segui la 7 anche su instagram la 7 ovunque con te c'è giuseppe aiala in frattempo che ringrazio amico e magistrato una sera dottor aiala buonasera giletti buonasera buonasera sandra muri qui in studio con noi era allora dottore aiala sono passati 30 anni no e Queste immagini fanno parte della nostra memoria collettiva. Lei dov'era quando successe il fatto? Io ero a Roma, perché ero stato eletto da poco deputato e tra l'altro in questa scelta Giovanni Falcone ebbe una grande responsabilità, ma insomma lasciamo perdere perché mi indusse lui ad accettare.
Io spesso, il weekend, veniva a Palermo e molto spesso viaggiavo con l'aereo di Stato che per motivi di sicurezza aveva Giovanni e dovevamo tornare il venerdì. Lui mi telefonò il giovedì per dirmi che sua moglie Francesca, che era componente della commissione giudicatrice del concorso in magistratura, non si sarebbe liberata prima della mattinata di sabato e quindi si partiva sabato pomeriggio. Allora io mi sento e mi chiedo se io domenica devo essere a Roma perché si votava allora ripetutamente per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Tra l'altro mia moglie mi ha detto che mi vuole raggiungere a Roma, quindi questo weekend rimango a Roma con mia moglie. Ciao ciao, ci vediamo la settimana prossima.
Il sabato pomeriggio ero a casa con mia moglie, il televisore era spento, a un certo punto mi telefonò mio figlio. Mi ha detto papà accendi subito il televisore perché è passata una brutta notizia che riguarda Giovanni. Ho acceso il televisore e naturalmente poco dopo ho appreso quello che era successo.
Al che mia moglie non sa sentire di muoversi, io mi fiondai all'aeroporto e purtroppo il volo all'Italia era già chiuso e completo. E quindi l'hostess mi disse guardi onorevole non c'è niente da fare, lei può prendere il prossimo volo. E io? Mi si è detti, a un certo punto l'hostess si avvicina e mi dice venga venga che la imbarco, dico scusi ma il volo non era pieno, dice sì questo va ricordato, c'è un passeggero che ha saputo che lei deve andare a Palermo e le ha ceduto il posto, io non ho mai saputo chi è questa persona, ma non puoi immaginare quanto gli sono grato.
E quindi sono arrivato a Palermo, la scorta mi ha portato in un primo momento alla... L'ospedale civico al reparto di chirurgia perché Francesca avevano tentato di salvarla operandola, però purtroppo durante l'intervento anche lei era morta. E poi mi hanno accompagnato nella sala mortuaria.
Sono entrato, tutti devo dire con molta delicatezza sono usciti e ci hanno lasciato soli. Giovanni è morto per... le emorragie interne provocate dall'onda d'urto perché non fu colpito direttamente dall'esplosione. E quindi era, come sempre l'avevo visto, aveva solo una piccola ferita sul sopracciglio e come si dice in questi casi, sembrava proprio che dormisse. E io sono rimasto un po'con lui, istintivamente, non so perché, mi è venuto di prendergli le mani, di tenere queste sue mani tra le mie.
E poi a un certo punto l'ho lasciato, l'ho lasciato fisicamente, ma è sempre rimasto presente nella mia vita e continua a essere presente nella mia vita. Nel frattempo, mentre lei parlava e ricordava quei momenti, siamo riusciti a ricollegarci con Maria Falcone. Buonasera Maria. Buonasera Giletti, eccomi qua. Maria, io le chiedo una cosa che...
Va un po'oltre, no, quelle immagini che abbiamo visto. Lei da 30 anni che si batte ha un impegno molto importante, no, di tenere viva la forza di suo fratello. Quanta fatica le fa combattere, continuare a non mollare, a sentire anche che le verità sono ancora lontane? Beh, vede, Agiletti... Io in tutti questi anni non ho fatto altro che portare avanti Una delle idee di Giovanni.
Giovanni diceva sempre che per vincere la mafia non sarebbe mai bastata la sola repressione, ma era necessario, siccome la mafia è anche un fatto culturale, batterla proprio sul campo culturale. E per fare questo era necessario quindi andare tra i giovani, parlare ai giovani nelle scuole. e fare capire a loro l'importanza di dire no alla mafia. Ecco, io non ho fatto altro che fare questo in questi anni, ricordare Giovanni e i suoi valori tra i ragazzi e far capire loro quanto può essere importante il loro comportamento. Maria, un giorno un ragazzino in una scuola si alzò e disse...
