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URobert Johnson: Leggi e verità della musica

Le sei corde tese di una chitarra scordata, un giovane ragazzo di colore con le sue lunghe dita ossute e un crocevia, il luogo in cui centinaia di miglia si incontrano in un punto, nello spazio e nel tempo, sul delta del Mississippi, in un'America che sta cambiando. Robert era un bluesman. Robert una notte incontrò il diavolo.

Il re dei dannati prese la chitarra del giovane, accordò lo strumento e prima di renderglielo strinse un patto. Robert quella notte barattò la sua anima, in cambio Satana gli concesse il talento, il dono, il rincorrersi tra abilità tecnica e genio espressivo, la splendida, spettacolare dannazione di diventare voce di una generazione. La vicenda di Robert Johnson, il chitarrista che vendette l'anima al diavolo, ha inizio poco meno di un secolo fa. Era la fine degli anni venti, del novecento, Johnson era considerato un obo, anzi era un obo, ovvero un ragazzo spesso nero, che viveva senza fissa dimora, sopravvivendo di espedienti e spostandosi, saltando sui carri merci, delle infinite tratte ferroviarie degli States. Erano gli anni della segregazione razziale, erano si trascorsi decenni da Abramo Lincoln, la guerra di secessione e dalla modifica al 14esimo emendamento che di fatto liberò gli schiavi in America, ma la condizione degli afroamericani era ancora molto precaria.

Robert Johnson non era un idealista, ma non aveva assolutamente voglia di spaccarsi la schiena nei campi di cotone, come molti afroamericani era cresciuto in una famiglia allargata, a Memphis, sotto il tetto di Charles Dudes Spencer. L'uomo che chiamava papà, ma che con il quale effettivamente non aveva assolutamente nessun legame di sangue. Charles era il secondo marito di Julia Dudes, la madre di Robert, che un giorno decise di andare via, lasciando lì a Memphis il figlio con altri dieci ragazzini, frutto di relazioni e matrimoni di Charles Dudes.

Lo si può chiamare disilluso, ma forse Robert Johnson era solamente realista. e sapeva bene che la sua esistenza, una vita che contava poco, non avrebbe mai avuto alcuno sbocco. Anche la musica e il blues del delta del Mississippi non erano un'opportunità di riuscire o una possibilità di rivalza dalla condizione dei neri d'America, ma semplicemente il grido di dolore di un popolo, un modo di essere e di vivere, un abito con i polsini logori e il colletto annerito dalla polvere e dal sudore, le tasche con un fondo di tabacco e la cravatta macchiata di whisky.

Il Robert di prima. il ragazzo nato ad Hazelhurst, nel Mississippi, il vagabondo che veniva da Memphis, era un pessimo musicista, sapeva a malapena suonare l'armonica, ma con la chitarra, detta di molti, era totalmente negato, una frana, ma poco importa, vive di espedienti, giorno dopo giorno raccimo le pochi dollari che puntualmente spende in alcol nei fienili, che al calar della sera, come o forse anche più dei locali di città, diventano i templi del blues, del vero blues dei neri. Tra le sbronze notturne e le fughe sui treni merci al mattino, Robert trascorre la vita.

Qualcosa cambia, o forse avrebbe pensato che sarebbe cambiata, quando sposa la giovane Virginia Travis, del quale è molto innamorato. Trascorre quasi un anno, forse ora, guardandosi indietro, l'anno migliore della vita di Robert E il 1930 è l'amata Virginia in travaglio, ma qualcosa non va Virginia non ce la farà e così muore, aveva solo 16 anni E porterà con sé anche la bellissima bambina mai nata di Robert Robert, 19 anni, forse sopraffatto dalla vita e dal dolore, sparirà dalla circolazione Per un uomo, un vagabondo, come ce n'erano a migliaia, non è nulla di strano Ciò che è strano è che al suo ritorno il pessimo musicista, solo dopo alcuni mesi, sembra aver acquisito una tecnica nel suonare la chitarra più che sopraffina. Padroneggiava le scale che caratterizzava con un particolare strisciato slide ed era ora in grado di riprodurre qualsiasi cosa gli venisse chiesto ed improvvisare qualsiasi genere, dal gospel alla polca.

