Benvenuti, oggi vogliamo portarvi indietro nel tempo di due secoli per raccontarvi la vita dell'uomo con cui è cominciata l'età contemporanea. Un uomo nato su un'isola come questa su cui ci troviamo e morto su un'altra isola. e che ha costruito un impero militarista, poliziesco e dispotico e contemporaneamente è riuscito nel miracolo di diffondere le idee della rivoluzione e della libertà in tutta Europa. Un uomo che proprio per questo ha spaccato l'opinione pubblica fra quelli che lo amavano e quelli che lo odiavano. Del resto io parlo al passato, ma ancora oggi tutti noi ci dividiamo fra quelli che adorano e quelli che odiano Napoleone Bonaparte.
Qui siamo all'isola d'Elba, una delle tre isole che hanno scandito la vita di Napoleone. Una vita che è durata soltanto 52 anni. Eppure così piena di avvenimenti, oggi non basterebbe la vita di uno di noi per leggere tutto quello che è stato scritto su Napoleone.
qualcuno ha calcolato che dal giorno della sua morte su Napoleone è stato pubblicato un libro al giorno anche lui ne ha scritti, o meglio ne ha dettati, negli anni dell'esilio a Sant'Elena quando non aveva nient'altro da fare se non ripensare alla sua vita sua gloria e rimasticare le sue sconfitte e cercare di abbellire la sua immagine dando ad altri la colpa per il fatto che le cose erano andate a finire così male. Però anche le testimonianze di quelli che l'hanno conosciuto non sono sempre affidabili. Noi di questi testimoni ne incontreremo tanti e ve li presenterò un po' per volta, ma ne abbiamo scelti due che ci accompagneranno lungo tutto il nostro viaggio e che sono, come dire, un po' più imparziali. No, non proprio. Diciamo che sono due testimoni che hanno sentito imparziali.
pieno il fascino di Napoleone, però poi se ne sono distaccati, hanno visto anche i suoi difetti, hanno saputo criticarlo impietosamente, però non hanno mai dimenticato la sua grandezza. Uno lo conoscete tutti, anche se magari siete abituati a pensarlo come un vecchio signore con i capelli bianchi e i basettoni folti, invece quando ha scritto il 5 maggio aveva 36 anni, e sì è proprio lui. Il conte Don Alessandro Manzoni, Don Lisander, come lo chiamavano i milanesi.
E questo invece magari non lo conoscete, ma vi assicuro che vale la pena di conoscerlo. E Luciano, Luciano Buonaparte, uno dei quattro fratelli di Napoleone, diciamola tutta, il fratello intelligente, sei anni più giovane di lui, il fratello che ha avuto un ruolo decisivo nell'ascesa di Napoleone, che poi Napoleone per gelosia ha messo da parte. E lui, Napoleone? Beh, lui lo sapete, era un genio della comunicazione. Era bravo a formulare le frasi memorabili.
Oggi sarebbe stato perfettamente a suo agio con i social. Anzi, avrebbe sicuramente avuto un profilo da cui twittare. E noi perciò glielo abbiamo attivato.
Soldati, dall'alto di queste piramidi 40 secoli di storia vi guardano. Ve lo ricordate quando lui parla ai suoi soldati durante la campagna d'Egitto, prima della grande battaglia contro i turchi. Ma noi anticipiamo perché noi la storia di Napoleone la vogliamo raccontare in ordine, dall'inizio.
Ecco, questo è il certificato di battesimo di Napoleone. È conservato vicinissimo a qui, a meno di 30 miglia nautiche, in Corsica. L'anno 1771. È stato battezzato due anni dopo la nascita. Napoleone!
figlio nato di legittimo matrimonio del signor Carlo Bonaparte. Notate niente? È in italiano. E certo, Napoleone è nato in Corsica e la Corsica era un paese italiano, dove si parlava italiano e si scriveva in italiano. Era un paese abitato da un gran numero di immigrati toscani, che nel corso dei secoli erano arrivati lì.
E fra questi toscani c'erano anche i Bonaparte, o Buonaparte. Se andate a rivedere, anche nel certificato di battesimo... il cognome è scritto in due modi diversi all'epoca non erano così ossessionati dall'ortografia come noi e di questi antenati che venivano dalla toscana napoleone si è convinto che erano stati esiliati per motivi politici perché amavano la libertà come lui l'ultimo dei miei antenati che abitò la toscana aveva i principi che io professo li difendeva come me come me ne fu vittima Che le nostre origini siano italiane, non vi è alcun dubbio.
Io stesso, dopo le note vicissitudini di cui credo parleremo a lungo, ho preso dimora stabile in Italia, nel Viterbese, a Canino per la precisione, un piccolo paese ameno, riposante. Ma è anche vero che quando siamo nati la Francia aveva appena acquistato la Corsica dalla Repubblica di Genova. Oggi la corsica è francese da più di due secoli e mezzo e anche la lingua corsa, che rimane pur sempre italiana, si è infarcita di termini francesi. Per esempio, l'aeroplano si chiama avione e la birra si chiama biera.
Noi all'epoca parlavamo italiano, un italiano colto, non parlavamo mica la lingua dei contadini. In quanto eravamo nobili, ma crescendo ci siamo resi subito conto che per avere un futuro avremmo dovuto imparare il francese. Napoleone è nato ad Aiaccio il 15 agosto 1769. Quando sarà imperatore obbligherà il Papa a proclamare il 15 agosto festa di San Napoleone, che non era lui, c'era un San Napoleone, ma fino a quel momento nessuno se ne era occupato molto. Napoleone è figlio di Letizia Ramolino e di Carlo Bonaparte, un piccolo nobile di provincia che fa l'avvocato.
Non è il loro primo figlio, hanno già avuto parecchi bambini che sono morti da piccoli. Poi è nato Giuseppe, il primo che riuscirà a diventare grande, e l'anno dopo... poi nato Napoleone. Non è un buon momento per la Corsica, che per tanto tempo è stata un possedimento della Repubblica di Genova, ma era continuamente squassata da lotte per l'indipendenza. Alla fine i genovesi si sono stancati e hanno venduto la Corsica al re di Francia.
E nel momento in cui nasce Napoleone... In Corsica sono sbarcate le truppe francesi per stroncare il movimento indipendentista. E ci riescono. La Corsica ancora oggi è parte della Francia. Ma il capo degli indipendentisti, Pasquale Paoli, ancora oggi è onorato nella memoria dei Corsi.
E Napoleone l'ha sempre considerato il suo vero eroe, l'eroe della sua giovinezza. Eh già, i ribelli della Corsica. Pasquale Paoli, molto probabilmente a voi oggi questo nome dirà poco o nulla, ma vi assicuro che alla fine del Settecento il suo nome era famoso in tutta l'opinione pubblica d'Europa.
Un eroe. Ubabu di Apatria lo chiamano. Ma era considerato un eroe anche da Napoleone quando era giovane. Poi però quando Paoli fu sconfitto e i francesi presero possesso della Corsica, Carlo Bonaparte, il papà di Napoleone.
Capì subito che l'unico futuro possibile per una famiglia nobile ma povera come la loro era quello proprio di schierarsi con i francesi. Eh ma ai tempi la Francia era la capitale del mondo. Voi lo sapete che quando io ero giovane ho vissuto per cinque anni a Parigi. Proprio sotto l'impero di Napoleone ho vissuto al Trois-de-Place-Vendamme.
Io li capì subito. che avrei imparato delle cose che non avrei mai imparato estando a Milano. Carlo Bonaparte, qualche anno prima, aveva capito la stessa cosa. La società dell'anzi regime si basava sul privilegio, sul patronato.
Essere nobile voleva dire questo. Voleva dire che ti potevi rivolgere al re per chiedere un aiuto. E il re lo concedeva, perché per lui è importante che i nobili, che a casa loro sono quelli che contano, gli siano fedeli.
Perciò Carlo Bonaparte si rivolge al re di Francia e ottiene, noi diremmo, delle borse di studio per i suoi figli. Quando Napoleone ha dieci anni, il padre lo porta in Francia, insieme a Giuseppe. Giuseppe è destinato alla carriera ecclesiastica, andrà al collegio di Autun.
Napoleone è destinato alla carriera militare, andrà alla scuola militare di Brienne. E lì l'impatto non è facile. Intanto aveva anche il problema della lingua. Il francese non lo parlava certo tanto bene. Continuerà a scriverlo male per tutta la vita, a dire la verità.
E poi i compagni sono tutti nobili francesi. E lui invece viene da un'isola piccola. povera, sconosciuta, appena conquistata. In fondo è uno straniero.
Ero stanco di mostrare la mia povertà, di subire lo scherno di ragazzi che mi erano superiori soltanto per il denaro. Preferivo essere il primo tra gli operai di una fabbrica, che l'ultimo tra quei boriosi. E adesso immaginate l'ora di ricreazione alla scuola militare di Brienne, in pieno inverno.
