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25 - La casa degli spiriti - Isolamento e scoperte di Blanca

A mano a mano che si ingrossava, Blanca acquisiva una placidità orientale contro cui si schiantarono i tentativi di suo marito di inserirla in società, condurla alle feste o a passeggio in carrozza o entusiasmarla con gli arredi della sua nuova casa. Greve, ingombrante, solitaria e con una perenne stanchezza, Blanca si era rifugiata nel lavoro a maglia e nel ricamo. Passava la maggior parte del giorno dormendo. e nelle ore in cui era sveglia confezionava piccoli indumenti per un corredino rosa perché era sicura di dar alla luce una bambina proprio come sua madre aveva fatto con lei aveva sviluppato un sistema di comunicazione con la creatura che teneva in grembo e andò ripiegandosi su se stessa in un silenzioso e ininterrotto dialogo nelle sue lettere descriveva la sua vita ritirata e malinconica e parlava di suo marito con cieca simpatia come di un uomo fine discreto e comprensivo così Andava diffondendo, senza esserselo proposto, la leggenda che Jean de Satigny era quasi un principe, evitando di accennare al fatto che aspirava cocaina dal naso e fumava oppio la sera perché era sicura che i suoi genitori non avrebbero potuto capirlo. Aveva a sua disposizione un'intera ala della dimora, ve aveva sistemato i suoi quartieri e lì ammocchiava tutto quello che preparava per l'arrivo di sua figlia. Jean diceva che cinquanta bambini non sarebbero riusciti a mettersi tutta quella roba. e a giocare con quella quantità di giocattoli ma l'unico diversivo che blanca aveva era quello di girare per le poche botteghe della città e comprare tutto quanto di color rosa vedeva per un bebè la giornata la trascorreva ricamando mantelline confezionando scarpette di lana decorando cestini mettendo in ordine la fila di camicine bavaglini pannicelli stirando le lenzuola ricamate dopo la siesta scriveva a sua madre e talvolta a suo fratello jaime e quando il sole calava e rinfrescava un po'andava a passeggio nei dintorni perché le si sgonfiassero le gambe. La sera si univa suo marito nella grande sala da pranzo della casa, dove i neri di porcellana, ritti nei loro angoli, illuminavano la scena con una luce da postribolo. Si sedevano ognuno a un'estremità della tavola, apparecchiata con una lunga tovaglia, cristalleria e vasellame al completo e ornata di fiori artificiali, perché in quella regione inospedale, ospitale e non ce n'erano di naturali. Li serviva sempre lo stesso indio, impassibile e silenzioso, che continuava a rigirarsi in bocca la stessa verde palla di foglie di coca di cui si nutriva. Non era un servitore comune e non svolgeva alcuna mansione specifica nell'ambito dell'economia domestica e non era nemmeno suo forte servire a tavola perché non sapeva badare a porgere nei piatti da portata. ne posate e finiva per buttare lì il cibo in un modo qualsiasi talvolta blanca aveva dovuto avvertirlo di non prendere le patate con la mano per mettergliele nel piatto ma jean de satigny lo stimava per qualche misterioso motivo e stava avviandolo a farne un aiutante per il suo laboratorio se non può parlare come un cristiano a maggior ragione non potrà fare fotografie aveva osservato blanca quando era venuta a saperlo quell'indio Era quello che Blanca aveva creduto di vedere ostentare Tacchi Luigi XV. I primi mesi della sua vita di sposa erano trascorsi calmi e pieni di noia. La naturale tendenza di Blanca all'isolamento e alla solitudine si era accentuata, si era rifiutata di fare vita di società e Jean de Satigny aveva finito per recarsi da solo ai numerosi ricevimenti cui erano invitati. Poi, quando rincasava, scherniva davanti a Blanca la... pacchianeria di quelle vecchie e rancide famiglie in cui le signorine erano accompagnate dalla balia e gli uomini usavano gli scapolari. Blanca poteva condurre la vita indolente per la quale si sentiva portata, mentre suo marito si dedicava a quei piccoli piaceri che solo il denaro può consentire e ai quali aveva dovuto rinunciare per così lungo tempo. Usciva tutte le sere per andare a giocare al casino e sua moglie aveva calcolato che doveva