benvenuto a tutti i video ascoltatori d'italia medievale oggi abbiamo un saggio molto interessante dal titolo dante guida alla vita nuova di roberto rea appena pubblicato da carocci 112 pagine per soli 12 euro e quindi un prezzo invogliante sicuramente e io sono molto contento di avere con noi il professor Rea, autore di questo saggio che ci parlerà di questa vita nuova mi pare di capire, di ricordare, reminescenze liceali un poemetto, un libello scritto prima che iniziasse l'avventura della Divina Commedia quindi molto interessante io le lascio subito la parola a lei professore Grazie, grazie naturalmente per l'invito. Allora, sì, diciamo che fino all'inizio del primo decennio del Trecento Dante doveva sostanzialmente la sua fama a un libretto che lui aveva composto quasi venti anni prima. E questo libretto è appunto La vita nuova, che è un racconto in prosa, la storia del suo amore per Beatrice. in cui lui però inserisce, come in un'antologia lirica, i componimenti scritti per la stessa Beatrice nei dieci anni precedenti. E nonostante naturalmente non sia paragonabile per estensione, per propositi, per spessore, insomma anche per problemi interpretativi alla commedia, al grande capolavoro dantesco e della letteratura occidentale, La vita nuova, quando apparve sulle scene a Firenze all'inizio degli anni 90, non sappiamo precisamente quando Dante l'ha scritta, probabilmente io penso, io ritengo tra il 93 e il 94, però altri studiosi suppongono invece una datazione anche più vicina diciamo alla metà degli anni 90, quindi 95-96.
Fatto sta che quando... compare sulla scena, La vita nuova dovette apparire come un libro profondamente rivoluzionario. Ed era un libro rivoluzionario, era un libro senza precedenti in primo luogo per la scelta del volgare.
Dante non solo adotta naturalmente il volgare nelle liriche che aveva già composto, ma l'adotta anche per la prosa. che fa un po'da collante narrativo a queste liriche, ricostruisce le occasioni in cui nacquero queste liriche, ma rivendica esplicitamente nel corso della narrazione la sua scelta del volgare. Lui dice esplicitamente che il suo proposito ad un certo punto, lo dice in un punto peraltro cruciale della storia, perché lo dice quando annuncia la morte di Beatrice. In quell'occasione ci... Rende noto che lui ha scritto una lettera ai principi della terra, lui dice, da intendersi verosimilmente come i principali, i notabili, i principali cittadini di Firenze, ma c'è chi intende diversamente.
Comunque lui dice che lui non riporta questa lettera nel libello perché è in latino, come era alla prassi del tempo, le lettere ufficiali si scrivono naturalmente in latino. E c'è che il suo proposito, condiviso peraltro dal... primo amico Guido Cavalcanti, era che lui scrivesse esclusivamente il volgare, quindi decide di non includere i contenuti di questa lettera nel libello. Quindi questa è una rivendicazione molto forte perché comunica da parte di Dante una consapevolezza che poi lui andrà rinsaldando nel corso della sua carriera letteraria e intellettuale. Perché?
Perché poi... La sua difesa del volgare diventerà ancora più esplicita nel Convivio, il trattato filosofico, il completo interrotto, in cui lui esplicitamente spiega che vuole divulgare, in poche parole, la conoscenza, la filosofia, ad un pubblico più ampio possibile. Per fare questo lui deve usare il volgare, perché non tutti, anzi pochissimi, conoscono il latino.
L'importanza del volgare poi è ulteriormente ribadita nell'altro trattato dantesco di quegli anni. grossomodo nella seconda metà, insomma tra il 1304 e il 1308 con questi trattati, con l'altro trattato di quegli anni che è il De Vulgari Eloquenzi. Il De Vulgari Eloquenzi è scritto naturalmente in latino, ma ha come contenuto proprio il Volgare, ovvero è un libro in cui lui si propone di individuare quello che lui chiama come il Volgare illustre, cioè un Volgare sovra-regionale, un Volgare nazionale, cui tutti potessero fare riferimento.
