Il De brevitate vite di Lucio Anneo Seneca prova a rispondere a una domanda che sicuramente ha una sua portata filosofica ma che di fatto riguarda l'ontologia quotidiana di ciascuno di noi. La domanda fondamentale che prova ad affrontare in questo testo Seneca riguarda la brevità della vita. È la nostra vita breve?
È in realtà lunga? È bastevole a fare tutto ciò di cui abbiamo bisogno? In sostanza, qual è il tempo che ci è stato dato in sorte?
Il testo è un testo molto breve, un opusco, lo oserei quasi dire, dedicato a Paolino. Chi è Paolino? Paolino è un personaggio al quale Seneca si rivolge con una certa familiarità e con rispetto. Viene detto prefetto dell'annona, cioè sovrintendente agli approvvigionamenti, ed è perciò un esperto di finanza, di pubblica amministrazione.
e di questioni legate alla politica. Ebbene, il testo è un testo rivolto a Paolino in occasione dell'abbandono da parte di Paolino delle attività pubbliche, quasi come se Paolino si ritirasse in pensione per ragioni di età. Quindi a 50-60 anni Paolino abbandona le attività pubbliche. E a questo punto Seneca gli rivolge questo testo per esortarlo a far buon uso della vita che gli resta. Alcuni studiosi sono persuasi che il Paolino a cui Seneca si rivolge sia il padre di Pompea Paolina, la giovane moglie di Seneca, ma è una questione di battuta, non sono risultati finora convincenti i tentativi di dimostrare in maniera inconfutabile questa tesi.
Ecco, Seneca... discute di questo tema così importante, lo fa in maniera stoica come subito dirò, non è un dialogo perché non presenta interruzioni e Seneca viene ragionando sul tema della vita, come dicevo, della vita privata quando ci si ritira dagli affari pubblici e sulla vita. Lunghezza della nostra esistenza è un tema filosofico, come dicevo, che attraversa diagonalmente l'intero canone occidentale.
Si consideri anche solo la riflessione novecentesca di Martin Heidegger in Essere e Tempo del 1927 sull'essere per la morte, Sein zum Tod, l'essere per la morte. Noi siamo enti finiti. che hanno per così dire come parte della vita anche la morte. Siamo consapevoli del fatto che moriremo. A differenza degli altri animali che pure muoiono ma che non sanno di essere mortali, l'uomo soltanto è l'animale che esiste, che è caratterizzato dal Dasein, dirà Heidegger, e che quindi anticipa col pensiero e con le emozioni la propria morte.
Ecco allora che proprio in ragione del fatto che sapevamo... sappiamo di abitare un segmento di tempo limitato e dunque sappiamo di essere finiti, mortali, dobbiamo domandarci se la vita che ci è stata data in sorte sia abbastanza lunga, sia troppo breve o se sia bastevole, come ricordavo, a compiere tutte le imprese di cui abbiamo bisogno. Nell'incipit del suo testo, molto molto bello anche dal punto di vista letterario, Seneca dice che La maggior parte degli uomini si lamenta della taccagneria della natura. Nasciamo destinati a una vita troppo breve, in fondo, e il tempo che ci è stato assegnato scorre troppo rapidamente, la vita passa in un attimo.
A tal punto che, con pur rare eccezioni, la vita pianta tutti in asso proprio nel momento in cui si accingono a viverla. Non siamo ancora pronti a vivere in senso pieno la nostra vita che già essa tramonta. Di questa presunta calamità, dice Seneca, non si lamenta soltanto il volgo, anche uomini illustri se ne sono lamentati e se ne lamenteranno ancora.
