Ambizione, sete di potere e di conquista, congiure e sanguinosi assassini, ma anche eccezionali trionfi dell'architettura e dell'ingegneria. Su queste basi fu costruita la grandezza di Roma. I romani erano un popolo con un forte senso di appartenenza.
In tutto l'impero sorsero monumentali anfiteatri e maestosi palazzi. Furono costruite strade e acquedotti. In ogni territorio colonizzato, i romani portarono la propria civiltà. I colossali edifici, le strade e gli acquedotti divennero il simbolo di Roma. I grandi imperatori che si avvicendarono attraverso i secoli contribuirono alla costruzione di nuove opere architettoniche.
Ognuno di loro lasciò nell'antica Roma il proprio segno indelebile. Nel 44 a.C. Gaio Giulio Cesare fu trovato in senato riverso in un lago di sangue. Negli anni precedenti, in qualità di generale, aveva imposto il suo dominio su molti territori, ampliando i confini dell'impero romano.
In veste di console, era stato molto abile nell'ascesa al potere, ma alla fine era stato tradito dai suoi stessi concittadini e ucciso per mano di colui che considerava un figlio, Marco Bruto. È il famoso episodio delle Idi di Marzo. Giulio Cesare fu assassinato in seguito ad una congiura. Era arrivato all'apice del potere e i suoi avversari temevano che ambisse a diventare re. La sua morte fu voluta da un gruppo di cospiratori appartenenti agli ambienti più tradizionalisti, nostalgici dei vecchi ordinamenti repubblicani.
Fin dall'inizio della sua carriera militare, Cesare aveva capito che per arrivare al potere bisognava prima conquistare la gloria in battaglia. In seguito alle vittoriose campagne da lui condotte, si fece conoscere come abile stratega anche al di là dei conti di un'esplosione. confini dell'impero.
Nel 55 avanti Cristo, alla testa di circa 40.000 soldati, varcò le Alpi. Il suo obiettivo era la conquista della Gallia, un territorio che comprendeva l'attuale Francia e si estendeva fino ai confini del Belgio e della Svizzera. Cesare riuscì a sottomettere la Gallia e a farne una provincia romana.
Poi si diresse verso la Germania, attraversando il Reno con il suo esercito. Ambiva fortemente a diventare un grande condottiero, al pari di Alessandro Magno. Per secoli il fiume Reno fu quello che i romani definivano l'Imes, una barriera naturale, un confine invalicabile, che consentì alle tribù germaniche di vivere per lungo tempo al riparo dall'espansione romana.
Ma Giulio Cesare non temeva alcun ostacolo. Avrebbe potuto portare le truppe al di là del Reno su delle imbarcazioni, ma non lo riteneva un mezzo sicuro. Inoltre pensava non fosse decoroso per l'esercito romano. Così decise di far costruire un ponte.
Ma dal punto di vista dell'ingegneria le difficoltà di costruire un ponte su un fiume del genere sono enormi in relazione alla profondità dell'acqua e alle correnti impetuose. Se si tiene conto poi che questo deve essere fatto in tempi molto brevi, per esigenze militari, effettivamente l'opera è realmente qualcosa di eccezionale. Il ponte doveva coprire una lunghezza di circa 500 metri e sostenere il passaggio di 40.000 soldati, molti dei quali a cavallo.
Una vera impresa per l'epoca. Cesare però era fermamente determinato a riuscirci. La straordinaria rapidità con cui il ponte fu costruito colse di sorpresa i germani insediati lungo il corso del Reno. Non si sarebbero mai aspettati un attacco dal fiume.
Il ponte è stato costruito per la prima volta e è stato I soldati di Cesare furono molto abili nel fabbricare il ponte di legno. Reperirono il materiale facilmente, data l'abbondanza di foreste circostanti, e si misero subito all'opera, realizzando un vero miracolo dell'ingegneria. A differenza dei romani, i popoli che abitavano sulle rive del Reno erano ancora piuttosto primitivi.
Non avevano sviluppato competenze ingegneristiche e architettoniche tali da... da poter costruire infrastrutture simili. Così, una volta attraversato il fiume, per Cesare fu facile conquistare i loro villaggi. Nel De Bello Gallico, Cesare descrisse come avvenne la costruzione del ponte.
Vennero conficcati nel letto del fiume dei tronchi del diametro di circa 50 centimetri. Verso la metà del ponte, i pali dovevano raggiungere un'altezza di circa 20 metri. di circa 9 metri.
I romani, abili costruttori, sapevano che disponendo i tronchi inclinati, il ponte avrebbe avuto una maggiore stabilità. Gli uomini di Cesare tennero conto di ogni minimo dettaglio, come solo gli ingegneri più esperti sanno fare. La posizione diagonale dei tronchi permetteva infatti di mantenere ben saldo il ponte, impedendo alle correnti di abbatterlo. L'inclinazione dei tronchi era fondamentale per resistere alle vorticose acque del Reno. Certo sarebbe stato più semplice e avrebbe richiesto uno sforzo fisico minore collocare i tronchi in verticale, perpendicolari al letto del fiume, ma in questo modo la forza delle correnti avrebbe fatto crollare tutto.
I tronchi furono piantati a coppie e disposti su due file, una di fronte all'altra. A monte erano inclinati secondo corrente, mentre a valle contro corrente. Tra le opposte coppie vennero poste delle assi spesse circa 70 cm. centimetri. Su questa struttura furono poi stese altre assi di legno più piccole che ne costituivano la pavimentazione.
Il ponte che permise ai romani di attraversare il Reno era un vero capolavoro dell'ingegneria militare, ma ancor più eccezionale fu la velocità con la quale fu costruito. Cesare narra che per terminare l'opera ci vollero soltanto dieci giorni. Se cercassimo di realizzare un'opera simile oggi, con gli stessi strumenti che avevano a disposizione i romani e in così breve tempo, non raggiungeremmo mai lo stesso risultato. Ma Cesare aveva dalla sua un esercito di legionari fedeli e volenterosi che erano fermamente intenzionati a strappare ai barbari i territori oltre il Reno. Secondo i resoconti forniti dallo stesso Cesare, le tribù germaniche che abitavano quelle fredde regioni contavano circa 430.000 individui, un numero dieci volte superiore a quello dei suoi soldati.
Nonostante la superiorità numerica, i Germani si diedero alla fuga non appena videro i Romani attraversare il Reno. La conquista dell'Imes Renano poté dirsi così conclusa e Cesare si preparò a tornare a Roma carico di onore e di gloria. Dopo aver riattraversato il fiume, il ponte venne smantellato.
Il ponte sul Reno si può considerare il simbolo dell'espansionismo di Roma. L'avanzata dell'impero non si fermava davanti a nulla e Giulio Cesare era inarrestabile. Il ponte voluto da Cesare rivelava chiaramente le sue grandi ambizioni di conquista. Nell'arco di dieci anni avrebbe infatti raggiunto un enorme potere a Roma, un potere che sarebbe stato però anche la causa della sua tragica fine.
Quando nel 44 a.C. fu proclamato dittatore a vita, in Senato correva già voce di una cospirazione ordita per ucciderlo. Col tempo era diventato molto popolare ed è noto che i romani rendevano ai loro sovrani lo stesso culto che si tributava alle divinità. Per questo motivo alcuni senatori decisero di porre un freno alle ambizioni di Cesare. Giulio Cesare lasciò un segno indelebile nella storia di Roma.
La sua morte fu la testimonianza inequivocabile dei rischi che si corrono quando si esercita il potere. Dopo l'assassinio di Cesare, Roma piombò nel caos. Senza più una guida politica, sembrava destinata a crollare. Questo assassino fu uno shock enorme e provocò naturalmente grandi movimenti anche di popolo.
La prematura morte di Giulio Cesare concluse un'era di grandi conquiste. Con le sue numerose campagne militari, il condottiero romano aveva trasformato la Repubblica in un impero su cui egli, per ironia della sorte, non poté regnare. Ma il suo omicidio non servì a ristabilire il potere del Senato e delle istituzioni democratiche.
Roma avrebbe visto succedersi molti imperatori. Alcuni di loro avrebbero dato il via alla costruzione di grandi e monumentali opere, Altri, accecati dalla sete di potere, sarebbero stati la causa della rovina di quelle opere. Eppure, anche nei periodi più cupi, lo splendore di Roma e dei suoi palazzi sarebbe sempre stato l'emblema di una grande civiltà.
Oggi Roma è una grande metropoli in cui convivono antichità e modernità. C'è da imparare da Roma ed è tutto, tutto perché Roma è stato il set, potremmo dire, della storia mondiale per almeno mille anni. Roma è il centro di un impero sterminato. che abbracciava, che partiva dalla Britannia fino ad arrivare all'Armenia, all'Africa, alla Germania, quindi un impero straordinario.
Secondo la leggenda, Roma fu fondata nel 753 a.C. da Romolo e Remo, i due fratelli allevati da una lupa. Costruirono una città sulle rive del Tevere, ma non riuscirono a mettersi d'accordo su chi dei due dovesse governarla. Fu così che Romolo uccise Remo e divenne il primo re di Roma che proprio da lui prese il nome. Questo sarebbe stato il primo di una lunga serie di delitti compiuti per ottenere il controllo della città.