Credo fosse in campagna. Io... la camorra ci dà da vivere, ci dà...
senza la camorra non... cioè, è più forte la camorra dello Stato. E in quei momenti è imbarazzante, no?
In realtà mi disse, Bosso è bello, Bosso guadagna e fa guadagnare. Però, caro Massimo, io oggi ti posso ripetere... un episodio completamente diverso.
Proprio ieri nel nostro sito della fondazione è arrivato il messaggio di un papà napoletano, un imprenditore che diceva anche di aver avuto vari problemi naturalmente per il camorro o cose del genere, non ho capito bene, però aveva sempre cresciuto i suoi figli nel culto. Il mito di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Quando il bambino ha fatto la prima comunione, gli ha chiesto cosa aveva regalato per questo importante momento.
Il bambino sa cosa le ha risposto? Gli ha detto che voglia andare a Palermo il 23 maggio. E io me lo sono ritrovato oggi accanto a me, nel palco dove abbiamo parlato alla Repubblica delle Idee, quindi vede come i due comportamenti, 30 anni di parlare ai ragazzi, 30 anni di far capire loro quanto sia importante, ha provocato questo cambiamento.
Non è retorica, ma è realtà. Io mi batto proprio perché sono convinto che i carabinieri e la polizia sono fondamentali, siamo magistrati, ma la vera rivoluzione si fa nella scuola, nella cultura. La cultura rende liberi, ci libera. La meritocrazia si passa attraverso la cultura, quindi noi dobbiamo lavorare lì. Le chiedo però una cosa.
Nel suo libro che ha scritto l'eredità di un giudice, di Mondadori, Strade Blu, c'è un passaggio in cui dice che un giorno è andata... alla Calza, che è il quartiere storico nel cuore di Palermo, di origine arabe, dove erano cresciute, dove erano cresciute, Giovanni era cresciuto. E Paolo Borsellino la portò lì a farle vedere dove era una volta il loro campo di calcio, dove giocavano, non il campo di calcetto, invece era praticamente ricoperto da una lastra di cemento. Ma la abbracciò e le disse una cosa. Che cosa le disse?
Beh, mi disse... Non ti preoccupare, continuerò io quello che faceva Giovanni. Sto scoprendo delle cose inimmaginabili, ma che tangentopoli e tangentopoli. Quelle cose non le sapremo mai, perché qualche giorno dopo anche Paolo non ci sarà più.
Ed è proprio dopo la morte di Paolo che il mio scoraggiamento è più forte. Perché a lui avevo posto la fiducia che tutto continuasse. Senza di lui non era più possibile.
Però adesso devo dire che non c'era più Paolo, non c'è Giovanni, ma Palermo, la società, dopo la sua morte, ha ripreso in mano, non è rimasta in ginocchio. come l'avevano voluto costringere la mafia, ma si è rialzata e negli anni, anno dopo anno, ha maturato una presa di conoscenza che ci fa ben sperare. Ci sta guardando anche il professor Rossini, che tra poco sarà protagonista di un Faccia a Faccia con me.
Le chiedo, c'è un altro passaggio che mi interessa, nel suo libro lei parla in un certo modo di Giulio Andreotti, nel senso che Giulio Andreotti non partecipò ai funerali di suo fratello, perché disse che aveva degli impegni importanti, improrogabili, anche Ayala lo sa. Lei disse una cosa, credo al Corriere della Sera, lo ricordò al Corriere della Sera, e lui le rispose una lettera. Lei disse non è venuto a San Domenico, che era la chiesa, no? Il luogo dove...
Che cosa le scrisse? Beh, in realtà fu la mia prima intervista. E ricorderò sempre quella intervista che mi fece Enzo Biaggi. Arrivò di mattina, una domenica mattina, trafelato, era sceso proprio appena...
appena dall'aeroporto era arrivato velocemente a casa mia e per me che per la prima volta, ancora non era morto Paolo perché è stato il 17 di luglio, nel fare quella prima intervista naturalmente dissi anche quello che praticamente Andreotti che per la morte di Lima era venuto, aveva assistito a tutte le cerimonie. Non si era preoccupato di venire a Palermo quando Giovanni è morto. E lui poi mi scrisse una lettera, peccato, se avessi pensato prima ve l'avrei fatto vedere perché l'ho conservata gelosamente.