Ed è da questa considerazione che è nato il detto ipocratico, la vita è breve, l'arte è lunga. Noi possiamo con la nostra arte, con il nostro sapere, renderci immortali. E da questa considerazione scatturisce anche la... riflessione che Seneca cita di Aristotele pur disapprovandola, secondo cui a certi animali la natura ha concesso una vita assai lunga, mentre all'uomo che è nato per imprese immense ha concesso invece un limite ben più ristretto. Pensiamo anche solo alle tartarughe che vivono anche per 130 anni e che ragionevolmente non sono state...
create non lo direi perché si uscirebbe dal tracciato stoico in cui si muove Seneca, ma ad ogni modo che sono al mondo, ecco che sono al mondo per imprese sicuramente non all'altezza di quelle a cui è destinato l'uomo. Ebbene Seneca rovescia subito la tesi, non è affatto vero che abbiamo poco tempo e che la nostra vita è troppo breve, come pure taluni lamentano anche tra gli uomini illustri. La verità è che noi perdiamo molto tempo, la vita di per sé sarebbe... lunga sufficienza per fare tutto ciò di cui abbiamo bisogno e se ci appare breve ciò dipende dal fatto che noi sprechiamo il tempo che ci è stato concesso in sorte.
Dice Seneca non è vero che abbiamo poco tempo la verità è che ne perdiamo molto. Ci è stata concessa una vita sufficientemente lunga, bastevole al conseguimento degli ideali supremi, purché la sappiamo impiegare tutta a dovere. Invece dopo che l'abbiamo lasciata trascorrere nel lusso e negli ignavia, dopo che non l'abbiamo impiegata in nessuna impresa degna, quando alla fine si presenta la necessità ineluttabile, ecco che ci accorgiamo che è passata senza che ne avvertissimo il trascorrere.
Insomma, quella che ci appare essere una vita breve è tale semplicemente in ragione del fatto che non l'abbiamo sfruttata appieno, che l'abbiamo sprecata così che essa ci appare breve perché abbiamo indugiato troppo. senza compiere le imprese che avremmo dovuto in realtà compiere. Dice quindi Seneca, è così, la vita non l'abbiamo ricevuta breve, ma l'abbiamo fatta diventare tale, ed in ciò non siamo dei poveri ma degli sciuponi. È come una ricchezza, anche se immensa e degna di un re, quando finisce nelle mani di un padrone inetto, finisce dissipata e in un attimo... Mentre anche se modesta ma affidata ad un depositario capace, cresce con l'uso.
È così che la nostra vita riesce molto lunga a chi la sa ordinare bene. Ecco, chi sappia gestire adeguatamente la propria vita, si accorge non soltanto che la vita non è breve, ma che anzi basta a compiere tutto ciò che si aveva in programma di fare. Quindi non bisogna affatto lamentarsi con la natura come fanno Taluni, lo stesso Aristotele, come si ricordava. Poc'anzi che lamentava il fatto che animali ben meno importanti dell'uomo avessero più tempo di vita a disposizione.
La vita in realtà basta fare tutto. La natura è stata generosa con noi. Se sappiamo utilizzare adeguatamente la vita, essa è lunga. Il guaio è che uno è prigioniero dell'avarizia, insaziabile, un altro si dedica solo ad attività superflue. chi è fradicio divino e chi è intorpidito dall'inerzia, chi è animato da passioni ed ambizioni che lo distraggono dalla vita che intanto scorre, c'è chi si logora nella vita militare, c'è chi ama la schiavitù volontaria, chi cerca benefici e cariche di prestigio, insomma la verità è che non abbiamo poco tempo ma che...
Poco ce ne resta perché molto ne sprechiamo in attività indegne. I vizi opprimono l'uomo, dice Seneca, lo schiacciano, gli portano via tempo e quindi fanno sì che alla fine la nostra vita ci appaia più breve di quello che in realtà è. Siamo avari delle nostre cose e prodighi di noi stessi, dice appunto Seneca, tutti gli splendidi geni del passato non finirebbero mai di stupirsi di codesta cecità mentale degli uomini.
Non permettono a nessuno di occupare i loro poderi e se nasce la minima contesa di confine, danno di piglio ai sassi e alle armi. Intanto lasciano entrare gli altri nella loro vita. Anzi, sono loro in prima persona a introdurvi futuri padroni.
