrieci fucilavano tutti i prigionieri presi con l'arma in mano. L'odio che attraversa le strade di Milano in quei cinque giorni è una cosa che noi oggi facciamo fatica a immaginare. L'odio etnico contro i tedeschi, perché la tragedia che dilania l'impero osburgico è che c'è una nazionalità, quella tedesca, gli austrieci di lingua tedesca, che domina e vuole dominare gli altri e tutti li odiano. Radetzky è visto come quello che incarna un sogno di supremazia tedesca nell'impero, col suo stato maggiore, dice Carlo Cattaneo, di teutomani, di fanatici della supremazia teutonica, il che poi non impedisce agli italiani di disprezzare, dall'altra parte, quell'esercito bastardo in cui si parlano dieci lingue, perché l'esercito dell'impero è l'esercito di un impero multietnico, appunto. La propaganda da una parte e dall'altra è sfrenata, si raccontano atrocità spaventose. Gli austriaci, si dice, infilzano i bambini sulle baionette, sventrano le donne incinte, bruciano viva la gente. Ci sono soldati austriaci, si dice, si racconta, a cui hanno trovato nello zaino mani di donna mozzate cariche di anelli. D'altra parte ai soldati austriaci i loro ufficiali spiegano di stare attenti a non farsi prendere prigionieri, perché ai prigionieri le donne italiane cavano gli occhi. Ora, la cosa interessante è che queste atrocità sono praticamente tutte inventate. Nell'Ottocento queste cose, nelle guerre tra paesi europei, non succedevano, succedevano pochissimo. La propaganda invece le inventava. Se ci pensate è il contrario di quello che è poi successo nel ventesimo secolo. Quando le atrocità sono così spaventose che la propaganda stessa non ci crede, non le ripete, lo sterminio degli ebraili, camera gas, la gente non ci può neanche credere. Invece nell'Ottocento è il contrario, si inventa di tutto, la gente se lo beve. Noi oggi sappiamo che in realtà non succedeva, ma l'odio era tangibile. E dopo cinque giorni Radetzky si rende conto che deve abbandonare Milano. Scrive a Vienna. Questa è la più terribile decisione della mia vita, ma non posso tenere più a lungo Milano. Tutto il paese è in rivolta, perché non è solo Milano e Venezia, ma sono tutte le città del Lombardo-Veneto che stanno insorgendo e cacciando le guarnigioni austriache. Radezchi continua. Sono minacciato alle spalle dai piemontesi. Perché Carlo Alberto non ha ancora dichiarato guerra, ma avendo dato lo statuto si sa da che parte sta. Può approfittarne in qualunque momento. Possono rompere tutti i ponti alle mie spalle. Se Radevsky abbandona Milano dovrà ritirarsi verso Oriente. Tutti quei fiumi da attraversare non so niente di ciò che accade alle spalle dell'esercito. Dunque Radevsky abbandona Milano con la sensazione che ha preso una decisione spaventosa e che se riesce a salvare il suo esercito, quel che ne resta, sarà già una bella fortuna. A Milano si parla di certi ufficiali austriaci che se pagati bene hanno fatto sapere che loro sono disposti a consegnare Radezchi. Il governo provvisorio ne discute. Carlo Cattaneo è l'unico che dice tiriamo fuori i soldi subito! Gli altri, ricordate questi nomi dai tempi della scuola, Gabriele Casati, ecco, gli altri dicono no, non è una cosa da gentiluomini, il Radezchi lo prenderemo lo stesso. E dunque... Il 22 marzo Radezchi abbandona Milano, il 23 marzo Carlo Alberto dichiara guerra. In tempi normali sarebbe una cosa folle, l'impero austriaco ha sette volte il numero di abitanti del Piemonte, del Regno di Sardegna. Ma è in preda alla rivoluzione. E poi non solo, anche gli altri stati italiani, un po' credendoci e un po' per forza, perché la gente ci crede e lo vuole, anche gli altri sovrani italiani sono disposti a dare una mano la prima guerra di indipendenza la combatte in sostanza l'esercito sabaudo ma in realtà con l'appoggio di contingenti venuti anche dagli altri stati italiani tutti mandano truppe il papa pio nono il granduca di toscana il re di napoli tutti mandano truppe per quella che è sentita come una guerra italiana Potrebbe anche diventare qualcosa di più, potrebbe diventare una guerra rivoluzionaria, perché sull'onda di questo movimento chissà cosa potrebbe succedere. Ecco, questa è precisamente la cosa che Carlo Alberto e anche gli altri sovrani non vogliono. Perché una guerra per cacciare gli austriaci e magari fare una confederazione italiana, magari un regno d'Italia, questo sì, ma la rivoluzione no. Nessuno la vuole la rivoluzione. E così una delle prime cose che succedono è che Carlo Alberto dichiara guerra. Da tutta Italia arrivano in folla i volontari per servire nel suo esercito e non vengono presi. Perché armare tutta questa gente troppo entusiasta, poi chissà quanti di loro sono dei rossi pericolosi. Ecco, non mettiamo il fucile in mano al popolo. La guerra la farà l'esercito del re. Il quale esercito del re la guerra la fa, credendoci ma con fatica. Perché anche per l'esercito piemontese questa storia di fare la guerra per