perdere grandi somme di denaro perché alla fine del mese c'era invariabilmente una fila di creditori davanti alla porta. Jean aveva un'idea molto peculiare dell'economia domestica. Si era comprato un'automobile ultimo modello con sedili foderati di pelle di leopardo e pulsanti dorati degna di un principe arabo, la più grande e sontuosa che si fosse mai vista da quelle parti. aveva instaurato una rete di contatti misteriosi che gli permettevano di comprare antichità specialmente porcellana francese in stile barocco per la quale aveva una debolezza inoltre aveva introdotto nel paese casse di liquori pregiati che passavano la dogana senza problemi i suoi contrabbandi entravano in casa dalla porta di servizio e uscivano intatti dalla porta principale diretti verso altri luoghi dove jean li consumava in festini segreti oppure li rivendeva a un prezzo esorbitante in casa non ricevevano visite e dopo poche settimane le signore del luogo avevano smesso d'invitare blanca era corsa la voce che fosse orgogliosa altera e di salute cagionevole cosa che aveva aumentato la generale simpatia per il conte francese che aveva acquisito fama di marito paziente e rassegnato blanca andava d'accordo con suo marito Le uniche occasioni in cui discutevano era quando lei cercava di sapere qualcosa delle finanze familiari. Non poteva spiegarsi come Jean potesse permettersi il lusso di comprare porcellane e di andare a spasso con quel veicolo tigrato se non gli bastava il denaro per pagare il conto del cinese e degli alimentari, né le paghe dei numerosi servitori. Jean si rifiutava di parlare della faccenda, col pretesto che quelle erano responsabilità prettamente maschili e che lei non aveva bisogno di riempire la sua testolina da passerotto, con problemi che non aveva la capacità di capire. Blanca aveva sospettato che il conto di Esteban Trueba a favore di Jean de Satigny avesse fondi illimitati e di fronte all'impossibilità di raggiungere un accordo con lui aveva finito per disinteressarsi di quei problemi. Vegetava, come un fiore di un altro clima, in quella casa isolata fra arenili circondata da un'altra. circondata da indios stravaganti che sembravano vivere in un'altra dimensione, notando spesso piccoli dettagli che la inducevano a dubitare del proprio buonsenso. La realtà le appariva sbiadita, come se quel sole implacabile che cancellava i colori avesse deformato anche le cose che la attorniavano e avesse trasformato gli esseri umani in ombre silenziose. Nel soppore di quei mesi, Blanca protetta dalla creatura che le cresceva dentro, aveva dimenticato l'immensità della sua sventura. Aveva smesso di pensare a Pedro III Garzia con l'assillante urgenza con cui lo faceva prima, e si era rifugiata in ricordi dolci e appannati che poteva evocare in qualunque momento. La sua sensualità si era addormentata, e le rare volte in cui meditava sul suo sfortunato destino, si compiaceva a immaginare se stessa per fluttuante su una debulosa senza pene senza allegria lontana dalle cose brutali della vita isolata con sua figlia come unica compagnia era giunta a pensare di aver perduto per sempre la capacità di amare e che l'ardore della sua carne si fosse messo a tacere definitivamente passava interminabili ore a contemplare il paesaggio pallido che si dispiegava davanti alla sua finestra la casa si trovava al limite della città circondata da qualche albero rachitico che resisteva all'incalzare implacabile del deserto dal lato nord il vento distruggeva ogni specie di vegetazione e si poteva vedere l'immensa piana di dune e di collinette lontane che tremavano nel riverbero della luce di giorno la spossava l'afa di quel sole a piombo e di notte tremava di freddo fra le lenzuole del suo letto difendendosi dal gelo con borse di acqua calda e scialli di lana Guardava il cielo nudo e limpido in cerca della traccia di una nuvola, nella speranza che ogni tanto cadesse una goccia d'acqua ad alleviare l'opprimente asperità di quella vallata lunare. I mesi passavano, immutabili, senz'altro diversivo che le lettere di sua madre, in cui le raccontava della campagna politica di suo padre, delle folie di Nicolás, delle stravaganze