Anche questo trattato è incompleto, ma è un trattato che nelle parti che ci sono giunte è decisamente sorprendente, perché Dante dimostra una conoscenza di quella che oggi chiamiamo linguistica e anche dialettologia dell'Italia davvero straordinaria. ci sarà alla Commedia, dove Dante non solo promuove il primato del volgare, ma di fatto inventa, costruisce quello che diventerà poi la lingua italiana, la nostra lingua italiana, quindi lì non si tratta soltanto di un'operazione teorica, ma si tratta proprio di una costruzione dal basso, di una creazione di uno straordinario vocabolario che poi, grazie proprio al prestigio del poema sacro, riesce appunto a rinforzare. ad affermarsi, anche se sappiamo che la nostra storia linguistica è molto accidentata, perché in sostanza finché non avremo una nazione non potremo avere una lingua nazionale vera e propria.
Tornando quindi alla prima grande novità della vita nuova, la prima scelta senz'altro innovativa è quella del volgare e della difesa del volgare. L'altra scelta fondamentale del libello... sta proprio nel suo impianto di fondo, ovvero una cosa che a noi può apparire tutto sommato non così geniale, insomma, riunire le proprie liriche giovanili e inserirle all'interno di una narrazione che orienta anche sul piano narratologico, sul piano anche ideologico, volendo quelle liriche.
E invece è una cosa straordinaria perché nessuno lo aveva fatto prima, non solo nessuno ovviamente aveva inserito le proprie liriche all'interno di una storia narrata. ma nessuno aveva raccolto le proprie liriche, per quanto ne sappiamo almeno, in un semplice canzoniere. Questa idea di raccogliere le proprie poesie in una raccolta nella quale il lettore, anche seguendo semplicemente il filo narrativo implicito nelle singole poesie, ricostruisce una storia, quello che in poche parole farà poi Petrarca, Dante è il primo a farlo, nel senso che... Di questi poeti duecenteschi non abbiamo dei veri e propri canzonieri prima di Dante, prima della vita nuova di Dante.
Quando noi, ad esempio, un altro poeta a me molto caro, di cui mi sono occupato, è un amico di Dante, che è Guido Cavalcanti, se noi andiamo e compriamo in libreria il volume delle rime di Cavalcanti, quello non è il volume che lui ha costruito, quello è il volume che ha costruito l'editore contemporaneo. mettendo insieme le poesie che ha trovato in diversi manoscritti alternate a poesie di altri poeti. Perché almeno i grandi canzonieri antichi erano delle grandi sillogi dove si trovavano organizzate con criteri a volte riconoscibili, a volte no, a volte coerenti, a volte no, le poesie dei singoli poeti.
Quindi l'idea di fondo di scegliere, di fare un'antologia, dei propri componimenti e di raccoglierla, addirittura di aggiungere, di integrarla in una narrazione, è pure questa un'idea nuova. E per fare questo c'è un altro fondamentale principio che Dante afferma e che poi caratterizzerà tutta la sua opera, che è quello dell'autobiografia. Dante, come ci sta scrivendo, la vita nuova è un'opera autobiografica. protagonista che dice io e racconta la sua vicenda giovanile, il suo amore per Beatrice.
Ecco, un'affermazione così forte dell'io è sicuramente qualcosa che non c'è prima in questi termini e anche questo è qualcosa che verrà poi codificato da Petrarca con il canzoniere, con il Rerum Vulgarium Fragmentum. però ecco questa forte istanza autobiografica che poi è tipicamente gandantesca perché poi è anche la commedia è una storia, se vogliamo, autobiografica. È sempre Dante il protagonista, il viator, il pellegrino che attraversa i tre regni ultramondani.
E quindi anche questo, il grande predecessore, però qui bisognerebbe aprire un discorso che non apriremo, sono naturalmente il grande precedente, sono le Confessioni di Agostino, che però è un'opera molto precedente e molto molto diversa, che tra l'altro non include liriche. E terza e ultima grande novità del libello dantesco, ultima in senso macroscopico, perché poi Dante è una continua novità, se prendiamo un singolo componente, un singolo sonetto, troviamo innumerevoli innovazioni rispetto alla tradizione precedente. Però così, volendo individuare dei nuclei portanti del libello, l'altra grande novità è data sicuramente... proprio dall'idea di amore che Dante matura, viene da dire così come lui ce lo presenta, ma che in realtà inventa nella vita nuova.
