Roma, largo Argentina. Questa ai miei piedi è la sagoma di un cadavere, la vittima di un delitto. A dir la verità non sappiamo se il cadavere era messo esattamente così, per due motivi. Il primo è che era a qualche metro più sotto, più o meno all'altezza delle radici di questo pilo.
Il secondo è che l'omicidio in questione risale a più di 2000 anni fa. È l'assassinio di Giulio Cesare. Le Idi di marzo, il 15 di marzo del 44 a.C. La sera prima delle Idi di marzo, Giulio Cesare ha cena a casa di amici, in una casa che probabilmente era qui sul palatino alle mie spalle, oppure là, sulla veglia, perché era lì che i romani ricchi avevano la casa. In quelle cene spesso gli romani ricchi avevano la casa, in quelle gli argomenti di conversazione andavano a finire su questioni filosofiche, come l'onore, il dovere, la libertà.
Quella sera invece si parla di morte. Un aspetto particolare della morte. La domanda è come vorresti che fosse?
fosse la tua morte? Giulio Cesare ci pensa un attimo prima di rispondere, ha sentito voci di congiure e magari si domanda perché proprio a me e proprio stasera questa domanda. Poi alla fine però decide di rispondere. Come vorresti la tua morte? Subitam et celerem, improvvisa e rapida.
La mattina dopo, la mattina delle iddi di marzo, Giulio Cesare verrà assassinato dai congiurati e la sua morte, tutto sommato, non sarà né troppo rapida e neanche improvvisa. Le Idi di Marzo sono andate ben oltre il fatto storico in sé, sono diventate quasi un romanzo, hanno affascinato poeti, Dante e Shakespeare, tanto per dirne due, e grandi della storia, come Napoleone. Un ruolo decisivo nella costruzione di questa dimensione leggendaria lo ha giocato il carattere dei protagonisti, a cominciare dal più importante. Gaio Giulio Cesare nasce a Roma nel 100 avanti Cristo, percorre tutte le tappe della carriera politica romana.
Nel 63 viene eletto pontefice massimo, nel 59 ottiene la carica pubblica più alta, diventa console. Assieme a Pompeo e Crasso crea un patto informale per la spartizione del potere, detto primo triunvirato. Crasso morirà in Siria, Pompeo diventerà suo nemico.
Tra il 58 e il 50 a.C. conquista le Gallie. Nel 49, spaventato dai successi militari di Cesare e dal suo ascendente sulle masse popolari, il Senato lo vuole disarmare e processare. Per sventare questa manovra Cesare getta il famoso dado, passa il rubicone e marcia su Roma. Seguono cinque anni di durissima guerra civile, combattuta e vinta in tutto il Mediterraneo, Balcani, Egitto, Libia e Sardegna.
Spagna. Sul campo di battaglia di Farsalo, cosparso dei cadaveri dei nemici, commenta lo hanno voluto loro. Nel 44 avanti Cristo, prima delle idi di marzo, ha la carica di dittatore a vita ed è ancora pontefice massimo. Dittatore a vita e pontefice massimo.
A queste cariche Giulio Cesare aggiunge il titolo di imperator. Una concentrazione di potere così, nelle mani di un uomo solo, a Roma non si era mai vista. Dato a Cesare quel che è di Cesare, ora passiamo a descrivere il teatro dell'Azione, il centro di Roma Antica.
Qui, in questa zona, c'è la Domus Publica, residenza del Pontefice Massimo, dove viveva Giulio Cesare. Quindi, quella mattina, lui è uscito di casa ed è sceso lungo la via sacra verso il foro romano. Poi, molto probabilmente, avrà fatto quello che facciamo noi oggi. Non è salito sul Campidoglio, ma ha girato attorno, attraversando il foro che porta il suo nome, il foro di Cesare, e costeggiando la Curia Iulia, la sede del senato. Quindi, avrà poi attraversato la zona che oggi è piazza Venezia.
Poi, lungo via delle botteghe oscure, sarà arrivato al teatro di Pompeo, nella zona che oggi è largo Argentina. È lì che viene assassinato. Insomma, tutta la vicenda delle Idi di marzo, un evento così importante per la storia dell'umanità, si racchiude in un raggio di poche centinaia di metri.