di Jaime, che viveva come un prete, ma che aveva gli occhi da innamorato. Clara le aveva suggerito, in una delle sue lettere, che per tenere le mani occupate riprendesse a fare i suoi presepi. Lei ci aveva provato. Si era fatta mandare l'argilla speciale, che era abituata a usare alle tre marie, aveva organizzato il suo laboratorio nella parte dietro la cucina e aveva messo un paio di indios a costruire il forno per cuocere le figurine di ceramica, ma Jean de Satigny la prendeva in giro dicendo che per tenere le mani occupate era meglio che facesse scarpette a maglia. e imparasse a confezionare dolcetti di pasta sfoglia. e aveva finito per abbandonare il suo lavoro, non tanto per i sarcasmi di suo marito, quanto perché aveva capito che le era impossibile competere con l'antica arte ceramica degli indigeni. Jean aveva organizzato il suo commercio con la stessa tenacia con cui prima si era occupato dei cincillà, ma con maggiore successo. A parte un sacerdote tedesco che da vent'anni percorreva la regione per disotterrare il passato degli Inca, Nessuno si era mai preoccupato di quelle reliquie, considerandole di scarso valore commerciale. Il governo proibiva il traffico delle antichità indigene e aveva dato una concessione plenaria al prete che era autorizzato a raccogliere i pezzi e a consegnarli al museo. Aveva trascorso due giorni col prete tedesco, il quale, felice di trovare dopo tanti anni una persona interessata al suo lavoro, non aveva avuto difficoltà a rivelare le sue conoscenze era così venuto al corrente del modo in cui si poteva stabilire per quanto tempo erano rimaste sepolte aveva imparato a conoscere le differenze di epoca e di stile e aveva scoperto il modo di individuare i cimiteri nel deserto tramite segni invisibili all'occhio civile ed era arrivato infine alla conclusione che quelle terracotte pur non avendo il dorato splendore di quelle delle tombe egizie avevano almeno lo stesso valore storico una volta ottenute tutte le informazioni che gli erano necessarie aveva organizzato le sue squadre di indios per disotterrare quanto era sfuggito allo zelo archeologico del prete le magnifiche ceramiche funerarie verdi per la patina del tempo avevano cominciato ad arrivare a casa sua nascoste in fagotti di stoffa indigena e in bisacce di pelle di lama riempiendo rapidamente i posti segreti a loro destinati. Blanca le vedeva mucchiarsi nelle stanze e restava meravigliata dalle loro forme. Le prendeva in mano accarezzandole come ipnotizzata e quando le imballavano con paglia e carta per inviarle a destinazioni lontane e sconosciute si sentiva angosciata, quella ceramica le sembrava troppo bella. Sentiva che i mostri dei suoi presepi non potevano stare sotto lo stesso tetto delle terrecotte funerarie. E per questo, più che per qualsiasi altro motivo, aveva abbandonato il suo laboratorio. L'affare delle crete indigene era segreto perché erano patrimonio storico della nazione. Lavoravano per Jean de Satigny diverse squadre di indios che erano arrivati lì infiltrandosi clandestinamente attraverso gli intricati passaggi della frontiera. Non avevano documenti che li accreditassero come esseri umani. Erano silenziosi, rozzi e impenetrabili. Ogni volta che Blanca chiedeva da dove venissero quegli esseri che comparivano improvvisamente nel cortile le rispondevano che erano cugini di quello che serviva a tavola e in effetti si somigliavano tutti non rimanevano a lungo in casa per la maggior parte del tempo se ne stavano nel deserto senz'altro equipaggiamento che una palla per scavare nella sabbia e una palla di foglie di coca in bocca per mantenersi vivi Talvolta avevano la fortuna di trovare le rovine seminterrate di un villaggio degli Incas e in poco tempo riempivano i ripostigli della casa con quello che rubavano nei loro scavi. La ricerca, il trasporto e il commercio di questa mercanzia venivano compiute in maniera così cauta che Blanca non aveva mai nutrito il minimo dubbio che ci fosse qualcosa di illegale dietro le attività di suo marito. Jean le aveva spiegato che il governo era molto suscettibile riguardo... Ai recipienti sporchi e ai miseri collari di pietruzze del