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Civiltà Greca e Guerre Persiane

Tra il XII e il IX secolo a.C. i greci erano vissuti all'ombra delle grandi civiltà sviluppatesi in Asia Minore. Nel VII secolo, la civiltà greca, con la sua cultura raffinata, iniziò ad emergere. I popoli ellenici possedevano una mitologia ricca e complessa. Basti pensare ai poemi omerici. Conoscevano l'uso della scrittura. avendo adattato l'alfabeto fenicio ai loro dialetti. Inoltre, avevano sviluppato una vasta rete di commerci in tutto il Mediterraneo. Avevano anche iniziato un'espansione coloniale non solo sul continente, ma anche nelle isole dell'Egeo. Arrivarono sulle coste occidentali dell'Asia minore, in Ionia, e a occidente si stabilirono nel sud Italia e in Sicilia. Nonostante avessero in comune lingua, costumi e credenze religiose, che li differenziavano dagli altri popoli che essi definivano barbari, i greci erano continuamente in conflitto tra di loro. Alla base della loro organizzazione sociale c'era la polis, la città-stato. Le varie polis difendevano gelosamente la propria autonomia e quasi sempre erano in lotta tra loro per il controllo dei territori confinanti. La limitatezza territoriale della Grecia, infatti, fu un grosso ostacolo alla sua unità politica. Ciò nonostante, l'antica Grecia fu la culla della cultura occidentale. Vi operarono i più grandi filosofi, architetti e poeti della storia. Una delle fonti principali per conoscere il mondo antico è l'opera di un grande storiografo del V secolo, Erodoto. Erodoto era un aristocratico greco proveniente da Licarnasso, una città sulle coste dell'Asia minore. È conosciuto come il padre della storia. Nella sua opera confluiscono nozioni geografiche, etnografiche, aneddoti e tradizioni mitiche. Fu il primo a fornire un resoconto completo delle guerre persiane, spiegando non solo gli avvenimenti, ma anche le cause che li determinarono. Erodoto viaggiò molto e operò a lungo ad Atene. Era però originario di Alicarnasso, capitale della Caria, una città multietnica abitata da greci, persiani e da una forte comunità locale. Il fatto che Erodoto provenisse da una realtà multiculturale e multiraziale è un aspetto molto importante per comprendere la sua opera e il suo metodo storiografico, poiché ebbe grande influenza sulla sua personalità e sulle sue idee. Fu Cicerone a definire Erodoto padre della storia. Egli è considerato nella tradizione occidentale il primo vero storico, intendendo con questo termine chi racconta fatti di cui non è stato diretto testimone. È grazie alle ricerche svolte da Erodoto se oggi abbiamo una conoscenza così dettagliata dell'antica Grecia. Erodoto intitolò Storie, la sua opera dedicata al confronto tra i greci e i cosiddetti barbari, cioè i popoli che non parlavano greco. Il tema centrale erano proprio le guerre persiane. Nel IV secolo a.C. l'impero persiano era una sorta di superpotenza del Medio Oriente. I suoi confini spaziavano dal fiume Indo a Oriente, all'Egitto e all'Asia Minore a Occidente. Alla base del conflitto con i greci c'erano probabilmente interessi economici e commerciali, ma a scatenare le ostilità fu un episodio che portò i persiani a muovere guerra contro Atene. Nel 499 a.C. alcune colonie persiane in Ionia si ribellarono all'autorità dei satrapi locali. Gli ateniesi inviarono le loro navi in aiuto alle colonie insorte, e così facendo attirarono l'ira di Dario il Grande. re di Persia. Nel 492 un primo tentativo di invasione della Grecia comandato dal genero di Dario Mardonio fallì. La flotta persiana venne decimata da una tempesta a largo del Monte Athos. Due anni dopo fu allestita una seconda spedizione. Stavolta i persiani raggiunsero l'isola di Eubea e si assicurarono il controllo della città di Eretria. I persiani puntarono poi verso Atene. I cittadini della polis attica si trovarono da soli a fronteggiare quella minaccia. I comandanti persiani sbarcarono con un grande esercito nella piana di Maratona. L'unica città a inviare aiuti agli ateniesi fu la vicina Platea. Col supporto del contingente di mille opliti, Inviato da Platea, gli Atenesi decisero di affrontare i Persiani prima che si avvicinassero alla città. Lanciandosi con impeto contro la fanteria nemica, i Greci evitarono di esporsi troppo a lungo al tiro degli arcieri. Mentre i Persiani premevano