La lotta per il potere fu un tratto caratterizzante di tutta la storia di Roma, a partire dalla sua leggendaria fondazione a opera di Romolo e Remo. Originariamente Roma era uno dei tanti piccoli insediamenti sparsi nell'Italia centrale, ma a differenza degli altri villaggi che non accoglievano di buon grado i forestieri, Roma divenne un punto di approdo per molti popoli confinanti. Roma surse sul colle Palatino. I primi abitanti furono albani, ma Romolo si adoperò per ingrandire e popolare la città, accogliendo esuli e fuggiaschi dai villaggi dei colli vicini.
La popolazione di Roma derivò quindi dalla fusione di stirpi diverse, latini, sabini ed etruschi. Questa apertura contribuì non solo alla crescita della città, ma anche a un fervido scambio di idee e culture. I romani così acquisirono importanti conoscenze tecniche. In campo architettonico, ad esempio, appresero molto dagli etruschi. Gli Etruschi erano stanziati nei territori a nord di Roma, nell'attuale Toscana.
Dal punto di vista urbanistico erano piuttosto progrediti, avevano già sviluppato sistemi viari e reti fognarie. I Romani ebbero la straordinaria capacità di appropriarsi delle loro tecniche architettoniche e ingegneristiche e migliorarle. Così cominciarono a costruire gli imponenti edifici e i grandiosi monumenti che tutti conosciamo. Una delle prime opere costruite a Roma fu la Cloaca Massima, un canale a cielo aperto che correva per le strade della città e raccoglieva le acque dei corsi fluviali dalle colline circostanti per riversarle nel Tevere. Questo condotto, scavato sotto il livello del suolo, sarebbe stato in seguito coperto per esigenze di spazio.
Grazie a questo sistema fognario fu possibile bonificare zone originariamente paludose come la Valle del Foro, che divenne in seguito il centro della vita politica e sociale dell'antica Roma. La costruzione della cloaca massima determinò una svolta per Roma. L'originario agglomerato di villaggi rurali sparsi intorno alle valli acquitrinose si trasformò in una città di intensi traffici commerciali. Fu infatti grazie alle opere di Bonifica che il foro diventò il cuore pulsante della vita cittadina. Roma cominciò a espandersi verso i territori confinanti.
Intorno al IV secolo a.C., infatti, aveva già esteso la sua sfera di influenza su gran parte dell'Italia centrale. I romani compresero che sarebbe servita una grande rete viaria per collegare l'urbe con le province circostanti. In antichità esistevano due modi per viaggiare e trasportare le merci. Attraversare la campagna andando a piedi, a cavallo e utilizzando i carri.
Oppure via mare, servendosi di navi. Le strade, come le intendiamo oggi, non esistevano prima dei Romani. Nel 312 a.C., per volere del console Appio Claudio Cecco, iniziò la costruzione della più famosa strada romana, l'Appia Antica. chiamata Regina Viarum.
La via si snodava dall'urbe verso sud raggiungendo i territori dell'odierna campania. Per la realizzazione si ricorse all'uso di un accurato sistema di rilevazione topografica. Per i rilevamenti si utilizzava la groma, una croce di legno fissata su un paletto alle cui estremità erano appesi dei fili di piombo. Era uno strumento fondamentale per la misurazione e la divisione del terreno. L'unico punto debole di questa struttura è che la groma non è molto profonda.
delle strade romane erano le curve. Gli antichi costruttori, infatti, non erano in grado di calcolare i giusti rapporti tra le angolazioni. Di conseguenza, in prossimità di una curva, tagliavano l'angolo e facevano proseguire la strada sempre rettilinea. Quando si trovavano di fronte a un ostacolo, come una collina o una montagna, vi scavavano attraverso così la strada poteva continuare dritta. Per costruire le strade veniva tracciato il sentiero e si scavava un solco che veniva riempito con sabbia e ciottoli.
Poi veniva versato uno strato di ghiaia impastato con malta o argilla. Infine, lo strato più superficiale era composto da lastroni di pietra levigati. Ma ecco, per la prima volta...
si è fatto una pavimentazione stabile, una pavimentazione che potesse durare del tempo, che potesse sopportare il transito frequente di carri, oltre che poi delle armate. Il sistema aviario era di fondamentale importanza. Non solo favoriva gli scambi commerciali, ma permetteva anche agli eserciti di spostarsi più rapidamente, acquisendo un notevole vantaggio sul nemico. Quando Giulio Cesare fu assassinato nel 44 a.C., Roma aveva già conquistato gran parte dell'Europa occidentale e molte città nel nord dell'Africa, tra cui Cartagine.
L'Urbe era la capitale di un vasto impero e regnava in contrastata sul Mediterraneo. Il primo ad assumere il titolo di imperatore fu il nipote di Cesare, Ottaviano Augusto. Con Augusto iniziò un'epoca di grande splendore.
La rete stradale romana fu notevolmente ampliata per poter raggiungere ogni angolo dell'impero. Inoltre, si edificarono opere monumentali. L'architettura romana fu particolarmente fiorente nell'età augustea. Teatri, anfiteatri e basiliche sorsero in ogni città dell'impero, testimoniandone la grandezza anche e soprattutto a livello culturale.
Presto, gli abitanti delle città conquistate assimilarono gli usi e costumi dei romani. La gente lasciava i villaggi rurali per trasferirsi nei grandi centri urbani, dove poteva trovare un lavoro e un miglior tenore di vita. Le città, infatti, rappresentavano la sede privilegiata dei traffici commerciali. Tutti i cittadini dell'impero ambivano al benessere e alle ricchezze di cui Roma era il simbolo.
Roma divenne un modello da evitare per ogni città del mondo. l'impero, sia architettonicamente che negli usi e nei costumi. Le future Londra, Bonn e Parigi, ad esempio, si svilupparono seguendo il modello romano.
delle costruzioni romane risiedeva in un particolare tipo di legante prodotto grazie a una fine cenere vulcanica chiamata pozzolana. Essa prendeva il nome da Pozzuoli, luogo da dove veniva estratta. Anticamente per produrre la malta si usava semplicemente la calce mischiata all'acqua. L'impasto si solidificava ma non era molto resistente.
I romani furono i primi a introdurre l'uso della pozzolana, aggiungendola all'impasto di calce e e acqua, ottenevano una sorta di cemento a presa rapida, resistente all'acqua e di durata straordinariamente lunga. Malte di tipo idraulico, al posto delle malte aeree che si usavano in precedenza, ha consentito di avere enormi resistenze, possibilità di far presa anche in acqua, durabilità ed è stato un elemento fondamentale nello sviluppo dell'architettura romana. Durante il regno di Augusto, Roma raggiunse il massimo splendore con i suoi grandiosi edifici e i fastosi monumenti celebrativi.
Ma furono in particolare gli acquedotti a divenire simbolo e testimonianza concreta del passaggio dei Romani in ogni provincia dell'impero. Nel primo secolo d.C. Roma deteneva un potere inimmaginabile per le altre città europee.
Era la capitale di uno straordinario impero che raggiunse notevoli traguardi anche grazie alle sue meraviglie architettoniche. Alcune di esse incisero profondamente sulla vita quotidiana, apportando significativi miglioramenti. Ciò che contraddistinse Roma dalle altre città dell'impero fu la grande abbondanza di acqua corrente. Mai prima di allora si progettarono reti idriche così efficienti per portare l'acqua ad una città. Gli undici acquedotti che rifornivano l'urbe trasportavano quotidianamente centinaia di migliaia di metri cubi d'acqua proveniente dalle sorgenti sui colli romani.
L'acqua che arrivava in città non era solo a beneficio dell'imperatore e delle ville patrizie, con i loro immensi giardini e le fontane zampillanti. Era a disposizione di tutti gli abitanti, senza distinzione di classe. Gli acquedotti garantivano una presenza costante di acqua corrente.
Era fondamentale per mantenere buone condizioni igieniche in una città come Roma. I romani vivevano in una città pulita e avevano la possibilità di lavarsi quotidianamente. È anche per questo che si consideravano superiori agli altri popoli. La costruzione degli acquedotti non è legata al nome di un unico sovrano, ma si verificò nell'arco di vari secoli.
Tuttavia, le opere maggiori in questo campo furono realizzate sotto l'imperatore Claudio. Egli è ricordato negli annali degli storici anche per il suo aspetto poco piacevole. Prima di salire al trono, Claudio, zio di Caligola, era considerato lo zimbello di corte a causa della sua andatura zoppicante e dei suoi numerosi difetti fisici. Claudi Cante muoveva continuamente la testa, aveva un riso smodato, senza grazia, e poi soprattutto aveva anche problemi con la salivazione e con il resto, quindi doveva essere piuttosto sgradevole la sua vista.