Non se ne trova uno disposto a spartire il proprio donaro, ma tra quanti ciascuno ripartisce la propria vita. Ecco, dice Seneca, noi non siamo disposti. a cedere quote delle nostre proprietà, a far entrare altri nelle nostre terre, però poi lasciamo tranquillamente che altri invadano la nostra vita, cediamo quote del nostro tempo ad affari, a persone che forse non dovremmo rendere partecipi della nostra vita. Dice Seneca Voi vivete come se doveste vivere sempre, non vi si prospetta mai la vostra fragilità, non considerate quanto tempo è già passato, lo perdete, come se attingeste ad una scorta completa, abbondante. In realtà, proprio quel giorno che stiamo regalando ad un uomo ad una cosa, forse è l'ultimo.
Voi temete tutto da mortali, ma desiderate tutto come se foste immortali. Ecco qui il paradosso che rende breve la vita. L'uomo, dimentico di essere un ente finito... e sperpera tempo come se dovesse vivere in eterno.
L'uomo che ha le paure del mortale ha poi i desideri di un immortale e quindi spreca il proprio tempo continuamente. Seneca cita poi la sorte di Augusto, dice vedrai uomini potentissimi arrivati molto in alto lasciarsi sfuggire parole di desiderio, di elogio, di preferenza della vita privata ad ogni loro bene e cita il caso di Augusto che pur non potendosi... permettere una vita privata, essendo stato destinato alla vita pubblica e politica, continuamente vagheggiava una vita privata che mai avrebbe potuto avere, ma che il solo vagheggiare gli permetteva in qualche modo di vivere idealmente.
Dice Seneca, il divino Augusto al quale gli dèi accordarono più che a chiunque altro non cessò mai di invocare il riposo, di chiedere di potersi ritirare dal governo. In ogni suo discorso entrava il solito ritornello del suo desiderio di ritirarsi. Alleviava le sue fatiche con il pensiero, dolce seppure illusorio, di poter un giorno vivere per sé stesso. E come sappiamo Augusto non poteva mai vivere per sé stesso e quindi solo con il pensiero poteva farlo.
Era quello e quello era il desiderio rimasto all'uomo che poteva pagare tutti i desideri. Seneca poi adduce un altro esempio importante, quello di Marco Tullio Cicerone, che visse sballottato tra i vari Catilina, Clodio, Pompeo e Crasso, e che in un passaggio molto bello, in una lettera ad Attico, all'amico Attico, dice di fatto di desiderare più di ogni altro la vita in senso pieno e dice ad Attico mi chiedi che cosa sto facendo qui resto nella mia villa di tuscolo libero a metà libero a metà cicerone nella sua villa di tuscolo si dice libero a metà perché è privato delle occupazioni pubbliche e seneca lo biasima cicerone si disse libero a metà per ercole il saggio non scenderà mai ad una qualifica tanto avvilente non sarà mai libero a metà se l'uomo della libertà integra e indiscutibile se non ha vincoli e padrone di sé al di sopra di tutti come si può essere liberi a metà se si può disporre appieno del proprio tempo nella villa di Tuscolo, domanda Seneca criticamente a Cicerone. Il terzo esempio che poi adduce Seneca è quello di Livio Druso, uomo violento e impetuoso, dopo aver messo in moto nuove leggi e errori di stampo graccano, circondato com'era da una folla immensa proveniente da tutta l'Italia, pur senza prevedere lo sbocco di una situazione che non era più in grado di controllare e non lo lasciava libero, una volta avviata. di ritirarsi, maledisse la sua vita, irrequieta fin dall'inizio. Pronunciando, dicono queste parole, neppure da bambino non ho mai avuto un giorno di riposo.
E quindi si lamentò Livio Druso di non aver mai potuto beneficiare a pieno della propria vita. Dice Seneca, la vostra vita per Ercole, anche se dovesse oltrepassare i mille anni, risulterà sempre troppo corta. Vizi di questa fatta divorano qualunque longevità, mentre inevitabile che per voi fugga troppo presto questo tempo che la ragione sa prolungare, nonostante il correre della natura.