E qui bisogna aprire un discorso che guarda un po'indietro per prendere a pieno la novità dantesca. Perché? Perché che cos'era l'amore nel Medioevo, nella tradizione cortese, quindi dai trovatori nella Provenza dell'undicesimo secolo fino a...
ai siciliani e alla poesia dello Stilnovo. L'amore, sostanzialmente la lirica d'amore, è una poesia rivolta alle donne. Qui c'è una cosa molto interessante che ci dice anche l'alta consapevolezza che sempre Dante ha anche sul piano storiografico.
Nel senso che lui sempre nella vita nuova ci dice a un certo punto, proprio parlando del volgare, delle ragioni del volgare, Lui dice che i poeti provenzali, trovatori, iniziarono a comporre queste poesie in volgare perché il poeta parlava alla donna, alla propria donna, e lui dice che le donne erano maleggevoli a conoscere il latino, ovvero non conoscevano il latino, quindi se uno scriveva una poesia d'amore ad una donna non poteva scriverla in latino perché naturalmente non avrebbe capito, non lo conoscevano perché naturalmente non avevano l'accesso al sistema dell'istruzione che avevano gli uomini. Ecco, ed era esattamente questo. Poi è una semplificazione che potrebbe quasi farci sorridere, ma in realtà Dante ha colto un punto essenziale che riguarda l'origine della poesia trobadorica, che è una poesia che non è solo rivolgersi a una donna, ma ci sono motivi sociali, storico-sociali, ovvero era quello di intrattenere una corte che era composta soprattutto da donne e dove il latino ormai era, la conoscenza del latino era ristretta. gruppo minimo, insomma, i componenti di quella corte. Allora, quindi che cos'era la poesia d'amore?
Come si giustificava nella tradizione medievale la poesia d'amore? Era una richiesta di guiderdone, quello che nel lessico feudale, che è alle basi di questa poesia, si chiama il guiderdone, cioè la ricompensa amorosa. Il poeta chiede alla donna che ricambi il suo amore.
La metafora feudale che è dietro questo... Questa richiesta è molto evidente, il poeta si professa servo della donna, questo è il servizium amoris di origine ovidiana, la donna appunto viene da domina, signora, perché è in una posizione più elevata rispetto al poeta, può concedere o meno appunto questa ricompensa, questo guiderdone, in cambio del quale il poeta professa, dichiara la sua assoluta fedeltà. Naturalmente questo guiderdone può variare, può essere un semplice segno di benevolenza, un'amicizia, un concedersi vero e proprio.
Questo importa anche poco, perché la struttura ideologica è quella della poesia come richiesta di amore, richiesta di ricompensa amorosa. Dante nella Vita Nuova invece ci racconta qualcosa, una sua scoperta a un certo punto straordinaria. Nel momento in cui lui perde il saluto di Beatrice, lui entra in crisi.
Ora il saluto di Beatrice è il guiderdone cui Dante aspirava, il famoso saluto, il gioco di parole, saluto, salvezza, gli effetti salvifici. Sembra una cosa anche questa straordinariamente nuova, in realtà non lo è, negli aspetti meno innovativi, perché cambia lo strumento, ma il disegno ideologico è lo stesso dei trovatori. Io scrivo poesie per una donna chiedendolo in cambio qualcosa. Questo contraccambio nel caso di Beatrice è il saluto, il suo saluto, è un cenno di benevolenza che premia, per così dire, l'amore del poeta. Quando Dante perde questo saluto, Entra in crisi, una crisi da cui non riesce a uscire.
Inizia a scrivere delle poesie, questa è la fase cosiddetta cavalcantiana, cioè che sono semplicemente autoreferenziali, che continuano a dichiarare la propria condizione di angoscia, di sofferenza, a rianalizzare sul piano psichico e anche fisiologico un dolore amoroso che è insostenibile e così via. A un certo punto Dante si rende conto che questa cosa... Non funziona più, non ha senso continuare a scrivere poesie in questo modo. E lui dice, e quindi decide di tacere, cioè di non scrivere più poesie perché era una via senza uscita. Questa crisi porta alla scoperta innovativa, una concezione radicalmente diversa a quella precedente.