l'Italia è una cosa mai sentita. La fanno. In alberano il tricolore, che ha una valenza fortissima in quel momento, era proibito fino a poco tempo prima in tutti gli stati italiani. Carlo Alberto fa accettare al suo esercito di andare in guerra col tricolore in testa. Ma gli ufficiali fra loro si dicono, certo che è tutto diverso da come ci avevano spiegato fino a poco tempo fa, il duca di Genova, uno dei figli di Carlo Alberto. Ci siamo battuti per una causa grande e generosa, se si vuole, ma totalmente opposta a tutti i principi in cui eravamo stati allevati. Perché l'esercito piemontese è l'esercito di una monarchia assoluta, della restaurazione, che fino a pochi anni prima condannava a morte i Mazzini e i Garibaldi, e gli ufficiali sono ancora quelli, i generali sono ancora quelli. Anche i soldati sono quelli, ma i soldati gridano viva l'Italia senza che nessuno gliel'abbia detto, perché queste parole d'ordine corrono fra la gente e all'inizio l'entusiasmo è molto forte. Dunque i piemontesi si preparano a invadere il Lombardo Veneto, dietro a Radezchi in ritirata. Io devo ancora fermarmi un momento per dirvi due parole su come sono fatti questi due eserciti, cioè chi sono questi soldati? Chi sono i soldati all'epoca? Cosa vuol dire essere soldato? Sono tutti coscritti, che fanno il soldato per forza, volontari che abbiamo voglia di fare quel mestiere, sì ne trovi qualcuno ma pochi, il grosso dei soldati sono coscritti, c'è la leva obbligatoria. Ma non è come il servizio di leva che molti di noi hanno conosciuto nel Novecento, che tutti i giovanotti, o quasi tutti, dovevano fare il loro servizio. Gli stati dell'Ottocento non hanno i soldi. per avere così tanti soldati. Non li vorrebbero neanche. Basta che una piccola percentuale dei giovanotti faccia il soldato. Come si fa a decidere chi lo fa? Semplicissimo, si tira a sorte. Giovanotti a vent'anni vanno dal sindaco, tirano il numero. Quelli che hanno tirato il numero sbagliato fanno il servizio militare. A questo punto ci sono due possibilità. Ci sono gli stati dove i militari dicono Soldati ne vogliamo pochi, ma buoni. Per fare un buon soldato deve restare parecchi anni. Questo è quello che viene chiamato nel gergo dell'epoca l'esercito di qualità o l'esercito di caserma. L'esercito austriaco è fatto così. Lì i disgraziati che hanno tirato il numero basso fanno otto anni di servizio militare. Li sbattono in un'altra provincia dell'impero dove la gente non parla neanche la loro lingua. Così l'esercito è una struttura separata dalla società, che obbedisce soltanto al suo imperatore. I piemontesi seguono l'altra filosofia, che è quella dell'esercito di quantità, che dice ne prendiamo un po' di più, però gli facciamo fare solo un anno, poi li mandiamo a casa. Questo politicamente conta molto, la gente è contenta che il servizio militare sia corto. Li mandiamo a casa, però per un po' di anni devono tenersi pronti. Se c'è la guerra, li richiamiamo. Quindi, mentre l'esercito austriaco è fatto di soldati di lungo termine che prestano servizio per anni, Carlo Alberto, quando fa la guerra, richiama da casa un gran numero di riservisti che si sono fatti il loro unico anno di servizio. Poi sono tornati a casa, si sono sposati, hanno trovato un lavoro e adesso vengono richiamati, scrive Carlo Cattaneo. Dal Piemonte fu spinta sul Mincio, a marce forzate, una gente staccata appena dagli aratri e dai telai, male ammaestrata nelle armi e arrugginita per i lunghi congedi. Siccome sappiamo tutti com'è finita questa guerra del 48, non rischio di rovinare la suspense se vi dico che cominciamo pian pianino a vedere i motivi per cui si è persa questa guerra. Diciamo ancora un'ultima cosa, questi eserciti di riservisti, di contadini, di operai richiamati potrebbero anche funzionare bene se ci fossero gli ufficiali per inquadrarli. Bisognerebbe avere tanti ufficiali di complemento, richiami i soldati e richiami anche gli ufficiali. Ma pensate alla mentalità dell'epoca, al conflitto sociale, ai privilegi dell'aristocrazia, alla paura che i governi reazionari hanno nei confronti della borghesia liberale, colta. pericolosa, ufficiale di complemento, chi sarebbero? Eh, medici, avvocati, maestri di scuola, quella gente lì nell'esercito piemontese non la vogliono. Quindi i piemontesi richiamano un sacco di soldati ma hanno pochissimi ufficiali, grossi battaglioni con tanti uomini che non sanno bene cosa devono fare e hanno pochi ufficiali che gli spiegano cosa devono fare. Finalmente, chi comanda questi due eserciti? Li abbiamo già nominati. Da una parte c'è Carlo Alberto, a 50 anni. Carlo Alberto è uno di quei nobili piemontesi di quella generazione che è cresciuta sotto Napoleone, quando il Piemonte era annesso alla Francia. E quella generazione è la stessa di Cavour, che è cresciuta parlando francese più che italiano. Carlo Alberto è cresciuto a Parigi, sotto Napoleone. ha fatto in tempo a essere nominato tenente