sul centro dello schieramento greco, i fianchi dell'armata greca riuscirono ad accerchiarli, costringendoli a ritirarsi verso le loro navi. Lo scontro diede agli Atenesi una vittoria inaspettata. Mentre l'invincibile esercito persiano subì un duro colpo. A Paratona, gli opliti si rivelarono l'arma vincente dell'esercito atenese. L'oplita era un soldato di fanteria dotato di armatura pesante. Non era un militare di professione, ma un cittadino chiamato a combattere per la sua polis. Aveva in dotazione un grande scudo ovale rivestito di bronzo, detto hoplon, da cui il nome hoplita. Indossava l'elmo, anch'esso di bronzo, la corazza e i gambali. La sua arma era una lancia lunga quasi tre metri. La pesante armatura lo rendeva lento e vulnerabile, per questo... doveva combattere in formazione. Utilizzando la tipica formazione a falange, gli opliti greci creavano un muro impenetrabile. I persiani invece erano armati alla leggera, avevano tuniche di maglia e scudi di vimini, usavano archi, lance corte e spade piccole. Nei combattimenti corpo a corpo, quindi, la fanteria greca era nettamente superiore. Greci e persiani affrontarono la guerra con uno spirito diverso. I primi combattevano per la propria libertà e per l'autonomia della polis, mentre i secondi dovevano difendere l'impero di cui erano sudditi. L'attacco degli ateniesi a Maratona fu estremamente rapido. La fanteria si lanciò di corsa contro lo schieramento persiano e ingaggiò furiosi combattimenti. Una volta riuscita la manovra di accerchiamento, Il nemico fu costretto a ritirarsi fino al mare. La battaglia fu accanita e sanguinosa, ma si risolse velocemente. La piana di Maratona caddero più di 6.000 persiani, mentre tra gli ateniesi i morti furono 200. Questa vittoria diede enorme prestigio ad Atene. Si concluse così la prima fase delle guerre persiane. Il Grande avviò i preparativi per una terza spedizione contro le polis elleniche, ma morì nel 486 a.C. I greci tirarono un sospiro di sollievo alla morte del loro potente nemico, ma il peggio doveva ancora venire. Il successore di Dario al trono reale di Persia fu suo figlio, Cerse I. Il nuovo sovrano doveva decidere se continuare la guerra contro la Grecia. Si consultò con i suoi consiglieri, tra cui c'era anche l'ambizioso Mardonio, che aveva condotto la prima disastrosa spedizione nel 492. Alla fine, il desiderio di emulare le conquiste dei suoi antenati e di vendicare la sconfitta di suo padre, ebbe il sopravvento. Nel giro di tre anni fu preparata un'imponente invasione. L'armata e la flotta che vennero approntate erano la dimostrazione tangibile di quanto fosse potente e ricco l'impero persiano. Erodoto narra di un esercito sconfinato, il più grande che il mondo avesse mai visto. Furono reclutati uomini in ogni provincia dell'impero. C'erano contingenti provenienti dall'India. dalla Batriana, dalla Partia, dalla Media, dalla Siria, dall'Arabia, dall'Egitto, dalla Frigia e da altri paesi. Ognuno marciava con i propri standardi. Stando a quanto narra Erodoto, dall'Asia partirono 3.000 navi e più di 2 milioni di uomini. Le cifre di cui parla Erodoto descrivendo l'esercito persiano sono certamente amplificate, non c'è dubbio. Che l'esercito di Cersei ammontasse a qualche centinaio di migliaia di uomini è ancora plausibile, ma parlare di milioni è un'esagerazione. Il resoconto fornito da Erodoto non è del tutto attendibile. Probabilmente lo storico esagerò sulla consistenza dell'armata persiana. Nel descriverla utilizzò uno schema tipico della poesia epica, quello del catalogo. Non si limitò a fornire dei numeri. ma elencò tutte le truppe contingente per contingente spiegando da quale parte dell'impero provenivano, che tipo di corazza indossavano e chi erano i loro capi. C'era poi un intento celebrativo, più grande appariva l'esercito nemico, maggiore era la gloria dei greci vincitori. Dal punto di vista logistico i preparativi furono altrettanto sorprendenti. Per evitare il tempestoso capo del monte Athos fu scavato un canale nella penisola calcidica. Vennero allestiti dei punti di rifornimento lungo la strada che l'esercito doveva percorrere. Fu anche predisposto un ponte di barche per permettere alle truppe di passare l'Ellesponto, l'attuale stretto dei Dardanelli. Nella primavera del 480 l'esercito persiano partì da Sardi alla volta della