Queste sono le rovine della Domus Publica, ai piedi del Palatino, al centro del Foro Romano. La Domus Publica, la Casa Pubblica, era la residenza del Pontefice Massimo, quindi qui viveva Giulio Cesare. E qui Giulio Cesare passa la notte prima delle Idi di Marzo, una notte agitata da incubi. Cesare stesso poi, durante la notte che precedette l'alba del giorno in cui venne assassinato, sognò di sentirsi liberare nell'etere, ora volando al di sopra delle nubi e ora stringendo la mano a Giove. Questo sogno di Cesare in cui immagina di librarsi sopra le nuvole, di stringere la mano addirittura a Dio, è un sogno un po'megalomane, ma comunque un sogno di morte.
E quella notte Cesare non è il solo ad avere incubi di morte, anche sua moglie Calpurnia. Sua moglie Calpurnia sognò che il tetto della loro casa crollava e che il marito le veniva assassinato in grembo. Insomma, dopo una notte piena di incubi, il risveglio la mattina delle iddi di marzo in questa casa è inquieto. Non ci sono solo i brutti sogni, ci sono anche i presaggi degli indovini che non sono favorevoli. Cesare non è un uomo superstizioso, ma mette assieme tutti questi segnali negativi e gli passa la voglia di uscire di casa quella mattina.
Sta già pensando di cancellare la riunione prevista in Senato. Ed è qui che compare il primo dei congiurati. Si chiama Decimo Bruto, da non confondersi con l'altro bruto, quello più famoso.
Decimo Bruto è un cesariano di lungo corso, ha combattuto con lui nelle guerre galliche, ha combattuto con lui nelle guerre civili, quindi è un insospettabile. Infatti Cesare è un cesariano di lungo corso, ha combattuto con lui nelle guerre galliche, quella mattina se lo vede girare per casa e non si insospettisce. Tra i congiurati, Decimo Bruto ha un compito preciso, deve fare in modo che Cesare quella mattina arrivi in Senato.
Grazie allo storico Plutarco noi abbiamo gli argomenti precisi che lui usa per convincere Cesare a uscire di casa, quasi virgolettati. Bisognava forse mandare qualcuno ad avvisare i senatori già riuniti di andarsene a casa e di tornare quando Calpurnia avrebbe fatto sogni migliori. E questo non avrebbe indispettito.
E noi cosa risponderemo quando bolleranno questi... comportamenti come tirannici. Decimo Brutto insiste, se Cesare vuole proprio rinviare la seduta in senato, che almeno vada lui di persona a notificare il rinvio ai senatori. E non usa soltanto le parole, addirittura lo prende per mano e lo spinge letteralmente fuori di casa. Per questo tradimento più tardi Marco Antonio lo chiamerà la venefica, la strega velenosa.
Siamo arrivati all'ora quinta, circa le 10 del mattino. Giulio Cesare esce di casa e si avvia verso il Senato. Ha licenziato la sua scorta, è da solo.
Cesare è uscito di casa e attraversa il foro, quindi probabilmente, anzi sicuramente, passa da queste parti. E chissà se gli viene in mente un altro episodio premonitore, accaduto un mese prima, a metà febbraio, durante la festa dei Lupercali, che sono una festa tribale romana a cui partecipa tutto il popolo. Cesare assiste alla festa seduto su un trono là sui rostri. I rostri erano la tribuna politica della Roma antica, da là i capi arringavano le folle.
C'è un tale, un tale Licinio, che viene sollevato ed epone ai piedi di un'altra. di Cesare, una corona da re. Ora per un romano antico voler essere re è il peggiore dei crimini, erano repubblicani e convinti. Se Cesare accetta quella corona si mette in difficoltà di fronte al popolo, confessa le sue ambizioni monarchiche.
Infatti, in mezzo alla folla, c'è uno dei congiurati, uno dei capi, Cassio Longino, che salta sui rostri, anche lui si solleva e depone la corona sulle ginocchia di Cesare. Cesare la ignora, forse se la lascia scivolare giù dalle ginocchia, ma a quel punto arriva Marco Antonio, in testa alla festa dei Gupercali. tutto nudo e unto come si usava durante quella festa, salta anche lui sui rostri e addirittura la mette sulla testa di Cesare. Cesare la rifiuta e la getta tra la folla. A questo punto lo storico Nicola di Damasco ci racconta un dettaglio importante.
