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Le origini della Guerra Fredda

Nel marzo 1946, in una conferenza tenuta negli Stati Uniti, il premier britannico Winston Churchill coniò un’espressione che poi divenne celebre. Disse, infatti, che sull’Europa stava calando una “cortina di ferro”, ovvero una barriera, una protezione militare dietro alla quale la potenza sovietica si stava chiudendo e rafforzando. Solo un anno più tardi, la guerra fredda prese un avvio inarrestabile. Il 12 marzo 1947, di fronte al Congresso americano riunito in seduta congiunta, il presidente statunitense Harry Truman, dichiarava che la sicurezza dell’America era minacciata da qualunque aggressione contro la pace e la libertà, e che di conseguenza occorreva “aiutare i popoli liberi che resistono ai tentativi di asservimento di minoranze armate o di pressioni esterne”. Anche se l’Unione Sovietica non era esplicitamente menzionata nel discorso di Truman, il riferimento alle “pressioni esterne” faceva intendere chiaramente che si stesse parlando della minaccia sovietica. Da allora, per 45 anni anni, l’Europa è stata spaccata in due come mai nella sua storia, delineando un continente diviso in due blocchi separati e contrapposti in un’epoca che prese il nome, noto a tutti, di guerra fredda. Con il discorso del 12 marzo 1947, infatti, Truman annunciava, in buona sostanza, la sua dottrina geopolitica, conosciuta anche come dottrina del “conteinment”, ovvero del contenimento, che mirava a contrastare ed arrestare le “tendenze espansioniste” dell’Unione Sovietica, che erano considerate dall’amministrazione americana come intrinseche all’ideologia rivoluzionaria comunista, tanto che i partiti comunisti stavano proliferando più o meno in tutto il mondo. La dottrina Truman divenne così il perno della politica estera americana, facilitata dall’annuncio della Gran Bretagna di non poter più occuparsi, finanziariamente e militarmente, di due Paesi nella propria sfera d’influenza, ovvero la Grecia e la Turchia. Gli Stati Uniti, per evitare che il comunismo possa espandersi in quella regione, si candidarono quindi a sostituire l’Inghilterra come “protettori” del Vicino Oriente e come baluardo della libertà in lotta contro il totalitarismo sovietico, un progetto strategico sia sul piano diplomatico e sia su quello militare. Allo stesso tempo, Truman faceva riferimento ai “popoli liberi”, facendo intendere che gli Stati Uniti non avrebbero agito da soli, ma insieme ai paesi amici che poi sarebbero diventati alleati, ovvero gli Stati dell’Europa occidentale, minacciati dall’espansionismo sovietico. Per gli Stati Uniti, infatti, era di vitale importanza non ripetere l’errore degli anni ’20 e ’30, quando decisero di abbandonare gli europei al loro destino con una politica isolazionista, e si fecero pertanto guida di un vasto schieramento geopolitico che accomunasse i suoi membri per la condivisione dei valori occidentali, democratici e del libero mercato, ma soprattutto di un fronte che potesse contrastare la paura della minaccia comunista e sovietica. I tre pilastri su cui sorse questo schieramento geopolitico transatlantico, in quanto legava gli Stati Uniti e gli alleati oltreoceano, furono il Piano Marshall, la NATO e l’Europa comunitaria. Con il Piano Marshall, gli Stati Uniti contribuirono notevolmente alla rinascita economica dell’Europa, facendo affluire circa 13 miliardi di dollari nelle casse dei governi dell’Europa occidentale, evitando che la diffusa povertà e le difficoltà del dopoguerra conducessero a simpatie e adesione al socialismo, e più in generale, ai partiti comunisti nazionali. Il Piano Marshall, però, da solo, non poteva bastare a garantire la sicurezza in Europa. In seguito al colpo di Stato comunista in Cecoslovacchia nel 1948, infatti, Francia, Gran Bretagna e e i Paesi del Benelux firmarono a Bruxelles un patto difensivo antisovietico con la speranza che vi aderissero anche gli Stati Uniti. Nonostante la tradizionale riluttanza americana ad assumere impegni militari vincolati, la dottrina del contenimento e la paura sovietica indussero l’amministrazione Truman ad accettare la necessità e la presenza americana nel quadro della sicurezza dell’Europa occidentale. Era