E in questa lettera c'era scritto che lui non era potuto venire perché aveva preparato il discorso che la sera sarebbe stato pronunciato. in Parlamento e che dire delle cose non è certo, aggiungeva il suo caso, però spesso parlare senza capire bene quello che si dice è veramente una possibilità di far pensare che tutto è mafia e quindi niente è mafia. Allora adesso vi voglio far vedere un passaggio. di Totorina.
L'abbiamo fatto vedere lo scorso anno nello speciale di Abbattiamoli, che andrà anche in onda domani sera. È una conversazione nel carcere di opera tra Totorina, il capo dei capi, e lo russo, che era un uomo suo, insomma, un aggregato. Racconta e descrive con gioia e soddisfazione la strage di Capaci. Ascoltate. I primi, quelli della macchina, erano 5, sono scomparse tutto pezzo a pezzo, li hanno presi, non ne hanno trovato niente, nulla.
Che cosa è successo? Si sono disintegrati, i corpi sono spembrati, pezzo a pezzo. Minchia potenza, potenza, bomba, potenza, bomba.
Quando sarà che i ragazzi leggeranno la situazione? Sentiranno, perché a scuola la studiano questa cosa, diranno ma chi era questo ingegnere potentoso, chi era? Non la possono digerire, non la possono digerire, non la possono digerire, è un esempio, un esempio dato, proprio dato.
Sono isolato da quando sono in galera. 21 anni isolato, ma questo sempre isolato è stato, noi altri abbiamo fatto il nostro dovere di vedere di poterlo fare recuperare, ma questo non si può recuperare, è irrecuperabile, vi faccio vedere io chi sono, chi sono le persone sulla terra, e ora siamo fuori. Io continuavo a fare un macello, continuavo al massimo livello, ormai c'era l'ingranaggio, questo sistema e basta, minchia eravamo tutti, tutti mafiosi, i capi mafia, urrina, non li faceva passare Dottora Iala, che effetto le fa ascoltare queste parole? Non è facile rispondere a questa domanda. Mi conforta un pensiero.
che soprattutto grazie al lavoro straordinario naturalmente dei colleghi giudici istruttori, Giovanni, Paolo, Peppino Di Lello, Guarnotta, io ho sostenuto l'accusa al maxiprocesso e per la prima volta ho ottenuto l'ergastolo nei confronti di Rina, che però era latitante, io non l'ho mai visto Rina, gli ho fatto beccato il primo ergastolo e questo un po'mi conforta nell'ascoltare questa... Non la voglio definire questa conversazione, lasciamo perdere. Poi quando è stato arrestato, nel gennaio del 1993, io ero parlamentare e alcuni colleghi, comprensibilmente, siccome noi parlamentari potevamo andare in carcere senza bisogno di troppe complicazioni, mi chiesero un giorno, non hai la curiosità di andare a vedere questo criminale a cui tra l'altro tu hai fatto beccare il primo ergastolo? E io che sono siciliano, anche se sono l'espressione di un'altra Sicilia, ho detto che questa importanza non gliela do, che rimanga a fetere in galera. Ma la possibilità di dire che il dottor Ayala si è disturbato per venermi a vedere, se lo può scordare.
E infatti lui è uscito dalla galera dentro una cassa di legno, come mi pare giusto che sia. Sandra, tu come l'hai conosciuto? Vanni Falcone. Io l'ho conosciuto, ero in albergo a Roma e lui era lì probabilmente per lavoro, era il ristorante di questo albergo, lui era seduto al tavolo e cenava da solo. E quindi io lo guardavo come si può guardare, non so, una persona importantissima che avrei voluto conoscere, che avrei voluto parlargli.
E ad un certo punto venne il cameriere e mi disse... Dottore Falcone dice che se vuole si può sedere al suo tavolo, lei probabilmente è una giornalista. E io ricordo ancora quei pochi passi che mi separavano da lui e le gambe mi tremavano. Mi sedetti al suo tavolo e parlammo tutta la sera, fino a notte fonda. E lui mi spiegò tanto e mi disse capire la mafia è un passepartout per capire tutto.
Da quel momento nacque un rapporto molto forte. E poi con Maria Falcone, che saluto, abbiamo fatto l'albero Falcone, quella cosa meravigliosa delle lettere lasciate dai bambini, dai ragazzini, sotto l'albero Falcone. Quella fu un'esperienza bellissima, davvero bellissima.