Lo so che dovete fare un certo sforzo per immaginarlo. visto l'ambiente in cui ci troviamo adesso. È inverno, questo immenso cortile è pieno di neve e i ragazzini giocano a palle di neve, ma siccome sono dei cadetti sono inquadrati militarmente.
Un battaglione difende il fortino e l'altro deve assaltarlo e non riesce mai a prenderlo, perché i difensori li bersagliano dall'alto e li fermano sempre. Poi un giorno nel battaglione degli attaccanti alza la mano il più piccolo di tutti e dice io ho un piano. Non dobbiamo tirare ognuno come capita, dobbiamo concentrare il fuoco, tutti insieme, nello stesso punto.
E concentrano il tiro delle palle di neve nello stesso punto e i difensori che stanno lì non capiscono più niente, si sbandano, fanno qualche passo indietro e gli attaccanti vengono dentro e conquistano il fortino. E poi portano in trionfo l'inventore del piano, il cadetto tredicenne Napoleone Bonaparte. Storia meravigliosa, se solo fosse vera.
Che sia vera è molto difficile. L'avrà inventata, non sappiamo chi, qualche anonimo spin doctor dell'ufficio stampa di Napoleone. Due anni dopo Napoleone ha passato l'esame a Brienne ed è stato ammesso alla scuola militare di Parigi, che poi era l'ultima tappa prima del brevetto da ufficiale. E meno male, perché ce n'era bisogno. Nostro padre era malato, infatti è morto qualche mese dopo per un cancro allo stomaco.
Noi eravamo una famiglia numerosa, eravamo in undici tra fratelli e sorelle. Il maggiore, Giuseppe, che aveva rinunciato a farsi prete, era l'unico che lavorava come avvocato a Bastia. Ormai era lui il capofamiglia.
Ma Napoleone si è sempre rifiutato di ubbidirli. Giuseppe è un mollusco, diceva. Non è capace di comandare. Insomma, era importante che anche lui finalmente avesse un posto fisso. All'età di 16 anni, Napoleone esce dalla scuola militare col grado di sottotenente di artiglieria.
perché era bravo a palle di neve. Scherzo, ma non troppo. Le carriere erano diverse. La cavalleria era l'arma più aristocratica, riservata a pochi, perché gli ufficiali e i cavalli dovevano pagarsene.
La fanteria era l'onesta mediocrità e l'artiglieria era l'arma di quelli intelligenti, perché bisognava saper fare i calcoli. Napoleone è rimasto un artigliere per tutta la vita. E anche se la leggenda delle palle di neve non è vera, però invece è vero che le sue vittorie sono state vinte soprattutto Tutto grazie a un uso magistrale dei cannoni. Però non crediate che quando è uscito dalla scuola militare si sia classificato fra i primi. Napoleone è uscito 42esimo su 58. Perché questa abitudine di fare le classifiche, le graduatorie numeriche, oggi la facciamo per qualunque cosa.
Le università, la qualità della vita nei capoluoghi di provincia. Beh, l'hanno inventata le scuole militari. E mentre oggi noi abbiamo una fede cieca in queste graduatorie, io personalmente qualche dubbio lo avrei.
Specialmente quando scopriamo che Napoleone, dalla scuola militare di Parigi, è uscito appunto al 42esimo posto. E poi ci fu la grande rivoluzione. Sì, lo so, lo so, lo sapete tutti. Gli stati generali, la presa della Bastiglia, Place de Greve con la ghigliottina, Robespierre, il terrore, i francesi.
Hanno distrutto il governo che avevano e che non gli piaceva, però hanno scoperto anche quanto è difficile sostituirlo con un altro. Eh, si riempivano la bocca parlando di libertà, ma quello che alla fine ne venne fuori fu l'oppressione di un paese sotto il nome TAM. Mi dicono... Che il conte Manzoni abbia scritto un gran bel romanzo che parla di promessi sposi. Onore a lui.
Ma mentre noi vivevamo i grandi giorni della rivoluzione, il signor conte Manzoni aveva solo quattro anni. E quando hanno decapitato Luigi XVI, lui frequentava il collegio dei padri somaschi a Merate. Immagino che cosa gli abbiano raccontato lì di quello che succedeva in Francia. La verità è che noi stavamo vivendo il sogno di un mondo nuovo che veniva alla luce. Certo, non senza dolori e grida.
All'inizio Napoleone alla rivoluzione ci crede poco, non come il fratellino Luciano che ci si butta a corpo morto. Napoleone invece fra l'89 e il 91 è quasi sempre a casa in Corsica, in congedo. Il fatto è che lui continua a pensare come un corso. Vuole capire cosa succederà in Corsica con la rivoluzione.
Intanto però in Francia i nobili stanno cominciando a emigrare. Anche molti ufficiali se ne vanno. E Napoleone ci fa un pensierino.
Ha saputo che la zarina Caterina in Russia assume ufficiale. francesi e fa domanda anche lui ma non lo prendono però è a parigi in uno dei giorni decisivi della rivoluzione il 20 giugno del 92 quando la folla dall assalto al palazzo reale delle tuileries e costringe il re a mettersi in testa il berretto frigio da san culotto Quando mi dissero che Luigi XVI si era messo il berretto rosso, conclusi che aveva cessato di regnare. Se si cade così in basso, non ci si rialza più.
Uno degli ultimi atti firmati da Luigi XVI, prima di essere... posto e la nomina capitano del tenente de Buonaparte. La rivoluzione entra nella sua fase più drammatica, il terrore. Nel reggimento di Napoleone su 80 ufficiali ne restano solo 14, tutti gli altri sono emigrati. Lui resta.
Io quando è scoppiata la rivoluzione avevo 14 anni e non avevo ancora chiaro in mente che cosa avrei voluto fare della mia vita. Poi sono stato a Brienne con Napoleone e lì invece ho capito subito che la carriera militare non faceva per me. Io sognavo una vita più tranquilla. Poi sono stato in seminario.
Mio fratello Giuseppe aveva dovuto rinunciare alla carriera ecclesiastica. prete in una famiglia nobile povera come la nostra con tanti fratelli un prete ci voleva ed ero appena rientrato in corsica per essere ordinato sacerdote quando il mondo è impazzito Notizie che arrivavano dalla Francia ci mettevano in gran subbuglio. E poi da Parigi è arrivato anche Pasquale Paoli. Incredibile. Era stato nominato dal governo rivoluzionario per diventare governatore della Corsica.
E io sono stato al suo fianco, almeno finché non ha deviato. A lui ha litigato con Parigi, ha rispolverato il sogno di una Corsica indipendente, una follia. nella quale hanno cercato di trascinarci ancora una volta tutti quanti. E io l'ho denunciato alla Convenzione a Parigi e l'abbiamo pagata cara. Fummo costretti a fuggire precipitosamente tutti in buona parte, prima da Iaccio e poi a Marsiglia, mentre gli indipendentisti ci bruciavano la casa.
Anche Napoleone in quel momento era a casa e anche lui ha dovuto scappare con la mamma, i fratelli, le sorelle e da quel giorno ha rinnegato la Corsica. La Corsica è solo un fastidio per la Francia, una verruca sulla faccia. Non fu un periodo facile quello, eravamo sull'astrico, eravamo così...
stretti continuamente a cambiare casa. Mia madre si fece in quattro per mantenerci tutti quanti, pur con mille ristrettezze. E tutto questo finché non accadde il primo grande colpo di fortuna a Tolone.
E da allora tutti quanti cominciarono a capire veramente. ...chi fosse mio fratello. E' il 1793 e la Francia rivoluzionaria è in guerra contro tutta Europa.
E il grande porto di Tolone è stato occupato dal nemico. C'è stata un'insurrezione monarchica, poi è arrivata la flotta inglese e ha preso possesso della rada. E' una situazione pericolosissima, bisogna riprendere Tolone a tutti i costi, ma non è facile. Da Parigi mandano due commissari politici, uno è addirittura il fratello di Robespierre, Augustin, l'altro è un corso, Saliceti.
Proprio grazie a Saliceti, diciamo pure alla mafia corsa, il capitano Bonaparte riceve il comando dell'artiglieria che assedia Tolone. e il suo piano di tiro costringe la flotta inglese a evacuare la rada. Tolone è ripresa, è una vittoria straordinaria e Augustin Robespierre scrive al fratello di aver incontrato un ufficiale di un talento trascendente.
Da un giorno all'altro lo fanno generale. Sotto le rivoluzioni si fa carriera in fretta, se si rimane vivi. A 24 anni Bonaparte è generale ed è un favorito del regime giacobino.
E lì abbiamo rischiato tutti quanti, perché qualche mese dopo c'è stato Termidoro, il colpo di stato che ha messo fine al terrore. I fratelli Robespierre sono finiti alla ghigliottina. Noi siamo finiti in carcere, ho la possibilità di venire ghigliottinati anche noi. Sospeso dalle mie funzioni, arrestato, dichiarato sospetto e epurato senza essere giudicato.