nell'esercito di Napoleone, ma proprio all'ultimo momento, la guerra non l'ha mai fatta. L'ha poi fatta qualche anno dopo, ha partecipato a una guerra in Spagna dalla parte di quelli che reprimevano la rivoluzione, naturalmente. Quindi un po' di esperienza da ufficiale l'ha fatta, ma un esercito non l'ha mai comandato. Non ha nessuna idea di cosa si deve fare e lo vedremo. Dall'altra parte invece, per disgrazia di Carlo Alberto, c'è uno che la guerra la sa fare, il fel maresciallo Conte Radezchi, ovvero Johann Josef Wenzel Graf Radezchi von Radez, il quale ha 82 anni in un mondo in cui a 50 anni si è vecchi. E però non si è dimenticato tutto. Avere 82 anni nel 48 vuol dire che Radetzky era già generale al tempo di Napoleone, ha combattuto ad Austerlitz, a Wagram, comandando delle divisioni. A 82 anni è un po' rallentato, però qualcosa si ricorda ancora. E dunque, il 23 marzo scoppia la guerra. Radevski è appena uscito da Milano col suo esercito, fiaccato da cinque giorni di macello nelle strade. Cosa vuole fare? Ecco, quando uno racconta una guerra, la cosa più importante, secondo me, è fare in modo che chi ti ascolta abbia sempre presente che lì c'è della gente che vuole fare qualcosa. Oppure come Carlo Alberto che non sa cosa fare, però quella allora è la tragedia. Il buon generale vuole sempre fare qualcosa e ci prova, sapendo che riuscirci sarà difficilissimo. Non fosse altro perché hai di fronte qualcuno il cui unico scopo nella vita è di impedirti di fare quello che tu vorresti fare. Se lo sai però cosa vuoi fare è già una cosa utile. Radezchi, se ne vada a Milano, in che direzione? Qui mi appello di nuovo ai vostri ricordi di scuola. Mai sentito parlare del quadrilatero? Ecco, cos'è il quadrilatero? Due grandi città fortificate, Verona e Mantova. Altre due fortezze, Peschiera e Legnago. Quindi una zona sicura. Il lago di Garda, che la protegge a nord, di lì non si passa. Il Po, che la protegge a sud, di lì non si passa. La valle dell'Adige, per andare in Austria. per avere comunicazioni, ricevere rifornimenti, rinforzi, una posizione strategica perfetta. Radetzky si dirige in quella direzione, senza sapere cosa troverà, perché le città Lombarde e Venete stanno tutte insorgendo, senza sapere a ogni momento se nel prossimo villaggio i contadini non gli spareranno addosso, con i suoi soldati che disertano, specialmente i reggimenti italiani, disertano in massa. col terrore che i piemontesi attraversino il Ticino e gli arrivino addosso con un esercito che in quel momento sarebbe grande il triplo del suo. Carlo Alberto dichiara guerra e non si muove. E' questione di ore, di giorni al massimo. Già tre giorni dopo a Milano fremono. Carlo Alberto ha mandato a Milano il generale Passalacqua e il 25 marzo il generale Passalacqua scrive da Milano a Torino al ministro della guerra creda eccellenza che se vogliamo riuscire a qualcosa di onorevole bisogna assolutamente che la nostra armata cerchi il nemico finalmente quel 25 marzo l'avanguardia piemontese passa il Ticino Ma tutto l'esercito ci mette cinque giorni per passarlo. Il 29, quando hanno passato il Ticino, Radezchi ha già passato l'Oglio e ha avuto buone notizie. Non tutte le città lombarde sono in sorte. Verona e Mantova non sono in sorte. La guarnigione austriaca tiene. Il 2 aprile Radezchi entra a Verona. Quel giorno... Carlo Alberto con l'esercito piemontese è fermo a Cremona, a 100 chilometri di lì, e si chiede cosa deve fare adesso. Restare fermi non si può, ci sono i giornali che tempestano l'opinione pubblica. Bisogna andare avanti, certo davanti ci sono le fortezze del quadrilatero, con l'esercito austriaco dentro, però noi siamo più forti. Poi arrivano i napoletani, arrivano i toscani, arriveranno perfino quelli del papa, sembra. E dunque andiamo un po' avanti, piano. Il 6-7 aprile passano l'olio. Passato l'olio però rallentano ancora, perché adesso sono in paese nemico e far la guerra in paese nemico è difficilissimo. In un paese straniero che non conosci si scopre al passaggio dell'olio che lo Stato Maggiore a Torino non ha preparato delle carte del Veneto, non le ha date neanche ai generali. nessuno ha una carta geografica del paese dall'olio in poi il generale bava che comanda un corpo d'armata scrive poi nel suo libro sulla guerra è non siamo neanche andati in libreria a comprarla e siamo partiti così in fretta passato l'olio non conoscono il paese per conoscerlo bisognerebbe avere della cavalleria leggera che vada in giro in ricognizione a battere la campagna chiedere informazioni l'esercito piemontese Ha dei meravigliosi reggimenti di corazzieri, di cavalleria pesante, di quella che viene mandata alla carica per sfondare tutto. Cavalleria leggera non ne hanno. neanche un reggimento. Davanti a loro ci sono gli austriaci che hanno la miglior cavalleria leggera del mondo perché loro hanno gli ungheresi e quindi gli inventori degli ussari, hanno i polacchi inventori dei