La balbuzie e le crisi epilettiche non impedirono a Claudio di arrivare al potere, anche se la sua ascesa al trono assume, nei resoconti degli storici, dei toni un po'ridicoli. Svetonio narra infatti che nel 41 d.C., quando i pretoriani presero d'assalto il Palazzo Reale e massacrarono tutti i parenti di Caligola, trovarono Claudio mentre tentava di nascondersi dietro una tenda. I pretoriani decisero allora che sarebbe stato l'unico membro della famiglia Giulio-Claudia a poter salire al trono e lo acclamarono imperatore. Claudio fu incoronato imperatore e nonostante i suoi difetti fisici, dimostrò grandi capacità di comando e un buon temperamento. Durante il suo regno, le legioni romane marciarono alla volta della Britannia e la conquistarono.
Nemmeno Giulio Cesare era riuscito nell'impresa. Ma fu a Roma che Claudio diede il meglio di sé, fece costruire due importanti acquedotti. L'acqua Claudia e l'Anionovus, che contribuirono ad aumentare il flusso d'acqua convogliato nell'urbe. Claudio fece restaurare anche un terzo acquedotto, chiamato Acqua Virgo. In seguito gli fu dedicato l'Arco di Claudio, un'arcata dell'Acqua Virgo, monumentalizzata per celebrare la sua conquista della Britannia.
Questo acquedotto alimenta tuttora le più importanti fontane di Roma, quella di Trevi, la Barcaccia e la Fontana dei Quattro Fiumi. Gli architetti romani costruirono ogni acquedotto calcolando con la massima precisione l'inclinazione necessaria per far scorrere l'acqua fino alle cisterne di raccolta a Roma. La pendenza andava calcolata con estrema accuratezza.
Si doveva tenere conto che un acquedotto poteva essere lungo dai 30 ai 60 chilometri, a seconda della distanza tra la sorgente d'acqua e la città stessa. Per mantenere costante la velocità di caduta dell'acqua anche attraverso le montagne, i romani scavarono degli appositi condotti. Quando questi arrivavano a Val, venivano rialzati mediante mura di pietra. A volte queste dovevano essere molto alte.
Così, per risparmiare sui materiali da costruzione, si ricorse agli archi. I romani sfruttarono al massimo le potenzialità di questo elemento architettonico. L'arco rappresentò una vera e propria rivoluzione. Grazie ad esso fu possibile realizzare delle campate molto ampie, un tempo impensabili.
L'arco cambiò totalmente il concetto degli spazi nell'architettura romana. Veniva costruita prima una struttura di legno sulla quale si posavano le pietre e che veniva tolta solo quando si poneva la chiave di volta. Questa scaricava il peso sui due pilastri dell'arco. Si potevano così aggiungere altre pietre.
L'importanza dell'arco nell'architettura romana fu enorme. Migliorò le costruzioni sia in termini di funzionalità che di robustezza. Permise di risparmiare molto materiale ed essendo in grado di sostenere molto peso, fu utilizzato per ogni genere di opera. L'acquedotto dell'Acqua Claudia si snodava per 10 chilometri di archi e pilastri. Gli acquedotti naturalmente erano coperti, ma se li immaginassimo privi di copertura, vedremmo l'acqua come un fiume che scende a valle.
Quando l'acqua raggiungeva il tratto finale dell'acquedotto, veniva diramata in tre differenti cisterne. Una per le fontane pubbliche, una per le terme e un'altra riservata all'imperatore e alle famiglie patrizie. I cittadini più ricchi erano soliti pagare per avere acqua corrente nelle proprie case.
Nel primo e secondo secolo d.C. ogni cittadino romano poteva usufruire dell'acqua corrente. Questo faceva dei romani un popolo estremamente civile e all'avanguardia. Con la costruzione dell'Acqua Claudia e dell'Anionovus, Claudio fece molto per Roma e i suoi sudditi. I grandi onori che gli furono tributati non bastarono tuttavia a preservarlo da scelte che si rivelarono letali.
Claudio era dedito alle donne. Si sposò ben quattro volte e il suo quarto e ultimo matrimonio, quello con Agrippina, fu il più controverso. Molti non videro di buon occhio la sua scelta di sposare Agrippina, che era sorella di Caligola, nonché nipote dello stesso Claudio.
Orgogliosa della propria famiglia, ambiziosa, manipolatrice e senza scrupoli, Agrippina fu al centro della leggenda nera della famiglia Giulio-Claudia. Era una donna caparbia, fiera e orgogliosa, ma soprattutto ambiva al potere. Agrippina arrivò ad accusare di adulterio Messalina, allora moglie di Claudio, spingendola al suicidio.
Entrò nelle grazie dello zio imperatore che la prese in moglie e si lasciò convincere a designare erede al trono non il legittimo figlio britannico, bensì Nerone, nato dal precedente matrimonio di Agrippina. Agrippina sedusse Claudio per diventare imperatrice e assicurare la successione a suo figlio Nerone. Passarono quattro anni, ma l'anziano e apparentemente cagionevole imperatore non sembrava prossimo alla morte.
Avendo ottenuto da lui ciò che desiderava e volendo accelerare l'ascesa del figlio al potere, Agrippina affrettò le sorti di Claudio, avvelenandolo di nascosto con dei funghi. Il giorno immediatamente successivo alla morte di Claudio, Nerone divenne il nuovo imperatore. Aveva soltanto 16 anni, ma di lì a poco avrebbe letteralmente sconvolto Roma. Nel 64 d.C. un incendio divampò su Roma, riducendo in cenere molte aree urbane.
Le vittime furono numerose e molti presero a vagare per le vie della città, in preda al panico. L'incendio del 64, l'incendio di Roma, fu una tragedia immane. Quasi tre quarti della città, poiché tutta la città era costruita in fondo di case abbastanza povere, con molto legno, tutto questo poi naturalmente andò in fumo. Pare che ad appiccare il fuoco fosse stato Nerone in persona, e mentre la città bruciava, sembra che egli suonasse la lira, contemplando le fiamme dall'alto del suo palazzo. Mentre Roma bruciava, si narra che guardasse quell'immenso rogo estasiato, come davanti a uno spettacolo.
Recitava anche i versi di Eschilo sulla caduta di Troia, accompagnandosi con la lira. Non appena l'incendio fu domato, Nerone non perse tempo e confiscò un terzo del territorio urbano, trasformandolo in sua proprietà personale. Aveva in mente di far costruire una grandiosa reggia che doveva occupare un'area di circa 800.000 metri quadrati.
Si mormorava che l'imperatore avesse bruciato Roma per ricavare lo spazio per la sua nuova dimora. Per mettere a tacere simili voci, Nerone addossò la colpa dell'incendio ai cristiani. Essi furono quindi perseguitati e condannati a morte dopo atroci torture. Ma questo fu solo l'inizio di una lunga serie di folli atti che accompagnarono il suo regno. Si narra che tra gli efferati delitti di cui si rese colpevole ci furono vari omicidi.
In un momento d'ira uccise la moglie Epopea, peraltro incinta, con un calcio al ventre. Ma il crimine più grave che commise, a detta degli storici, fu il matricidio. Sospettato addirittura d'incesto, Nerone non esitò a uccidere la propria madre.
Agrippina era stata l'artefice dell'ascesa al trono di Nerone e si aspettava che il figlio condividesse con lei il potere. Ma Nerone non tollerava che qualcuno interferisse nelle sue decisioni. E allora a quel punto decise di eliminare la madre. Ci provò in diversi modi. La prima volta provò per primo ad avvelenarla per ben tre volte, ma la signora...
aveva preso dei potenti antidoti e quindi resistette anche al veleno. Alla fine, proprio assistendo a una naumachia, cioè uno spettacolo navale, dove venivano rappresentate battaglie navali e navi venivano affondate, attrezzò e organizzò una nave in modo da andarla a prendere. Con questa nave poi la scortò fino a Baia e al momento opportuno questa nave affondò.
Ma... Questo non bastò naturalmente a ridurre al silenzio la signora, la Virago possiamo dire, perché Agrippina si salvò a nuoto e alla fine poi Nerone fu costretto a mandare dei suoi sicari ad ucciderla e a quel punto se ne liberò. Quando i sicari di Nerone le si avvicinarono armati?
Agrippina ordinò loro di colpirla al ventre. Sembra che le sue ultime parole siano state colpite al ventre che lo ha generato. Nerone fu tormentato dal rimorso per il resto della vita.
Iniziò a soffrire di allucinazioni e si sentiva perseguitato dallo spettro della madre. Le sue condizioni peggiorarono. Si trovò sempre più solo. Era preda di attacchi di paranoia.
divenne ancora più crudele. Per trovare sollievo dalle numerose preoccupazioni, l'imperatore si dedicò alla costruzione del suo lussuoso palazzo. Un'opera maestosa, costruita sul suolo pubblico e pagata dalle casse dello Stato. È come se al giorno d'oggi un intero quartiere di una città venisse trasformato nella residenza privata di qualche centrico riccone con tanto di parchi e giardini.
Il dispotico sovrano fece proprio questo per costruire l'imponente Domus Aurea e non esitò a espropriare i cittadini delle case dove vivevano. Nerone spremette le province fino all'ultima goccia per ricavare il denaro necessario alla grandiosa costruzione. Aumentò le tasse a dismisura, sia per i patrizi che per i plebei, costringendoli a pagare anche con la forza.
Oltre a sfruttare i risparmi dei sudditi, Nerone si servì anche del lavoro degli schiavi. La pratica della schiavitù era diffusa e accettata in tutta Roma. Basti pensare che un cittadino su tre era uno schiavo.