Quelli che erano lontano applaudirono questo gesto, quelli che erano vicini invece gridavano che lo accettasse e non rifiutasse il favore del popolo. È una cosa strana, quelli laggiù, quelli in fondo alla piazza, applaudono Cesare, sono contenti che lui rifiuti la corona e sembra da loro una reazione spontanea. Invece quelli qua sotto insistono, Cesare deve mettersi in testa la corona.
loro sembrano una clac organizzata, una provocazione per costringere Cesare ad ammettere le sue vere intenzioni. Intanto Antonio ha di nuovo in mano la corona e un'altra volta la mette in testa Cesare, che un'altra volta la rifiuta e la butta tra la folla. Quando Antonio gli mise il diadema sul capo per la seconda volta, il popolo gridò Salve Re! Egli non accettò nemmeno allora e ordinò di portare la corona nel tempio di Giove Capitolino al quale disse più conveniva. Insomma Cesare è cauto, non cade nella trappola.
Ma cosa ci dice questo episodio? Ci dice che i congiurati stavano cercando di costruirsi un consenso popolare. Se Cesare avesse accettato la corona, se avesse ammesso di voler diventare re, allora il loro assassino sarebbe stato giustificato davanti al popolo. Resta ambiguo il ruolo di Antonio, amico di Cesare, suo fedelissimo, che invece lo mette in difficoltà davanti ai suoi nemici.
Ma chi sono i suoi nemici? Quella casona di mattoni laggiù è la Curia, il luogo dove si riunisce il Senato fin dai tempi più antichi della Repubblica. All'Eidi di marzo del 44 è un cantiere, Cesare la sta facendo ricostruire dopo un incendio avvenuto qualche anno prima.
La Curia, il Senato, è il nido dei nemici di Cesare. Sono senatori i due capi della congiura, Brutto e Cazio. Marco Giugno Bruto, nato a Roma nell'85 a.C., discende da Giugno Bruto, l'eroe antico che cacciò l'ultimo re di Roma. Sua madre è Servilia, amante per lungo tempo di Cesare.
Per questo si è diffuso il pettegolezzo che Bruto in realtà sia suo figlio, anche se all'epoca della sua nascita Cesare ha solo 15 anni. Durante la guerra civile Brutto si è schierato contro Cesare, ma è stato perdonato e premiato con cariche pubbliche. Alle idi di marzo è pretore urbano, un ruolo prestigioso di amministrazione della giustizia.
È autore di opere filosofiche. Di lui Cesare dice, non sa cosa vuole, ma lo vuole fortemente. Questa moneta, coniata dopo le Idi di Marzo, racconta il suo punto di vista. Da una parte c'è il suo ritratto, dall'altra i pugnali che hanno assassinato Cesare.
La scritta Idi di Marzo è un berretto simbolo di libertà. Il berretto che indossavano gli schiavi il giorno in cui venivano liberati. Gaio Cassio Longino, coetaneo di Bruto, è il primo leader della congiura.
Anche lui nemico di Cesare, anche lui perdonato. Di lui non esistono ritratti, ma anche nel suo caso c'è una moneta. L'ha fatta coniare lui, con il ritratto della libertà. Questo è il Senato di Roma. E nonostante i mille rimaneggiamenti, le modifiche, le ricostruzioni che ha subito nel corso dei secoli, Il senato di Roma resta la sede ideale della parola che Brutto e Cassio rivendicano di continuo, libertà.
Ma dietro quella rivendicazione c'è uno scontro politico molto antico, un confine sottile in cui la parola libertà si confonde con la parola privilegio. Partiti politici a Roma... sono essenzialmente due, i populares, i popolari, che corrispondono grosso modo alla nostra sinistra, e gli ottimati, i nobili, gli oligarchi, il senato, la nostra destra. I popolari seguono una linea precisa che parte dai gracchi e dai loro tentativi di riforma agraria.
Prosegue in Gaio Mario, lo zio di Cesare, e arriva poi fino a Giulio Cesare. Gli Ottimati, invece, che rappresentano gli interessi delle grandi famiglie di oligarchi, hanno i loro campioni in Silla, in Pompeo, in Catone e in un ruolo più di mediazione in Cicerone. C'è un aspetto che va sottolineato. Ai tempi di Cesare, ai tempi della fine della Repubblica, lo scontro politico non avveniva in un modo dialettico, parlamentare, come potremmo immaginarci oggi. Avveniva attraverso guerre, persecuzioni, che costavano decine, centinaia, migliaia di morti.