Ma questa è solo la punta dell'iceberg. La tecnica è tecnica, mentre Robert sembra essere tornato dotato anche di una sua poetica, un suo modo di interpretare il dolore, non solo del suo popolo. Attraverso la musica e testi cantati con la voce più struggente che il mondo avesse mai udito, canta la condizione dell'uomo moderno in un divenire di insensato progresso ed irrimediabile perdita d'identità.

Una mente giovane, in un corpo già stanco che a malapena sorregge un completo di una taglia più piccolo ma al contempo dotato di una forza vitale, benedetta non si sa da quale divinità. Robert Johnson diventa il blues, il blues è Robert Johnson, una musica che si arriva all'anima ma attraversando tutte le budella, rimescolate da scossa dopo scossa dal triste rugito di un talento battezzato da Satana in persona. Sì esatto, perché questa è la leggenda, una leggenda che vede Robert Johnson incontrare il diavolo una notte in un crocevia, il quale non è un semplice incrocio stradale, ma il luogo in cui centinaia di miglia che attraversano sconfinati deserti e immense pianure incontrano un'altra strada.

Tutto ciò ha sicuramente un intrinseco valore emotivo che trascende nella spiritualità e diventa metafora dell'esistenza di un uomo solitario, che di quando in quanto si trova materialmente e moralmente ad un bivio. In quel bivio Robert scelse il diavolo e il diavolo incontrò Robert. La connotazione romantica della vicenda sta proprio nel fatto che il giovane vagabondo non scelse direttamente e esplicitamente la ricchezza e o la fama, ma bensì il talento artistico. Questa storia non ha tutti i riferimenti e i dati contestuali che potrebbero dargli consistenza.

Appunto per questo è relegata a leggenda che lo stesso Robert Johnson non ha mai voluto smentire, anzi forse in alcuni casi addirittura alimentato. Al patto demoniaco si contrappone la tesi che racconta di un Robert che avrebbe trascorso i mesi della sua fuga come discepolo di un bluesman di nome Ike Zinneman, un personaggio di cui si sa poco e niente, se non che la sua peculiarità era l'abitudine di suonare la chitarra di giorno e di notte all'interno di cimiteri. Sarebbero i mesi trascorsi con lui che avrebbero trasformato Robert Johnson nel musicista formidabile che tutti oggi conosciamo. Il Robert di dopo, il chitarrista tornato nel delta del Mississippi, quella striscia di terra tra Louisiana e Arkansas bagnata dall'omonimo fiume.

Un talento ed uno stile mai sentiti prima. Forse a qualcuno può bastare questa spiegazione a smontare le dicerie sul patto col diavolo, ma ogni musicista o appassionato di musica vi potrà confermare... che non è mai esistito e non esisterà mai qualcuno che fino ai 19 anni era una frana e avventi il più grande chitarrista vivente, fa eccezione ovviamente Johnson. Il talento artistico è sì un dono, ma è strettamente correlato allo sviluppo mentale e si evince già nell'infanzia o alle volte nella prima adolescenza. Anche se l'improvviso talento di Robert è l'unico dato a sostegno della versione leggendaria del patto col diavolo, c'è da riconoscere che è molto più consistente di quanto si possa immaginare anche perché ad un'improvvisa maturità tecnica e artistica non segue un cambiamento caratteriale del giovane il quale è ora famoso e richiesto da tutti i ritrovi blues da Memphis a Wittgenburg Seguiranno gli anni velocemente uno dietro l'altro in cui Robert Johnson non farà altro che suonare facendo sfoggio della sua arte, ogni notte ubriacandosi e facendo il filo alle donne, aggiungendo alla sua fama di grande bluesman quella di donnaiolo.