Mi sembra di aver perduto la stima degli uomini liberi, ma la voce della coscienza mi sorregge e mi dà la calma. Napoleone ha rischiato di finire sulla ghigliottina? E forse sì in quei primi giorni, poi le acque si sono calmate. Il nuovo regime era lì per mettere fine al terrore, non per proseguirlo. E nel nuovo regime c'era un uomo, Baras, leggendario per la sua corruzione, per la sua avidità di denaro e di donne, ma uomo di grande valore, politico accortissimo.
Baras sapeva scegliere i suoi uomini, fa uscire i fratelli Bonaparte di prigione, poi li tiene per un po' a cuocere nel loro brodo. Napoleone scalpita. Progetta di andare in Turchia, mettersi al servizio del sultano, in che non arriva il momento in cui Baras ha bisogno di lui.
Vendemiaio. Come erano belli i nomi dei mesi che aveva inventato la rivoluzione. Il mio fratello Napo invece li ha cancellati tutti.
Eppure è strano come i grandi eventi di quegli anni vengano ricordati ancora con i nomi del mese. Vendemiaio, Brumaio, Termidoro. E Vendemiaio è stata la grande contro rivoluzione. Parigi che insorge in nome del re.
25.000 insorti che marciano contro la convenzione. E lì Barras si è ricordato di Tolone, di qualcuno che sapeva usare bene i cannoni. Si è ricordato di mio fratello.
Il governo si affida a Napoleone e lui risolve la situazione a modo suo, ritragliando gli insorti. E si merita un'altra promozione, comandante in capo dell'esercito dell'interno. A questo punto tutta la sua carriera futura dipende dal favore di Barras. Si attaccò a Barras perché non conosceva altri che lui. Robespierre era morto.
Era il momento di Barras. E bisognava pure che si afferrasse a qualcuno e a qualche cosa. Vi starete chiedendo chi sia. È una delle donne più famose del suo tempo.
Germaine Necker, figlia di un ministro delle finanze di Luigi XVI, poi moglie dell'ambasciatore di Svezia a Parigi, Barone Stahl, e conosciuta in tutto il mondo come Madame de Stahl, una donna di straordinaria cultura e un'avversaria accanita di Napoleone, che a un certo punto perde la pazienza e le proibisce di abitare a Parigi. Eh, Madame de Stahl, basti dire che il mio venerato... Vincenzo Monti la definì la donna del secolo e che in Italia si usava a definirla quel grand'uomo che si chiama Madame d'Estal.
Napoleone era allora magro e pallido, come divorato interiormente. I suoi modi tradivano imbarazzo senza ombra di timidezza. Io avevo la sensazione strana che nessuna emozione umana potesse avere alcun effetto su di lui.
E la cosa ovviamente mi intrigava. Ma torniamo a Baras. L'abbiamo detto, era un uomo che amava le donne. E non era un ingrato, sapeva ricompensare le sue amanti. Una di loro era una bella donna che veniva dalle colonie, dalla Martinica, la figlia di un piantatore, la vedova di un generale ghigliottinato sotto il terrore.
Josephine Taché de la Pagerie, vedova boharnè, per noi italiani Giuseppina. Aveva 32 anni, era ora di sistemarla. Dieci giorni dopo le cannonate di Vendemiaio, Barras la presentò al giovane generale di cui parlava tutta Parigi.
Era buffo Bonaparte, frenetico, non stava mai fermo, parlava in continuazione con quel suo accento corso, mi faceva tanto ridere. Si sono sposati quattro mesi dopo, testimone di nozze, barras, i pettegolezzi si sprecavano, perfino gli inglesi, i nemici implacabili della Francia rivoluzionaria, ci sghignazzavano su. E questo è l'atto di matrimonio. L'originale è stato venduto all'asta nel 2014 per quasi mezzo milione di euro. Il diciannovesimo giorno del mese di Ventoso, anno quarto della Repubblica.
Atto di matrimonio di Napoleone Bonaparte, generale in capo dell'armata dell'interno, età 28 anni, con Marie-Josephine Rose de Taché, età di 28 anni. E' proprio così. Se fate i conti, Napoleone si è giunto un anno. e Giuseppina se ne è tolti quattro. Si vede che a quell'epoca, e secondo me specialmente a lui, dava un po' fastidio l'idea che si sapesse che sposava una donna tanto più anziana di lui.
Hanno spettegolato tutti sul fatto che ci fossimo sposati così in fretta. Hanno detto che ero incinta, figuriamoci. Anzi, magari, magari fossi riuscita a dare un figlio a Nap. Perché le firmava così le sue lettere dal fronte, eh?
Nap. E al fronte ci han dato subito. E' per questo che ci siamo dovuti sposare in fretta e in furia.
Barras, che caro, l'aveva nominato comandante dell'armata d'Italia. Non era l'armata più prestigiosa e non era il fronte più importante. Mancava tutto.
I soldati non erano pagati, erano senza scarpe. E davanti a loro i nemici, fra austriaci e piemontesi, erano quasi il doppio. Ma il nuovo generale dell'armata d'Italia era uno che sapeva parlare ai soldati. e toccare la corda giusta.
Soldati, siete nudi e malnutriti. La Francia vi deve molto, ma non può darvi nulla. Io vi condurrò nelle più fertili pianure della terra.
Province ricche, città opulente, cadranno in vostro potere. Vi troverete ricchezze, onori e gloria. Con la campagna d'Italia nasce per sempre la leggenda di Napoleone. Lì diventa l'idolo dei soldati, che rimarranno poi per sempre, diciamo così, la sua base elettorale. Dopo Vaterlo, la Francia è piena di veterani in congedo, a mezza paga, come dicevano loro, che continuano a rimuginare i vecchi ricordi e a parlare di Napoleone come un dio, anche se magari qualcuno di loro ci è rimasto male dopo che l'imperatore si è rimangiato tante promesse della rivoluzione.
Ecco, noi abbiamo provato a evocarne due di quei veterani. Con tutta la vita ormai alle spalle e a immaginare che cosa si dicevano quando ricordavano i bei tempi. La campagna d'Italia, bei tempi. Certe vittorie contro i piemontesi e con gli austriaci. L'ingresso trionfale a Milano e lui, il nostro piccolo caporale, sempre davanti a noi.
Dovevate vederlo al ponte di Arcole a sfidare il fuoco degli ungheresi. Già, è lì che lo abbiamo soprannominato il... piccolo caporale.
Era davvero uno di noi allora. Non era ancora a sua maestà l'imperatore. L'Italia, vista da Parigi, doveva essere un fronte secondario. La vera guerra si combatteva sul Reno. Invece Bonaparte, che butta i piemontesi fuori dalla guerra, sbaraglia gli austriaci, minaccia di marciare su Vienna.
Costringe l'imperatore d'Austria a chiedere la pace. E sulla sua scia cadono gli staterelli dell'antico regime e nascono le repubbliche, la Cispadana, la Cisalpina, che innalzano il tricolore, bianco, rosso e verde. Un eroe, un liberatore. Così lo vedevamo noi ragazzini rinchiusi nei collegi, dove tutto era noia e conservazione di valori vecchi e immutabili. Solo dopo...
Si venne a sapere anche delle rivolte, dei popolani fucilati, dei villaggi dati alle fiamme, del saccheggio sistematico delle opere d'arte. Il Lauco-Onte, la Venere Capitolina, l'Apollo del Belvedere, i Cavalli di San Marco e poi tante opere dei maestri della scuola italiana, Raffaello, Tiziano, Correggio, Guido Reni, tutte a Parigi. Si sarebbero portati via anche la colonna Traiana. Rinunciarono perché non sapevano come smontarla.
Ma il peggio fu che Napoleone regalò Venezia all'Austria. Quello sì, che fu un brutto colpo per tutti, eh? In special modo per i veneziani. Pensate a Ugo Foscolo, che solo pochi mesi prima aveva scritto addirittura un ode a Bonaparte Liberatore.
E nel suo Iacoportis, in cui apparentemente si parla di un suicidio per un amore non corrisposto, ma l'amore non corrisposto... è il suo verso Napoleone, infatti, com'è che scrive? Perché farci vedere e sentire la libertà per poi ritogliercela per sempre? Quando, anni dopo, poi Foscolo ripubblicò una nuova versione del suo Ode, a buona parte liberatore, ci inserì una prefazione nella quale scrisse purtroppo è vero che per fondare una repubblica ci vuole un despota.
Tanto però continuava a scrivergli, a rivolgersi a lui, ad aspettarsi di tutto da lui, a partecipare alle sue battaglie, a mettere la sua divisa per anni, per anni! Napoleone faceva perdere la testa alle persone, ha poco da fare. Ancora oggi in Italia, specialmente in Veneto, il ricordo di Napoleone è divisivo, contestato e con buone ragioni.