E tutto ruotava attorno a una questione che in termini odierni potremmo definire la ridistribuzione della ricchezza. I popolari, la sinistra, volevano ridistribuire le terre dei maniali tra i legionari, tra i veterani, che provenivano tutti dalle classi basse. Per questo i capi dei popolari basavano il proprio potere e il proprio prestigio sull'esercito. Gli Ottimati invece, la destra, poche famiglie che di fatto possedevano tutto il Mediterraneo, non volevano rinunciare a nessuno dei loro privilegi e a nessuna delle loro rendite.
Brutto e Cassio, i paladini, i difensori delle libertà repubblicane, appartenevano proprio a questa fazione. Chiarito il contesto politico, ora riprendiamo il percorso di Cesare quella mattina, la mattina delle id di marzo. E'uscito dalla Domus Pubblica. la casa dove abitava laggiù, poi è sceso lungo la via Sacra, ha attraversato il foro, è passato qua vicino al Senato ed ora sta arrivando in un punto nevralgico per capire le tensioni che attraversano Roma in quel momento, la piazza che porta il suo nome, il foro di Cesare.
Il progetto del Foro di Cesare aveva e conserva ancora delle dimensioni monumentali e dobbiamo immaginarcelo circondato da portici, coperto di marmi, molto sfarzoso, dominato laggiù dalla mole del Tempio di Venere Genitrice. Ma quello che ci interessa non è l'architettura di questa piazza, è il suo valore simbolico e politico, le ragioni per cui suscita risentimento negli avversari di Cesare. Innanzitutto per la sua posizione nel cento di un'altra piazza, che è la piazza di Cesare, che è la di Roma. Da quella parte adesso c'è via dei fori imperiali, ma da quest'altra parte, dove mi trovo adesso, molto è rimasto come era, a partire dalla posizione della Curia, del Senato, che nelle intenzioni di Cesare deve cambiare orientamento e diventare una sorta di appendice della piazza che porta il suo nome.
Ancora più importante è la scelta di costruire qui questo tempio dedicato a Venere Genitrice. Venere è Genitrice perché è la dea della vita che si rigenera, ma nel caso di Cesare ha un significato in più. Venere è Genitrice perché è la sua...
antenata mitica. Venere è la madre di Enea, Enea è il padre di Iulo, Iulo è il capostipite della Gensi Iulia, il clan familiare a cui appartiene Giulio Cesare. Insomma, tutta questa piazza è una celebrazione di Cesare e il Senato, la sede delle libertà e degli interessi repubblicani, è laggiù, schiacciato in un angolo, messo ai margini dal potere di un uomo solo. Le fonti antiche fanno una lunga...
La lista delle ragioni per cui Cesare era detestato dai senatori. Troppi onori, troppe cariche, troppe decisioni arbitrarie, troppi cittadini morti durante le guerre civili. Ma Svetonio ci racconta che l'incidente più grave avviene qui, nel Tempio di Venere Genitrice. Ma l'odio più grande e implacabile se lo attirò con questo fatto. Ricevette, restando seduto davanti al Tempio di Venere Genitrice, il Senato al completo, che era venuto a porgergli i decreti con cui gli conferiva grandissimi onori.
Insomma, arrivano i senatori e lui resta seduto. A noi oggi sembra una faccenda di poco conto, ma dobbiamo metterci nella mentalità di un senatore della Repubblica di Roma, che considera se stesso lo specchio delle virtù civili e morali più alte. immaginarli tutti assieme i senatori che attraversano in processione questa piazza, salgono gli scalini di questo tempio, arrivano fin qui per rendere omaggio a Cesare e lui neppure si alza.