E poi ho sempre continuato a sentirla parte, come dire, di una storia. Continuiamo a far vedere anche... dei momenti che sono importanti, perché la lotta contro la mafia è punteggiata dai racconti dei pentiti. E siamo nell'aula bunker a Roma, Re Bibbia, nel 1993. C'è un confronto che è stato chiesto da Totò Rina col famoso pentito, il primo pentito, Tommaso Buscetta.
Un faccia a faccia che però Rina a un certo punto dice ma no, non voglio più continuare questo faccia a faccia, perché è immorale. Rina dice che Buscetta è immorale, ma non per questioni di mafia, per questioni di donne, ascoltate. Quando ha rifiutato il confronto, cioè ha rifiutato di sottoporsi al confronto, ha detto io non voglio essere sottoposta a confronto con Buscetta perché non è della mia statura e uno che ha troppi amanti, ma lei che cosa ne sa? Non ho detto amante, ho detto anche tante mogli. Tante mogli, tante donne, va bene.
E io posso dire... E che ne sa lei? Io posso dire che l'ho letto nel giornale perché tutti i rivisti e tutti i giornali le portano. Poi, signor Presidente, come mio nonno, parto di mio nonno, che io quando mi riferisco di moralità parso della mia famiglia, mio nonno è rimasto vedo a 40 anni e aveva 5 figli con papà e non ha cercato più moglie, non ha sposato. Mia madre è semastaveto, ha 36 anni, quindi noi viviamo nel nostro paese di cosettezza morale.
Lei aveva chiesto il confronto con tutte le persone che... Aveva chiesto, ora ho letto queste cose signor giudice, non voglio fare più il confronto con questo signore. Avrei voluto che questo signore mi rintuzzasse per poter trovare gli argomenti per parlare con lui, perché lui parla di moralità.
con me per le donne, però io vorrei sapere da voi tutti e da lui stesso con quanto coraggio lui può dire a me di moralità quando è l'artefice della fine dei miei cari. Questo individuo può parlare di moralità quando ha ucciso tanta gente innocente, lui parla di moralità a me. Dov'è la sua moralità? Rina, la faccia vedere, la faccia conoscere.
Dov'è la tua moralità? Maria, Buscetta decise di collaborare solo ed esclusivamente con suo fratello, Giovanni. Lei nel 1993 lo incontrò a casa del sociologo Pino Arlacchi. Lui si presentò come Roberto. Cosa ricorda di quell'incontro?
Mi ricordo soprattutto che mi accolse con commozione. Ed ero visto come un signore di altri tempi. Portava un vestito di lino bianco. così com'era uso ai tempi forse dei primi del novecento. Aveva un atteggiamento di un uomo quasi elegante.
E la cosa più bella però che mi disse fu signora, mi disse signora, non professoressa come mi chiamano tutti, signora lei non può sapere... quanto io ho amato suo fratello, l'ho rispettato perché lui ha saputo rispettare me. Molti dicono in giro che io sono un amico di Giovanni, magari fossi stato amico di Giovanni, io sono sempre stato dall'altra parte del tavolo.
Lui era il giudice e io ero il reo. Sandra, c'è a proposito dei tanti dubbi, misteri che non sono stati mai chiariti, il direttore Giulio Gambino ha pubblicato un documento che vedete qui alle mie spalle, mettiamolo pure grande, dove si dice che era spiato Giovanni da uomini dello Stato. Aveva fatto un interrogatorio, credo, a Licio Gelli e qualcuno dello Stato è andato a riferire, a dare a qualcun altro, sempre dello Stato, le notizie su quello che aveva fatto Falcone con Gelli.
È così, Sandra? Beh, diciamo, allora lo contestualizzo un attimo. Falcone era procuratore aggiunto a Palermo e stava indagando sui cosiddetti delitti politici, quindi anche per Santi Mattarella. e Pio la Torre, Pesanti Mattarella, aveva interrogato l'estremista di destra Volo che gli aveva fatto, aveva chiamato in causa Licio Gelli.
Quindi lui andò ad interrogare... In riferimento alla strage del treno 904 anche, no? Beh sì, anche però con i delitti politici. Lui andò alla sede della Criminal Poll a Roma ad interrogare Licio Gelli.