Però non possiamo dimenticare che fra tradimenti, ruberie, repressioni, il paese veniva rivoltato da cima a fondo. Sparivano i privilegi del clero e della nobiltà, venivano messe in vendita le enormi proprietà improduttive della chiesa. C'era chi costruiva dal nulla grandi ricchezze e chi semplicemente si entusiasmava, soprattutto i giovani, perché sentiva che l'Italia stava uscendo da un torpore secolare. E poi siamo tornati a Parigi, perché io l'avevo raggiunto in Italia, si capisce?
Che viaggio! Mi sono sentita una regina. A Torino, il re di Sardegna mi aveva invitato a pranzo. Peccato, però, che anche all'armata d'Italia fosse pieno di pettegoli.
Bastava che un semplice ufficiale mi invitasse a ballare che subito cominciavano le maldicenze. E Napp era geloso, mi ha fatto delle sfuriate. Però fu contento di scoprire una volta rientrata a Parigi che la via in cui abitavamo era stata ribattezzata in Rue de la Victoire, in suo onore.
Solo che sapete, no, come funziona Parigi? Per una settimana sei l'eroe dei salotti e poi tutti si dimenticano di te. Non voglio restare qui, la mia gloria è già tramontata.
Questa piccola Europa non ne consente abbastanza. Bisogna andare in Oriente, la vera gloria si conquista là. Napoleone è così, sa vivere solo nell'agitazione, non può respirare liberamente che in un'atmosfera vulcanica.
E anche il suo interesse gli consigliava la guerra. Madame Vestal? Buona quella, non ascoltatela eh.
Lei era la più pettegola di tutte. Lo corteggiava, cosa credete? Ma lui non l'ha mai guardata. Le donne intellettuali non le sopportava. E lei gli parlava dei diritti delle donne, figuriamoci.
Una volta gli chiese, generale, secondo lei qual è la donna migliore? Quella che fa più figli, madame, gli ha risposto. Io, io quando me lo raccontò mi mise a ridere.
Credevo ancora che avrei saputo darglielo a un figlio. Napoleone sa che la gloria ha bisogno di essere continuamente alimentata e che il tempo di pace e i generali non contano più. Anche il nuovo governo, il direttorio, trova che questo generale Bonaparte è un po' ingombrante e che sarebbe una buona idea fargli fare di nuovo la guerra, però lontano da casa. Nasce così la più spettacolare e la più surreale delle guerre di Napoleone, la campagna d'Egitto.
Dovevate vederci lì in mezzo ai turchi, agli africani. Abbiamo dato battaglia ai mamelucchi sotto le piramidi. E lui lì ci ha detto che dall'assù 40 secoli di storia ci guardavano.
Qualcuno ha alzato le spalle, a me sono venuti i brividi. E poi, a Giaffa, c'era la peste e lui era lì in mezzo agli appestati. Abbracciava i suoi veterani senza paura di contagiarsi. Eh già, allora non c'erano le mascherine.
E gli inglesi misero in giro la notizia che quando ripartimmo, lui diede ordine di far avvelenare gli ammalati gravi. Tutte balle. Chi è tornato dall'Egitto ha continuato ad amarlo fino alla morte. L'impresa d'Egitto aveva una sua logica.
Si trattava di colpire le comunicazioni fra l'impero coloniale inglese e l'Europa. Di distruggere l'egemonia inglese nel Mediterraneo. Poi la cosa è andata a finire male perché la flotta francese non era all'altezza. Si è fatta sorprendere e distruggere da Nelson alla battaglia di Aboukir.
E a quel punto l'impresa era condannata perché non era più possibile rinforzare l'esercito in Egitto. E a un certo punto anche Napoleone se ne è tornato a casa. Ma intanto aveva costruito un altro pezzo della sua leggenda. E soprattutto si era di nuovo dimostrato un grande comunicatore, specialmente nei rapporti con le autorità musulmane.
Spero che non tarderà il momento in cui potrò riunire tutti gli uomini saggi e istruiti del paese e stabilire un regime uniforme fondato sui principi del Corano, che sono i soli e veri che possono fare la felicità degli uomini. Ogni tanto... Qualcuno mi chiede se Napoleone in Egitto si era veramente convertito all'Islam. Beh, non è vero.
Anche se certo qualcuno di noi lo fece, come il generale Menù, per esempio. Ma Napoleone non credeva a queste cose. Anche se scrisse una lettera allo sceico Al-Messiri, in cui diceva che i principi del Corano erano gli unici ad essere puri.
E non si tolse mai dalla testa l'idea che l'Islam fosse una religione molto più sensata del cristianesimo. Lo scrisse anche in una lettera da Sant'Elena. Preferisco la religione di Maometto.
È meno ridicola della nostra. Noi dall'Egitto siamo tornati solo due anni dopo, perché lì il lavoro non era ancora finito. Ma lui, il nostro Napoleone, è tornato prima. Per forza. Perché mentre noi eravamo lì, che ci facevamo ammazzare per la rivoluzione, a Parigi i signori del direttorio mi davano solo ad arricchirsi.
Della rivoluzione non importava più niente a nessuno. Parole. Si facevano tante parole.
Fatti niente. Poi è arrivato il Castigamatti e li ho rivesti in riga tutti quanti. Il tempo dei vigli avvocati e dei miserabili pettegori, che facevano ghigliottinare i soldati, è passato.
La Francia ha bisogno di un capo resosi illustre per la gloria e non per discorsi di ideologi di cui i francesi non comprendono nulla. Napoleone è un pragmatico, non un ideologo. Anzi, per gli ideologi ha solo disprezzo. Dieci anni dopo la presa della Bastiglia si rende conto che la gente è stanca della continua incertezza. dei rivolgimenti politici, dei litigi fra i partiti e intuisce che la soluzione può essere l'uomo forte, con alle spalle l'esercito e la gloria delle sue vittorie.
Ero deputato al Parlamento per la Corsica, il consiglio dei 500, una buffonata nella quale dovevamo far finta di credere. Ma noi avevamo altri progetti e quando Napoleone è tornato dall'Egitto io avevo già fatto un grande lavoro preparatorio. I giornali non parlavano che di lui. Era chiaro che il popolo lo amava.
Lo amavano? Forse no. Diciamo che lo preferivano.
In fondo lui si è sempre offerto in concorrenza con un'altra paura per far accettare la sua potenza come il male minore. Lo amavano, lo amavano, altro che. La gente ama sempre i giovani meravigliosi che compiano le grandi imprese, di cui poi possono leggere sui giornali. E tutti gli uomini intelligenti che avevano capito la situazione sapevano che quella era l'unica soluzione.
Anche Fouché, il capo della polizia, era d'accordo. E Barras, quando è andato a trovare mio fratello, gli ha detto che anche lui era d'accordo. Li lasciava al posto, ora toccava a lui. Ce ne erano convinti? Boh, forse no, ma le baionette alle volte sanno essere molto convincenti.
E così il 18 Brumaio 1799, Napoleone abbatte con un colpo di stato il regime del direttorio e lo sostituisce con il consolato, in cui lui sarà il primo console. Il tutto con l'aiuto decisivo di suo fratello Luciano, che era presidente, diciamo, della Camera dei Deputati, il Consiglio dei Cinquecento. Avevamo organizzato tutto per il giorno 17, ma il 17 si sa porta sfortuna.
E poi si trattava anche di un venerdì. Napoleone era molto superstizioso e ha insistito a lungo perché si spostasse tutto quanto al giorno successivo. Il 18 di Brumaio...
Napoleone ha dato ordine alle truppe di occupare Parigi e si è presentato ai 500 dicendo loro che erano la vergogna della Francia e che dovevano ritornarsene a casa. Che cosa avete fatto voi di quella Francia che io avevo lasciato a tanta altezza? Dov'è il frutto delle battaglie che io ho vinto? Dove sono i miei centomila camerati? Sono morti!
poche ore dopo il discorso era fisso sui muri di tutta parigi il giorno dopo vennero convocati 500 per votare la loro dissoluzione e per votare la nomina dei tre consoli ovviamente mio fratello sarebbe stato il primo console ma non andò tutto liscio la camera rumoreggia va c'era chi addirittura teneva il pugnale nascosto sotto la giacca sentendosi come bruto il reggicida e lì napoleone non se l'è cavata bene ha provato a fare un discorso ma si è imbrogliato ha parlato della sua gloria Ma lui non era abituato a parlare tra i fischi e allora ha perso la pazienza, ha sbattuto la porta e se n'è andato. Per fortuna c'eravamo noi. Poi è arrivato uno. Come uno? Era Luciano, il fratello dell'imperatore.