Grecia. La minaccia di un esercito così imponente terrorizzò le città-stato greche. Era chiaro che lo scopo non era più quello di compiere un'incursione punitiva contro Atene, ma di conquistare l'intera Grecia. Alcune polis tentarono subito di trovare un accordo con i persiani, furono soprattutto quelle della Tessaglia e della Beozia, più esposte all'attacco degli invasori. Ma anche altre, come Argo già troppo indebolita dalle guerre contro Sparta, cercarono l'accordo. Di fronte all'imminente invasione, i rappresentanti di molte polis greche decisero di radunarsi presso l'Istmo di Corinto. Capirono di essere uniti da uno scopo comune e che solo alleandosi avrebbero potuto respingere i persiani. I greci erano determinati a mantenere la propria indipendenza e a non finire assoggettati a un tiranno straniero. Così accantonarono le rivalità interne e costituirono la cosiddetta Lega Panellenica, guidata da Sparta. La Lega Panellenica fu una vera e propria novità per le polis greche. Prima di allora erano sempre state delle entità singole e indipendenti. Non esisteva un concetto di stato o di nazione. Con quell'alleanza invece i greci iniziarono a pensare alle cose che li accomunavano piuttosto che a quelle che li dividevano. Concordare una strategia comune fu molto difficile. Città come Atene, Edegina o Corinto erano sempre state in lotta tra di loro. Ma tutte le polis misero da parte le divergenze. e si unirono contro i persiani nella lega panellenica. Il piano greco inizialmente prevedeva di bloccare l'avanzata persiana in Tessaglia, nella Grecia settentrionale, ma quei luoghi si rivelarono inadatti a essere difesi. Fu così deciso di arretrare la linea difensiva fino al passo delle Termopili. Mentre la flotta fu inviata al capo Artemisio, sulla punta settentrionale dell'Eubea. Nel frattempo, le truppe persiane stavano avanzando sia per terra che per mare. Passato l'Ellespunto, l'esercito penetrò in Macedonia e poi in Tessaglia. Il primo scontro si verificò nei pressi di Sciato. Nelle acque attorno all'isola, tre navi vedetta greche furono prese dai persiani, ma solo pochi giorni dopo, la sorte volse a favore dei greci. La flotta persiana, ancorata a largo del capo Sepiade, fu colpita da una violenta tempesta. Erodoto racconta che andarono perse non meno di 400 navi, e un numero incalcolabile di uomini. La flotta greca Grazie. ferma al capo Artemisio, si rallegrò e ringraziò Poseidone, dio del mare, per averla aiutata ancora una volta. Erodoto narra che quando Cersei definì la strategia per la campagna contro i greci, uno dei suoi consiglieri lo mise in guardia. I peggiori nemici dei persiani non erano le polis, bensì la terra e il mare. La terra per via degli approvvigionamenti, poiché l'esercito, muovendosi su così lunghe distanze, poteva avere difficoltà a trovare i rifornimenti necessari. Il mare invece per le condizioni meteorologiche, poiché tempeste improvvise potevano distruggere le flotte. Formalmente la flotta greca era sotto il comando dello spartano Euribiade, ma fu di fatto guidata dal comandante ateniese Temistocle. Con poco più di 270 navi, i greci furono in grado di affrontare un nemico tre volte superiore. Mentre la coalizione greca discuteva sulla strategia da adottare, i persiani attuarono un piano di accerchiamento. Una squadra di 200 navi superò inosservata Sciato, circunnavigò Leubea e si diresse verso lo stretto di Euripo. Lo scopo dei persiani era tagliare le vie di comunicazione tra l'esercito greco alle Termopili e la flotta al capo Artemisio, compromettendo così seriamente le posizioni di entrambi. Ma il mare intervenne ancora una volta a favore dei greci. Due giorni dopo la partenza, la squadra navale fu colpita da una tempesta nel golfo di Eubea. Così, quando i greci furono attaccati all'Artemisio, riuscirono a resistere con successo per tre giorni, approfittando dei movimenti lenti delle navi nemiche danneggiate dalla tempesta. Le perdite subite durante i combattimenti, però, costrinsero infine i comandanti. i greci a ritirare la flotta nella baia di Salamina. Mentre via mare i greci erano riusciti a tenere testa ai persiani, sulla terraferma la situazione era più difficile. Il passo delle termopili era un'ottima postazione difensiva. Era già stato sfruttato in precedenza, e lo sarebbe stato ancora in futuro, per difendere la