Poi, ora sappiamo che... Questa, come la chiamano loro, i bianchini, i cosiddetti bianchini, cioè di una cosa così importante viene sempre informata l'autorità politica, cioè il ministro dell'interno, che in quel caso era Gava. E Rossi, capo della Criminal Poll, di allora invia questa informativa.
Oggi, sentito da TPI, dice, ma sono vecchio, non ricordo nulla. Chiedetelo a De Gennaro che in verità era in quel momento capo del servizio centrale operativo. De Gennaro.
Ma insomma, che non c'entrava nulla. Ecco però Ayala, il fatto che si dica che fosse seguito, fosse ascoltato anche... Questo non si... Cioè...
Non sappiamo se è registrato. Non si sa, però... E fa parte di tanti misteri che in fondo quello che facesse Falcone è quello che facesse anche Borsellino. fosse un oggetto di attenzioni particolari e a parte di, diciamo, parti dello stato deviate, era nota. Guardi, onestamente le devo dire, non mi risulta, però ancora una volta io voglio citare Giovanni Falcone, che non dobbiamo mai dimenticare, era un uomo.
Io dico che quando si scrive la parola uomo, pensando a Giovanni Falcone, bisogna usare la U maiuscola. Come tutti gli uomini però. Giovanni poteva anche sbagliare per carità, ma in certe cose è improbabile che sbagliasse. Allora io mi rifaccio a quello che lui mi disse in un primo momento confidenzialmente, ma poi fu oggetto addirittura di un'intervista che rilasciò dopo l'attentato alla Daura.
Quello è un punto fondamentale per affrontare questo tipo di argomento. Cioè a dire, Giovanni miracolosamente, grazie all'accortezza di un uomo alla sua scorta, si salva dall'attentato del giugno 89 che era stato predisposto per ammazzarlo. Arriva in ufficio, mi chiama, ma era normale che lui mi chiamasse spesso per dire quando arriva a Palazzo di Giustizia prima di andare nel tuo ufficio passa da me che ti devo parlare. E quella mattina aveva lo stesso tono, quindi io arrivo a Palazzo di Giustizia, vado a Giovanni pensando di dover parlare di lavoro e invece lui mi racconta quello che era successo.
Ancora non sapevamo che quella borsa da sub che aveva insospettito per fortuna quell'uomo dalla sua scorta conteneva 58 candelotti di dinamite. Però era chiaro che era un attentato. E lui mi disse, cito testualmente perché lo posso fare, in quanto poi lui ne fece oggetto di un'intervista per la semplice ragione che molti addirittura dissero che quell'attentato non era vero, che se l'era fatto lui. Cioè uno aveva tante diffamazioni su Giovanni che ne ha collezionato centinaia, ma lasciamo perdere. Quello che lui mi disse, che ripeto poi fu oggetto anche di un'intervista pubblica, è di fare riferimento a...
Cito testualmente, menti raffinatissime e centri occulti di potere, capaci anche di orientare le scelte di Cosa Nostra. Questo, secondo Giovanni, uso le sue parole, era lo scenario da intravedere nell'attentato all'Addaura. Allora, se le cose sono andate così per l'Addaura, che per fortuna fu un mancato attentato e gli garantì ancora qualche anno di vita, Qualcuno mi deve spiegare perché lo scenario del 23 maggio 1992 e del 19 luglio 1992 debba essere uno scenario diverso, che centri Cosa Nostra a pieno titolo e fuori discussione, ma che sia roba di Cosa Nostra non me lo leverà mai nessuno alla testa.
Il problema è individuarle e questo mi rendo conto che è complicato. Ci si prova sempre. Giovanni Falcone, un bellissimo documentario. Abbiamo estratto due passaggi. Uno era l'impegno estremo, fino a dove è risposto arrivare un uomo dello Stato e l'idea stessa dello Stato.
Ma perché questo impegno estremo? Come lo giustifica rispetto a se stesso e rispetto a quello a cui ha dovuto rinunciare? Io ritengo che...
Certe cose richiedono un determinato tipo di impegno, certe altre un impegno maggiore, certe altre un impegno massimo. E'inutile affrontare certi problemi senza essere preparato a spendere tutte quelle energie che i problemi richiedono, allora è meglio nemmeno metterci in mano. Se sono stato, non dico costretto, Ma se mi è stato richiesto di fare una determinata attività non posso che attrezzarmi in quella determinata maniera.
