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Appunti sulla guerra di unificazione italiana

Fin dai primi preparativi, l'idea di Cavour era che la guerra dovesse essere fatta al fianco della Francia, un alleato potente almeno quanto il nemico. La controffensiva franco-piemontese è fiancheggiata dalle azioni dei cacciatori delle Alpi, che guidati da Garibaldi eppur lasciati a se stessi e quasi senza supporti logistici, penetrano nell'alta Lombardia. chiamando la popolazione alla rivolta contro l'Austria. Il 24 giugno si svolge l'atto decisivo di questa fase, la grande battaglia di Solferino e San Martino. Il 5 luglio Napoleone III propone a Francesco Giuseppe, imperatore austriaco, l'apertura di negoziati per un armistizio, firmato poi l'8 luglio. L'improvviso cambiamento di rotta di Napoleone III, il suo desiderio di interrompere le ostilità, è determinato da inattesi sviluppi in Italia. Preparate dalla società nazionale e stimolate dalle vittorie dell'esercito franco-piemontese, sin dal 27 aprile, il giorno successivo all'inizio delle operazioni militari, Scoppiano le insurrezioni in Toscana e nell'Emilia. I regnanti sono messi in fuga e gli insorti chiedono l'annessione al Piemonte. È il segno evidente che la situazione italiana è molto più avanzata in senso nazionale di quanto ritenesse Napoleone III. L'imperatore contava di ottenere l'egemonia francese nella penisola, ma le insurrezioni dimostrano che il risultato più probabile della campagna militare è la formazione di un forte Stato italiano, un'eventualità sgradita. a Napoleone III. L'11 luglio l'imperatore francese e quello austriaco si incontrano a Villafranca per concordare i preliminari di pace. Francesco Giuseppe accetta di chiudere la partita cedendo la Lombardia ormai perduta e conservando il Veneto con le fortezze del quadrilatero. Nell'Italia centrale si restaureranno i regnanti scacciati. Napoleone III infrange così gli accordi presi con il Piemonte. La decisione di Napoleone III avvallata a malincuore da Vittorio Emanuele II, messo dinanzi al fatto compiuto, scontenta Cavour, i piemontesi e l'Italia intera. I progetti di Cavour diventano carta straccia. L'Austria rimane la forza egemone sul territorio italiano. Le prospettive piemontesi sono ridotte all'impotenza. La leadership dei moderati sul movimento nazionale vacilla. È il grande fatto nuovo? del 1859. Gli italiani si oppongono all'ennesimo tentativo delle potenze straniere di decidere l'assetto politico della penisola senza consultarli. Un atteggiamento che mette in crisi Napoleone III. Dopo aver fatto una guerra allo scopo dichiarato di liberare l'Italia, non può ora imporre con le armi la restaurazione dei sovrani cacciati, né può permettere che a farlo siano gli austriaci. È in gioco il prestigio della Francia. Inoltre, l'imperatore dei francesi, accolto nel suo paese da feroci critiche, ha interesse a chiudere l'intervento in Italia con qualche vantaggio concreto. Ma, avendo egli stesso infranto gli accordi di Plombier, non può certo aspettarsi dal Piemonte i compensi territoriali pattuiti. Intanto, in Toscana, nei Ducati e nelle Legazioni, prendono vita governi provvisori che proclamano la decadenza dei vecchi sovrani e l'annessione al Piemonte. E così Cavour... Tornato al governo nel gennaio 1860, contando anche sull'appoggio dell'Inghilterra, della Prussia e della Russia, ora favorevoli alla formazione di un forte stato centro-settentrionale in Italia come fattore di equilibrio nei confronti della Francia, può concludere con Napoleone III un nuovo accordo, l'annessione dell'Italia centrale al Regno Sardo, in cambio di Nizza e della Savoia. Le cessioni territoriali sono l'espressione del punto debole nella strategia di Cavour, cioè la forte dipendenza dalla volontà dell'alleato francese, ma anche un passaggio inevitabile di un processo che segna la fine del vecchio stato dinastico sabaudo, a favore di una nuova fisionomia più connotata in senso nazionale italiano. Un gioco che è valso la candela, dunque, almeno dal punto di vista di Cavour e dei moderati, nonostante le forti critiche in Piemonte, da destra e da sinistra. I democratici invece sono pronti a riprendere l'iniziativa e a rilanciare un tentativo di unificazione dell'intera nazione, non limitato cioè al nord e a una parte del centro. Una missione popolare, autonoma dal Regno Sardo e affidata a Giuseppe Garibaldi. I preparativi per la spedizione partono febbrili. Occorre trovare volontari, armi, navi per il trasporto, organizzare i collegamenti con gli insorti in Sicilia. Il tutto complicato dall'opposizione di Cavour, che diffida dell'iniziativa perché gestita dai suoi avversari politici. Ma i democratici non si scoraggiano e Garibaldi decide che