Tutti gli edifici e i monumenti di Roma furono realizzati grazie alla mano d'opera degli schiavi, uomini che erano stati fatti prigionieri durante le campagne militari e poi condotti nella capitale. Qui svolgevano i lavori più umili e faticosi presso le dimore patrizie o presso i cantieri per la costruzione delle grandi opere pubbliche. Il fastoso palazzo di Nerone rifletteva le manie di grandezza dell'imperatore. Il terreno sul quale sorgeva era molto vasto, quasi un chilometro quadrato. La maggior parte della superficie era occupata da giardini, rigogliosi boschi e fertili vigneti.
Al centro di questo immenso parco si trovavano persino un laghetto artificiale e un padiglione con dei portici lunghi più di un chilometro e mezzo. Oggi è rimasto intatto soprattutto il nucleo edilizio di quel padiglione, che contava ben 150 stanze. Gli ampi soffitti delle sue sale testimoniano la grande perizia con cui i romani sfruttarono un altro elemento architettonico, la volta a botte. La volta a botte è un sistema di copertura abbastanza semplice. Se immaginiamo una serie di archi a venti lo stesso raggio, giustaposti uno dopo l'altro, otterremo una volta a botte.
I costruttori romani ne fecero largo uso. Si racconta che quando la Domus Aurea fu completata, Nerone entrando vi esclamò «Bene, finalmente posso cominciare a vivere come si conviene a un essere umano». Ciò che resta di questa sontuosa dimora sono solo fredde e umide stanze, le stesse che un tempo erano decorate dai materiali più preziosi e ornate da magnifici dipinti. I soffitti erano arricchiti da splendidi lapislazuli, cristalli di rocca e cristalli rosa, che riflettevano la luce del sole che filtrava dalle ampie finestre.
La costruzione della Domus Aurea non fu che l'apice della condotta sconsiderata di Nerone. Non era affatto questo che i romani si aspettavano da un imperatore, né il popolo né tanto meno i senatori. Per questo il suo regno non era destinato a durare a lungo.
Alla fine dovette pagare il prezzo delle sue azioni. Nel 68 d.C., pochi mesi dopo essersi insediato nella sua Domus Aurea, Nerone fu deposto. Fu dichiarato nemico pubblico dal Senato e braccato dalle sue stesse guardie.
Vistosi ormai perduto, preferì togliersi la vita con l'aiuto di un suo fedele schiavo. Le sue ultime parole furono Quale artista muore con me? Nerone aveva sempre desiderato fare l'attore scelse così di morire in modo plateale come l'eroe di una tragedia le ultime parole da lui pronunciate evidenziano come egli si considerasse più un grande attore che non un buon sovrano I romani vollero seppellire per sempre il ricordo di Nero.
L'area dove sorgeva la Domus Aurea fu restituita all'uso pubblico. Ben presto cadde in rovina e quasi tutti gli edifici furono distrutti. Sui suoi resti sarebbero sorte le terme di Traiano.
Soltanto alle soglie del Cinquecento la ricca e fastosa dimora romana rivide la luce. Alcuni curiosi e appassionati d'arte, infatti, cominciarono a calarsi nelle cosiddette grotte. Le sale del Palazzo Neroniano...
rimaste sepolte per secoli e casualmente riscoperte. Gli affreschi e i dipinti della Domus Aurea divennero una fonte di ispirazione per gli artisti del Rinascimento. La parola grottesco deriva da grotte, poiché così venivano chiamate nel Cinquecento le sale della Domus Aurea, dove erano raffigurate bizzarre creature metà uomini e metà animali. La Domus Aurea è sicuramente il simbolo dell'età neroniana, un periodo buio nella storia di Roma segnato dalla follia e da atroci misfatti. Dopo la morte di Nerone, l'impero versava in una profonda crisi.
Da Giulio Cesare in poi, i vari imperatori che si erano avvicendati appartenevano alla stessa linea di discendenza. Ma con l'ascesa al trono di Nerone, per la prima volta nella storia di Roma, quella linea era stata interrotta. Fu un momento molto difficile per l'impero. Si verificarono sanguinose lotte per decidere il nuovo sovrano.
Nel 69 d.C. Roma si trovava in una situazione di grave crisi senza un sovrano degno di regnare sull'impero. Si scatenarono aspre contese tra i capi dell'esercito che volevano conquistare il potere.
Scontri sanguinosi si protrassero per lungo tempo, finché non si impose la figura di Vespasiano, un generale che si era distinto al comando delle legioni nelle province orientali. Pur non essendo di nobili origini, egli ebbe l'appoggio di tutto l'esercito, che lo amava per i suoi modi semplici e pratici. Vespasiano fu l'antinerone per eccellenza.
Non era nobile, veniva dalle fila dell'esercito e aveva un grande senso pratico. Era una persona molto semplice. Per questo motivo condannò il lusso e la stravaganza dei ricchi patrizi. Diede così il via a un marcato miglioramento generale della società romana.
A differenza di Nerone, che aveva sperperato il denaro pubblico nella costruzione di una reggia per appagare la propria vanità, Vespasiano incentivò i lavori pubblici. L'opera più importante realizzata durante il suo regno sorse proprio al posto del lago artificiale che Nerone aveva voluto nell'immenso giardino della Domus Aurea. Si tratta del celebre Amfiteatro Flavio. Nelle sue vicinanze... si trovava una colossale statua bronzea di Nerone da cui derivò in seguito il nome oggi più conosciuto dell'edificio, Colosseo.
Con la costruzione del Colosseo, Vespasiano contribuì di fatto alla restituzione all'uso pubblico degli spazi cittadini privatizzati da Nerone. Dal punto di vista politico, fu sicuramente un'abile manovra per ottenere il consenso tanto del popolo quanto dei senatori. Il Colosseo ospitava vari giochi a cui i romani assistevano con grande partecipazione. Tra i più noti c'erano le lotte dei gladiatori, che costituivano uno spettacolo molto cruento. Per questo evento, l'arena si trasformava in un vero e proprio campo di battaglia.
Veniva ricoperta di sabbia per assorbire il sangue dei lottatori che rimanevano uccisi. Oltre ai combattimenti tra i gladiatori, c'erano le famose venaziones, battute di caccia, dove uomini armati dovevano combattere contro animali feroci, e i noxii, esecuzioni in cui i prigionieri venivano dati in palla. alle belve.
Altre volte gli animali dovevano combattere l'uno contro l'altro. Comunque è il più grande affidato del mondo, un'opera eccezionale per le sue dimensioni, anche eccezionale per l'organizzazione del lavoro con cui è stato condotto. I lavori per la costruzione del Colosseo iniziarono nel 72 d.C. e furono finanziati con il bottino della conquista di Gerusalemme avvenuta due anni prima. I romani infatti trafugarono molte reliquie preziose nel tempio della città santa e soprattutto fecero 12.000 prigionieri che furono impiegati come schiavi per edificare il famoso anfiteatro.
I prigionieri lavorarono in condizioni estremamente dure, tanto che molti non sopravvissero. Dovettero trasportare a forza di braccia enormi blocchi di travertino provenienti dalle cave situate nei pressi di Tivoli. Per la costruzione del Colosseo si impiegarono 100.000 metri cubi di travertino. Furono usati anche altri materiali, come il tufo e il laterizio. Mano a mano che l'edificio progrediva in altezza, infatti, era necessario utilizzare materiali più leggeri.
In otto anni, il Colosseo raggiunse un'altezza di 52 metri, sovrastando così tutto ciò che lo circondava. Il Colosseo era l'edificio più alto dell'antica Roma. D'altra parte doveva essere l'anfiteatro di Roma, la città più grande del mondo antico, la capitale di un impero che si estendeva su tre continenti. Così divenne da subito il simbolo della grandezza e dello splendore dell'urbe. La struttura dell'Anfiteatro Flavio aveva uno schema molto semplice.
Fondeva due teatri a scene contrapposte, ottenendo così un edificio di forma ellittica. Anfiteatro significa infatti doppio teatro. All'interno, la cavea, con i gradini per i posti degli spettatori, era suddivisa in cinque settori orizzontali, riservati a categorie diverse di pubblico. Dai patrizi ai plebei, tutti i cittadini di Roma potevano assistere agli spettacoli e ai giochi, entrando dalle arcate loro riservate.
Ciascuna delle 74 arcate era contraddistinta da un numero, inciso sulla chiave di volta, per consentire a ognuno di raggiungere rapidamente il proprio posto. Un complesso sistema idrico consentiva la manutenzione dell'edificio e alimentava le fontane per gli spettatori poste nella cavea. Il grande anfiteatro era anche dotato di un ampio telo di copertura, il cosiddetto velarium, che aveva lo scopo di riparare il pubblico dalla pioggia e dal sole.
Esso era abilmente manovrato da uno speciale reparto di marinai della flotta imperiale. Il telo poteva essere spostato a seconda del vento o del sole. Era un sistema molto funzionale. Sulla sommità delle arcate e tutto intorno sono ancora visibili le mensole dove erano alloggiati i pali di legno che venivano utilizzati nei giorni più caldi per aprire e chiudere il velarium. La costruzione del Colosseo poté dirsi completata nell'80 d.C., ma Vespasiano non riuscì a vederlo terminato.