Quindi Livio Druso ha per la sua ambizione sperperato tutto il tempo della propria vita a tal punto da lamentarsi di non aver mai beneficiato di un solo giorno di riposo. La verità, dice Seneca, traendo il fabula docet da questi esempi appena citati, è che noi... Sprechiamo il tempo della nostra vita nei piaceri, negli affari pubblici, senza dedicare il giusto tempo che la ragione pure ci chiederebbe di dedicare alla vita stessa, a fruire della nostra vita, a viverla in senso pieno.
Dice Seneca, dobbiamo fare tesoro del nostro tempo. ben sapendo che esso è un tempo finito e che quindi vivere come se fosse infinito non ci porterà in realtà a vivere infinitamente, ma senza ombra di dubbio ci porterà solo a sprecare quel poco tempo che abbiamo, che diventa poco se non lo sappiamo gestire. Se noi solo sapessimo gestirlo, non sarebbe affatto poco.
E alla fine dice Seneca, nessuno ti restituirà gli anni, nessuno ti restituirà te stesso, la tua vita seguirà la strada che hai imboccato, E non invertirà né interromperà la corsa. Non farà chiasso, non ti lascerà avvertire la sua rapidità, passerà in silenzio. Non si allungherà per comando di re o favore di popolo, correrà come è stata avviata il primo giorno, senza uscire di strada, senza rallentare.
Che accadrà? Tu hai i tuoi impegni e la vita a fretta. Intanto verrà la morte, alla quale, volente o nolente, dovrai dare udienza. La morte sopraggiunge comunque, noi possiamo gestire il nostro tempo di vita come vogliamo, ma essa, la vita, scorre. con uguale rapidità sempre, destinata a quell'incontro ultimo con la morte alla quale ciascuno di noi dovrà comunque dare udienza quando anche sia affaccendato in altre faccende e dedito ad altre questioni.
Dice Seneca, l'aspettare è il peggior ostacolo al vivere perché è condizionato dal domani e perde l'oggi. Molti sprecano la loro vita, come già dicevamo, nei negozi pubblici. nei piaceri, negli affari, nella vita pubblica come Augusto prima ricordato, non sanno vivere appieno la loro vita privata quando possono farlo come Cicerone a Tuscolo o come Livio Druso sprecano la loro vita in impegni continui senza mai riposare. Altri invece sprecano la loro vita ed è un altro tipo di scialacuatori del tempo della vita, sprecano la loro vita nell'attesa, nella programmazione, ma programmando la vita non la si vive. Attendendo di vivere non si vive, dice Seneca, l'aspettare è il peggior ostacolo al vivere, perché è condizionato dal domani e perde l'oggi.
Ecco che quindi bisogna, dice Seneca, evitare di fare la fine di quelli che, illusi di poter vivere meglio, spendono la vita nel programmarsene una. Costoro, in realtà, proprio come gli altri, non vivono. tendono di vivere, passano il tempo a programmare una vita che intanto scorre rapida senza che loro la vivano.
Dice Seneca bisogna in realtà vivere a pieno, la pienezza d'essere della propria vita giorno per giorno, senza rimandare ciò che si può fare oggi, senza perdere tempo nelle vicende poco rilevanti e soprattutto senza rinviare quello che può essere fatto. oggi dice seneca la vita si divide in tre periodi il passato il presente il futuro dei tre il presente breve il futuro incerto il passato è certo quest'ultimo è il periodo sul quale la fortuna ha perduto ogni diritto che non può essere assoggettato al potere di nessuno dice seneca i tre tempi della vita devono essere gestiti in maniera intelligente secondo ragione Noi propriamente viviamo solo nel presente, esistendo il passato come ricordo delle cose che furono ed esistendo il futuro come aspettativa delle cose che saranno. Ma in senso pieno noi siamo sempre e solo nel presente, è lì che abitiamo e dobbiamo viverlo appieno.