infatti ormai chiaro che protezione militare e ricostruzione economica dovessero andare di pari passo. Truman iniziò così a definire il ruolo degli Stati Uniti nel Patto di Bruxelles e le ultime diffidenze americane vennero superate quando, su proposta britannica, il concetto di sicurezza venne allargato all’intera area nord-atlantica, includendo il Canada, i paesi scandinavi e quelli del mediterraneo meridionale, tra cui l’Italia. Il negoziato venne infatti concluso nel marzo 1949, e il trattato, che prese il nome di Trattato del Nord Atlantico venne firmato a Washington nell’aprile 1949, con la partecipazione dei rappresentanti di 12 Paesi: gli Stati Uniti, il Canada, Gran Bretagna, Francia, Belgio, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Italia, Norvegia, Islanda e Danimarca. I negoziati furono in realtà tutt’altro che semplici e portarono all’esclusione di alcuni papabili membri. I problemi riguardavano principalmente la questione tedesca, la determinazione dell’elenco degli Stati da invitare nell’alleanza e la formulazione del casus foederis, ovvero la circostanza per la quale sarebbe diventato obbligatorio l’intervento armato di un alleato a sostegno di un altro. La questione della Germania, non più nazista ma ora divisa, creava certamente grande incertezza per tutta l’Europa. Far entrare la Germania avrebbe probabilmente provocato una reazione sovietica, e ulteriori difficoltà erano rappresentate dalla diffidenza francese a un riarmo tedesco. Per gli americani, invece, nessun progetto di organizzazione difensiva dell’Europa era realizzabile senza la Germania, anche perché, secondo Truman, un sistema di sicurezza nel quale gli Stati Uniti fossero essi stessi i garanti, era l’unico che potesse indurre i francesi ad accettare una ricostruzione della Germania. Poi vi era la questione della delimitazione geografica, che si poneva per Stati come la Grecia e la Turchia, considerati troppo periferici rispetto all’area atlantica. Così come vi erano problemi legati a quegli stati di tradizione neutrale, come la Svizzera e la Svezia, che non avrebbero rinunciato alla loro neutralità per entrare a far parte dell’alleanza. Maggiori difficoltà riguardarono l’Italia, e non tanto per le resistenze interne all’Italia stessa ma quanto per le esitazioni, principalmente di Stati Uniti e Gran Bretagna, che ritenevano che il sistema democratico non fosse ancora sufficientemente radicato in Italia. Tuttavia, escludere l’Italia avrebbe significato precludersi l’area strategica del mediterraneo e si scelse pertanto di includerla. Il trattato era un’alleanza difensiva della durata di 20 anni, tacitamente rinnovabile, salvo il diritto di recesso dopo 20 anni dall’entrata in vigore. Il testo indicava anche la natura del casus foederis, enunciato all’articolo 5, che affermava che le parti “convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato quale attacco diretto contro tutte le parti.” Dal punto di vista politico, la formulazione dell’art.5 rendeva la garanzia di mutua difesa un obbligo non automatico, lasciando alle parti interessate il compito di definire l’azione che avrebbero giudicato necessaria per respingere un eventuale attacco. Questo vincolo era dovuto ai vincoli interni all’amministrazione americana, che non consentivano di esautorare il Senato dal compito di decidere su eventuali dichiarazioni di guerra. Proprio questo aspetto apriva un problema che si sarebbe riproposto più volte nell’Alleanza Atlantica, ovvero il problema della credibilità della garanzia americana, dal momento che appariva dubbio che il Senato americano potesse prendere decisioni rapide e immediate nel caso di conflitti giudicati marginali alla sicurezza degli Stati Uniti. Al momento della firma, il 4 aprile 1949, il Patto Atlantico era comunque considerato dagli americani come una concessione dovuta ai timori degli europei. Tuttavia, con la fine del monopolio atomico nell’agosto 1949 e la vittoria dei comunisti in Cina, Truman iniziò a riconsiderare l’importanza di questo trattato. Venne adottata così la risoluzione n.68 del National Security Council, conosciuta anche come NSC-68, che fu la base della successiva presenza militare statunitense in Europa, del