deserto, che, per evitare pratiche interminabili della burocrazia ufficiale, preferiva occuparsene a modo suo, li spediva fuori del paese in casse sigillate, con etichette di mele, grazie alla complicità interessata di qualche ispettore di Dogana. Tutto ciò non impensieriva Blanca, la preoccupava soltanto la faccenda delle mummie, aveva familiarità con i morti. perché aveva passato tutta la vita in stretto contatto con loro attraverso il tavolino a tre gambe su cui sua madre li evocava, era abituata a vedere le loro figure trasparenti, a girarsi lungo i corridoi della casa dei suoi genitori, facendo rumore negli armadi e apparendo in sogno per pronosticare disgrazie o vincite alla lotteria. Ma le mummie erano diverse, quegli esseri rattrapiti, avvolti in panni che si disfacevano. in filamenti polverosi con le loro teste scarnificate e gialle le loro manine rugose le loro palpebre cotte e i loro capelli radi sulla nuca i loro eterni sorrisi senza labbra il loro odore di rancido e quell'aria triste ed erellita dei cadaveri antichi le sconvolgevano l'anima erano che assai di rado gli indios ne portavano qualcuna. Lenti e immutabili apparivano in casa reggendo sulle spalle una grande giara sigillata di fango cotto. Jean l'apriva con attenzione in una stanza con tutte le porte e le finestre chiuse affinché il primo soffio d'aria non la trasformasse in polvere e cenere. Dentro la giara appariva la mummia come il nocciolo di uno strano frutto raccolta in posizione fetale, avviluppata nei suoi cenci in compagnia dei suoi miseri tesori di collane di denti e bambole di pezza. Erano molto più pregevoli di tutti gli altri oggetti che estraevano dalle tombe, perché i collezionisti privati e qualche museo straniero le pagavano molto bene. Blanca si chiedeva che tipo di persone potesse collezionare morti e dove li avrebbe messi, non riusciva a immaginare una mummia come parte... dell'arredamento di un salotto ma jean le diceva che per un milionario europeo sistemati in un urna di vetro potevano avere più valore di qualunque opera d'arte le mumie erano difficili da piazzare sul mercato da trasportare e da far passare alla dogana sicché talvolta rimanevano per diverse settimane nei ripostigli della casa in attesa del loro turno per intraprendere il lungo viaggio all'estero blanca le sognava aveva allucinazioni credeva di vederle camminare nei corridoi in punta di piedi piccole come gnomi, sornioni e furtivi. Chiudeva la porta della sua camera, cacciava la testa sotto le lenzuole e trascorreva ore e ore così, tremando, pregando e invocando sua madre con la forza del pensiero. L'aveva raccontato a Clara, nelle sue lettere le aveva risposto che non doveva avere paura dei morti, bensì dei vivi, perché nonostante la loro cattiva fama, non si era mai saputo che le mummie avessero aggredito qualcuno. erano invece di natura assai timida rincuorata dai consigli di sua madre blanca aveva deciso di spiarle le aspettava silenziosamente sorvegliando dalla porta socchiusa della sua camera aveva subito avuto la certezza che passeggiassero per casa trascinando le loro gambette infantili sui tappeti bisbigliando come scolaretti spingendosi passando tutta la notte in piccoli gruppi di due o tre sempre in direzione del laboratorio fotografico di Jean de Satigny. Talvolta credeva di udire lontani gemiti d'oltre tomba e subiva incontrollabili attacchi di terrore. Chiamava gridando suo marito, ma nessuno arrivava e lei aveva troppa paura per attraversare tutta la casa e cercarlo. Allo spuntare dei primi raggi del sole, Blanca recuperava il suo coraggio e il controllo dei suoi nervi tormentati. Si rendeva conto che le sue angosce notturne erano Frutto dell'immaginazione febbrile ereditata da sua madre, si tranquillizzava finché non calavano di nuovo le ombre della notte e ricominciava il ciclo del suo spavento. Un giorno non aveva più sopportato la tensione che sentiva all'avvicinarsi della notte e si era decisa a parlare delle mie congeance. Stavano cenando quando lei gli raccontò dei passi, dei sussurri e delle grida soffocate e Jean de Satigny rimase pietrificato con la forchetta in mano e la bocca aperta. L'indio