Altrimenti è inutile, altrimenti è meglio che si cambia mestiere. Ma lo Stato merita un tale impegno, un tale sacrificio. Per quale idea dello Stato lei sta lottando?
Non credo che ce ne siano diverse idee dello Stato. Più che lo Stato direi che è la società di cui lo Stato non è altro che un'espressione. Sta lottando per che tipo di società?
Per questo tipo di società che noi tutti vorremmo che ci fosse, cioè una società in cui fenomeni di questo genere non dovrebbero esserci. Una specie di esempio, di lezione quasi a noi occidentali? Non intendo insegnare niente a nessuno, proprio a nessuno.
Maria, prima di salutarla e ringraziarla per essere stata con noi, le voglio chiedere una cosa. In questi giorni ho visto che molte persone che magari oggi omaggiano Falcone, in realtà in quegli anni non gli hanno risparmiato critiche anche pesanti, all'interno della stessa magistratura. Però ci terrei che lei dicesse una cosa, per far chiarezza. Suo fratello decise di venire a Roma con Martelli, di lavorare a un piano legislativo contro la mafia, che fu fondamentale per sconfiggere la mafia.
Venne accusato da molti di tradimento, di quant'altro. Ma vogliamo dire che per lui in quella procura non c'era più spazio operativo? Perché a distanza di anni sarebbe bello ricordare cosa viveva e le fatiche che doveva sopportare Giovanni, che doveva sopportare...
Paolo e tutti gli uomini che volevano la vera lotta alla mafia, non gli altri che giravano la testa dall'altra parte e facevano finta di non vedere quello che succedeva. A questo proposito, Massimo, le voglio raccontare un episodio particolare di quegli anni precisi. Cioè, nel momento in cui diventa giudice il capo dell'ufficio di istruzione, diventa Gianmanco.
Giovanni aveva partecipato, aveva aiutato Gianmanco. perché Gianmanco gli aveva anche promesso che gli avrebbe lasciato le indagini antimafia. Ma in realtà poi cominciò una tecnica di ostruzionismo, di isolamento, per cui Giovanni era messo nell'impossibilità di lavorare. E a questo proposito mi racconta Di Lello Uno, come sappiamo benissimo, amico veramente di Giovanni, insieme a lui nel pool, che vedendo come Giovanni, nonostante tutto, rispettasse le decisioni di Giammanco, praticamente si infuriò un giorno e gli disse, ma come lo sopporti? E Giovanni lo guardò con attenzione e disse adesso è lui il capo.
Quindi io in quel momento, dice Di Lello, uscii sbattendo la porta, però adesso riconosco la grande lezione di senso dello stato di Giovanni. E quando lui va a Roma, va a Roma... Sempre per quel grande senso dello Stato, non per tradimento. Difatti io ero sicura che lui non se ne andasse contento e gli chiesi ma sei sicuro di volertene andare?
E lui mi rispose qua non sono più in grado di far niente. Vedrai che a Roma farò molto di più. E così è stato, perché Giovanni a Roma ci ha lasciato una tale quantità di idee come combattere la mafia, come organizzarsi per combattere la mafia, che è stata fondamentale nelle indagini successive alla sua morte.
E voglio anche dire che quando se ne andò mi disse un'altra cosa. Se dovessi restare dovrei... continuare a parlare nei giornali, a contrastare e darei un'immagine del Tribunale di Palermo che sicuramente sarebbe deleteria per tutta la magistratura. Quindi per evitare che si potesse mettere in discussione se n'è andata. Grazie a te per ricordare e per continuare a pensare a quello che ci ha lasciato.
E credo sia il dovere di tutti noi non girare la testa dall'altra parte ma cercare sempre la verità. E'un compito che non tutti vogliono fare ma bisogna continuare. Se no, se uno Stato perde i migliori, che senso ha? Bisogna continuare a sostenervi anche se non ci sono più. Quella luce deve essere di guida per chi fa questo lavoro, anche per noi.
Perché non bisogna smettere di cercare le verità. Io ho fiducia, ho fiducia che prima o poi quella verità che c'è dietro le stragi e che adesso gli stessi magistrati che hanno lavorato ancora nei processi di Falcone e Borsellino ci cominciano a dire con chiarezza che dietro Cosa Nostra c'era qualcos'altro. Grazie Maria, grazie a Giuseppe Aiala, grazie a Sandra Murri.