Come ci arriva Dante? Ci arriva, lui costruisce, siamo nel capitolo diciannovesimo, che è quello centrale della vita nuova. in cui lui costruisce un dialogo con una donna gentile, un'amica libriatrice per così dire, che gli domanda chiaramente che senso ha se tu non riesci a sostenere la sua presenza, qual è il fine del tuo amore, della tua poesia.
Lui dice no, ma io voglio semplicemente lodare questa gentilissima. Lei dice beh, ma mi sembra che tu abbia fatto altrimenti, parlando soltanto di te. E a un certo punto lui capisce, inizia ad aprirsi nella sua mente una... possibilità completamente diversa, una possibilità quasi miracolosa, e lui la presenta come qualcosa di miracoloso.
Lui dice che la poesia che inaugura quella che poi noi conosciamo come lo stile della Lode, la sua poesia più celebre se vogliamo, e più importante della vita nuova, che è Donne che avete intelletto d'amore, lui dice che la lingua parlò come per se stesso mossa, come fanno i profeti biblici. Quindi un'ispirazione che viene dall'alto. e da dentro di sé, ed è la stessa ispirazione a cui lui poi si richiamerà in Purgatorio, quando incontrerà Buonaggiunta e la Lucca nel 24ese del Purgatorio, alla domanda, no ma voi siete, Buonaggiunta gli chiede, lo riconosce, tu sei quello che ha scritto donna che avete intelletto d'amore, e lui risponde con una strana autodefinizione, che altro non è una ripresa di quello che aveva detto nella vita nuova, lui dice, io mi sono un che quando amor mi ispira noto.
e a quel modo che è detta dentro vuol significare. Si presenta come scriba amoris, come uno scriba di amore, cioè di Dio. Dice io non faccio altro che scrivere, che riportare ciò che amore mi detta dentro, che è come la lingua per se stesso mossa proprio di donne che avete, che buona giunta vi ha citato. Ora, quindi qual è la novità?
La novità è proprio questa, che questa nuova poesia non chiede più nulla in cambio. non chiede più alcuna ricompensa amorosa, è paga di sé, è un amore pago di sé, è un amore che ha in sé la propria giustificazione, ha in sé la propria felicità, ha in sé la propria realizzazione. Quindi la poesia trova la sua perfezione non nella richiesta amorosa, ma nella lode della donna, una lode che è infinita e di fronte alla quale la poesia sarà sempre inadeguata.
ma la sua poesia trova una nuova ragione d'essere in un amore, ripeto, autosufficiente, pago di sé e per questo potenzialmente infinito, perché la lode di Beatrice è infinita. E quest'amore non ha più niente a che fare con l'amore cortese, con tutta l'ideologia feudale del guidardone, del contraccambio, del saluto, perché Dante ce lo dice esplicitamente, lui dice io decisi di riporre la mia beatitudine. in quello che non ci può venire meno, cioè in qualcosa che è inesauribile, mentre il saluto era venuto meno, perché glielo aveva tolto Beatrice quindi c'è questo amore che è dentro di sé, che è in sé la sua perestruzione non può in nessun modo venire meno, è inesauribile e un si fatto amore, un amore così concepito è un amore che assomiglia molto alla caritas cristiana all'amore per Dio, all'amore della mistica cristiana, che è un amore inesauribile e pago di sé, che non chiede nulla in cambio, così come l'amore di Dio non chiede nulla in cambio, ma in sé la propria ragione, la ragione d'essere.
Quindi questa è appunto l'altra grande invenzione dantesca della vita nuova. Questo è importante forse aggiungere, che quest'amore è talmente autosufficiente, talmente pago di sé, che quando Beatrice morirà, perché come sappiamo ad un certo punto, precisamente l'8 giugno del 1290, Beatrice muore. l'amore le può sopravvivere. Dante continuerà ad amare Beatrice nello stesso identico modo in cui l'aveva amata quando aveva scoperto questa possibilità.