Morì infatti l'anno prima, nel 79. Fu suo figlio Tito, proclamato nuovo imperatore, a inaugurare il monumento simbolo di Roma. I giochi inaugurali durarono ben tre mesi, durante i quali morirono circa 2000 gladiatori e migliaia di animali. Un simile massacro fuori dall'arena si era visto soltanto sui campi di battaglia. Ma le lotte tra i gladiatori e i combattimenti delle belve erano considerati semplice intrattenimento dai romani. I giochi nel Colosseo duravano tutto il giorno.
Di mattina c'erano i combattimenti con gli animali feroci. Verso mezzogiorno le esecuzioni dei prigionieri. Infine nel pomeriggio c'era l'evento principale.
I combattimenti tra i gladiatori, in cui il pubblico incitava l'uno o l'altro contendente. Le lotte tra i gladiatori erano la maggiore attrattiva per il pubblico, ma anche altri giochi non erano da meno. Uno degli spettacoli più entusiasmanti, doveva essere più emozionante del Colosseo, era costituito dalla naumachia, cioè una battaglia navale, una battaglia navale fatta da uomini veri su navi vere, naturalmente apprestate.
Bastava cambiare il corso di uno dei numerosi acquedotti per portare l'acqua fino al Colosseo in modo da riempire l'arena per le battaglie navali. Recenti studi dimostrano che il Colosseo aveva una fitta e articolata rete sotterranea fatta di canali per il trasporto dell'acqua. Cristiano Ranieri è stato uno dei primi archeologi a calarsi sottoterra per esplorare l'intricato labirinto. Lo studioso sostiene di aver individuato il sistema di condotti che permetteva di inondare l'arena e di prosciugarla una volta terminato. lo spettacolo.
Sì, sì, abbiamo trovato sotto il piano dell'arena, quindi negli ipogei, abbiamo trovato dei cunicoli, alcuni molto più antichi del Colosseo, che erano di età neroniana, quindi contemporanea alla Domus Aurea. I condotti per far confluire l'acqua al lago artificiale della Domus Aurea furono mantenuti intatti quando vi fu costruito sopra il Colosseo. È probabile che in seguito siano stati modificati per convogliare l'acqua dentro e fuori l'arena.
Cristiano Ranieri, insieme ad altri archeologi, è sceso in questi antichi condotti che hanno ben due millenni di storia alle spalle. Grazie a questa ricerca si è scoperto che sotto al Colosseo esiste una città. una cisterna collegata a un acquedotto. Cristiano sostiene che attraverso una modifica di percorso l'acqua poteva passare da quel canale fino all'arena.
Secondo l'archeologo, infatti, la rete di canali sottostante al Colosseo era direttamente collegata al Tevere. Da qui, l'acqua veniva convogliata all'arena per riempirla, mentre per svuotarla si faceva rifluire la stessa acqua fino al fiume, sempre attraverso i condotti sotterranei. e in un primo momento vengono utilizzati anche alcuni di questi cunicoli proprio per allagare il colosseo e utilizzarlo per le battaglie navali quindi per la naumachia Le battaglie navali costituirono un vero trionfo dell'ingegneria dell'antica Roma.
Tuttavia, questi spettacoli ebbero vita breve all'interno dell'arena. Nel corso degli anni, infatti, le naumachie non furono più rappresentate e l'arena subì una modifica sostanziale. Sotto di essa sorse una struttura a due piani chiamata ipogeo.
Qui si trovavano macchinari come i montacarichi che permettevano di far salire nell'arena gli animali feroci e i gladiatori per ottenere un effetto ancora più spettacolare. Sebbene gli spettacoli avvenissero nell'arena, il vero motore di tutte le azioni che si svolgevano in superficie era nell'ipogeo. Qui sotto c'erano le gabbie delle tigri e dei leoni che venivano aizzati ad attaccare le loro vittime, i prigionieri condannati a morte e i gladiatori che si preparavano a combattere affilando le armi. Appena lo spettacolo aveva inizio, in determinati punti dell'arena si aprivano delle botole da cui uscivano i contendenti.
Essi salivano dall'ipogeo per mezzo di un montacarichi e venivano acclamati dalle urla della folla che li incitava a combattere. Erano scontri sanguinosi e per chi perdeva, il prezzo da pagare era la vita. Violenza, sangue, coraggio e colpi di scena.
Questi erano gli ingredienti dei giochi che si svolgevano nel Colosseo. L'anfiteatro costitui quindi una cornice ideale grazie anche agli ingegnosi espedienti armi. architettati dai suoi costruttori. Il regno di Vespasiano fu caratterizzato da stabilità in campo politico, sociale ed economico. Il livello di civiltà e di capacità tecniche raggiunto con la costruzione del Colosseo non si esaurì con la morte di questo imperatore, ma proseguì con i suoi successori, che diedero vita ad opere sempre più grandiose.
Verso la fine del I secolo d.C., i confini dell'Impero Romano si estendevano dall'Inghilterra all'Egitto e dal Portogallo alla Persia. Era un territorio molto vasto che contava circa 50 milioni di sudditi di lingue e razze differenti. Gli imperatori erano sempre stati di origini italiane, ma nel 98 d.C. fu uno straniero ad ascendere al trono, Traiano. Era un ambizioso comandante che proveniva dalla provincia di Betica, nell'odierna Andalusia.
Visti i suoi numerosi successi in campo militare, l'imperatore Nerva l'aveva adottato come figlio e di conseguenza come suo diretto successore. Traiano fu salutato dal popolo di Roma con grande entusiasmo, a cui egli corrispose governando rettamente e senza bagni di sangue. Egli fu il primo di una lunga serie di imperatori non italiani e la sua popolarità fu tale che il Senato gli concesse il titolo onorifico di Optimus, il migliore.
Quando Nerva morì, Traiano divenne il nuovo imperatore e fin da subito. Cercò di dimostrare la sua lealtà nei confronti dei cittadini dell'urbe. Per far questo, fece leva sull'orgoglio e sul desiderio di supremazia che caratterizzavano il popolo romano. I romani avevano un forte senso di appartenenza.
Erano fieri di essere al centro di un impero così vasto e amavano pensare in grande. Così anche i colossali monumenti e lo sfarzo di cui si circondavano gli imperatori divenne per Roma una sorta di status symbol, faceva parte del loro essere romani. Traiano diede un notevole impulso alla costruzione di edifici, monumenti e strade in tutto l'impero.
A Roma, ad esempio, è ancora visibile lo stupendo foro Traiano, voluto proprio da lui. Si occupò anche di far realizzare uno degli ultimi grandi acquedotti dell'urbe e fece costruire delle nuove terme. sui resti della Domus Aurea di Nerune.
Per la creazione di tutte le nuove infrastrutture naturalmente occorse molto denaro e per ottenerlo si ricorse al bottino delle conquiste effettuate durante il regno di questo abile sovrano. Nel 101 d.C. Traiano lanciò una spedizione contro la Dacia, una regione compresa tra le odierne Romania e Ungheria, che aveva resistito a lungo all'avanzata romana. La Dacia costituiva una minaccia, era un punto di riferimento per i popoli barbari del Medio e Basso Danubio.
Dopo anni di guerra, nel 107 d.C., la Dacia finalmente capitolò e fu ordinata provincia romana. Il bottino ricavato dalle sue miniere d'oro ed argento servì alla costruzione di nuove imponenti opere pubbliche. Traiano fu il sovrano che portò alla massima estensione i confini dell'impero.
Grazie alle sue numerose conquiste, giunsero a Roma grandi ricchezze, che furono impiegate per abbellire la città con edifici e monumenti prestigiosi degni della capitale di un impero. Traiano si occupò inoltre del problema del sovraffollamento urbano che ormai affliggeva il centro della città. Il nucleo di Roma era sempre stato il foro, sede del governo e delle intense attività commerciali e culturali cittadine.
Nel foro si trovavano i templi dedicati agli dèi, le grandi basiliche e i monumenti celebrativi. Il foro è importante per i romani perché è la piazza. È il luogo dove si incontrano, dove si stringono affari, dove si discute di politica, dove si vendono oggetti, dove si cambiano le monete.
Il Foro è una piazza viva, vivissima, come quelle... molto di più di quelle di adesso, di adesso. Perché veramente tutta la vita pubblica si svolge in piazza.
Man mano che Roma crebbe, divenne necessario trovare un'area più spaziosa per far posto a un nuovo e più ampio foro. Il foro aveva un ruolo centrale nella vita quotidiana di Roma. Quando la popolazione crebbe fu quindi necessario ampliarlo.
Ogni imperatore, ancora prima dell'avvento di Traiano, dovette provvedere a far costruire nuovi edifici all'interno del foro. Durante l'impero di Traiano Roma era già una vera e propria metropoli che contava almeno un milione di abitanti. ed era in continua espansione. Il grande condottiero volle che il suo foro fosse ancora più grande e ancora più imponente.