Dice Seneca, il presente è fatto soltanto di giorni singoli, anzi di giorni suddivisi in istanti. I giorni del passato invece, a una vostra ingiunzione, Si presenteranno tutti assieme ed accetteranno in stato di detenzione la tua istruttoria. Purtroppo gli occupati non hanno tempo di fare questo, non hanno tempo nemmeno di considerare il proprio passato, la propria vita trascorsa. Gli occupati sono appunto coloro i quali dedicano tutto il tempo della loro vita ad altri impegni e così facendo rinunziano a vivere in senso pieno.
I loro anni degli occupati finiscono sottoterra, come non giova nulla versare nel vaso grandi quantità di liquido se non c'è un fondo che lo ricevi e conservi, così non importa la quantità di tempo che viene loro concessa se non trova dove depositarsi. Gli animi degli occupati non ricordano il passato, non conservano nulla, sono troppo presi dalle loro occupazioni. Il tempo presente, dice Seneca, è brevissimo, tanto breve che qualcuno ne nega l'esistenza.
Quasi come se in realtà il presente non esistesse se non come istante in cui il futuro trapassa nel passato. Il presente è solo il punto istantaneo di congiunzione tra futuro e passato, tra ciò che non è ancora e ciò che non è più. Quasi come se il presente fosse il momento della dissoluzione del futuro nel passato.
Dunque il tempo presente è il solo che s'attaglia agli occupati, è tanto breve che non si lascia cogliere e in più viene loro sottratto dalle occupazioni che li attanagliano. Gli occupati, cioè gli indaffarati, sono quelli che non ricordano il passato, che non guardano al futuro, che si limitano a dissipare il presente come unica dimensione temporale a loro nota e lo vivono appunto nelle loro occupazioni senza dedicarsi in senso pieno alla vita. E gli occupati, dice, si disperano alla fine, dice Seneca.
Il loro desiderio di vivere a lungo tradisce il fatto che in realtà non sanno vivere. Vecchi decrepiti pregano per mendicare pochi anni in più, si illudono di essere più giovani, si lusingano di bugie ed ingannano se stessi ben volentieri. Dice Seneca, gridano di essere stati stolti a non vivere e che se appena scamperanno a quella malattia vivranno vita ritirata. La vita, invece, per coloro che la passano lontani da ogni impegno, perché non deve risultare spaziosa?
Di essa nulla è delegato ad altri, nulla è disperso qua e là, nulla è andato alla fortuna, va perduto per negligenza e sottratto per largizioni, nulla è inutilizzato. Per così dire, è tutta un reddito la vita di quelli che sanno beneficiarne. Per breve che sia, baste abbonda.
Quindi, quando verrà l'ultimo giorno, Il saggio non esiterà ad avviarsi alla morte con passo sicuro. Questo è un tema squisitamente stoico, come del resto stoico è il timbro dell'intera opera di Seneca, per quanto eclettica sia l'impostazione di Seneca, che nelle lettere a Lucilio dice di non appartenere a una scuola in senso ristretto, ma di amare passare anche agli altri accampamenti, non come disertore, ma come esploratore, per cogliere il meglio anche delle altre scuole. filosofiche. Eppure il timbro della impostazione di Seneca è schiettamente stoico. Stoica è l'idea del saggio che affronta a viso aperto e senza timore la morte.
Stoica è l'accettazione del fatum, del fato della propria vita, come qualcosa da accettarsi con amore del proprio fato, l'amor fati. E anche stoica è l'idea, in qualche modo, di valorizzare la natura come qualcosa a cui non deve essere recriminato nulla, ma come qualcosa di intrinsecamente intelligente e buono. Poi Seneca chiarisce meglio chi siano gli occupati, chiarisce a Paolino chi siano gli occupati, sono coloro i quali di fatto sono rapiti da continue occupazioni, da continui affari e quindi trascurano di vivere. rispetto rispetto al alle possibilità della loro vita sono appunto quelli che non vivono in senso pieno ci sono poi gli occupati in studi inutili dice sarebbe troppo lungo elencare uno ad uno quelli che hanno sciupato la vita giocando a scacchi o a pallo badando a rosolarsi il corpo al sole non sono certo liberi da occupazioni se gli svaghi danno loro molto da fare Seneca prende in esame tutta una serie di casi specifici di occupati che hanno sprecato il tempo della loro vita e poi ritorna a un tema squisitamente stoico che è quello del saggio, che è il solo che impegna bene la propria vita, ossequiando i grandi del passato e valorizzando la vita in ogni istante.