lanceri, degli ulani, quindi Radevski ha un sacco di cavalleria leggera che batte il paese e ovunque i piemontesi dove mettono il naso c'è sempre il terrore che spuntino all'improvviso gli ulani austriaci da chissà dove. Appena passato l'olio cominciano i casi di panico, le sentinelle che si sparano addosso da sole, i contadini scambiati per reggimenti austriaci. Carlo Alberto in queste condizioni va pianino pianino. Fra il 9 e l'11 aprile si arriva al Mincio, poi ci sarà anche l'Adige, cioè non finisce mai questa cosa dei fiumi da passare. Però il Mincio è una cosa seria perché lì ci sono pochi ponti e gli austriaci per la facciata soltanto, senza crederci. questi ponti li difendono quindi bisogna sparare qualche fucilata per prenderli ma proprio pochissime fucilate e non ci scappa neanche un morto però la presa di questi tre ponti viene celebrata dai giornali italiani questi tre ponti si trovano in luoghi che tutti avete sentito nominare perché in tutte le nostre città ci sono vie dedicate a questi luoghi goito vabbè a goito si farà poi anche una battaglia vera monzambano e valeggio In questi tre posti si prendono i ponti e si passa il mincio, uno direbbe, no, abbiamo preso i ponti però andare dall'altra parte non sappiamo cosa troviamo, restiamo di qua. Non è che qualcuna di quelle città potrebbe farci il piacere di insorgere? Mantova, Verona, dormono? Finalmente arriva la notizia che a Mantova i patrioti preparano l'insurrezione. Lì c'è di guarnigione un reggimento italiano. potrebbe unirsi ai rivoltosi, perciò si decide di marciare verso Mantova, che tra l'altro è sempre di qua dal Mincio, così non bisogna passarlo, si marcia verso Mantova. Qui la principale cosa che viene fuori è che, vi leggo direttamente, il generale Bava, in questa spedizione ci toccò osservare come quelle popolazioni siano fredde. e poco o nulla animate a favore della causa italiana, inclinando forse più verso il tedesco, che ha sempre cercato possibilmente di favoreggiarle. Ecco, qui non posso fare meno di dire una parola, ma proprio solo una, su questa faccenda, perché come voi sapete la reazione alla retorica risorgimentale ha fatto sì che oggi sia molto di moda dire vabbè ma il risorgimento in realtà in Italia non lo voleva nessuno. La gente non c'era, i contadini non c'erano, non ci stavano. Ecco, chiaro che un rapporto come questo fa impressione, ma il generale Bava è impressionato dal fatto che i contadini del Mantovano sono ostili perché fin lì i contadini lombardi invece erano insorti. Dunque, ancora una volta, il problema è che il paese è l'Italia e non è mai un paese unito dove tutti la pensano allo stesso modo. Ma la cosa interessante è che già all'epoca, ecco io dicevo prima, di recente si mette in discussione la partecipazione popolare italiana al risorgimento, non è mica vero. Già all'epoca si metteva in dubbio. Chi? I giornali tedeschi, i giornali austriaci. I giornali tedeschi e austriaci scrivevano, tutta questa rivoluzione italiana è un raggiro dei nobili, di questi quattro gatti. Questo è un passo talmente pazzesco, credo dalla Frankfurter Zeitung, che ve lo leggo, due righe. Tutto il moto d'Italia era giro di pochi nobili, di pochi individui della razza bianca, la quale opprime e spolpa la razza bruna, indigena delle campagne d'Italia, costantemente e vanamente difesa dagli amministratori austriaci. Noi a volte ci dimentichiamo con che disinvoltura si parlava di razza. una volta prima che il nazismo rendesse impossibile usare questa terminologia qui addirittura i nobili sono la razza bianca i contadini la razza bruna carlo cattaneo quando l'anno dopo andrà in esilio a parigi scoprirà che a parigi ci credono a parigi tutti gli dicono nei salotti ma sì ma voi italiani si sa questa storia della patria della libertà è una roba che interessa quattro gentiluomini che hanno viaggiato e che non ha niente da fare il popolo italiano è fatto di lazzaroni Grazie. Allora non importa niente, Carlo Cattaneo frigge, anche perché lui le ha viste le strade di Milano piene di cadaveri e quindi lo sa che il popolo non è tutto la stessa cosa. Un conto è un popolano di una città. Un conte è un contadino di una campagna cattolica e ancora tante altre sfumature. Chiuso, non siamo qui per risolvere questo problema, ma solo per dirvi che già allora ci si scannava su questo tema, quanto ci credono gli italiani nella loro rivoluzione. Dunque, stiamo andando a Mantova, dove dovrebbe scoppiare l'insurrezione. E in effetti i cittadini sono scesi in piazza, hanno chiesto le armi, poi è intervenuto il vescovo. che ha predicato la calma, non correre rischi, i cittadini hanno detto beh in fondo tutto sommato è vero, sono tornati a casa. Radezchi ha buttato dentro un altro reggimento, fine dell'insurrezione di Mantova. A questo punto i piemontesi si dicono beh, cosa facciamo? Ci sarebbe sempre Peschiera, la prima delle quattro fortezze è Peschiera, è la più piccola. L'assediamo, sì, assediamo