Traiano aveva a disposizione non solo grandi quantità di denaro, ma costruttori abili e molto esperti. Voleva che tutto fosse pronto nel più breve tempo possibile. Così raccolse le migliori maestranze per portare a compimento il suo progetto. Il progetto del foro traiano venne affidato a un architetto straniero, il greco Apollo d'Oro da Damasco. Egli aveva già dimostrato la sua grande competenza al servizio dell'imperatore durante le campagne daciche, progettando soprattutto ponti, ma ora doveva affrontare il problema ben più complesso di ricavare spazio edificabile nel territorio destinato al foro.
Fu necessario spianare e apportare delle modifiche al terreno dove sarebbe sorto il foro, altrimenti non ci sarebbe stato spazio sufficiente per realizzarlo. Per erigere questo complesso monumentale nel cuore di Roma, Apollo d'Oro dovette compiere una gigantesca opera di sbancamento, eliminando letteralmente le pendici del colle quirinale. Considerando che i romani non avevano a disposizione la dinamite, dobbiamo ammettere che furono molto abili a ricavare un ampio piano dalle pendici del Quirinale.
Dovettero scavare a forza di braccia. Per lavori così imponenti e faticosi, si ricorreva alla mano d'opera degli schiavi, armati solo di pala e piccone. Se ne reclutarono a migliaia per dar vita alle meraviglie architettoniche del Foro Traiano. Un vero e proprio esercito di schiavi si diede da fare, scavando e livellando il suolo per strappare al colle romano il terreno necessario alla costruzione del nuovo e grandioso foro. Una volta terminato, questo gigantesco complesso di marmo prese il nome dal sovrano che ne aveva commissionato il glorioso progetto, cambiando così per sempre il volto di Roma.
Il Foro Traiano fu inaugurato nel 112 d.C. Comprendeva due biblioteche, una per i testi latini e una per quelli greci, colossali monumenti celebrativi, e al centro si apriva una vasta piazza con portici, chiusa sul fondo da una basilica. I romani stessi rimasero sbalorditi da tanta magnificenza. La Basilica Ulpia, così chiamata dal nome gentilizio dell'imperatore Traiano, era la più grande mai edificata a Roma. La facciata e gli interni presentavano possenti colonne di marmo bianco che la rendevano estremamente luminosa.
Uscendo dall'edificio ci si trovava di fronte la piazza dove svettava la monumentale statua equestre di Traiano. Entrando nel foro si poteva percepire la grandiosità e la potenza dell'impero. Ma il monumento principale del foro era la colonna in marmo dedicata all'imperatore. Alta quasi 30 metri più il basamento, la colonna traiana venne decorata da un fregio che percorreva a spirale il fusto. Vi furono scolpiti bassorilievi con ben 2500 figure che descrivono le imprese di Traiano in Dacia.
La colonna traiana fu inaugurata un anno dopo il foro, nel 113 d.C. Composta da giganteschi blocchi di marmo di Carrara, pesanti circa 40 tonnellate e con un diametro di quasi 4 metri, fu realizzata per celebrare l'imperatore. L'altezza della colonna ha un significato ben preciso. La colonna traiana è alta 40 metri, tanti quanti furono i metri di terreno spianati del Colle del Quirinale. Essa celebra quindi non solo le numerose vittorie dell'imperatore, ma anche la capacità umana di sottomettere gli elementi naturali.
È il trionfo della maestria ingegneristica di Apollo d'Oro. Contemporaneamente al foro, distrutto purtroppo da un terremoto nel IX secolo d.C., vennero inalzati i famosi Mercati di Traiano. Questa costruzione permise tra l'altro di contenere il taglio delle pendici del Quirinale.
Si trattava di un esteso complesso di edifici articolato su ben sei livelli. Anche quest'opera monumentale fu realizzata da Apollo d'Oro di Damasco, che seppe sfruttare lo spazio a sua disposizione in modo molto ingegnoso, dando vita a una struttura rivoluzionaria per la sua architettura. La parte inferiore comprendeva il grande emiciclo e il piccolo emiciclo, entrambi articolati su tre piani.
La scelta di creare strutture di forma concava non è casuale. Esse infatti erano in grado di sostenere meglio la spinta fornita dal colle retrostante. La struttura sfruttava tutti gli spazi disponibili ricavati dal taglio della collina.
C'erano numerosi ambienti adibiti soprattutto a botteghe, ma anche ad archivi e uffici. Sembra poi che ci fossero delle vere e proprie aule con funzioni istituzionali. La costruzione non serviva solo agli scambi commerciali.
Doveva piuttosto essere stata concepita come una sorta di centro polifunzionale. Mentre il vicino foro era un luogo riservato all'elite cittadina, nei mercati probabilmente circolavano ogni giorno migliaia di persone del popolo. Il foro e i mercati rappresentavano le due facce della città.
Da una parte la magnificenza e l'opulenza del complesso forense, con i suoi marmi e le sue statue. Dall'altra, la semplicità e la funzionalità degli edifici in laterizio dei mercati, che costituivano il vero fulcro della vita quotidiana dei romani. L'impulso dato da Traiano alla costruzione delle opere pubbliche e le sue grandi conquiste ne fecero uno dei più grandi imperatori della storia di Roma.
Quindi è stato un grandissimo costruttore, oltre che un grande stratega, e così come Augusto assicurato un periodo di pace, di tranquillità molto importante per l'impero. Ma la difesa di un impero sempre più vasto presto si rivelò un problema a cui far fronte. Il successore di Traiano, infatti, si sarebbe dedicato alla costruzione di una monumentale linea di confine eretta per proteggere i territori romani dalla minaccia dei barbari.
Traiano morì nel 117 d.C. Grazie alle sue numerose conquiste, Roma aveva annesso molti territori, ma difendere le province e i confini imperiali era diventato un compito sempre più difficile. Non essendoci eredi naturali, a Traiano successe suo figlio adottivo, Adriano. Anche Adriano aveva partecipato alle campagne contro i Daci e si era fatto le ossa nell'esercito. Sapeva bene che la difesa dei territori conquistati richiedeva alti costi e uno sforzo militare molto consistente.
Per questo, il nuovo imperatore mirò a mantenere i confini già esistenti, piuttosto che impegnare le legioni romane in nuove campagne di conquista. Una prova concreta di questa politica di difesa è il famoso Vallo di Adriano, i cui resti sono tuttora visibili nel nord dell'Inghilterra, al confine con la Scozia. Adriano salì al trono nel 117 d.C., subito dopo la morte di Traiano. All'epoca la Britannia era già stata occupata dalle truppe romane, che però...
dovevano continuamente far fronte alle scorrerie delle popolazioni confinanti, oltre che ai rigidi inverni di quelle lande desolate. Nel 122 l'imperatore si recò di persona in quei territori di confine. Egli comprese che per sottomettere la Britannia doveva per prima cosa occuparsi delle sue truppe che erano di stanza in quei luoghi.
Era molto importante che l'imperatore si preoccupasse dei suoi uomini. I soldati romani, infatti, dovevano rimanere in quelle fredde regioni per lunghi periodi, rischiando di impigrirsi e diventare più vulnerabili ad attacchi nemici. Adriano sapeva dare il buon esempio con la disciplina e gli stesso condivideva in tutto la dura vita dei legionari. Adriano volle che i suoi soldati partecipassero alla costruzione di una linea difensiva imponente e grandiosa che doveva proteggere i confini dell'impero e allo stesso tempo celebrarne la grandezza. Oggi non ne rimangono che alcuni resti, ma in antichità il vallo si stagliava per ben 120 km contro il cielo grigio e brumoso dell'Inghilterra.
Aveva uno spessore di 3 metri e raggiungeva i 5 metri di altezza. Inoltre, lungo la base del muro, correva un fossato largo quasi 3 metri. Di conseguenza, i potenziali invasori dovevano arrampicarsi per 8 metri prima di raggiungere i legionari romani sulla cima.
Anche se ci fossero riusciti, dovevano poi affrontare un altro ostacolo, il vero e proprio Vallum, cioè una fortificazione costituita da due grossi argini con un fossato nel mezzo, largo circa una quarantina di metri. Il Vallo di Adriano era una barriera psicologica più che un vero ostacolo fisico. Le sue dimensioni colossali erano infatti un continuo monito dell'inarrivabile potenza di Roma. In un certo senso, Si può dire che il Vallo di Adriano aveva la stessa funzione che avrebbe avuto in futuro il Muro di Berlino. Doveva separare popolazioni diverse in modo che queste non potessero entrare in contatto tra loro.
Il Vallo fu la più grande fortificazione in pietra mai realizzata dai Romani. L'impero poté così difendere i confini settentrionali, impresa non facile anche per il territorio impervio di quelle zone. Le difficoltà sono state notevoli perché il terreno è enormemente accidentato. Ci stanno dirupi, valli, pareti rocciose e quindi è stata anche questa un'opera di grande ingegneria e di grande utilità, di grande funzionalità perché così si sono potute ridurre le guarnigioni a presidio del confine. Ben tre legioni per un totale di 25.000 soldati lavorarono duramente e con grande impegno spostando e sollevando enormi blocchi di pietra per poter erigere il muro voluto dall'imperatore.