riarmo tedesco e della trasformazione del Patto Atlantico in NATO, ovvero North Atlantic Treaty Organization, una struttura organizzativa che avrebbe reso possibile la creazione in Europa di un esercito permanente in tempo di pace. Da allora la NATO crebbe come sviluppo tecnico-militare del Patto Atlantico, senza tuttavia coincidere perfettamente con esso. L’Alleanza rimase infatti un accordo internazionale, e la partecipazione a questo accordo non esigeva necessariamente la partecipazione alla NATO. Il maggior impegno statunitense nell’organizzazione venne affrontato nel settembre 1950 dal Consiglio atlantico. In questa occasione gli Stati Uniti si impegnarono ad aumentare in modo consistente la loro presenza militare in Europa assumendo anche il comando di una forza atlantica integrata, a condizione che gli europei accettassero la partecipazione all’esercito di dieci divisioni tedesche, facendo sì quindi che la Francia accettasse implicitamente il riarmo della Germania federale, ovvero della Germania Ovest. La Francia, tuttavia, rimandò la decisione sull’ammissione della Germania, mostrandosi ancora una volta contraria al riarmo tedesco, memore di ben tre invasioni subite nei precedenti settant’anni. Per aggirare il problema, per diversi anni, ovvero dal 1951 al 1954 fu tentata un’altra strada. Il primo ministro francese René Pleven propose infatti la creazione una una comunità europea di difesa, ovvero la CED, in modo che il riarmo tedesco potesse procedere solo attraverso la formazione di un esercito unificato europeo. Venne quindi firmato un primo accordo di costituzione della CED nel 1952, stesso anno in cui la NATO nel frattempo accoglieva tra i suoi membri anche la Grecia e la Turchia. Tuttavia, a causa delle opposizioni interne al Parlamento francese, il progetto della CED fallì e si aprì quindi nuovamente la necessità del riarmo tedesco all’interno della NATO. Il Dipartimento di Stato statunitense iniziò infatti ad elaborare piani alternativi: la Germania avrebbe dovuto essere invitata a far parte della NATO, altrimenti, in caso di ulteriore ostruzionismo da parte dei francesi, sarebbero state implementate strategie differenti per scavalcare il veto francese e riarmare la Germania al di fuori della NATO. Posta la Francia con le spalle al muro, la Germania fece ingresso nella NATO 1955, dopo aver assunto l’impegno a rinunciare a dotarsi di un programma nucleare militare. La nascita di una Germania occidentale militarizzata e potenzialmente ostile, provocò la risposta sovietica che, nel maggio 1955, ufficializzò la creazione del Patto di Varsavia, un'alleanza militare tra gli Stati socialisti del blocco orientale, e alla quale aderirono l’Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Germania Est, Polonia, Romania, e Ungheria. Il Patto di Varsavia era modulato in modo molto simile, se non addirittura speculare, a quello della NATO. Infatti, gli otto Stati membri del Patto si impegnavano nella mutua difesa in caso di un attacco contro uno Stato membro, come previsto dal casus foederis previsto nell’art. 4 del Patto. Va da sé che il Patto di Varsavia formalizzava di fatto, in modo ancor più evidente e e stabile rispetto a prima, la divisione del vecchio continente in due blocchi. Ad ogni caso, al di là del sistema delle alleanze che venne a delinearsi, forse il più importante fattore di stabilizzazione del bipolarismo postbellico fu quello della deterrenza atomica e del cosiddetto “equilibrio del terrore”. Quando, infatti, nel 1949 l’arma atomica cessò di essere monopolio degli Stati Uniti e venne sviluppata anche dall’Unione Sovietica, si generò una corsa allo sviluppo di armi sempre più sofisticate e distruttive. La prospettiva di un conflitto nucleare su larga scala introdusse, per l’appunto, un equilibrio del terrore caratterizzato dalla dissuasione ad uno scontro frontale tra le due superpotenze, in quanto questo avrebbe portato alla distruzione di entrambe e probabilmente dell’intero pianeta. Questa condizione prese dunque l’acromino di MAD, ovvero “mutual assure destruction”, ed è per questo, probabilmente e fortunatamente, che, per trentasei anni, la NATO e il Patto di Varsavia non si siano mai scontrati direttamente in Europa.