La Grande Depressione, verificatasi alla fine degli anni 20 del 900, fu un fenomeno drammatico che coinvolse quasi tutti i paesi del mondo. Rappresentò un'inversione del ciclo economico americano ed ebbe come effetto il brusco calo della produzione e il forte aumento del tasso di disoccupazione. oltre a determinare la messa in discussione del libero mercato in favore di un ruolo sempre più attivo dello Stato in economia.
I sconvolgimenti determinati dalla crisi del 1929 negli equilibri nazionali e internazionali furono infatti tipici. portata epocale, confrontabili soltanto con quelli di una guerra mondiale o di una pandemia. Basti pensare che le difficoltà economiche rafforzarono in Italia i poteri della dittatura e resero più profonde il rancore dei tedeschi verso i paesi vincitori. della prima guerra mondiale, favorendo l'ascesa al potere di Hitler.
Tuttavia la crisi nasce negli Stati Uniti, che durante la prima guerra mondiale avevano fornito ai paesi europei bene risorse finanziarie necessarie a sostenere i bisogni delle loro economie. Pertanto, alla fine del conflitto, gli Stati Uniti si trovarono quale paese creditore, una condizione che l'avrebbe portati ad una posizione di egemonia dell'economia globale. Gli anni venti furono per gli Stati periodo di grande espansione produttiva, di progresso tecnologico e di prosperità, eccetto che per la categoria degli agricoltori, che dopo la caduta della domanda dei loro beni da parte dell'Europa, dovuta alla guerra, non riuscirono più a risollevarsi. Altro discorso riguarda le periferie urbane, rimaste in uno stato di degrado e che rivelarono che la ricchezza di quegli anni non era in realtà distribuita equamente. Nel 1928 Herbert Hoover, candidato repubblicano alla presidenza, annunciava che mai, come negli Stati Uniti di quell'epoca, l'umanità era stata vicina a sconfiggere definitivamente la povertà.
All'inizio del 1929 Hoover saliva ufficialmente alla Casa Bianca, ma solo pochi mesi dopo il paese si trovava immerso nella più drammatica depressione economica della sua storia. Questo perché il clima di fiducia degli anni venti si radicò talmente tanto nella popolazione che molti iniziarono a credere che arricchirsi fosse un'attività semplice e veloce. Si verificò così un boom degli investimenti immobiliari, ma non si compravano terreni per edificare, bensì per rivenderli.
Si trattava quindi di investimenti speculativi e più si comprava e più i prezzi dei lotti di terra aumentavano, determinando guadagni facili e veloci. Si verificò pertanto un boom della borsa che precedette il crollo dell'autunno del 1929. Il boom della borsa iniziò nel 1927, quando gli americani cominciarono a comprare azioni alla borsa di Nutella. New York in vista del rialzo del loro prezzo, che puntualmente rivendevano ad altri acquirenti ad un prezzo più alto e il clima di fiducia negli investitori di quegli anni faceva sì che si trovasse sempre un acquirente. La bolla speculativa si allargò e la smania di investire in borsa contagiò anche gli strati meno ricchi della popolazione, nella prospettiva di arricchirsi anche loro.
Tuttavia, mentre il prezzo dei titoli continuava a crescere, nel 1928 ci furono i primi sintomi di flessione dell'economia. Cominciò a ridursi la produzione industriale complessiva e secondo molti questo fu dovuto alla stretta monetaria della Federal Reserve e all'aumento dei tassi di interesse richiesti da chi prestava somme di denaro agli spugolatori durante il boom. Sta di fatto che nel settembre 1929 gli operatori di Wall Street cominciarono a ricevere ordini di vendita da parte dei possessori di attività finanziarie, determinando così un ribasso dei prezzi dei titoli e inducendo altri investitori a fare lo stesso, prima che si verificassero ulteriori ribassi. In particolare il 24 ottobre passò alla storia come il giovedì nero, che segnò simbolicamente il crollo della borsa di Wall Street e l'inizio di un'ondata diffusa e più il panico si diffondeva più si cercava di vendere titoli a qualsiasi prezzo.
In poche settimane sfumarono così le fortune dei cittadini meno esperti, poi quelle dei ricchi e poi quelle di tutti gli altri. Vi furono anche coloro che dopo mesi e mesi di caduta dei prezzi di titoli ritennero che la borsa avesse toccato il fondo ricomprando di nuovo i titoli che secondo loro avevano raggiunto il valore minimo e persero tutto perché la borsa continuò a scendere. La speculazione borsista aveva coinvolto tutti e con il crollo dell'ottobre del 29 molte imprese e società fallirono e proprio a causa dei fallimenti delle imprese e delle società che avevano ottenuto dalle banche somme in prestito si ridusse anche la capacità delle banche di far fronte alle richieste di rimborso dei depositi dei risparmiatori.
Con un effetto a catena si verificò un La corsa agli sportelli da parte dei risparmiatori per ritirare i depositi prima che fosse troppo tardi, ovvero prima che la banca non fosse più stata in grado di pagare. Nel 1933 il sistema bancario americano si trovò sull'orlo del crollo totale e molte banche chiusero definitivamente. Per quanto riguarda le risposte alla crisi, le misure di politica economica adottate dal 1929 al 1932 in realtà peggiorarono la situazione. Nel febbraio del 1929, infatti, la Federal Reserve, per tentare di porre un freno alla speculazione, limitò la disponibilità di prestiti ai clienti da parte del sistema bancario, nella convinzione che, dal momento che l'acquisto dei titoli avveniva con soldi presi a prestito, tale limitazione non avrebbe avuto più importanza.
avrebbe ridotto gli investimenti speculativi. Tuttavia questa politica danneggiò la situazione di quei settori che più fortemente dipendevano dal credito bancario. Quando invece si verificò la corsa agli sportelli, in generale le banche con problemi di liquidità possono ricorrere, per evitare il fallimento, al prestito da parte della banca centrale, se quest'ultima è disposta a concederlo.
Ciò tuttavia non accadde perché il Federal Reserve System fu tendenzialmente contrario a concedere finanziamenti alle banche in difficoltà. Altre responsabilità della crisi vanno ricercate nella politica del presidente Hoover. La dottrina economica prevalente dell'epoca era quella dello Stato minimo, una teoria che riponeva fiducia nelle capacità del mercato di autoregolarsi e ristabilirsi da sé, senza l'intervento pubblico dello Stato. Questa impostazione teorica aveva infatti come regola aurea quella del pareggio di bilancio pubblico, ovvero le spese dello Stato non devono superare l'entrata. entrate.
In piena crisi, infatti, Hoover fu contrario per principio all'assistenza diretta e ai sussidi ai disoccupati, per timore di appesantire il deficit di bilancio, e anzi decise di limitare le spese pubbliche, deprimendo ulteriormente la produzione. Nel 1932, per via della crisi e della sua gestione, il presidente Hoover era ormai fortemente impopolare. In questo contesto sembravano prendere forza le opposizioni radicali, sia di destra che di sinistra, e sebbene il Partito Comunista, comunista americano non superasse i 12.000 iscritti, la paura del comunismo assunse una certa rilevanza. Il paese sembrava aver bisogno di una guida, di una figura che sapesse promuovere i necessari interventi politici e finanziari, ma soprattutto di un'evoluzione di un'evoluzione sapesse ridare alla gente la fiducia nel governo.
La risposta fu trovata nel candidato democratico alla presidenza, Franklin Delano Roosevelt, che venne eletto con il 57% dei suffragi popolari. Su questo vasto consenso, Roosevelt avrebbe posto le basi di una nuova fase della storia politica americana.