I saggi come ad esempio... cita Socrate, Epicuro, sono quelli che sanno fare tesoro della propria vita. Dice Seneca, a proposito di Costoro, sì, possiamo dirlo, sono occupati nel giusto sequio coloro che vorranno tenersi per ogni giorno in strettissima familiarità con Zenone, Pitagora, Democrito e con tutti i sacerdoti della scienza.
con Aristotele, con Teofrasto. Nessuno di costoro risponderà che non riceve, nessuno mancherà di rendere più felice, più amico il visitatore che congeda, nessuno lo commiaterà a mani vuote, a costoro tutti possono far visita di notte e di giorno. Quindi trascorrere il tempo della propria vita dialogando a distanza, nello spazio e nel tempo, con gli spiriti magni del passato, è un buon modo di occupare la propria vita e si ricavano grandi frutti dal colloquio con i grandi.
nessuno di costoro ti costringerà a morire tutti te lo insegneranno nessuno sciuperà i tuoi anni tutti aggiungeranno i propri ai tuoi una conversazione con loro non sarà mai pericolosa la loro amicizia non comporterà mai una condanna morte lo sequiarli non ti costerà un soldo porterai loro via tutto ciò che vorrai non dipenderà da loro impedirti di prendere a piacimento che felicità che bella vecchiaia che attende quelli che si sono messi sotto il loro patronato ecco chi segue il saggio può vivere davvero in maniera efficace, senza sprecare il tempo e anzi apprendendo a vivere e a morire. La vita del saggio è dunque molto spaziosa. Egli non è prigioniero del limite che racchiude gli altri. È il solo esente dalla servitù dell'umana schiatta.
Le etagli sono tutte soggette come sono soggette a Dio. Un tempo è passato, lo abbraccia con il ricordo. È presente, lo utilizza. È futuro, lo pregusta.
La sua capacità di unificare tutti i tempi gli fa risultare lunga la vita. Ecco, questo è un passaggio molto importante perché Seneca, dopo aver chiarito l'importanza del colloquio permanente con gli spiriti magni del passato, ci dice in maniera icastica per quali ragioni propriamente solo il saggio può vivere in senso pieno la vita. Il saggio non perde nulla della propria vita, la gusta in ogni istante, non perde il passato perché lo ricorda, Non perde il presente perché lo vive quotidianamente e non perde il futuro perché lo pregusta, senza lasciare che ciascuna di queste dimensioni temporali soverchi le altre o le annulli.
Il saggio è colui il quale riesce a contemperare nella sua vita la presenza del passato come ricordo, del futuro come attesa e del presente come vita nel suo essere vissuta. Vivere significa esattamente questo, potremmo dire, con Seneca. La capacità di unificare tutti i tempi, dando il giusto spazio a ciascuno, impedendo che ciascuno prenda il posto indebitamente degli altri, facendo sì che la nostra vita scorra in una equilibrata relazione del ricordo del passato, dell'attesa del futuro e della vita nel presente, che, per dirla con l'agostino delle confessioni, come uno spago si dilata nel futuro precorrendolo o...
arretra nel passato rammemorandolo. Questo significa propriamente vivere in maniera saggia, abitare tutti e tre i tempi ben posizionati nel presente, pregustando l'attesa del futuro, rammemorando le cose del passato senza lasciare che nel passato, nel futuro, impediscano di vivere il presente. Dice Seneca la vita più breve e più tormentata è quella di coloro che dimenticano il passato. trascurano il presente e temono il futuro. Questa è la vita peggiore.