È più di un'offesa, è un'umiliazione, per di più pubblica, per di più esibita di fronte a tutta la città e suscita, come dice Svetonio, un odio implacabile. In coincidenza con questo episodio, sui muri di Roma incominciano a comparire delle strane scritte. Bruto dormi? Tu non sei davvero Bruto. Ora Bruto è il discendente di quel Bruto che aveva cacciato l'ultimo re di Roma, Tarquinio il Sì.
superbo, quindi in qualche modo queste scritte lo incitano ad agire e a cacciare il nuovo monarca Giulio Cesare. Con questa campagna murale di graffiti la congiura esce allo scoperto, ma Cesare, ancora una volta, ignora l'avvertimento. Abbiamo lasciato il foro di Cesare e riprendiamo la cronaca del 15 marzo del 44 a.C.
Abbiamo seguito il suo risveglio dopo una notte piena di incubi, abbiamo visto che è uscito di casa verso le 10 del mattino, abbiamo seguito il suo risveglio dopo una notte piena di incubi, suo percorso verso la riunione del Senato. Sarà passato un quarto d'ora, saranno le 10 e un quarto e Giulio Cesare dovrebbe essere in questa zona, quella che oggi è Piazza Venezia. Ed è qui che c'è un nuovo avvertimento, molto più forte che il primo.
più concreto degli sogni e molto più esplicito delle scritte sui muri. Ce lo racconta Svetonio. Un tale, venuto lì incontro, gli porse un foglietto in cui si denunciava la congiura.
Cesare lo unì alle carte che teneva nella sinistra, come se avesse voluto leggerlo di lì a poco. Tutarco è ancora più preciso e a quel tale dà un nome, si chiama Artemidoro ed è un filosofo greco che fa parte della cerchia di Bruto. Quindi su quel foglietto ci sono delle rivelazioni di un uomo che conosce i segreti di Bruto. Cesare però, come abbiamo visto, sembra intenzionato a leggerlo in un secondo momento e allora Artemidoro insiste.
Leggilo Cesare, è in fretta, perché contiene questioni importanti che ti riguardano. Seguendo il percorso siamo arrivati in via delle botteghe oscure. Noi dobbiamo immaginare le strade dell'antica Roma molto più strette e anguste di questa, piene di gente, con folle di postulanti che si accalcano attorno a Cesare, mani che si allungano. Cesare, forse distratto, quel foglio se lo dimentica, non lo legge e non lo leggerà mai. Adesso siamo scesi nell'area sacra di Largo Argentina.
Sono quattro templi e risalgono tutti all'età repubblicana, tra il IV e il I secolo a.C. Per quanto in rovina, questo è esattamente il paesaggio che ha visto Cesare la mattina del 19. le Idi di marzo. Da quella parte c'era il teatro di Pompeo, adesso c'è un altro teatro, il teatro Argentina e nel teatro di Pompeo si riunisce provvisoriamente il Senato in attesa che finiscano i lavori alla Curia che abbiamo visto prima, la Curia Iulia.
È proprio lì che i congiurati aspettano Cesare. Prima di iniziare la seduta in Senato, Cesare fa dei sacrifici rituali, poi si avvia verso la curia provvisoria. Ha licenziato la scorta, forse perché si fida di un giuramento che hanno fatto i senatori, che hanno giurato di proteggerlo a costo della propria vita.
Con lui è rimasto solo Marco Antonio, che è suo amico ed è un uomo forte. Ma Marco Antonio si lascia trattenere fuori dalla curia con un pretesto da un congiurato. Nella nostra ricostruzione dei fatti è passata circa un'ora da quando lui è uscito di casa alle 10 del mattino.
Sono quindi le 11. Cesare entra nella trappola completamente solo. Quando si fu messo a sedere, i congiurati gli si fecero attorno come per rendergli onore e Cimbro Tiglio, che si era assunto il compito di dare il segnale, gli si avvicinò come per chiedergli qualcosa e poiché Cesare gli opponeva un rifiuto, lo afferrò a lui. per la toga e mentre egli gridava ma questa è violenza uno dei due casca lo colpì, frendolo poco sotto la gola. Cesare afferrato il braccio di casca lo trapassò con lo stilo e tentò di balzare in piedi ma venne fermato da un'altra ferita.
Ist aquidem vis est. Questa è violenza. La cronaca di Svetonio ci riporta questa frase stupita di Cesare. L'altro cronista, Plutarco, aggiunge un dettaglio.
Cesare si difende e blocca con la mano la lama. di un pugnale diretto a lui, ma questo non basta a fermare i congiurati. Ognuno dei congiurati snuda il pugnale e Cesare, circondato da tutte le parti, ovunque si voltasse si trovava di fronte un'arma mirata ai suoi occhi e alla sua faccia.