Grecia dagli invasori. Lo stretto varco delle Termopili era un passaggio obbligato per raggiungere dalla Tessaglia le regioni centrali della penisola ellenica. Era chiuso a sud dalle scogliere di Trachis e a nord dal Golfo Maliaco. Nell'estate del 480 a.C., alla testa di 5.000 opliti, Leonida cercò di fermare l'avanzata persiana, facendo ricostruire il cosiddetto Muro Focese, un'antica fortificazione. L'obiettivo del re spartano era quello di guadagnare tempo per permettere ai suoi alleati greci di riorganizzare le forze. All'inizio di settembre i persiani giunsero alle Termopili e si stanziarono sulle rive del fiume Melas nei pressi di Trachis. A Cerse fu riferito che un piccolo contingente greco guidato dagli spartani difendeva il passo. Il sovrano aveva spesso sentito parlare del coraggio e della forza degli spartani, ma non credeva che un gruppo così esiguo di uomini avrebbe rappresentato una minaccia per il suo grande esercito. Cerse conosceva bene gli spartani. Infatti, molti esiliati greci, solitamente nobili e personaggi influenti caduti in disgrazia, chiedevano asilo alla sua corte. Cercavano di entrare nelle sue grazie, sperando, qualora la Grecia fosse caduta in mano persiana, che il sovrano li avrebbe ricompensati concedendo loro posizioni di potere in patria. Tra i greci che passarono alla corte persiana ci fu Demarato, un re di Sparta, che era stato destituito dal suo incarico. Si era recato allora in Persia per chiedere asilo e cercare fortuna alla corte di Cerse. Erodoto racconta che Demarato era divenuto consigliere del sovrano e lo accompagnava anche nelle spedizioni militari. Spesso Cersei andava a chiedergli suggerimenti e informazioni. Demarato lo dava sempre il valore degli spartani. Ad esempio, Cersei gli chiedeva «E' vero che gli spartani sono così coraggiosi? » oppure «E' vero che sono invincibili in guerra? » e Demarato, orgoglioso delle proprie origini, rispondeva «Sì, è vero». La fama dei lacedemoni è stata quindi un po' esagerata da testimonianze di questo genere, ma c'era senza dubbio un fondo di verità. Alle Termopili, Cerse attese quattro giorni, credendo che i greci, vedendo l'entità dell'esercito persiano, sarebbero scappati senza combattere. Il quinto giorno, spazientito, ordinò alla sua fanteria di forzare il passo. Ciò che seguì. Fu un vero massacro. Nello stretto varco delle Termopili, i persiani furono costretti ad attaccare i greci frontalmente. Gli opliti, che avevano lance più lunghe e una corazza più pesante, fecero molte vittime. Gli spartani riuscirono a uccidere centinaia di nemici. La loro abilità in combattimento divenne un modello per gli altri greci. Gli opliti ellenici combattevano a turni. Ogni contingente combatteva in prima linea e poi si ritirava dietro al muro focese per recuperare le forze, lasciando il posto a un altro gruppo. Cerse mandò rinforzi, ammassando così un numero sempre maggiore di soldati nell'esiguo spazio del passo. Questo contribuì a far degenerare l'assalto. La carneficina continuò per due giorni. Al termine del secondo giorno, un greco di nome Efialte chiese udienza a Cerse. In cambio di una ricca ricompensa, l'uomo rivelò al re l'esistenza di un sentiero fra le montagne che avrebbe permesso ai persiani di accerchiare i greci e sorprenderli alle spalle. E Fialte condusse i persiani sul passaggio segreto. Leonida era a conoscenza di quel sentiero e aveva posizionato un contingente a presidiarlo. Tuttavia, vedendo l'imponente schieramento nemico venirgli incontro, il contingente si ritirò precipitosamente. Solo all'alba i comandanti greci si resero conto del tradimento. Col nemico che stava per attaccarli alle spalle, Leonida comprese che le sue truppe non avevano via di scampo. Il re spartano sapeva che i suoi uomini non avrebbero abbandonato la posizione, nemmeno di fronte a morte sicura. Ma non poteva chiedere la stessa abnegazione agli alleati greci, perciò permise loro di ritirarsi. Pare che Leonida fosse deciso a sacrificarsi, poiché l'oracolo di Delfi aveva predetto che Sparta non sarebbe caduta nella guerra contro la Persia, solo se avesse pianto la morte del suo re. Così, Leonida e i suoi 300 spartani rimasero a difesa del passo. Con loro i Tebani e i Tespiesi, che non vollero ritirarsi. In tutto, erano un migliaio di uomini. Il primo assalto cominciò ancora prima che