che stava entrando nella sala da pranzo col vassoio inciampò e il pollo arrosto andò a finire sotto una seggiola. Jean fece sfoggio di tutto il suo fascino, di tutta la sua fermezza e di tutto il suo senso della logica per convincerla che stavano crollando le innervie e che niente di tutto questo stava succedendo nella realtà, bensì era il frutto della sua eccitata fantasia. Blanca aveva finto di accettare il suo ragionamento, però le era sembrata molto dubbia. la vemenza di suo marito che di solito non badava i suoi problemi, così come la faccia del servitore, che per una volta aveva perso la sua immutabile espressione da idolo e gli occhi gli si erano spalancati un po'. Aveva allora deciso dentro di sé che era giunta l'ora di indagare a fondo sulla faccenda delle mummie migranti. Quella sera si accomiotò presto dopo aver detto al marito che pensava di prendere un tranquillante per dormire. Invece... Si beve una gran tazza di caffè nero e si appostò vicino alla porta, decisa a passare molte ore di attesa. Sentì i primi brevi passi verso mezzanotte, aprì la porta con molta cautela e sporse la testa proprio nell'istante in cui una piccola figura rannicchiata passava in fondo al corridoio. Questa volta era sicura di non esserselo sognato, ma a causa del peso del suo ventre le ci volle quasi un minuto per raggiungere il corridoio. La notte era fredda. e soffiava il vento del deserto che faceva crocchiare le vecchie strutture della casa e gonfiava le tende come nere vele d'alto mare fin da piccola quando ascoltava le storie del Baud, la nana in cucina, aveva paura del buio, ma non osò accendere le luci, per non spaventare le piccole mummie nel loro erratico andare. Di improvviso un grido rauco spezzò il denso silenzio della notte, attutito come se fosse uscito dal fondo di una cassa da morto, o almeno questo pensò Blanca. Cominciava a essere vittima del fascino morboso delle cose dell'oltretomba. Rimase immobile col cuore che quasi le usciva dalla bocca, ma un secondo gemito la strappò dalla sua strazione, dandole la forza di avanzare fino alla porta del laboratorio di Jean de Satigny. Fece per aprirla, ma era chiusa a chiave. Accostò la faccia alla porta e allora intese chiaramente mormorì, grida, soffocate e risa, e allora non ebbe più dubbi che qualcosa stesse succedendo tra le mommie. tornò nella sua camera confortata dalla convinzione che non fossero i suoi nervi a cedere bensì che qualcosa di atroce accadeva nell'antro segreto di suo marito il giorno dopo blanca aspettò che jean de satigny terminasse la sua meticolosa toaletta personale facesse colazione con la sua parsimonia consueta leggesse il suo giornale sino all'ultima pagina e infine uscisse per la sua passeggiata mattutina senza che nulla nella sua placida indifferenza di futura madre rivelasse la sua feroce determinazione quando jean fu uscito chiamò l'indio dai tacchi alti e per la prima volta gli diede un ordine va in città a comprarmi papai e candite ordinò seccamente l'indio se ne andò col passo lento di quelli della sua razza e lei rimase in casa con gli altri servitori che temeva molto meno di quello strano individuo dai gesti cortigiani calcolò di avere a disposizione un paio d'ore prima che tornasse sicché decise di non affrettarsi e di agire con serenità era decisa a scoprire il mistero delle mummie furtive andò nel laboratorio sicura che in piena luce del mattino le mummie non avrebbero avuto coraggio di fare pagliacciate e col desiderio che la porta non fosse chiusa a chiave ma la trovò sprangata come sempre provò tutte le chiavi che aveva ma nessuna andava bene allora prese il coltello più grosso della cucina lo infilò nella bandella della porta e cominciò a far leva finché il legno secco della chiambrana non andò in pezzi in modo da poter togliere la serratura e aprire la porta il danno che aveva fatto alla porta non era simulabile e capì che quando suo marito l'avesse visto gli avrebbe dovuto dare qualche spiegazione ragionevole ma si consolò pensando che come padrona di casa aveva il diritto di sapere quanto stava succedendo sotto il suo tetto nonostante il suo senso pratico che aveva sopportato