Era lui che presiedeva. è arrivato uno con la divisa rossa dei 500 ed erano proprio ridicoli, sapete e ci ha detto che volevano ammazzare il nostro Napoleone che lì erano tutti traditori noi siamo entrati con la baionetta in canna e quelli sono scappati dalle finestre bisognava vedere come scappavano noi ci siamo detti la farsa è finita ma sì, per far rispettare le forme alle volte bisogna fare anche qualche forzatura Sui 500 per esempio erano dalla parte nostra non più di una cinquantina. Allora io li ho riuniti, abbiamo riaperto la seduta e abbiamo votato i consoli.
Brumaio quindi è un colpo di stato militare. È la realizzazione di una marcia su Parigi a cui Bonaparte pensava già da qualche anno. A noi fa venire in mente Mussolini.
A lui faceva venire in mente Cesare che passa il Rubicone. Insomma... È il prototipo di tutti i golpisti, ma lui era convinto di aver compiuto un'impresa sublime, di aver salvato la Francia.
che un semplice cittadino il cui nome tre mesi prima era sconosciuto a tutti osasse progettare di impugnare da solo i destini di 30 milioni di uomini senza una lacrima e una goccia di sangue versate è un'impresa gigantesca e sublime di cui si cercherebbe in vano un paragone nelle cronache umane Beh, quando Cesare rovesciò la Repubblica Romana, dovette combattere contro Pompeo e i più illustri patrizi del suo tempo. Cicerone e Catone lottavano contro di lui. Il generale Bonaparte incontrò avversari di cui non vale neppure la pena citare i nomi.
A casa era facile, ma fuori però c'erano quei maledetti degli inglesi. Loro non la volevano la pace. Spesero milioni. per pagare quegli imperatori spiantati di Russia e d'Austria perché continuassero la guerra.
Sono arrivati perfino in Italia i russi. E a loro arrivo quei fanatici dei preti li alzavano la testa e si mettevano a izzare i contadini contro i patrioti. Ne hanno ammazzati parecchi, sapete. Ma l'imperatore, cioè allora si chiamava ancora il primo console.
Certo, sto parlando del... del 1800. Beh, insomma, noi gliel'abbiamo fatta vedere e le abbiamo fatti correre, prima i ruschi e poi gli austriaci. Mai sentito parlare della battaglia di Marengo? La battaglia di Marengo, certo. Si potrebbe dire, per esempio, che quella non fu vera gloria per Napoleone.
Si potrebbe dire, per esempio, che Napoleone la perse, quella battaglia, e che per vincerla dovette aspettare l'arrivo di Desais, che con la sua colonna attaccò l'esercito austriaco ormai stanco e lo costrinse alla rotta. Si potrebbe dire che Desais si fece ammazzare in quella battaglia. Ah, troppo comodo per Napoleone poi raccontare la storia a modo suo, modificando la realtà.
Ma chi lo sa, forse la gloria è proprio così che funziona. È una cosa che vive nei cuori degli uomini ingenui, che non ha bisogno di un radicamento nella realtà. Comunque, di sicuro quella battaglia... Ci ha lasciato una cosa, un pollo. Il pollo alla Marenco Tutti gli intingoli della buona cucina francese non valgono un sol filetto inglese il che non vuol dire però che io approvi l'invenzione di certi giornalisti che hanno pensato di dare il mio nome al filetto in crosta filetto alla Wellington in tutta la mia vita non l'ho mai sentito dire che vergogna associare filetto a Marenco Il proprio nome a una ricetta di cucina è una cosa proprio da buona parte.
Veramente Wellington dovrebbe entrare nella nostra storia soltanto alla fine, a Waterloo. Per adesso lui fa il governatore di Seringapatam in India, mentre Napoleone sta combattendo a Marengo. Marengo è stato un trionfo, altro che lo so ben io che ero ministro dell'interno. Io ho organizzato tutto. Il grande annuncio sui giornali della vittoria, il rientro trionfale di Napoleone con le sue truppe a Parigi.
L'Italia era stata conquistata e l'Austria si è vista costretta ad accettare la pace. Persino l'Inghilterra si era rassegnata e aveva accettato di negoziare. Ma non appena Napoleone è tornato, ho capito subito che era cambiato.
Gli uomini non cambiano, si tolgono solo la maschera. Era cambiato, vi dico. Napoleone dopo il golpe di Burmaio non si sentiva al sicuro, aveva bisogno di aiuto della famiglia, aveva bisogno di me, ma ora dopo Marengo si sentiva invincibile, neanche il consolato gli bastava più.
E quando gli ho detto che secondo me sarebbe stato meglio se il consolato fosse rimasto elettivo e non a vita, ebbene lui non mi ha nemmeno risposto. E poi è arrivato quella canaglia di Fouché. Fouché era il capo della polizia.
Il fatto che io fossi ministro dell'interno gli faceva ombra. E allora lui è andato da Napoleone e gli ha raccontato che io spendevo troppo, che avevo delle amanti. Gli ha detto che lo criticavo. La verità è che Napoleone oramai aveva bisogno soltanto di esecutori. Che l'odore di dittatura fosse nell'aria era un dato di fatto.
E non era solo Luciano ad annusarlo. Noi vecchi Giacobini non credevamo ai nostri occhi. Ma che cos'era tutta questa faccenda di una corte alle tuieri?
Come se fosse tornato il re. Cortigiani, cerimonie, etichetta. E i vecchi compagni che avevano capito tutto guardavano con compassione noi, pochi imbecilli che continuavano a non voler capire. David!
Per esempio, il pittore. Che cosa hai adesso contro David? Le quadri che ha fatto Napoleone che passa il gran San Bernardo. Già, e Napoleone in trono.
David! David che ai tempi del re aveva dipinto Bruto e il regicida. E che ai tempi di Robespierre aveva dichiarato che sarebbe stato pronto a bere la cicuta insieme a lui. E adesso era diventato il pittore di corte.
Si popolneggiava in livrea con... come un lacce. E quando tutti ci siamo resi conto che ormai Bonaparte era una specie di re, è ricomparso qualcuno che pensava di essere brutto e si è messo in testa di ammazzarlo.
La vigilia di Natale dell'anno 1800 è il giorno della macchina infernale. Napoleone e Giuseppina sono attesi all'opera. Giuseppina è in ritardo e Napoleone parte prima da solo in carrozza, mentre attraversa una via stretta, la Rue Nicaise.
Salta in aria un carretto imbottito di esplosivo, ma esplode troppo tardi. Napoleone è già passato, la micera lunga. Ammazza un sacco di gente, ma Napoleone si salva. L'esplosione si è sentita in tutta Parigi. Ha fatto tremare le case.
Io sono arrivata subito dopo, con la mia carrozza. E non lo dimenticherò mai. C'erano decine di morti, feriti che si lamentavano, sangue dappertutto, vetri rotti.
Gente che urlava. Lo fratello era furioso. Era convinto che i responsabili fossero i Giacobini. E Fouché, ovviamente, li ha trovati.
E li hanno bigliottinati. Ma era chiaro che i veri responsabili erano i monarchici. E Fouché lo sapeva benissimo.
Infatti, qualche giorno dopo... Ha trovato il proprietario del carretto ed è risalito l'uomo che ha costruito quella macchina infernale. Tutti monarchici fanatici. Ora, io lo so che Fouché conosce molto bene il suo mestiere, ma nulla mi toglie dalla testa che lui sapesse qualche cosa già da prima.
D'altra parte, l'attentato non poteva che fare comodo a Fouché per diventare indispensabile. Che cosa ci fosse realmente dietro l'attentato di Rini-Kes, soltanto Fouché ce lo poteva dire. Ma Fouché non ce l'ha mai detto.
Al momento dell'attentato Luciano non era più ministro dell'interno. Era troppo brillante, Napoleone non lo voleva vicino. Prima lo ha mandato a fare l'ambasciatore in Spagna e poi l'ho esiliato in Italia. Insomma, ero tornato ad essere il cittadino Luciano Buonaparte. Il dialogo tra me e mio fratello era finito.
Ad oggi posso dire di averlo rispettato, onorato, ammirato, anche come capo del governo. Ma non sono più riuscito a volerli bene come un fratello. A questo punto Napoleone ha fretta di consolidare il suo potere.
I tempi sono maturi per la proclamazione dell'impero. Organizza tutto Fouché. Cominciano ad arrivare suppliche dai prefetti, dai collegi elettorali, dai reparti militari. Tutti esprimono voti affinché il primo console assuma un potere ereditario.
Citano gli antichi romani, come diceva Plinio a Traiano, votando l'eredità di un capo, impediremo il ritorno di un padrone. Non si può essere re di una repubblica, ma si può essere imperatore di una repubblica. Era un despota, considerava gli individui come pedine su una scacchiera da lui controllata e alla fine si è stancato di avere una come me che lo ricordava fin troppo apertamente.
Quindi mi ha concesso l'esilio. Peccato, mi sarei divertita molto ad assistere all'incoronazione imperiale. Deve essere stata una gran bella operetta. Il fatto è che appena Napoleone comincia a pensarsi imperatore, gli viene in mente un altro modello, Carlo Magno, e quindi decide che la sua incoronazione sarà modellata su quella dell'anno 800. Fa fare delle ricerche.