Dante potrà continuare a scrivere poesie perché Beatrice poi non interagisce più con Dante dopo la perdita del saluto. Quindi nel momento in cui Dante, con la poetica della Lode, scopre questo amore autosufficiente, lui non ha più nessun contatto con la Gode. Quando Beatrice muore non cambia nulla, per così dire, per lui da questo punto di vista.
Cioè il sentimento che ha maturato è così forte, così autonomo, che resiste, anzi si sublime ancora di più con la morte della gentilissima. e naturalmente subentra anche una poetica a quel punto dolorosa, perché è una perdita di per sé insostenibile, però è una perdita che contribuisce poi a sublimare ancora di più quella che è comunque la destinataria di quest'amore, che è la stessa Beatrice. In Donne che avere intelletto d'amore, Dante, fra le tante cose straordinarie che scrive, ne scrive qualcuna.
più che straordinaria, diciamo abbastanza temeraria, insomma abbastanza eterodossa. Lui immagina un dialogo in cielo fra gli angeli e Dio in cui gli angeli chiedono a Dio di chiamare Beatrice in cielo perché il cielo per poter essere perfetto deve avere con sé Beatrice. Il cielo non è perfetto finché non ha Beatrice. Questa sul piano teologico è un'eresia, qualcosa di insostenibile, che una creatura terrena o perlomeno... mandata comunque sulla Terra, non sia necessaria al Cielo, quindi a Dio per poter essere perfetta.
Quindi quando poi Beatrice, Dio, donne che avete, dice che non è ancora il momento, ma quando invece Beatrice morirà, questa sublimazione, questa sorta di ascesa celeste di Beatrice troverà finalmente compimento. E l'ultimo infatti sonetto, l'ultimo componimento della Vita Nuova, è un sonetto oltre la spera che più larga gira, in cui Dante immagina proprio che la sua anima, che il suo spirito, uno spirito, ascende ai cieli e giunga a contemplare la gloria di Beatrice, cioè Beatrice nella sua gloria celeste. Dopodiché Dante aggiunge qualcosa che tuttora sgomenta gli studiosi in conclusione proprio del libello, perché lui dice che scritto quel sonetto lui decide di non scrivere più nulla e decide di studiare, di fare tutto il possibile, di sforzarsi quanto più per poter dire di Beatrice quello che nessuno è mai stato in grado di dire. In questa conclusione molti hanno visto l'annuncio, per così dire, della commedia, anzi più che molti hanno visto il pensiero più immediato è un annuncio della futura commedia, che è un viaggio a Beatrice, è un viaggio verso Beatrice che poi a sua volta condurrà alla fine alla visione di Dio. In realtà questo non è possibile perché La vita nuova è stata scritta nel 1293-94, non è possibile.
possibile che Dante avesse già in mente la commedia, ma è possibile perché la commedia è tante altre cose. È innanzitutto un poema fortemente immerso nel momento storico-politico, è un poema da questo punto di vista che ha un messaggio fortissimo, che è quello imperiale, probabilmente la spinta decisiva alla nascita della commedia è data dalla sull'elezione sul trono imperiale di Enrico VII e dalla sua poi discesa in Italia. Quindi che 15 anni prima Dante potesse avere in mente già la commedia come noi la conosciamo, è davvero, poi a Firenze, Dante ancora chiaramente non era andato in esilio, che è un'altra chiave di volta per la commedia, anche per la lettura della commedia.
Quindi sicuramente non la poteva avere in mente come noi la conosciamo. poteva forse avere in mente un poema paradisiaco, chiamiamolo così, in lode di Beatrice, che poi nel tempo e negli anni è diventata una commedia come noi la conosciamo. Però c'è anche una differenza importante da dire, perché bisogna stare attenti a paragonare, nell'accostare. la vita nuova alla commedia, nel senso che è vero che c'è questa sublimazione celeste di Beatrice, ma lo sguardo di Dante, anche in quell'ultimo sonetto di cui vi dicevo prima, si ferma sempre a Beatrice, la contemplazione è di Beatrice, non è di Dio. L'amore che muove il sole e le altre stelle è tutto da venire, poche parole.