Peschiera. Almeno stiamo facendo qualcosa. Capite che il problema è che assediare le fortezze è il modo in cui si faceva la guerra nel Settecento. Prima che arrivasse Napoleone, che ha insegnato che la guerra si fa muovendosi. Vai a cercare il nemico e lo annienti, poi le fortezze cadono da sole. Invece Carlo Alberto dice, no, no, assediamo Peschiera. Fate venire l'artiglieria pesante dal Piemonte. e l'artiglieria pesante da assedio si mette in movimento per arrivare a Peschiera. Tanto c'è tempo! E invece non hanno tempo, perché a Gorizia un altro generale austriaco, Inugent, ha radunato tutte le guarnigioni cacciate dalle varie città venete, ha reclutato truppe in Croazia e adesso ha un piccolo esercito. e si prepara a mettersi in movimento verso ovest per andare a rafforzare Radecki. Il Nugent è un altro vecchione, un po' meno, ha 71 anni, per l'epoca sono sempre tanti. È un irlandese al servizio austriaco fin dalla fine del Settecento. Anche lui ha comandato degli eserciti nelle guerre napoleoniche, quello che ha sconfitto Gioacchino Murat. Adesso è vecchio, però anche lui il mestiere lo conosce. Il 17 aprile Nugent varca l'isonzo... Visualizzate la cartina, vero? Perché si tratta di movimenti. Il 22 aprile prende Udine. È la prima grande città veneta in sorta che gli austrieci riconquistano con la forza. E intanto Carlo Alberto aspetta l'artiglieria per cominciare l'assedio di Peschiera. I suoi gli dicono, ma andiamo a dare un'occhiata verso Verona? Andiamo a dare un'occhiata verso Verona? Bisogna passare anche l'Adige. Sono sempre grossi guai, però... C'è un ponte, c'è un ponte difeso dagli austriaci, vuol dire proprio che non vogliono che passiamo di lì, andiamo e passiamo con la forza. Questo ponte si trova in un altro luogo che tutti avete sentito nominare, Pastrengo. A Pastrengo, a nord di Verona, verso la valle dell'Adige, è importante perché se gli italiani sfondano e bloccano la strada fra Verona e Trento, per Radezchi è una seccatura grossa, quindi la mossa non è sbagliata. Carlo Alberto attenta. attacca gli austriaci a pastrengo e la prima vera battaglia della prima guerra di indipendenza e come sapete è vinta se no non ci sarebbero le strade intitolate via pastrengo ecco gli austriaci sono la metà radetzky ha sbagliato a lasciare lì così tante truppe in quei casi o ci metti tutto l'esercito o non ci metti nessuno metterci 8.000 uomini vuol dire farseli mangiare ci fosse stato Napoleone davanti quegli 8.000 uomini se li mangiava tutti. Carlo Alberto non è Napoleone, attacca pianino, quando sembra che si metta male c'è la famosa carica dei carabinieri a cavallo, uno squadrone, 100 uomini, caricano, gli austriaci si ritirano, la battaglia di Pastrengo è finita, i piemontesi hanno avuto 15 morti e 90 feriti. lo 0,7% delle forze impegnate. Gli austrici che hanno perso hanno avuto il 5% di perdite. Perché vi dico questo? Che può sembrare una cosa sgradevole stare qui a dire uh che ridicoli hanno fatto pochi morti. Ma se si racconta una guerra bisogna raccontarla con i termini delle guerre. Nelle battaglie di Napoleone era normale che ognuno dei due eserciti perdesse in un giorno di battaglia il 20, il 25 per cento degli uomini impegnati. Spaventoso! Ma se a Pastrengo Carlo Alberto perde lo 0,7 per cento dei suoi uomini e l'intera forza austriaca si ritira davanti a lui invece di essere mangiata vuol dire una sola cosa che da una parte e dall'altra ci vanno molto prudenti sia i generali sia le truppe non fanno un passo di troppo sparano ci fermiamo intanto sono arrivati i cannoni finalmente si comincia l'assedio di peschiera e sono arrivati anche i soldati del papa al comando del generale Durando Un vecchio rivoluzionario piemontese che ha combattuto nelle guerre civili di mezza Europa tipo bizzarro per fare il generale del Papa, ma il Papa non ha generali, ha dovuto assumerne uno e ha preso questo Durando che sembrava se ne intendesse. Durando arriva al Po dall'Emilia Romagna con un piccolo esercito, una divisione regolare pontificia e una divisione di volontari romani, c'è davvero tutta Italia. Appena Durando è arrivato al poco alle truppe pontifice, Pio IX cambia idea. Il 29 aprile Pio IX dichiara ufficialmente che i cardinali gli hanno spiegato che il Papa non può partecipare a una guerra fratricida contro una potenza cattolica e quindi le sue truppe si devono ritirare. Ma per fortuna è il 48 e nel 48 succedono le cose più incredibili. il generale Durando comandante dell'esercito del Papa Decide che lui disobbedisce al Papa e quindi rimane lì e anzi passa molto lentamente il Po e si inoltra nel Veneto. Potrebbe andare a sbarrare la strada a Nugent che viene giù da Udine. È arrivato a Feltre, Belluno, sta scendendo sempre più giù, scende verso Treviso, Durando sale con l'esercito pontificio. Dipende da chi è più bravo dei due. Gli sbarra la strada, oppure l'altro è più bravo e riesce a superarlo. Nugent, 71 anni, che