l'esercito di Cerse avesse raggiunto le posizioni greche. I pochi uomini di Leonida non riuscirono a tenere la linea e lui stesso cadde vittima dei furiosi combattimenti. Anche due fratelli di Cerse furono uccisi in battaglia. Quando i persiani giunsero dietro la linea greca, costrinsero i nemici a ritirarsi fino a una piccola collina. Lì, sotto una pioggia di frecce, caddero anche gli ultimi spartani. Ma i persiani pagarono a caro prezzo l'attacco al passo delle Termopili, subendo moltissime perdite. Cerse, accecato dall'ira, fece decapitare il corpo di Leonida. e hissare la sua testa su un palo. I persiani durante gli scontri sul passo delle Termopili persero molti uomini. Ci vollero diversi assalti per sfondare frontalmente la linea difensiva greca. Gli uomini di Cerse incontrarono grandi difficoltà, essendo costretti a combattere in spazi angusti contro una fanteria molto più forte e meglio armata della loro. Infatti, se c'è una cosa che è emersa chiaramente in tutte le battaglie delle guerre persiane, fu proprio che negli scontri frontali la fanteria greca era nettamente superiore. La resistenza opposta dagli spartani alle termopili fu importante per quello che rappresentò, più che per la reale importanza strategica, divenne il simbolo dell'eroismo dei greci, del loro spirito fiero e combattivo. L'obiettivo dei greci alle termopili era quello di tenere la linea il più a lungo possibile per ritardare l'avanzata dei persiani. Quello che i greci non potevano certo aspettarsi era che il nemico avrebbe trovato una strada alternativa per aggirare le loro posizioni difensive. Così le loro fortificazioni furono inutili e anche il coraggioso sacrificio di Leonida e dei suoi uomini di fatto servì a ben poco. Non riuscirono a raggiungere l'obiettivo prefissato. L'esercito di Cerse fu trattenuto solo per una settimana, dopodiché riprese la sua marcia inarrestabile. Con la sconfitta alle Termopili e il ritiro della flotta da capo Artemisio, le regioni centrali della Grecia ormai erano completamente esposte ai persiani. Cerse avanzò senza trovare opposizione, prima in Beozia e poi in Attica. Poiché i persiani nutrivano un profondo risentimento per gli ateniesi, la loro regione fu completamente devastata. La popolazione cercò di fuggire imbarcandosi sulle navi che trasferirono i cittadini a Salamina, Egina e Trezzene. Alla fine di settembre, le truppe persiane invasero Atene. Anche coloro che avevano rifiutato di fuggire, barricati sull'acropoli, vennero ben presto sconfitti. La città e i suoi templi furono incendiati. Temendo l'avanzata persiana nel Peloponneso, si iniziò a lavorare freneticamente per fortificare l'istmo di Corinto. A Salamina, il comandante della flotta di Corinto, La flotta Euribiade si riunì con i governanti delle polis del Peloponneso, i quali chiesero che la flotta venisse ritirata verso l'Istmo per evitare che il nemico aggirasse le difese via mare. Ma il comandante, l'Ateniese Temistocle, si oppose, sostenendo che presso l'Istmo la flotta sarebbe stata costretta a combattere in mare aperto, dove i persiani, numericamente superiori, avrebbero avuto la meglio. Se fosse stata abbandonata la posizione di Salamina, Temistocle minacciava addirittura di ritirare il contingente ateniese, che costituiva la metà dell'intera flotta di 378 navi. Temistocle escogitò un inganno per indurre i persiani ad attaccare. Mandò un servo a chiedere udienza a Cerse. Egli disse al re che molti greci, presi dal panico, si stavano preparando alla fuga. Cerse non aspettava altro che sentirsi dare notizie di questo genere. Diede immediatamente ordine di mandare una squadra navale egiziana a impedire la fuga ai greci. I comandanti greci si trovarono così costretti ad affrontare i persiani a Salamina. Temistocle era riuscito a raggiungere il suo obiettivo, seppure usando il ricatto e l'inganno. In alcune testimonianze Temistocle viene descritto come il più lungimirante tra tutti i greci. Eppure la sua fama era tutt'altro che positiva. Era conosciuto soprattutto per il suo atteggiamento subdolo e per la sua abilità nel manipolare le situazioni. Bisogna riconoscergli però il merito della vittoria di Salamina. Egli infatti fu molto abile a persuadere i persiani a combattere quando a quel punto della guerra non avevano nessuna intenzione di affrontare uno scontro