L'itinerario... della vita nuova, l'itinerario che ha il suo culmine, il suo punto di arrivo, sempre nella gentilissima Beatrice. Professore, che dire, è veramente intrigante, è un personaggio quest'anno poi col settecentesimo anniversario della morte, imperversa per ogni dove, ogni evento si richiama. anche troppo anche troppo però effettivamente è un personaggio eccezionale della nostra letteratura è il padre della lingua italiana mi sono sempre chiesto il volgare era così diffuso la gente parlava già un volgare molto simile a quello usato da Dante probabilmente innanzitutto la letteratura Diciamo che dobbiamo parlare inevitabilmente di volgari, plurale, appunto poi come Dante ci mostra lui stesso bene nella commedia, nel senso che c'erano enormi, grandi differenze, addirittura non solo che sopra un volgare siciliano e un volgare toscano che erano enormi, ma addirittura Dante, questo lo scrive lui nel De Vulgari, appunto diceva non solo al di qua, al di là dell'Appennino, lui dice Addirittura in due diverse quartiere, in due diverse strade di Bologna, si parlano due volgari diversi.
Quindi c'era una infinita varietà. Il grande problema è che naturalmente era una lingua che viveva nel parlato, quindi non era una lingua codificata, non c'era una grammatica codificata, non c'era un sistema grafico-fonetico codificato. Quello era il problema di scrivere il volgare.
Ancora oggi quando noi leggiamo questi testi, Io sono un filologo, quindi il mio primo intento, oltre l'interpretazione storico-letteraria, è quella proprio di ricostruzione del testo di Dante. Sappiamo che non abbiamo originali. I filologi sanno bene che bisogna differenziare da ricostruire la sostanza del testo e ricostruire la forma.
Che vuol dire la forma? Faccio un esempio banale, l'indefinito ogni, ogni uomo. Noi lo possiamo trovare come scritto ogni, scritto omni, scritto onni, scritto onne, scritto ogne. Ora, qual era la forma che usava Dante?
Non ne abbiamo idea. E non abbiamo idea perché ogni copista non si preoccupava di... Quando capiva che quello era un aggettivo indefinito, ogni, per capirci, lo trascriveva così come lui era abituato a utilizzarlo.
Quindi se lui usava onne... Lui scriveva Onne, anche se sul suo antigrafo, sul manoscritto da cui stava copiando, aveva che sogni. Quindi ricostruire la forma per noi è pressoché impossibile, senza contare che poi chiaramente quello della vita nuova è naturalmente un volgare letterario, non è lo stesso volgare che Dante usava per parlare quotidianamente.
Già se confrontiamo la lingua delle poesie alla lingua della prosa, già c'è... C'è differenza, c'è una grande differenza. Quindi è un discorso molto complesso.
Diciamo che la grande differenza è come lingua di cultura e quindi prendere le distanze dal latino, non perché ne sminuisse l'importanza, ma perché si rendeva conto che ormai avevo oggi un bacino di utenza molto elitario. Beh sì, era relegato alle cancellerie e agli ambienti monastici praticamente, nel parlare con nessuno lo ricordava nemmeno più. È molto interessante, io credo che valga davvero la pena di correre in libreria ad acquistare questo libro di cui ricordo il titolo, Dante guida la vita nuova.
pubblicato da Carocci, 112 pagine, l'autore è Roberto Rea che insegna filologia italiana e filologia dantesca all'Università di Roma Torre Murgata. chi più di lui può interpretare questo e guidarci alla comprensione di che cos'è la vita nuova, ricordando che anticipa e precede di un bel po'di tempo la stesura della Divina Commedia, quindi permetterci di accostarci a un Dante meno conosciuto di quello che è imperversa in questo settecentesimo anniversario. Io... Direi che a questo punto correte in libreria e ringrazio tantissimo il professor Rea di averci concesso questa presentazione.
Vi ricordo come sempre di seguirci sul nostro sito www.italiamedievale.org dove troverete tutte le innumerevoli videopresentazioni che abbiamo realizzato nel corso di questo purtroppo. più che lunghissimo anno e più di pandemia, sperando di tornare presto a fare iniziative in presenza, perché sono insostituibili, e continuate a seguirci. Grazie ancora, professor. Grazie, grazie ancora a lei, grazie.