però ha comandato degli eserciti al tempo di Napoleone. Durando, che è molto più giovane, rivoluzionario, ne ha fatte di tutti i colori, ma un esercito non l'ha mai comandato. Non c'è niente da fare. Nugent passa. Durando non lo trova. Nugent passa oltre. Il 25 maggio Radezchi a Verona riceve i rinforzi. I piemontesi sono sempre fermi ad assediare Peschiera. Radezchi non è Napoleone ma sa fare la guerra. Appena ricevuti i rinforzi, attacca. Il 27 maggio esce da Verona, la sera. Ora di nuovo. Lo so che era più facile se vi portavo una cartina, ma tanto quelli in fondo non la vedevano lo stesso. Pensate a com'è fatta la pianura padana. I piemontesi hanno la sinistra a Pastrengo, sull'Adige. La destra davanti a Mantova è un fronte di 70 chilometri. È un'epoca in cui non c'è né la radio né il telefono, non c'è niente, eh? Gli ordini li mandi con uno a cavallo. Un esercito schierato su un fronte di 70 chilometri è troppo disperso. Radecki decide di attaccare all'estremità, verso Mantova. Attacca. Davanti a Mantova... C'è una divisione toscana, con due battaglioni napoletani. C'è il famoso battaglione degli studenti universitari di Pisa. Sono tutti schierati fra due paesini che anche questi li avete sempre sentiti nominare. Curtatone e Montanara. Ora, la storia di Curtatone e Montanara si può raccontare in molti modi. Si può raccontare l'eroica resistenza dei toscani che resistono un giorno intero. fermando l'avanzata di Radezchi che altrimenti da sud avrebbe preso alle spalle i piemontesi. Si può anche raccontare dicendo che già il giorno prima il generale Bava, piemontese, aveva avvertito il comandante toscano che Radezchi stava arrivando, dicendogli fate qualcosa. E secondo il generale Bava, il generale toscano Delogè non aveva fatto niente. Si può anche raccontare la versione del generale toscano De Lauget, il quale dice i piemontesi mi han detto che arrivavano gli austrieci, aspettavo che venissero a aiutarmi. Non si sono mossi i piemontesi. Morale, eroico combattimento degli studenti pisani, ma la divisione toscana viene sbaragliata. Scappa fino a Brescia e non ne esce più. Radezchi ha passato il fondo dello schieramento italiano e può prendere sul fianco i piemontesi. Carlo Alberto raduna quello che riesce a radunare, una parte dell'esercito perché è troppo sparpagliato, viene giù. Incontro a Radezki, era meglio magari se si fermava, trovava una linea, ma non importa, viene giù lo stesso. E lì, lì si vede che dopo tutto neanche Radezki è Napoleone. C'è un combattimento confuso, nessuno capisce molto, nessuno ha il coraggio di andare troppo dentro. E la battaglia di Goito, quella vera, prima avevano solo preso il ponte. Questa è la battaglia di Goito commemorata nei nomi delle nostre vie. Radezki. Dopo un pomeriggio di combattimenti incerti decide che non si passa, non ce l'ha fatta, gli è andata male, torna indietro. Qui si vede bene che anche lui partecipa ormai di questa mentalità per cui non si va troppo a fondo. Perché Radecki alla battaglia di Goito, quanti morti ha avuto ve lo dico dopo, i piemontesi hanno avuto 45 morti e 260 feriti, l'1% delle perdite. Ma in Italia naturalmente quello che conta è che la battaglia è vinta. Radezchi aveva attaccato e lo abbiamo fermato. L'esercito di Carlo Alberto si è salvato. I giornali italiani scrivono della grande vittoria. Carlo Cattaneo a Milano legge i giornali ed è disgustato. Lui ormai è uscito dal governo provvisorio, da sinistra, e segue la propaganda governativa italiana con orrore. Carlo Cattaneo, dopo la battaglia di Goito. A Milano il governo. vanissimo e ignorante annunciò che il nemico era fuggito dirottamente lasciando 5.000 morti. Gli austrieci a Goito ebbero 68 morti. Però è una vittoria e il giorno dopo Peschiera si arrende. Sono le regole della guerra, il comandante di Peschiera sapeva, arriva Radecki, se arriva a soccorrermi io tengo, se Radecki è battuto io ho fatto il mio dovere. e ho il diritto di arrendermi, salvare i miei uomini. Peschiera si arrende e i soldati gridano a Carlo Alberto viva il re d'Italia! Non basta! Arriva la notizia che qualche giorno prima a Vienna è scoppiata di nuovo la rivoluzione e può anche darsi che Radezki venga richiamato a Vienna con le truppe per sparare sugli studenti. Dunque apparentemente non potrebbe andare meglio. Cosa si fa? Si sta fermi, naturalmente, cercando di decidere qual è la cosa migliore da fare. Cosa fa Radezki? Radezki dice, l'unica cosa che non posso fare è star fermo, mi muovo. Mi è andata male di qua? Torno indietro. Ci sono le città venete in sorte. C'è Durando con i pontifici. Andiamo a occuparci un po' di loro. Radezki fulmineamente marcia su Vicenza, quindi torna indietro. A Vicenza arriva Durando con i pontifici. La posizione è fortissima. Durando garantisce, qui possiamo tenere anche otto giorni, intanto i piemontesi possono passare finalmente il mincio e anche l'Adige magari attaccare Radezchi alle spalle, Durando