Trascinato qua e là come una bestia selvaggia, era intrappolato nelle mani di tutti. C'è un dettaglio su cui concordano tutti e due i cronisti. Quando Cesare si accorge di non avere più scampo, prende un lembo della toga e si copre la testa per cadere dignitosamente. In uno dei quadri ottocenteschi che raccontano le Idi di Marzo, c'è il particolare di Bruto che si gira dall'altra parte mentre sta per dare la pugnalata, come se si vergognasse per quello che sta facendo. L'ultima frase.
Quella rivolta a lui, la più famosa, la riporta solo Svettoni. Qualcuno però ha tramandato che rivolto a Marco Bruto, mentre questi gli si avventava addosso, abbia esclamato, anche tu figlio. Così, secondo le fonti, muore Giulio Cesare. E secondo una tradizione romana molto consolidata, il punto esatto in cui è caduto il suo corpo è là, alla radice di quel pino.
Sempre grazie alle fonti antiche possiamo anche divertirci e giocare alla polizia scientifica e scoprire qualcosa di più su questo assassino. La prima pugnalata è al collo ed è di striscio. Il totale delle pugnalate è 23. Anche il numero dei congiurati è 23, quindi ognuno di loro ha dato una pugnalata. È un po'come in quei rituali delle organizzazioni criminali, in cui tutti devono partecipare fisicamente all'atto, tutti devono essere complici, in modo che nessuno possa poi chiamarsi fuori. 23 pugnalate, una sola mortale, la seconda al petto.
Tutte le altre sono poco più che graffi. Plutarco ci spiega perché. Molti dei congiurati si ferirono l'un l'altro, mentre cercavano di piantare tutte quelle pugnalate in un solo corpo.
È un particolare importante, perché ci racconta lo stato di sovrecitazione in cui erano i congiurati, che addirittura si feriscono l'un l'altro. Sono consapevoli dell'enormità del loro gesto. Hanno appena cambiato la storia.
Hanno appena assassinato l'uomo più potente del loro tempo, un grande condottiero, un grande politico, addirittura anche un grande intellettuale e scrittore, amato dal popolo. Forse in questo stato di esaltazione si dimenticano o trascurano, non hanno il coraggio di fare una cosa che avevano pianificato, far sparire il cadavere. È un errore gravissimo e lo pagheranno molto caro, ce lo racconta Svetonio. I congiurati avevano l'intenzione di gettare il suo corpo nel Tevere, ma non lo fecero per paura del console Marco Antonio e di Lepido, il comandante della cavalleria. Il cadavere di Cesare resta abbandonato per ore sul pavimento.
I congiurati sciamano per Roma urlando libertà, libertà e sono convinti di accendere gli entusiasmi del popolo. Invece la città resta muta e spaventata. Cesare verrà portato via da tre schiavi su una lettiga e quel cadavere si trasformerà nell'arma più potente contro i congiurati.
Qualche giorno dopo, il funerale di Cesare susciterà una rabbia popolare incontenibile e i leader della congiura saranno costretti ad abbandonare Roma. L'attentato, riuscito da un punto di vista pratico, fallisce nelle intenzioni. Quasi nessuno dei suoi assassini gli sopravvisse per più di tre anni e nessuno morì di morte naturale.
Furono condannati tutti e perirono in circostanze diverse, parte in naufragio, parte in battaglia. Alcuni si trovarono in un'esplosione, altri in un'esplosione. tolsero la vita con lo stesso pugnale con cui avevano violato il corpo di Cesare. Questo è il luogo in cui è stato bruciato il cadavere di Cesare durante il funerale.
Dopo la sua morte Roma conosce 15 anni di guerre civili cruentissime che spazzano via per sempre l'antico mondo repubblicano per cui i congiurati l'avevano assassinato. Le parole di Giulio Cesare sono state lucide e profetiche. La mia vita non è necessaria tanto per me quanto per lo Stato. Io già da tempo ormai sono assurdo al massimo della potenza e della gloria. Lo Stato invece, se qualcosa dovesse succedermi, non potrebbe rimanere tranquillo e soffrirebbe, in condizioni a quanto peggiori, nuove guerre civili.