è tempo di passare all'azione, con quei volontari per metà professionisti e intellettuali e per metà artigiani e operai. che lo seguono. Partiamo, e poiché è stabilito, partiamo il più presto che sia possibile. Inizia così con la partenza da quarto il 6 maggio 1860 una delle pagine più gloriose e celebri della storia italiana la spedizione dei mille. È l'11 maggio 1860. I Garibaldini sbarcano a Marsala. Arrivò ultimo Garibaldi, cavalcava un baio da gran vizir su di una sella bellissima con le staffe a trafori, indossava camicia rossa e calzoni grigi, aveva in capo un cappello di foggia ungherese e al collo un fazzoletto di seda e quando il sole fu alto si tirò su a far ombra al viso. Il popolo vede lui e piglia fuoco, magia dell'aspetto del nome non si conosce che lui. Sono giorni di gloria, i giorni degli eroi. I picciotti siciliani rinforzano le file dei Garibaldini. Ai loro occhi il generale è il liberatore che li solleverà dalla miseria. Vidi Garibaldi a piedi, con la spada inguainata sulla spalla destra. Andare innanzi lento, tenendo d'occhio tutta l'azione. Gadevano intorno a lui i nostri Generale, così volete morire? Come potrei morire meglio che per il mio paese? Avanti, avanti, avanti! Non si udiva che un urlo E quella tromba che non aveva più cessato di suonare il passo di corsa squillava con angoscia, come la voce della patria pericolata. Contemporaneamente alla campagna militare si svolge un altro duro conflitto, quello tra Cavour e Garibaldi, e l'ennesimo capitolo di una lotta per la direzione del movimento nazionale. L'obiettivo del generale non è la liberazione della sola Sicilia, ma l'unità dell'Italia intera, un processo di unificazione da compiere in armi. Liberare l'Italia del Sud e poi attaccare lo Stato Pontificio e Roma. Il tutto tenendosi smarcato dal governo piemontese, che invece spinge per l'annessione immediata della Sicilia e per un processo più diplomatico. Ad agosto Garibaldi passa lo stretto di Messina e avanza rapido verso Napoli, mentre in Calabria e Basilicata le popolazioni insorgono ancora prima dell'arrivo dei Garibaldini. L'esercito borbonico è ormai sbandato. Francesco II re delle due Sicilie, si rifugia Gaeta e appronta l'ultima linea di difesa sul Volturno. Il 7 settembre Garibaldi entra a Napoli tra la folla esultante. Il governo piemontese non può stare alla finestra mentre una spedizione di volontari sta facendo l'unità d'Italia. Il regno di Sardegna deve avere un ruolo attivo, riprendere il controllo della situazione, non lasciare l'iniziativa ai soli democratici. Il conte decide di far intervenire l'esercito sardo nelle Marche e nell'Umbria, territori dello Stato pontificio, e da lì avanzare poi verso sud. La decennale dialettica tra moderati e democratici prende forma visibile e plateale. Come impegnati in una gara, due diversi eserciti si muovono nella penisola. Quello ai comandi di Garibaldi ha risalito lo stivale dalla Sicilia fino alla campagna, mentre l'esercito Reggio, comandato da Vittorio Emanuele, ridiscende quello stesso stivale e l'11 settembre penetra nello Stato Pontificio e occupa le Marche e l'Umbri. L'iniziativa sta tornando nelle mani di Cavure dei Moderati. Il Piemonte riprende il suo ruolo di locomotiva nazionale. Garibaldi inoltre... è costretto a rinunciare all'avanzata su Roma, consapevole che l'esercito borbonico, schierato sulla riva destra del Volturno, con alle spalle la piazzaforte di Gaeta, è in condizione di tentare una controffensiva su Napoli. Cosa ci vengono a fare? Poi vorranno aver fatto tutto loro, avere gli onori e tutto. L'intervento nell'Italia meridionale interrompe il piano militare di Garibaldi. La parola passa alla politica. In Sicilia e Napoli si organizzano plebisciti che sanciscono le annessioni al Regno Sardo, così come desiderato da Cavour. Ancora una volta il timore di mutamenti sociali ed economici e lo spettro della Repubblica punisce i democratici e premia i moderati, che offrono agli occhi della borghesia meridionale maggiori garanzie di stabilità. L'avventura garibaldina si conclude formalmente il 26 ottobre nei pressi di Teano. Qui avviene l'incontro tra Vittorio Emanuele e Garibaldi. Il sovrano comunica al generale che da quel momento le sue truppe devono accodarsi a quelle regge. Si festeggia, ma sono in molti a non essere convinti del modo in cui è avvenuta l'unificazione. Lo Stato unitario è in realtà. In 18 mesi la Lombardia, i Ducati di Modena e Parma, la Toscana, lo Stato Pontificio, tranne il Lazio, il Regno delle Due Sicilie, sono stati uniti al Regno di Sardegna, che a buona ragione può ora definirsi Regno d'Italia. L'atto formale avviene il 17 marzo 1861, con la promulgazione della legge che dichiara Vittorio Emanuele II re d'Italia.