manda un messaggio di questo tipo io sto qua fermo otto giorni garantito, venite. Il primo giorno Radezchi attacca, sbaraglia i pontifici, Durando si arrende, chiede l'armistizio. firma una convenzione per cui si ritira al di là del Po e si impegna a non partecipare più alla guerra per tre mesi. Tutte le città venete, tranne Venezia, sono riconquistate dagli austriaci. Segue un mese durante il quale nessuno fa niente. Radetzky aspetta rinforzi, ha già fatto abbastanza. Carlo Alberto non sa cosa fare. Il re di Napoli lo sa. Ritira le poche truppe che aveva mandato. A Milano si scopre un nuovo problema. La guerra la stanno facendo solo i piemontesi. Non c'è un esercito lombardo. Dobbiamo assolutamente mandare un esercito lombardo. Reclutiamo volontari. Il clima è già un po' cambiato anche a Milano. Si trovano pochi volontari. Allora il governo provvisorio di Milano stabilisce che è un governo, quindi ha il diritto di richiamare i soldati in congedo. Gli ex soldati austriaci in congedo. Certo, hanno sempre l'obbligo di obbedire al governo. Vengono richiamati, non ci sono divise. Li mandano al fronte senza divisa. Arrivati al fronte vengono a sapere che gli austrieci fucilano quelli trovati col fucile in mano senza divisa. Quindi le truppe milanesi dichiarano che loro finché non gli danno una divisa non combattono. Allora a Milano vanno a vedere nei magazzini. Sono pieni di divise austriache. Decidono di vestire le truppe milanesi con divise austriache. Ma per fortuna non ce n'è abbastanza, quindi i soldati partono vestiti come vogliono loro. Scrive Carlo Cattaneo, che ormai si mette le mani nei capelli, vestiti con giubbotti di tela, i più con berretto, alcuni con cappelli di feltro, di paglia, di ogni foggia, reggimenti informi che parevano agli stipendi del più pitocco popolo del globo. Però le truppe arrivano al fronte e i giornalisti insistono, bisogna fare qualcosa, Carlo Alberto è tormentato. Eppure l'occasione ci sarebbe. Il 4 luglio Carlo Alberto ha il colpo di fortuna della sua vita. Arriva a proporsi al suo servizio il più grande generale italiano di tutti i tempi, Garibaldi. Arriva Garibaldi che è venuto dritto dall'America con un po' di uomini per partecipare alla rivoluzione italiana. Il 4 luglio si presenta a Carlo Alberto offrendogli la sua spada. Carlo Alberto scrive al ministro della guerra ho concesso oggi udienza al celebre generale Garibaldi dice Garibaldi mi ha offerto il suo aiuto suo e dei suoi amici tutti questi rossi continua la citazione dalla lettera di Carlo Alberto i precedenti di questi signori e specialmente del sedicente generale il suo famoso proclama repubblicano ci rendono assolutamente impossibile accettarli nell'esercito. Si potrebbe forse dar loro un sussidio purché si tolgano dai piedi. Di conseguenza Garibaldi viene cacciato. L'esercito è sempre disteso su 70 chilometri, da Pastrengo a Mantua, dal Mincio al Po. Non funziona niente, non funziona il servizio dei viveri. I soldati muoiono di fame in mezzo alle province più ricche d'Europa. Fa un caldo da morire, letteralmente, le divise sono di panno pesante, non si conosce niente di igiene contro la calura del sole, non si contano le notizie di soldati ufficiali che muoiono di sincope in campo sotto il sole. Radezchi aspetta di ricevere rinforzi e poi si muove. Il 29 luglio viene avanti, comincia a tastare in vari punti, scopre che i piemontesi sono deboli a nord, sull'Adige, attacca, sfonda, li mette in fuga, viene avanti, corre un rischio perché la parte destra dell'esercito piemontese, dove c'è Carlo Alberto, è ancora lì, potrebbe attaccarlo sul fianco, lo attacca sul fianco. Radeschi sta salendo verso occidente e Carlo Alberto lo attacca da sud. fra il Mincio e l'Adige, vicino ai ponti del Mincio, in un posto chiamato Custoza. In realtà, se uno guarda sulla cartina, questi eserciti sono molto grandi rispetto al territorio, non è che stanno tutti in un paesino e la battaglia si svolge su un vasto territorio, ma Custoza è il posto simbolico. Carlo Alberto attacca, come al solito, ormai lo abbiamo capito, attacca con poca convinzione, poco convinto lui, poco convinti i soldati. nessuno ha voglia di farsi ammazzare combattono per un paio di giorni poi si rendono conto che non passano Radeschi ha vinto Radeschi come al solito nella battaglia di Custozza si è giocato più truppe ha avuto più perdite ha perso il 5 per cento del suo esercito non è mai una battaglia napoleonica e lo vedete Napoleone perdeva il 20 per cento pur di non smettere e continuare questi si fermano prima Carlo Alberto ha perso il 2 per cento si ferma E Radezki non si ferma, ha vinto, benissimo, andiamo avanti, passa lui il mincio verso occidente e le strade che collegano l'esercito di Carlo Alberto alla madrepatria, al Piemonte, e quelle strade sono lì, gli austrici ci arrivano sopra, ci tagliano la ritirata, cosa tragica davvero per un esercito che non può vivere se non ha una linea di collegamento con la patria da cui arrivano le notizie, i rinforzi, i soldi, tutto. Dunque la situazione è drammatica. Carlo Alberto chiede l'armistizio. 