Il muro era parte di un sistema difensivo più articolato. Alla distanza di un chilometro e mezzo l'uno dall'altro furono costruiti dei posti di guardia, piccoli fortini che ospitavano circa una sessantina di uomini. Tra un fortino e l'altro sorgeva una coppia di torrette di avvistamento dove erano di guardia delle sentinelle. Lungo il vallo erano dislocati infine 17 grandi forti ausiliari che ospitavano al loro interno un migliaio di soldati.
Delimitando con un sistema difensivo tanto imponente le regioni di confine, I romani riuscirono a creare una vera e propria zona militare, che permise loro di mantenere il controllo e la difesa dei territori occupati. La presenza delle truppe si fece infatti più concreta, incutendo timore alle popolazioni locali. Ogni forte ausiliario copriva anche più di due ettari di terreno. Era una cittadella militare che aveva al suo interno un luogo di culto, un ospedale e perfino le terme. Attorno a questi forti si formarono vere e proprie città per venire incontro alle necessità dei legionari che vi stanziavano per lunghi periodi.
A lungo andare, i soldati sentivano nostalgia di Roma e delle comodità della vita cittadina. Così crebbero gli scambi commerciali per rifornire i legionari non solo di viveri, ma anche di scarpe, vestiti e tutto ciò di cui avevano bisogno. Inoltre, spesso le mogli si trasferivano da Roma per raggiungere i loro uomini e interi nuclei familiari si insediavano nei forti.
Iniziato nel 122 d.C., il Vallo di Adriano fu completato dopo 5 anni. Grazie a questa grande fortificazione, le province più a nord dell'impero furono salvaguardate dalle incursioni dei barbari, contribuendo ad accrescere la città. il potere e il prestigio di Roma. Adriano fece ritorno nella capitale dopo aver viaggiato per cinque anni nelle varie province dell'impero.
Presto egli avrebbe dato impulso alla costruzione di una delle meraviglie architettoniche della città, ma si sarebbe anche macchiato dell'assassinio del suo ideatore. Adriano lasciò il presidio militare al confine con la Scozia e giunse a Roma nel 126 d.C. Nella capitale, durante la sua assenza, molti architetti si erano dati da fare per realizzare le opere commissionate dall'imperatore. Adriano era fermamente intenzionato a lasciare un'impronta nella capitale dell'impero.
Il suo obiettivo era ridare vita ai grandiosi monumenti dell'età augustea e dimostrare che lui poteva fare di meglio. Più di un secolo prima, Augusto aveva saputo trasformare Roma da una città edificata in mattoni a una città lastricata di marmo. Adriano voleva dimostrare di non essere da meno. Vole infatti un'opera memorabile che creasse continuità con il regno augusteo e gli desse grande prestigio.
Per questo decise di far ricostruire ex novo un tempio dell'epoca di Augusto che era stato devastato dalle fiamme. Dalle ceneri di questo antico edificio sarebbe sorto il monumentale Pantheon, il tempio dedicato a tutti gli dei. Il Pantheon è uno dei monumenti più straordinari costruiti nell'antica Roma, soprattutto per la sua grandiosa cupola. L'interno del Pantheon è costituito da un ambiente a pianta circolare sormontato da una monumentale cupola a cassettoni del diametro di oltre 43 metri. L'altezza della cupola corrisponde perfettamente al suo diametro, creando un perfetto equilibrio tra tutte le parti della struttura.
La cupola non è sorretta da colonne o contrafforti. Fu costruita con una serie di accorgimenti che ne bilanciavano il peso, rendendola autoportante. È un capolavoro di ingegneria. La cupola del Pantheon rimase la più grande mai realizzata fino a quando Brunelleschi edificò la cupola del Duomo di Firenze nell'epoca rinascimentale. Prima di intraprenderne la costruzione, gli architetti romani dovettero studiare un modo per scaricarne uniformemente il peso.
Altrimenti, una volta rimossa la struttura di legno, 3.000 tonnellate di calcestruzzo sarebbero crollate sotto il loro stesso peso. Al giorno d'oggi, per una costruzione del genere, si userebbe il cemento armato. dove gli sforzi di trazione vengono assorbiti dalle barre d'acciaio annegate nel calcestruzzo.
Ma i romani non conoscevano questa tecnica. Fu necessario adottare una serie di accorgimenti per garantire la stabilità della cupola. Per prima cosa fu costruita una solida base. Le mura del tempio, con i loro sei metri di spessore, sarebbero state delle ottime basi per la cupola. Le mura sostenevano il peso della cupola.
Le spinte vennero convogliate verso le fondazioni, introducendo una serie di archi di scarico all'interno delle mura. Inoltre, man mano che si risaliva nella costruzione della cupola, la struttura si assottigliava e venivano utilizzati materiali sempre più leggeri. Il calcestruzzo si otteneva con un conglomerato di sassi e malta. Nel costruire la copertura del Pantheon, però, i romani...
utilizzarono la tecnica piuttosto comune ai tempi di mescolare alla malta materiali come il tufo, la pietra pomice o vasi in terracotta vuoti per alleggerire il peso della struttura. La cupola è decorata all'interno da 5 file di 28 cassettoni di misura decrescente verso l'alto. Forse in origine i cassettoni erano ricoperti di bronzo.
La cupola è articolata in sette anelli sovrapposti. Quello inferiore conserva tuttora il rivestimento in marmo. Gli altri invece erano ricoperti da tegole in bronzo dorato, successivamente asportate dall'imperatore Costanzo II. Un'altra caratteristica della cupola del Pantheon è l'oculo, un'apertura del diametro di quasi 9 metri al centro della cupola. Esso permette di alleggerire il peso della struttura in un punto molto delicato e contribuisce a illuminare l'interno del tempio, lasciandovi penetrare la luce del sole.
In origine, l'oculo era circondato da una cornice bronzea fissata alla cupola che rifletteva e diffondeva i raggi che penetravano dall'esterno. L'illuminazione di un luogo di culto era molto importante, in quanto sottolineava l'aspetto spirituale di quello che era il tempio dedicato a tutti gli dèi. Il Pantheon si distingue anche per altre importanti innovazioni apportate alla sua struttura architettonica. Il modello dello spazio circolare e coperto a cupola è ripreso ad esempio dalle grandi sale termali, ma è interamente nuovo il suo utilizzo per un edificio a carattere sacro. Il Pantheon si salvò dalle distruzioni del primo Medioevo poiché già agli inizi del VII secolo Papa Bonifacio IV lo trasformò in una chiesa.
È il solo edificio dell'antica Roma ad essersi conservato intatto e in uso per scopi religiosi fin dall'epoca della sua fondazione. Per molti secoli il Pantheon rappresentò un vero e proprio enigma dell'architettura, non soltanto in merito alle tecniche di costruzione, ma anche relativamente all'artefice che si occupò di realizzarlo. Non ci sono pervenute testimonianze che rivelino l'identità del misterioso architetto di questo monumento, ma secondo gli studiosi si tratta dello stesso imperatore Adriano. Adriano favorì l'arte, essendo un intellettuale amante delle arti figurative, della poesia e della letteratura.
Anche l'architettura lo appassionava, tanto che realizzò diversi progetti di cupole. Quindi è plausibile che abbia dato un contributo anche per la costruzione del Pantheon. Ma secondo fonti storiche, l'architetto investito dell'incarico era Apollodoro di Damasco, il costruttore del Foro Traiano. Dione Cassio narra che Adriano, infastidito dall'atteggiamento di superiorità di Apollo d'Oro nei suoi confronti, sarebbe arrivato al punto di esiliarlo e poi farlo uccidere. Apollo d'Oro era un architetto affermato e non prendeva nemmeno in considerazione le proposte dell'imperatore.
Il progetto era stato affidato ad Apollodoro, Apollodoro però non volle apportare delle modifiche suggerite da Adriano e allora probabilmente per questa ragione Adriano lo fece uccidere, insomma lo costrinse ad uccidersi. Nel 138 d.C., otto anni dopo la misteriosa scomparsa di Apollodoro di Damasco, Adriano morì per cause naturali all'età di 62 anni. Nel corso del suo regno, durato due decadi, erano state realizzate molte opere pubbliche ed erano sorti numerosi monumenti a Roma e nelle province dell'impero. Ci volle quasi un secolo prima che uno dei suoi successori desse un nuovo stimolo all'architettura romana. Caracalla diede nuovo lustro all'impero, ma allo stesso tempo lo trascinò verso la catastrofe.
Dopo la morte di Adriano, i suoi successori si alternarono al trono mantenendo il controllo dell'impero, che continuò la sua espansione in Europa, Africa e Asia minore. Roma sembrava sotto tutti gli aspetti invincibile. Il suo esercito forte e ben organizzato e i suoi colossali monumenti erano l'emblema del potere imperiale.
Un'ulteriore testimonianza furono i grandi complessi termali di Roma realizzati nel 212 d.C. per volere di Caracalla. Fin dalla sua ascesa al trono, questo imperatore dimostrò la sua indole corrotta, tanto che per ottenere il potere non esitò a uccidere suo fratello. Secondo la volontà di suo padre, l'imperatore Settimio Severo, Caracalla avrebbe dovuto regnare insieme al fratello Lucio Settimio Geta.