navale. Temistocle era determinato ad affrontare i persiani proprio a Salamina per una serie di ragioni di carattere prevalentemente politico. Egli non accettava la strategia degli spartani che prevedeva di ritirare le forze dalla Grecia centrale per affrontare i persiani nel Peloponneso. Per Temistocle questa era una prospettiva disastrosa. Infatti sarebbe stata la fine della grande potenza di Atene, poiché avrebbe significato abbandonare le terre ateniesi all'occupazione persiana. Inoltre, all'interno della polis, sarebbe salita al potere una fazione filopersiana e Temistocle sarebbe caduto certamente in disgrazia. Per questo si diede tanto da fare. Dietro la sua determinazione nascondeva una chiarissima visione strategica e politica. Così, impaziente di distruggere la flotta greca prima che riuscisse a fuggire, Cerse diede ordine di attaccare. I persiani irruppero nello stretto sicuri di avere la vittoria in pugno, ma trovarono schierate davanti a loro le triremi greche. Sul fianco destro, gli ateniesi si trovarono di fronte al contingente fenicio. Mentre sul sinistro, gli spartani affrontarono gli ionici. Gli attacchi delle agili triremi greche costrinsero le pesanti navi persiane a ripiegare, scontrandosi con il resto della flotta. Nella confusione, una squadra greca lanciò un attacco decisivo contro il fianco della flotta persiana, mentre Cerse assisteva alla battaglia da un trono che si era fatto erigere alle falde del monte Egaleo, di fronte a Salamina. Alla fine, i persiani furono costretti a ritirarsi. Nella battaglia di Salamina, i persiani persero 200 navi contro le 40 dei greci. Il disastro di Salamina sconvolse Cerse. Quando Mardonio si offrì di continuare la campagna con un esercito più piccolo composto da truppe scelte, Il re diede immediatamente la sua approvazione. Quel che rimaneva della flotta venne evacuato verso l'Ellesponto. Cerse e le altre navi tornarono in Asia. Mardonio voleva prepararsi a riprendere l'offensiva in primavera. Quindi, durante l'inverno, ripiegò fino in Macedonia e in Tessaglia, per far riposare gli uomini e riorganizzare le forze. Arrivata la bella stagione, Mardonio tentò di intavolare delle trattative con Atene per minare la coesione della lega panellenica. Ma gli Atenesi giurarono di continuare a combattere per vendicarsi dei sacri leggi compiuti dai persiani sul loro suolo. Nel 479 a.C. ripresero le ostilità. L'esercito persiano avanzò verso l'Attica facendo scorribande, saccheggiando le campagne, incendiando le case e facendo strage dei rifugiati quando riuscivano a scovarli. Atene stessa in giugno fu messa a sacco per la seconda volta. Gli abitanti del Peloponneso intanto continuavano a consolidare le difese dell'Istmo di Corinto. L'Attica era stata devastata, così come le città di Platea, Megara e Tespi. Sarebbe stata una catastrofe se queste polis avessero deciso di appoggiare gli invasori persiani ritirandosi dalla lega panellenica. Era necessario sconfiggere subito i persiani. Per le città-stato del Peloponneso poteva essere allettante l'idea di trincerarsi sull'Istmo a difendere i propri territori dai persiani e lasciare che Atene venisse devastata. Va ricordato che a quel punto della guerra gli atteniesi avevano già visto la loro città venire occupata e saccheggiata dai persiani. I loro templi erano stati incendiati e molti edifici rasi al suolo. Effettivamente, gli Atenesi temevano di dover abbandonare la loro polis. Pensavano già che sarebbero stati costretti a trasferirsi nella Magna Grecia per fondare una nuova Atene in Sicilia o in Sardegna. Temevano infatti che gli alleati greci avrebbero deciso di abbandonarli al loro destino, lasciando che Atene cadesse in mano ai persiani. I timori degli Atenesi si rivelarono infondati. 