27 luglio. Radezchi è talmente stupefatto che questi alla prima sconfitta gli offrono già l'armistizio che non chiede quasi niente. Gli basta che i piemontesi si ritirino dietro l'Adda. Potrebbero tenere Milano quindi. È un'offerta straordinaria. Carlo Alberto dice mai, mai accetterò condizioni così vergognose. La guerra continua. Di conseguenza si ritirano però, passano il mincio, fanno saltare il ponte di Goito, 27 luglio passano il mincio, 28 luglio passano l'olio. All'andata ci avevano messo una settimana, al ritorno ci mettono un giorno. 31 luglio, passano l'Adda, lasciando dietro di sé un paese terrorizzato perché tutto il paese era insorto e adesso hanno tutti il terrore delle rappresaglie, adesso tornano gli austriaci, Cremona è quasi abbandonata dagli abitanti, indietro rimangono solo i malati, tantissimi, non hanno abbastanza ospedale, non hanno medici. Innumerevoli soldati malati sono lasciati indietro. Si spera di resistere sull'Adda, ma gli austriaci sono più bravi. Il primo agosto passano anche l'Adda. A questo punto Carlo Alberto, tanto per cambiare, deve decidere cosa fare. Torno in Piemonte e non se ne parla più? Non sia mai, difenderò Milano. Carlo Alberto decide di marciare su Milano e difenderla. E qui si è discusso moltissimo, perché ovviamente le fonti, diciamo così, monarchiche dicono l'atto eroico del re che decide di sacrificarsi col suo esercito per salvare Milano. Poi ci sono quelli che dicono, sì, aveva una gran paura che scoppiasse la rivoluzione a Milano, alla notizia che il re aveva perso la guerra. Aveva una gran paura che proclamassero la Repubblica a Milano, perciò preferisce andarci lui con l'esercito. Il fatto sta che ci va e questa estate è caldissima, pazzesca. La sera del 2 agosto c'è un uragano con grandine così grossa che ammazza uomini e cavalli. I soldati si ritirano da giorni senza niente da mangiare, in condizioni disastrose. Il 3 agosto arrivano a Milano e trovano una popolazione ostile perché a Milano ormai si sono detti il re ci sta per mollare. Il clima non è più quello. E comunque i piemontesi si trincerano in quella che oggi è parte di Milano e allora era una remota periferia di cascinali, per il piacere dei milanesi lo dico, la linea di difesa va da Chiesa Rossa al Vigentino, al Corvetto, fino a Calvairate. Ci si schiera lì il 3 agosto, sperando di difendere Milano. Il giorno dopo, Radezchi non perde tempo, il 4 agosto Radezchi attacca. Dopo un giorno di combattimenti Carlo Alberto si arrende, dichiara che non ha viveri, non ha munizioni, i milanesi poi sosterranno, non è vero, la città era piena di viveri, era piena di munizioni, piena di gente pronta a combattere. Carlo Alberto preferisce arrendersi, chiede l'armistizio, a questo punto però Milano la deve cedere. Le condizioni che aveva rifiutato pochi giorni prima sarebbero state da leccarsi i baffi, invece no, l'armistizio vuol dire i piemontesi tornano in Piemonte. Milano viene ceduta agli austriaci. I primi popolani milanesi che arrivano dalle barricate in periferia, in centro, dove c'è la folla in piazza, e dicono alla folla il re si è arreso, Milano è ceduta agli austriaci, vengono linciati dalla folla, che non ci crede, crede che siano spie austriache, provocatori. A Milano si suonano le campane a martello, si arma la gente, ma intanto gli austriaci stanno entrando. C'è un momento in cui non si sa cosa può succedere, perché l'esercito piemontese è in periferia e il re invece è in centro, è a Palazzo Greppi, praticamente da solo, con pochi aiutanti, e fuori c'è la folla che urla. Passa qualche ora durante le quale può succedere di tutto. Può succedere che i milanesi invadano il palazzo e impicchino Carlo Alberto al balcone, come può succedere che le truppe piemontesi in periferia, che sono informate di quello che sta succedendo, attenzione attacchino Milano e la mettano a ferro e fuoco per salvare il loro re. Poi invece per miracolo si evita il peggio, arriva un gruppetto di bersaglieri, recupera Carlo Alberto, lo porta fuori Milano e l'esercito se ne va e gli austriaci rientrano in Milano. Insomma il peggio è evitato ma appunto peggio di così non poteva andare. Il 9 agosto si firma l'armistizio di Salasco, la guerra è durata quattro mesi e mezzo. immediatamente dopo questa è l'ultimissima cosa con cui chiudo la notizia arriva a vienna dove la rivoluzione è finita era un fuoco di paglia sono tutti tranquilli arriva la notizia della grande vittoria di radetzky e johann strauss per festeggiare compone quel pezzo che ora noi tutti gli anni al concerto di capodanno ascoltiamo con tanto piacere la marcia di radetzky che non viene composta per capodanno ma in tamburo battente in pochi giorni l'armistizio del 9 agosto Il 31 agosto a Vienna va la prima della marcia di Radetzky. Grazie.