La corona di Carlo Magno non c'è più, ma lui ne fa fabbricare una replica. E siccome Carlo Magno era stato incoronato dal Papa, Napoleone decide che il Papa lo vuole anche lui. Sì, con la piccola differenza però che Napoleone non si scomodò minimamente di andare a Roma, ma pretese che il Papa andasse a Parigi.
Papa, figlio, settimo, pover'uomo, ma ve lo immaginate voi quest'uomo, sopra di 60 anni, a dover lasciare Roma? fare quel lungo viaggio per andare a incoronare un uomo che lui definiva un esorbatore. Ma la cosa più bella poi fu che Napoleone, la corona, non gliela fece nemmeno toccare.
Perché Napoleone, la corona, se la mise in testa da solo. Aveva studiato bene la storia Napoleone. Non voleva che nessun papa potesse mai vantarsi. di poter dire di avergli messo in testa la corona. Ma voi che potete?
Andate a cercare a vedere i quadri che ritraggono questa bizzarra incoronazione. Googolate, googolate pure. è stata una buffonata?
anche e lui sotto sotto lo sapeva C'è solo un passo dal sublime al ridicolo Provate a immaginare la scena Una grande cerimonia Una folla di parvenus travestiti da marescialli, da principi Senza nemmeno rendersi conto della fortuna che gli era capitata E' la cosa triste da dire che i primi parvenu eravamo proprio noi. Avevo un vestito stupendo, una seta candida con sfumature argente e una stola cremisi foderata di perliccia di ermellino. Era tutto semplicemente meraviglioso. Io non c'ero, ma Giuseppe, mio fratello, che era presente, mi ha raccontato che prima della cerimonia, mentre indossavano gli abiti di gala, a Napoleone è scappato di dire se nostro padre ci vedesse.
L'unica cosa buona è che dopo quella roba lì abbiamo ripreso a combattere E sono ricominciate le vittorie quelle di cui parla tutto il mondo Austerlitz Viena Bagram No, no Prima Freedland Ma no, prima Bagram Era il 1800, il 1807 mi ricordo benissimo Questa cicatrice me l'ha fatta lì la pallottola di un tirolese Un dito più a sinistra ero spacciato Ma no, prima è Freedland Questa non si può dimenticare, me l'ha fatta una mitraglia russa, ci siamo finiti proprio in mezzo, quello davanti a me e quelli di fianco ci sono rimasti, a me è andata ancora bene. E' difficile dire se queste guerre siano dovute più alla smania di potere di Napoleone o all'ostinazione con cui l'Inghilterra è decisa a rovinarlo, finanziando continuamente tutti i suoi avversari. Sono guerre che costano molto sangue.
La Francia fornisce ogni anno 100 mila coscritti e la maggior parte non tornano a casa. La crisi economica provocata dall'interruzione dei commerci con l'Inghilterra, che è padrone dei mari, provoca povertà e disoccupazione. Sotto la vernice brillante gli anni dell'impero non sono anni di prosperità.
L'Inghilterra voleva la libertà, la pace e la prosperità per l'Europa, tutto qui. Sotto la tirannide napoleonica non ci sarebbe stata né libertà, né pace, né prosperità. Anche le sue vittorie militari furono esagerate dalla propaganda.
Tutta la sua vita, politica, militare e personale, è stata un grande imbroglio. E dire che all'estero continuavano a scambiarlo per un rivoluzionario, non avevano capito niente. Nell'autunno del 1805, quando Napoleone invase l'impero asburgico, alla vigilia di Austerlitz, una nobildonna tedesca mi disse terrorizzata sono giunti i tempi dell'apocalisse. Robespierre a cavallo attraversa l'Austria. Eppure Napoleone era accusato già allora di aver sepolto i valori della rivoluzione.
Ne stanno le cose. Il fatto è che l'impero promette ai francesi di salvaguardare le conquiste della rivoluzione, ma senza i suoi eccessi. Il terrore è ripudiato. Napoleone abolisce la festa del 21 gennaio che celebrava l'esecuzione di Luigi XVI. Mette fine alle persecuzioni contro i nobili e contro il clero, ripristina la libertà di culto, fa perfino il concordato con la chiesa.
Per i vecchi Giacobini è un traditore. Basta pensare a quando ha fatto riconsacrare Noto e Dà. Preti dappertutto. Una bella cappucinata, sì.
Mancavano solo i centomila uomini. che si sono fatti ammazzare per sopprimere quella roba lì. La verità è che a Napoleone non importa nulla della religione.
È un tipico deista del Settecento, che può ammettere l'esistenza di un dio, ma non una religione rivelata. Però la Chiesa gli serve come strumento di governo, come è successo già in Egitto con l'Islam. La religione è ciò che impedisce ai poveri di assassinare i ricchi.
Nell'impero si instaura un clima abbastanza soffocante di conformismo religioso. Vi faccio vedere un esempio. Questo documento che ho in mano è una circolare del 1813. È una circolare in italiano perché è del Regno d'Italia.
Viene ordinato ai signori parrochi di cantare un solenne tedeum per la prosperità donata da Dio alle armi invitte di Sua Maestà. I parroci insomma sono invitati a pregare per invocare la protezione divina sulle armi dell'imperatore, restauratore della religione e il vero e potente protettore della religione. Ormai il linguaggio è questo. Da quel momento ognuno per fare carriera ha fatto finta di non aver capito o di essere ...convinto.
Nessuno parlava più secondo la propria coscienza. Gli atei predicavano una religione menzoniera, i repubblicani parlavano di monarchia, i sostenitori dell'assolutismo vantavano idee liberali, le vittime della rivoluzione facevano professione di imparzialità e gli assassini di Luigi XVI lodavano le virtù della loro vittima. Cosa resta del sogno della rivoluzione? Liberté, égalité, fraternité.
Vabbè, lasciamo perdere la fraternità che non ha mai commosso nessuno e di cui non si parla mai. Liberté e egalità restano, ma sono diventate la stessa cosa. Lo stato di diritto, l'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Però niente partiti politici, niente libera discussione, libertà di stampa neanche a parlarne. I giornali sono controllati dalla censura e chiusi al minimo sbaglio.
Se allento le briglie alla stampa, non resterò al potere neanche tre mesi. Non c'è libertà di associazione, tantomeno diritto di sciopero. Insomma, è il dispotismo.
E il popolo? E la sovranità popolare? A Napoleone è convinto che il principio è giusto. Solo che la sovranità popolare la incarna e la gestisce lui.
Il primo dovere del principe è quello senza dubbio di fare ciò che vuole il popolo, ma il popolo non sa quasi mai ciò che vuole. La democrazia non c'è, ma c'è il plebiscito. Nel 1800 per il consolato, nel 1802 per il consolato a vita, nel 1804 per l'impero. A suffragio universale maschile.
Votano tutti, anche gli analfabeti. Sì, sì, lo so. cosa pensate che i plebisciti erano truccati e che i prefetti obbligavano la gente a votare a loro favore e che quando magari i risultati non erano proprio quelli sperati i registri chissà come sparivano, andavano perduti, se voi ridete.
Ma provate a immaginare le facce dei contadini che fino a qualche anno prima si toglievano il cappello con deferenza verso il signorotto del paese e ora era proprio il governo a chiedere il loro parere. Certo, poi si aggiustava qua e là. Eh, signori miei, che cos'è il plebiscito se non in fondo una democrazia purgata dai suoi inconvenienti?
L'unico valore della rivoluzione in cui Napoleone continua a credere è l'eguaglianza, ma nel senso della meritocrazia, della carriera aperta a tutti. Napoleone è molto generoso con gli scienziati, con gli ingegneri, con gli artisti. Poi c'è l'esercito, che è una formidabile macchina di promozione sociale e di creazione del consenso. Il mito per cui ogni soldato porta nello zaino il bastone di un'esercito.
maresciallo è una grandiosa trovata pubblicitaria ma è vero che i tre quarti degli ufficiali che hanno servito sotto napoleone erano soldati semplici promossi dei ranghi. I militari sono pagati bene e quando vanno in pensione gli si trova un impiego. L'imperatore riservava a noi quasi la metà di tutti gli impieghi civili.
Dopo un atto di tale generosità, qual è il soldato, l'ufficiale, che non dà l'ultima goccia del suo sangue per un sovrano magnanimo come non ne sono mai esistiti? È vero, mio fratello al congedo ha chiesto una rivendita di tabacchi nel dipartimento del Monte Bianco. Ecco, e gliel'hanno data.
E poi ha ristabilito la nobiltà. Ha inventato la nobiltà d'impero. I baroni, i conti, i principi dell'impero. E ognuno donava pensioni e proprietà terriere in proporzione al grado. Lui continuava a ripetere che si trattava solo di premiare il merito.