È a Ernie Hurtle, sconosciuto ma sicuramente abilissimo talent scout, che dobbiamo la discografia di Robert Johnson. Tra il 1936 ed il 1937 gli farà incidere 29 tracce, in 5 sessioni avvenute tutte in stanze d'albergo, improvvisate a sala studio. Robert registrerà tutti i brani, cantando e suonando la chitarra, senza accompagnamento e senza sovrascritture delle tracce sulla pista. Farà tutto da solo, in un unico colpo, seduto su una sedia, con microfono e faccia rivolti all'angolo della camera d'albergo.

come a celare l'oscura magia che sorreggeva il suo immenso genio. Decenni dopo, quando Kate Richards ascolta per la prima volta questi brani, domanderà chi fosse l'altro chitarrista ad accompagnare Johnson, ma come ben sappiamo non c'era nessun altro chitarrista. Robert ha ormai raggiunto la fama, è richiesto da tutti i locali di musica blues e ormai veste solo abiti puliti e scola le migliori marche di whisky.

ma sarà proprio la sua indole lasciva e non curante a condurlo precocemente alla tomba. Si racconta infatti di quando in una calda sera d'agosto del 1938 Robert stava suonando al Triforce, a 15 miglia da Greenwood e le sue pesanti avance alla moglie del gestore del locale non passarono inosservate al pubblico e allo stesso marito della donna, il quale avvelenò una delle bottiglie di whisky del musicista. Dopo due giorni e due notti di dolori lancinanti trascorsi da solo in una camera d'albergo, Robert Johnson fu ritrovato cadavere.

Era il 16 agosto del 1938. Quel giorno finì la vita ed iniziò la leggenda del più grande bluesman mai esistito. Oltre la sua personale dannazione, Robert Johnson, quel 16 agosto, inaugurò quello che con spirito macabro verrà definito il 27 Club, ovvero quel ristretto gruppo di grandi rock star e artisti deceduti alla giovane età di 27 anni. Un club che ha nove ranomi come...

Brian Jones, Jimi Hendrix, Jim Morrison, Charles Cobain, fino alla più recente Amy Winehouse. Più che dei tratti paranormali, questa storia è interessante per il suo carattere romantico e narrativo, una storia che dipinge una parte d'America calcata, anche spesso, dai grandi romanzieri statunitensi, dall'inizio del secolo fino alla Big Generation, ma questa volta la comunità nera non è lo sfondo, lo scenario funzionale a qualcos'altro, ma l'assoluta protagonista. Se Robert Johnson ha incontrato il Principe delle Tenebre, questo non è dato saperlo.

Ma se nella sua musica, quei 29 brani giunti fino a noi, c'è parte della sua anima, questa di sicuro è stata giocattolo tra le mani di piccoli diavoli. Quando, negli anni 60, i parenti di Johnson vennero a conoscenza del dilagante successo del loro congiunto ormai morto da anni, scoprirono anche che gli enormi introiti, milioni se non miliardi di dollari, anno dopo anno venivano risucchiati dai bianchi proprietari delle etichette musicali. Amministratori delegati di origine anglofona che senza sapere nulla di musica o altro stavano godendo dell'arte frutto del dolore e della dannazione di un uomo e del suo popolo. Chi ti ha insegnato a odiare la colorazione del tuo pelle, a tal punto che ti blecchi per diventare come il bianco?

Chi ti ha insegnato a odiare la forma del tuo naso e la forma dei tuoi orecchi? Chi ti ha insegnato a odiare la tua stessa? Da quel momento si aprì una disputa legale che con tutti i mezzi possibili cercava di negare i diritti d'autore ai legittimi ereditari.

Ma questa è un'altra storia, un altro tipo di dannazione, forse più concreta, ma proprio per la sua materialità tangibile, vana, sfuggente ed insulsa. Poiché come l'Eden affondò nel dolore, così oggi affonda l'aurora. Niente che sia d'oro resta.