Vi sono vari modi per sprecare la vita, ad esempio vivere solo ricordando il passato, ciò che paralizza la nostra esistenza nel presente, quella che Nietzsche chiamerà la forma di storia antiquaria, quella di chi rammemora solo lo splendore del passato e perciò stesso si trova paralizzato nella vita del presente, senza presente e senza futuro. Vi è poi chi invece vive solo di attività, attesa del futuro e quindi è a sua volta incapace di rammemorare il passato e di vivere il presente. E poi c'è chi senza passato e senza futuro vive occupato interamente, come dicevamo, nel presente.
Ecco, la vita peggiore in assoluto però è quella di chi riesce a perdere sia il passato che non ricorda, sia il futuro che teme, sia il presente che trascura perché è tutto rapito dal... terrore del futuro e dall'oblio del passato. Dice Seneca, questa è la vita peggiore in assoluto. Bisogna invece saper prendere congedo anche dalle attività pubbliche.
Non dimentichiamo che il testo è rivolto a Paolino in occasione del suo pensionamento, come potremmo dire, della sua... del suo congedo delle attività pubbliche, e quindi Seneca gli spiega come, a differenza di Cicerone, che nella sua villa a Tuscolo si sentiva dimidiato nella sua libertà, in realtà la vita privata può essere, in queste circostanze, massima espressione di libertà e di vita in senso pieno. L'esortazione finale dell'opera è proprio un invito rivolto a Paolino a ritirarsi con gioia dal proprio ufficio e a vivere nella propria...
privatezza sottraiti dunque alla folla paolino carissimo e rifugiat in un porto più tranquillo sei già stato agitato più di quanto non comporti la tua età ripensa a tutti i marosi che hai affrontato alle bufere personali che hai sostenuto da solo e a quelle pubbliche di cui ti sei fatto carico la tua virtù si è messa già abbastanza in luce in situazioni laboriose inquietanti sperimenta quanto essa sappia fare in una vita ritirata la maggior parte dei tuoi anni e certamente i migliori li hai già consacrati allo stato Ora riserva un poco del tuo tempo anche a te stesso, dice Seneca, non ti invito a un riposo neghittoso inattivo, ad affogare nel sonno in quei piaceri che la massa predilige, la bella vivacità della tua indole. Per riposo non intendo questo. Troverai impegni ben maggiori di quelli che finora hai valorosamente sbrigato, degni di essere meditati nel ritiro e nella tranquillità.
Ecco quindi che Seneca lo esorta a godere del tempo della vita che gli resta dedicandosi alla filosofia. Dedica il tuo ritiro alla filosofia, è l'esortazione finale che Seneca rivolge a Paolino. Rifugiati in queste occupazioni più serene, più sicure, più importanti.
Ti sembra che stia il paragone tra il tuo verificare che il frumento sia conferito nei granai indenne da frodi o negligenze dei trasportatori, che non sia guasto per umidità o fermentato, che risponda... alla misura e al peso e l'accedere a queste realtà sante e sublimi per sapere quale sia la materia di Dio, quale la volutà, la condizione e la forma, quale sorta attende il tuo animo, dove ci collochi la natura dopo il nostro congedo dal corpo, che cosa è che sostiene al centro del mondo la sua componente più pesante, che tiene sospesi sopra di esse i corpi più leggeri, che innalza il fuoco alla sede più alta, fa muovere ed avvicendare gli astri e via via produce tutti gli altri fenomeni che ci riempiono di stupore. Sono certo che tu vuoi abbandonare la terra e fissare le menti su questi pensieri.
In questa nuova regola di vita ti attendono tante nobili attività, l'amore e la pratica della virtù, l'oblio delle passioni, la scienza del vivere e del morire, la pace totale e profonda. E quindi, con queste parole, Seneca chiude la sua opera, vi è poi l'ultimo passaggio, il capitolo 20, che è un appendice, una divagazione sugli occupati. che in realtà nulla aggiunge rispetto a quello che già si è detto e che di fatto ribadisce l'importanza di non vivere nella maniera degli occupati che vanno a dissipare tutto il tempo della loro vita e quindi finiscono naturalmente per trovare breve quella vita che in realtà se venisse bene spesa e impiegata sarebbe sufficiente per fare tutto ciò che vogliamo.
Ciao