La rivoluzione è stata sciocca ad abolire la nobiltà. Ha umiliato tutti quanti. Io faccio di meglio. Io nobilito tutti i francesi. Ciascuno può essere orgoglioso.
Ma l'impero è anche una grandiosa opera di modernizzazione. Napoleone promette e in gran parte mantiene l'uguaglianza dei cittadini, la fine delle discriminazioni religiose contro gli ebrei, contro i protestanti, la trasparenza della finanza pubblica, la difesa della proprietà privata, su quella non si discute. Introduce il sistema metrico decimale, la scuola pubblica, il codice civile. Ah, sul codice napoleonico bisogna togliersi il cappello. E sapete una cosa?
Se ne occupò proprio lui in prima persona. Non lasciò fare ai giuristi. Ha presieduto più della metà delle sessioni della commissione.
Io non lo so quando nascerà un altro uomo così. Certo, sì, è vero. Poi, durante l'impero, il sistema giudiziario e penale si è un po' indurito, diciamo.
Sì, c'erano più esecuzioni che durante l'antico regime. C'era una ghigliottina in piazza in ogni città, sì. Ecco, da questo punto di vista, posso dirlo? Mio nonno era più avanti 50 anni prima.
Come chi era mio nonno? Cesare Beccaria. Avete presente, no?
Dei delitti e delle pene. Eh, era mio nonno. Napoleone costruisce un'amministrazione centralizzata che sarà il modello per tutti gli stati moderni. E anticipa i tempi anche in questo, che pretende un enorme sforzo statistico.
Dal sottoprefetto al governatore... Tutti devono redigere rapporti. Si vuole sapere tutto, si conta tutto.
Mandate dettagli, molti dettagli. Ma il compito dei prefetti è anche di sorvegliare l'opinione pubblica. Napoleone vuole conoscerla e soprattutto vuole orientarla.
E lo strumento è il Monitor, il giornale ufficiale. Ogni sera Napoleone in persona decide cosa dovrà pubblicare il giorno dopo. E qualche volta detta anche degli articoli, che usciranno anonimi.
Il monitor è stampato con una tiratura colossale e distribuito gratuitamente negli accampamenti dell'esercito e nei licei a mensa. I professori leggono a voce alta e commentano gli articoli in base a precisi ordini dall'alto. E sì, fece molto anche per l'istruzione.
Fu lui a inventare i licei, a riorganizzare e riordinare le università, insomma a riorganizzare un vero e proprio sistema scolastico moderno dalle... Circolari che da Parigi arrivavano in Italia non faceva che sottolineare l'importanza dell'istruzione per tutti e i pericoli dell'ignoranza totale. Napoleone fu anche in grado di mettere da parte alcune idee rivoluzionarie sulla laicità della scuola perché sottolineava il fine dell'insegnamento è formare cittadini affezionati alla loro religione, al loro principe, alla patria e alla loro famiglia.
E a questo scopo, aggiunge, gli precetti della religione cattolica dovevano avere ampio spazio. Proprio vero, eh? Le vie della provvidenza sono infinite. Riescono ad avvalersi anche di uno spirito grande ma oscuro.
Perché c'è la provvidenza. Cominciamo a capire perché Napoleone ha suscitato passioni così violente e giudizi così contrastanti. Cominciamo anche a capire perché è giusto parlare della grandezza di Napoleone, anche se come uomo gli riconosciamo tutti i difetti possibili.
Perché in gran parte l'Europa moderna è stato lui a plasmarla. Bonaparte non era solo un uomo, era un sistema. Bisognava vederlo come un grande problema, la cui soluzione era importante per il pensiero di tutte le età.
Qualcosa di simile l'ha detto un altro dei grandi di quell'epoca, Hegel. Hegel abitava e insegnava a Iena e il giorno prima della battaglia di Iena Napoleone ha attraversato la città alla testa delle sue truppe e Hegel ha scritto a un amico, l'imperatore, quest'anima del mondo. L'ho visto cavalcare attraverso la città. E' una sensazione meravigliosa vedere un tale individuo che qui, concentrato in un punto, seduto su un cavallo, si irradia sul mondo e lo domina. Ora capite perché a vent'anni andai a vivere a Parigi?
Perché era davvero il centro del mondo. Però quella sua grandezza fu anche la sua rovina. Perché, vedete, Napoleone... Credeva davvero di essere nato per unificare l'Europa.
Ci occorrono un codice europeo, una corte di Cassazione europea, una stessa moneta, gli stessi pesi e misure, le stesse leggi. Bisogna che io faccia di tutti i popoli dell'Europa un solo popolo e di Parigi, la capitale del mondo. Ed è proprio questo il guaio, perché nell'Europa di Napoleone c'era una nazione più grande delle altre.
che avrebbe dovuto fare da fratello maggiore, la Gran Natione. Pensate che Ugo, sempre foscolo, poveretto, gli scriveva per ricordargli che lui in realtà era italiano. E allora Napoleone, per darci il contentino, si proclamò re d'Italia e cominciò a coniare Marenghi d'Oro con su scritto Dio salvi l'Italia. Ma in realtà, in realtà lui ormai era francese.
Napoleone a Sant'Elena si lamenterà che non gli hanno lasciato realizzare il suo sogno di un'Europa unita. L'Europa sarebbe stata nella sostanza un solo popolo e ciascuno, viaggiando in qualsiasi paese, si sarebbe sempre trovato all'interno della patria comune. Ma in realtà oggi stiamo scoprendo con grande fatica quello che dovrebbe essere ovvio, e cioè che è una patria comune in cui c'è una grande nation. che conta più delle altre e che pretende di fare il fratello maggiore e destinata al fallimento. I francesi che hanno portato in tutti gli altri paesi i valori della rivoluzione scoprono che non tutti sono contenti di avere la libertà e il progresso imposti dalle baionette straniere e si trovano a dover affrontare delle vere e proprie guerre di popolo, prima in Spagna, poi in Russia.
E' lì che ha cominciato ad andare tutto male, in Spagna. No, ha cominciato ad andare tutto male quando ha sposato l'Austriaca. Alla fine del 1809 Napoleone domina l'Europa continentale, dalla Spagna alla Polonia. Basta guardare la carta geografica per renderci conto dell'ampiezza delle sue conquiste. Ma a quel punto commette un errore.
Invece di eliminare le vecchie dinastie regnanti, come si aspettava dei rivoluzionari di tutti i paesi, crede di potersi alleare con loro. Crede di essere diventato uno di loro, di essere accettato. si mette in testa di rendere ereditario il suo impero è necessario che io lasci a dei figli che ereditino lo stesso amore per i miei popoli il trono sul quale la provvidenza mi ha posto ma un erede?
non era la sua Giuseppina che poteva darglielo ormai avevo 46 anni E Napoleone lo sapeva bene che se non riusciva a avere figli la colpa non era la sua. Ne aveva seminati parecchi in quegli anni, in giro di bastardi. Dite che non dovrei parlare di colpa? Beh, per lui lo era. E come?
Ma non ci è voluto mica molto, sapete? Napoleone è tornato a Parigi. Con una mano ha firmato l'ordine per promulgare il nuovo codice penale e con l'altra ha redatto il testo di divorzio dal primo matrimonio.
Così. Semplice. Due firme e au revoir, Josephine.
Ma l'amore nella vita di un uomo è solo un capitolo. Nella vita di una donna è tutta la storia. A Giuseppina Napoleone ha lasciato il titolo di imperatrice e il castello della Malmaison, dove coltiverà rose, fino a spegnersi nel 1814, quando Napoleone era all'isola d'Elba.
È probabile che lui fosse proprio qui, alla palazzina dei Mulini, quando gli è arrivata la notizia. Ma il divorzio da Giuseppina era necessario per il nuovo piano concepito da Napoleone. imparentarsi con gli asburgo una delle più antiche dinastie regnanti d'europa posando la figlia dell'imperatore d'austria maria luisa così diventava il genero di uno dei suoi vecchi nemici A questo punto Napoleone credeva davvero che i sovrani europei lo avessero accettato come uno di famiglia.
Ero stata cresciuta nell'odio verso tutti i rivolzionari francesi. Per tutta la mia infanzia li avevo considerati dei demoni. E ora, improvvisamente a 18 anni, mio padre mi ordinava di sposarne il capo.
Però ho obbedito senza protestare, mi avevano insegnato così. Io mi consolavo pensando che con quella tedeschina scipita e senza sugo non sarebbe successo niente. Capite cosa intendo, no? Che vendetta che sarebbe stata. E invece che sorpresa.
Che marito innamorato mi sono ritrovata. Gli ho voluto subito tanto bene. Dopo pochi mesi aspettavo un figlio.
Il figlio dell'impero. Il nostro Aquilotto. Com'era contento il mio nanà. Noi facevamo fatica a capirlo.