Ma tra i due non correva buon sangue e ben presto uno avrebbe eliminato l'altro. Caracalla colpì per primo. Caracalla uccise suo fratello sotto gli occhi della loro madre, un gesto che dimostra quanto fosse spietato e cinico. Egli ordinò poi che Jeta fosse completamente dimenticato.
Il suo nome e la sua immagine furono cancellati da ogni affresco e da ogni iscrizione. Caracalla voleva che non rimanesse letteralmente nessuna traccia di lui nella storia, ma evidentemente non ci riuscì. Il regno di Caracalla fu sanguinario. L'impero romano si trovò nuovamente a essere guidato da un tiranno privo di scrupoli che usò l'arma del terrore per mantenere il controllo sui suoi subiti.
Secondo la consuetudine romana, l'imperatore era considerato una divinità. Per questo Caracalla era convinto di avere tutte le facoltà attribuite agli dèi, compresa quella di togliere la vita. Caracalla volle lasciare a Roma un monumento che testimoniasse la sua grandezza, così come avevano fatto Vespasiano con il Colosseo, Traiano con il Foro e Adriano con il Panteon. Voleva dimostrare di essere un grande imperatore, migliore di tutti i suoi predecessori, compreso il padre Settimio Severo.
Le terme di Caracalla costituirono uno dei più importanti esempi di complessi termali costruiti in epoca imperiale, famose per le numerose statue e i mosaici che le abbellivano. Le terme non erano semplicemente dei bagni pubblici, erano parte integrante della vita quotidiana per i romani. Le terme erano frequentate da tutti, da giovani, vecchi, ricchi, poveri, in una grandissima libertà e promiscuità.
Magari promiscuità forse non può essere applicata a uomini e donne, c'erano orari diversi per la frequentazione femminile e per la frequentazione maschile. Ma comunque le terme erano il luogo di ritrovo di tutta la popolazione perché oltretutto erano gratuite. Non si pagava nulla per andare alle terme. Quando si finiva la giornata lavorativa, si andava alle terme. Qui ci si poteva rilassare, lavare o fare la manicure.
Ma alle terme si poteva anche discutere di politica e praticare esercizi ginnici, secondo il motto «Mens sana, incorpore sano». Il percorso termale prevedeva di alternare bagni caldi e freddi, sempre immersi in un ambiente finemente decorato. Ma la cosa più straordinaria... e che tutti i cittadini, indipendentemente dal ceto sociale, potevano beneficiare di questa confortevole struttura. Le terme di Caracalla potevano accogliere più di 1500 persone.
L'edificio aveva infatti misure imponenti. Era circondato da una recinzione che racchiudeva aree verdi, mentre sul lato di fondo c'era uno spazio semicircolare coperto, munito di gradinate per nascondere le enormi cisterne della capacità di 80.000 litri. Ai lati si trovavano due sale adibite a biblioteche. In una serie di enormi sale si trovavano piscine altrettanto grandi, alcune di dimensioni quasi olimpioniche.
Le diverse vasche avevano differenti temperature. C'erano sale da bagno private, ma anche spazi comuni dove si poteva conversare tranquillamente. L'accesso al corpo centrale avveniva tramite quattro porte che immettevano in un ambiente quadrato che fungeva da spogliatoio. Da qui iniziava il percorso. Una prima stanza rettangolare era il laconicum, ovvero il bagno turco, punto di passaggio che collegava al calidarium, una grande sala circolare con una grande vasca di acqua calda.
Il percorso continuava nel tepidarium, un ambiente più piccolo e temperato, e nel frigidarium, il salone centrale munito di vasche di acqua fredda. Il bagno terminava nella natazio, una piscina all'aperto. Le terme di Caracalla testimoniano le grandi abilità tecnico-costruttive raggiunte dagli architetti romani. Molti altri imperatori fecero erigere terme e bagni pubblici, ma nessuno poteva essere paragonabile a questo complesso unico nel suo genere. Gli schiavi impiegati lavorarono incessantemente per completare le terme nel più breve tempo possibile.
I bagni furono pronti in cinque anni, grazie alla numerosa manodopera che lavorò giorno e notte. Si stima infatti che alla costruzione presero parte quasi 10.000 uomini. Per trasportare l'acqua fino al complesso termale fu creato anche un ramo speciale dell'acqua marcia, uno dei grandi acquedotti di Roma.
Esso venne chiamato acqua antoniniana dal vero nome di Caracalla, Marco Aurelio Antonio. Le terme sono un miracolo di ingegneria idraulica, con il frigidarium, tepidarium, calidarium, che con diverse gradazioni della temperatura dell'acqua e dell'ambiente permettevano appunto di creare queste situazioni di benessere per l'utente. Per riscaldare l'acqua delle piscine si utilizzavano delle fornaci posizionate sotto le stesse vasche.
Ne furono costruite almeno una cinquantina. I pavimenti delle terme coperti di mosaici demarcavano fisicamente un divario sociale. I romani stavano sopra, a bagno nella quiete delle grandi sale riccamente decorate. Gli schiavi stavano sotto a faticare per tenere vivo il fuoco che serviva a scaldare l'acqua.
Era questa la differenza tra i liberi cittadini che godevano di tutti i diritti riconosciuti dalla legislazione romana e gli schiavi che invece non avevano alcun diritto. Le terme di Caracalla vennero inaugurate nel 217 d.C. Furono una delle ultime grandi costruzioni di epoca romana in cui è visibile tutta la maestria e il talento degli architetti dell'impero.
Questa monumentale costruzione riassume perfettamente in sé le competenze acquisite dai romani nel corso dei secoli. Ad esempio la capacità di realizzare opere in muratura, ma anche di scolpire giganteschi blocchi di marmo. Furono impiegate anche tutte le conoscenze di ingegneria idraulica acquisite con la costruzione di canali e acquedotti.
Inoltre, sfruttarono la grande esperienza nell'utilizzo dei materiali e delle tecniche costruttive per gestire al meglio gli spazi architettonici. Il grandioso complesso termale voluto dall'imperatore lo rese molto popolare. Tuttavia, non si può affermare lo stesso del suo regno. Oltre a dover sostenere i costi di costruzione delle terme, le casse dell'impero furono ulteriormente prosciugate dalle campagne orientali nei territori della Partia e dell'Armenia. Caracalla, infatti, desiderava legare il suo nome a grandi conquiste, come avevano fatto molti dei suoi predecessori.
L'imperatore invece andò incontro al suo destino. Nel 217 d.C. infatti fu assassinato dalle sue stesse guardie mentre si trovava con il suo esercito in quelle regioni. Ebbe così fine il suo breve regno del terrore. In quello stesso anno un incendio di vaste proporzioni distrusse il Colosseo.
Era un periodo di grave crisi per tutta Roma. Il grande anfiteatro sarebbe stato ricostruito a distanza di vent'anni, ma l'impero invece non si sarebbe mai ripreso. Le epoche gloriose che contrassegnarono il regno di Augusto, Vespasiano e Traiano erano solo un lontano ricordo. Da quel momento in poi, l'impero romano iniziò un lento ma inesorabile declino che ne avrebbe decretato l'inevitabile fine.
Sono stati scritti fiumi d'inchiostro su come e perché sia cominciato il declino dell'impero romano. Le ragioni sono state molteplici, dalla decadenza dell'aristocrazia corrotta a quella dell'esercito. L'impero si estendeva su ben tre continenti. Governare un territorio così vasto era un'impresa ardua. Il crollo fu la naturale conseguenza dell'espansione.
Nel V e VI secolo d.C. i barbari riuscirono a valicare i confini imperiali spingendosi fino a Roma, che fu ripetutamente saccheggiata. Nel 537 d.C.
il re Ostrogoto Vitige distrusse gli acquedotti della grande urbe e le terme cessarono di funzionare. Senza acqua corrente, la capitale fu messa in ginocchio. La popolazione senza risorse idriche non riuscì a sopravvivere a lungo. Da più di un milione di abitanti si ridusse a 12.000 in pochi anni. Con le invasioni barbariche, Roma fu decimata e quasi rasa al suolo.
Ciò che è rimasto delle grandi opere opere romane costituisce ancora oggi, a distanza di secoli, una fonte di ispirazione preziosa per ingegneri e architetti. Con le moderne tecnologie oggi realizziamo progetti straordinari, ma se non avessimo Se non avessimo la tecnologia, certo non riusciremmo a fare quello che riuscirono a realizzare i romani. Non potremmo mai costruire una cupola come quella del Pantheon senza un computer e non saremmo in grado di spienare un intero colle senza macchinari. Gli antichi romani, attraverso l'esempio di imperatori come Cesare, Nerone e Caracalla, hanno lasciato in eredità un'importante lezione. La stessa cieca ambizione che guida il progresso è anche la fonte primaria di ogni rovina.
I grandi imperatori romani seppero nutrire le proprie ambizioni, suscitando ammirazione e allo stesso tempo ostilità e disprezzo. I grandi imperatori dell'antica Roma governarono usando violenza, macchiandosi di sangue e compiendo crimini e delitti. Ma le opere e i monumenti che ci hanno lasciato sono la prova tangibile non soltanto del grado di civiltà da loro raggiunto, ma anche dell'infinito potenziale della natura umana.