5.000 spartani guidati da Pausania, reggente del figlio di Leonida, si diressero verso nord. Vennero raggiunti a Eleusi dagli opliti ateniesi e da contingenti provenienti da tutta la Grecia. Mardonio, di conseguenza, abbandonò l'Attica e si ritirò in Beozia. Il comandante persiano, infatti, considerava il territorio di Tebe più adatto per far combattere la sua cavalleria. Così, i persiani... posero la loro base nei pressi di Platea, alle falde del monte Citerone, dove costruirono una grande fortezza di legno. Verso fine agosto anche la coalizione greca arrivò in Beozia, pronta ad affrontare i persiani. I 35.000 opliti provenienti da tutta la Grecia erano il punto di forza dell'esercito. C'era anche l'afanteria leggera di dimensioni due volte maggiori, che comprendeva arcieri, frombolieri e molti altri soldati. Appena i greci giunsero in vista delle pendici del monte Citerone, furono attaccati dalla cavalleria di Mardonio. I cavalieri persiani sferrarono una serie di pesanti assalti. Si lanciarono contro i greci. urlando e brandendo le loro armi. Durante quegli scontri però, il comandante della cavalleria persiana, Masistio, fu disarcionato e ucciso. Mai a gusto, il caldo e la siccità rendevano sempre più difficile trovare un adeguato rifornimento d'acqua potabile per l'esercito. I greci avanzarono per posizionarsi vicino alla fonte Gargafia, dove c'era acqua dolce in abbondanza. Lo schieramento greco era così composto. Sulla destra, i 10.000 opliti provenienti da Sparta. Al centro, 1.500 opliti di Tegea, 5.000 di Corinto, e più di 7.000 delle altre città-stato del Peloponneso. Infine, sul fianco sinistro, gli 8.000 opliti di Atene, sotto il comando di Aristide. Il comandante persiano Mardonio schierò contro gli spartani la sua fanteria migliore, tutti uomini provenienti dalla Persia. Al centro dispose contingenti reclutati in varie regioni dell'impero, la Battriana, la Media, l'India e la Scizia. Sulla destra, invece, Opposti agli Ateniesi, c'erano uomini di varie regioni della Grecia, come la Macedonia, la Tessaglia e la Beozia, che avevano deciso di allearsi ai persiani. In un clima torrido, le due armate si scrutavano dalle due sponde del fiume Asopo. riluttanti a compiere la prima mossa. Sul campo di battaglia di Platea si creò una situazione di stallo che durò circa una settimana. Nessuno dei due eserciti si decideva ad attaccare. I persiani confidavano nel fatto che i greci non sarebbero stati in grado di mantenere la loro posizione difensiva di forza se fossero state minacciate le loro risorse. In particolare, e le riserve idriche. Sarebbero stati costretti a ritirarsi e a rassegnarsi alla disfatta. Entrambi gli schieramenti si trovavano su un terreno che ritenevano fosse a loro favorevole e non volevano abbandonarlo. Erano separati dal fiume Asopo e nessuno dei due intendeva oltrepassarlo perché così facendo avrebbe avvantaggiato il nemico. I persiani occupavano un'area ideale per le operazioni della loro cavalleria e volevano rimanere lì a combattere. Nella battaglia di Platea, il fattore tempo giocava più a favore dei persiani che dei greci. I greci avevano bisogno di una vittoria e dovevano ottenerla in fretta. I persiani disponevano di più tempo e non avevano per forza bisogno di vincere, potevano limitarsi a indebolire il nemico. I persiani sbloccarono la situazione interrompendo le vie di comunicazione greche. Come previsto, questo rese i greci molto vulnerabili e li costrinse a compiere delle monse che li avrebbero condotti alla battaglia finale. Dopo dieci giorni di scorribande isolate, Mardonio ordinò ai suoi comandanti di preparare gli uomini per un attacco all'alba. Il giorno seguente, la cavalleria persiana lanciò una serie di attacchi su vasta scala contro la linea difensiva greca. La loro tattica era di correre al galoppo verso il nemico bersagliandolo con frecce e dardi da tutte le direzioni, per poi convergere e raggrupparsi di nuovo. Alla fine della giornata, i greci, sebbene esausti, tenevano ancora le posizioni. Comunque, i persiani erano riusciti a danneggiare la fonte Gargafia. Pausania decise quindi che quella notte avrebbe ritirato le truppe greche di fronte a Platea, dove sarebbe stato più facile trovare acqua. Al calare del sole iniziò la ritirata. Come spesso accade quando grandi armate tentano complesse manovre di notte, Tutto degenerò rapidamente nel caos. La maggior parte dei greci marciò verso Platea per mettersi in salvo dalla cavalleria persiana. Amonfareto, un comandante spartano, si rifiutò di ritirare la sua unità, dichiarando che i veri guerrieri spartani combattevano fino all'ultimo. Gli ateniesi, con l'arrivo dell'alba, si resero conto che la ritirata si stava dimostrando più difficile del previsto. L'armata greca era frammentata, sparsa su tutta la piana e terribilmente esposta al nemico. Quando sorse il sole, Pausania decise di ripiegare senza Amonfareto e i suoi uomini, ma