Almeno io, l'imperatore della Repubblica Francese che sposa la figlia dell'imperatore di quei fottuti degli austriaci. A chi lo dici? A me Giusefine piaceva. Era una...
mi faceva sangue insomma. Però, come dice il mio compagno di brigata Benoit, anche questa muova era una gran bella pollastra, eh? E aveva vent'anni di meno e si sa come vanno certe cose, no? Ah, Benoit, poveraccio.
Una granata russa gli ha portato via le gambe. L'abbiamo trascinato per un po' sulla neve, ma poi era spacciato. Ah, la Russia, che terra affascinante! Nell'estate del 1812 avevo programmato un viaggio. Lo Zara Alessandro voleva conoscermi.
E quando sono partita, è partito per la Russia anche Napoleone. Solo che lui si è portato dietro mezzo milione di uomini. Napoleone aveva progettato di spartirsi l'Europa con lo zar Alessandro, ma l'Europa era troppo piccola per due imperatori. E così Napoleone raduna un esercito europeo, fatto di truppe francesi, tedesche, italiane, per l'impresa più ambiziosa che abbia mai concepito, l'invasione della Russia.
Ci disse che sarebbe bastato solo un mese e noi, come al solito, gli credemmo. Napoleone era abituato a invadere un paese, vincere una grande battaglia, occupare la capitale e a quel punto il nemico chiedeva la pace. Ma i russi non giocavano secondo le regole. Perdevano le battaglie e si ritiravano facendo terra bruciata.
Persero Mosca, che non era tecnicamente la capitale del paese, quella era Pietroburgo, ma era comunque la sua capitale, diciamo così, morale, sentimentale. E la bruciarono piuttosto che lasciarla al nemico. Sono andata via appena in tempo.
Ma lui dopo che è arrivato, era come se non sapesse più cosa fare. Aspettava che lo zar Alessandro gli chiedesse la pace. E quando ha capito che la pace non sarebbe venuta, stava già arrivando l'inverno.
Napoleone decise di tornare indietro, ma era ottobre. E' ottobre, in Russia è già inverno. All'avanguardia dell'esercito c'era il corpo italiano, l'esercito del Regno d'Italia. Furono loro ad aprire la strada.
Furono loro a vincere la battaglia di Malo Yaroslavets, quando Kutuzov voleva tagliare la strada a Napoleone. Ma di queste cose però in Italia non parla mai nessuno, perché si combatteva per uno straniero. Però quello straniero era il re d'Italia. La ritirata di Russia è la fine della grande armata. L'anno dopo, il 1813, tutta la Germania insorge contro Napoleone.
Perfino suo suocero, l'imperatore d'Austria, gli dichiara guerra. Ormai è la Francia che sta per essere invasa e lui per difenderla ha soltanto un esercito fatto di coscritti giovanissimi. Ho dovuto firmare io il decreto che chiamava alle armi in anticipo le classi 1814 e 1815. Nana era in Germania. Li hanno subito soprannominati Marie-Louise.
Bisognava vederli, poveri ragazzi, così giovani, ma così devoti al loro imperatore. Eh, me li ricordo, i Mari Luis, poverini, hanno fatto tutto quello che hanno potuto, ma nemmeno l'imperatore poteva salvare la Francia contro quattro grandi eserciti che la invadevano da tutte le parti. I russi e i prussi.
gli austriaci, gli inglesi. E così i cosacchi sono entrati a Parigi. Bel affare aveva fatto Napoleone, credendo di potersi alleare con lo zar o con quell'altro furfante di suo suocero, l'austriaco. Napoleone avrebbe voluto continuare a combattere anche dopo la caduta di Parigi, ma i suoi maresciali lo hanno obbligato a abdicare.
La Francia non ne poteva più. L'imperatore, fedele ai suoi giuramenti, dichiara di rinunziare per sé e per i suoi eredi ai troni di Francia e d'Italia. Perché non be' alcun sacrificio personale, sia pure quello della vita, che egli non sia pronto a fare nell'interesse della Francia.
A me concessero Parma, Piacenza e Guastalla. Che voleva dire 400. 100.000 anime e qualche milione di entrate. A lui un'isola nel terreno, da cui però non poteva sortire. L'isola, lo sapete tutti, è proprio questa dove siamo anche noi adesso, l'Elba. Sull'isola raccontano che Napoleone veniva a passeggiare proprio qui.
Secondo le potenze vincitrici, che al congresso di Vienna stavano rimettendo a posto l'Europa, dopo tutto lo scompiglio provocato da Napoleone, avrebbe dovuto restarci per tutta la vita. Ma lui aveva altri piani. Dopo dieci mesi è scappato ed è tornato in Francia.
Quando al congresso di Vienna giunse la notizia che Napoleone era riuscito a fuggire dall'isola d'Elba e a raggiungere rocambolescamente le coste della Francia, ci mettiamo tutti a ridere. Prendiamo la cosa come una barzelletta. E invece, questa barzelletta è costata all'Europa altri 50.000 morti.
Soldati, venite a schierarvi sotto le bandiere del vostro capo. La vittoria! Marcerà a passo di carica.
Cento giorni, dicono. E' durato solo cento giorni, ma che giorni? Ci sentivamo tutti ringiovaniti.
Con il ritorno del re, la Francia soffocava. Ha accolto l'imperatore in un delirio di entusiasmo. E lui, devo dirlo, ha garantito che aveva capito che l'impero sarebbe diventato finalmente democratico. In quei cento giorni ha avuto perfino il tempo di far votare una nuova Costituzione. Napoleone scrive a tutti i governi d'Europa garantendo che lui vuole solo la pace, ma sono loro che non la vogliono.
Ha scritto non so che lettera direttamente al principe reggente a Londra. Che impudenza! Inutile dire che il primo ministro ha dato ordine di rispedirla al mittente senza neanche aprirla. Ma il vecchio mondo la pace non la voleva.
Quattro eserciti si preparavano di nuovo a invadere la Francia. E lui li ha battuti sul tempo. Siamo entrati in Belgio prima ancora che i prussiani e gli inglesi riuscissero a capire cosa stava succedendo. Come ai vecchi tempi, con le nostre gambe vincevamo le battaglie dell'imperatore, più che con il moschetto. Oggi dicono che non era più lui, che era malato, che non riusciva neanche più a stare a cavallo.
Tutta storia. Quel mattino ci ha passati il rassegno e noi abbiamo urlato, vive l'Empereur. Non l'abbiamo mai urlato con tanto entusiasmo. E invece a Waterloo hanno vinto Wellington e i prussiani.
E a Londra c'è il Waterloo Bridge, è la stazione di Waterloo. In Italia non c'è una via Waterloo da nessuna parte. E in italiano una Waterloo significa una catastrofe.
Il che significa che inconsciamente, nonostante tutto, noi italiani stiamo ancora dalla parte di Napoleone. Raccontare la battaglia di Waterloo? Lasciate perdere. Abbiamo vinto, no? Tutti contenti.
È inutile stare a rivangare. Posso soltanto dire che è stata la faccenda più disperata alla quale io abbia mai partecipato per Giove. E non credo che sarebbe andata a finire bene se non fossi stato là.
Quanto a me, spero sia stata la mia ultima battaglia. Non è una cosa bella stare sempre a combattere. No, gli inglesi non furono generosi con Napoleone.
Lui si era consegnato a loro confidando nel fatto di poter ricevere ospitalità in Inghilterra o che magari lo lasciassero partire per l'America. E invece il loro odio per lui era inestinguibile. Lo hanno esiliato in quell'isoletta lontano dal mondo, con quel clima infernale.
Ed è già tanto se ha tirato a campare per altri sei anni, nell'ozio più assoluto, a guardare il mare e a vivere di ricordi. Qui soffia sempre un vento impetuoso, con pioggia e una nebbia che mi taglia l'anima. E quando non c'è vento, per la mancanza di ombra, il sole mi brucia il cervello. E' il 5 maggio del 1821. Quando Napoleone muore a Sant'Elena, la notizia impiegherà dei mesi per arrivare in Europa. In Italia la Gazzetta di Milano la dà il 17 luglio e per molti sarà uno shock.
È stato come se ci avesse colpito un fulmine. Napoleone morto. Ancora non ci posso credere. E passerà di tempo prima che ne nasca un altro di uomo così su questa terra.
Nel bene e nel male, certo. Chiunque vi dica che ha un'idea chiara e netta su Napoleone, state sicuri che o è un superficiale o è in malafede, perché io... Io è tutta la vita che cerco di capire che cosa penso veramente di lui e ancora non lo so.
Bisogna allora che io scriva per chiarirmi le idee. Per mettere ordine in ciò che provo, partendo da questo fratto incredibile, che lui non c'è più. Ehi, fumo, siccome immobile, dato il mortal sospiro. Stette la spoglia in memore, orba d'ospiro, così percossa, attonita, la terra al nunzio sta.
Punta pensando all'ultima, ora dell'uomo fatale, Nessa quando una simile orma di pie mortale La sua cruenta polvere a Calpestar verrà.