ben presto anche l'isolato contingente spartano raggiunse il resto delle truppe. Non appena Mardonio si accorse che i greci erano fuggiti, lanciò l'intera armata al loro inseguimento. Il testardo Amonfareto si era appena riunito alla formazione spartana, quando li raggiunse la cavalleria persiana. Gli spartani così furono costretti a riprendere i combattimenti. Gli ateniesi erano ormai lontani e non potevano vedere quanto stava accadendo. Ma quando giunse loro la richiesta d'aiuto di Pausania, andarono immediatamente in suo soccorso. Proprio in quel momento, gli alleati greci di Mardonio li attaccarono, e gli Ateniesi si trovarono presto a combattere per difendere la propria stessa vita. La fanteria persiana, sempre più numerosa, si avvicinava alle posizioni degli Spartani. Si giunse allo scontro frontale. I persiani formarono una barriera con i propri scudi e presero a bersagliare la linea greca. La raffica di frecce colpì gli opliti, che iniziarono a cadere uno a uno. Numero crescente di persiani, tra cui lo stesso Mardonio, si unirono all'attacco contro gli spartani, ma gli opliti non abbandonarono le loro posizioni. Solo quando i sacerdoti ebbero finalmente un presagio favorevole, gli spartani si prepararono allo scontro corpo a corpo. Anche se isolati e numericamente inferiori, riuscirono a far cadere la barriera di scudi e avanzarono con determinazione contro il nemico. La fanteria persiana si trovò disorientata dalla velocità con cui tutto ciò era avvenuto. I greci erano abituati a combattere contro uomini protetti da armature pesanti e trovarono molto facile uccidere i persiani equipaggiati alla leggera. I persiani non avevano perso il coraggio, ma di fronte all'assalto degli spartani e dei loro alleati furono semplicemente travolti. La guardia personale di Mardonio, composta da un migliaio di uomini, fu massacrata. Subito dopo cadde anche il condottiero persiano. Mardonio era stato ucciso e gli spartani continuarono a mietere vita. La fanteria persiana decise così di ritirarsi. In massa, i soldati si rifugiarono alla fortezza, inseguiti dall'esercito greco. Varono gli ateniesi insieme a ulteriori rinforzi ricevuti da platea e riuscirono ad aprire una breccia tra le mura di legno. Tutti quelli che si trovavano all'interno furono massacrati. Al termine della battaglia di Platea, i pochi persiani sopravvissuti tentarono disperatamente la fuga. Le polis elleniche erano salve. Nel frattempo, anche la flotta greca stava combattendo contro i persiani a Mikale. Fu un'altra vittoria decisiva. La Grecia non solo era salva, ma aveva anche iniziato a reagire. L'anno seguente... Le città-stato della Grecia costituirono la Lega Delioattica, un'alleanza militare in funzione antipersiana. Le polis greche rifiorirono dopo questo successo e una nuova Atene nacque sulle ceneri del passato. Prima della fine del V secolo, le città-stato sarebbero ricadute nuovamente in brutali guerre interne, dopo essere sfuggite alle ambizioni tiranniche del re di Persia, dominarono la scena del mondo antico. Le vittorie greche del 480 e del 479 a.C. ebbero conseguenze molto importanti. Atene, ricostruita dopo le devastazioni subite da parte dei persiani, giunse all'apice della sua ricchezza e del suo splendore artistico e culturale. È l'Atene del V secolo che ci ha tramandato l'ideale di democrazia e in cui si sono sviluppate le forme e i principi fondamentali del pensiero filosofico occidentale. Gli Atenesi sfruttarono le guerre persiane come trampolino di lancio per stabilire la propria egemonia sulle altre polis greche. Negli anni successivi, infatti, la politica espansionistica adottata da Atene trovò una giustificazione nella necessità di difendersi da un altro eventuale attacco. Questo avvenne perché i greci erano convinti che i persiani non fossero stati sconfitti definitivamente e che prima o poi sarebbero tornati. Se l'impero persiano fosse riuscito a sottomettere i greci, con essi sarebbe andato perduto per sempre un patrimonio culturale preziosissimo. I greci affrontarono i persiani per non assoggettarsi al loro impero e per conservare la propria libertà. Forse se non avessero vinto... Sarebbero passati ancora molti anni prima che si potessero sviluppare e diffondere quegli ideali di democrazia e di libertà che ancora oggi sono la base della cultura occidentale.