imperturbabile per oltre vent'anni il ballo del tavolino a tre gambe e che aveva sentito sua madre pronosticare tutto quello che non era prevedibile, varcando la soglia del laboratorio, Blanca stava tremando. A tastoni cercò l'interruttore e accese la luce e si trovò in una stanza spaziosa dai muri dipinti di nero e dalle spesse tende dello stesso colore alle finestre da cui non filtrava il più sottile raggio di luce. il pavimento era coperto da grossi tappeti scuri e da ogni parte vide le luci le lampade e gli schermi che aveva visto usare da jean per la prima volta durante il funerale di pedro garzia il vecchio quando gli era venuta la mania di fare ritratti ai morti e ai vivi finché non aveva messo tutti a fuoco e i contadini avevano finito per gettare a terra le lastre e per calpestarle si guardò intorno sconcertata si trovava in uno scenario fantastico avanzò Scansando bauli aperti che contenevano abiti piumati di ogni epoca, parrucche ricciolute e cappelli vistosi, si fermò dinanzi a un trapezio dorato appeso al soffitto da cui pendeva un fantoccio disarticolato di proporzioni umane. Vide in un angolo un lama imbalsamato, sul tavolo bottiglie di liquori ambrati e in terra pelli di animali esotici, ma quello che più la sorprese furono le fotografie. Vedendole si fermò. stupefatta le pareti dello studio di jean de satigny erano coperte di angoscianti scene erotiche che rivelavano l'occulta natura di suo marito blanca era di reazioni lente e impiegò un certo tempo per assimilare quanto stava vedendo perché mancava di esperienza in quelle cose conosceva il piacere come ultima e preziosa tappa nel lungo cammino che aveva percorso con pedro iii attraverso il quale era passata senza fretta di buon umore nella cornice dei boschi, dei campi di grano, del fiume, sotto un cielo immenso, nel silenzio della campagna. non aveva affatto in tempo a sperimentare le inquietudini proprie dell'adolescenza mentre le sue compagne leggevano di nascosto in collegio i romanzi proibiti con immagini immaginari corteggiatori appassionati e vergini ansiose di non esserlo più lei si sedeva all'ombra degli alberi di prugne nel cortile delle monache chiudeva gli occhi ed evocava con piena esattezza la magnifica realtà di pedro iii garzia che la stringeva fra le braccia La carezzava ovunque e le strappava dal più profondo gli stessi accordi che poteva trarre dalla chitarra. I suoi istinti si erano trovati soddisfatti nel momento stesso in cui si erano svegliati e non aveva mai pensato che la passione potesse avere altre forme. Quelle scene confuse e tormentate erano una verità mille volte più sconcertante delle mummie scandalose che si era aspettata di trovare. Riconobbe le facce dei servitori di casa. Lì c'era tutto. tutta la corte degli incas, nuda come Dio l'aveva fatta o malcoperta da costumi teatrali. Vide l'insondabile abisso tra le cosce della cuoca, il lama imbalsamato che cavalcava sopra la cameriera zoppa e l'indiano imperturbabile che serviva a tavola nudo come un neonato, imberbe con le gambe corte, col suo inalterabile volto di pietra e il suo sproporzionato membro in erezione. Per un istante interminabile, Blanca rimase sospesa nella sua stessa incertezza finché l'orrore non la vinse. Cercò di pensare con lucidità, capì quello che Jean de Satigny aveva voluto dire la notte di nozze quando le aveva spiegato che non si sentiva portato per la vita matrimoniale. Intravide anche il sinistro potere dell'indiano, lo scherno segreto dei sei servitori, e si sentì prigioniera nell'anticamera dell'inferno. In quel momento la bambina si agitò nel suo ventre e lei si spaventò come se avesse sentito un campanello d'allarme. «Mia figlia, devo portarla via di qui! » esclamò proteggendosi il ventre. Uscì di corsa dal laboratorio, attraversò tutta la casa come un fulmine e arrivò in strada, dove il calore a piombo e la spietata luce del mezzogiorno le restituirono il senso della realtà. Capì che a piedi con la sua pancia di nove mesi non avrebbe potuto andare molto lontano. Tornò in camera sua. prese tutti i soldi che riuscì a trovare fece un fagotto con qualche indumento del sontuoso corredino che aveva preparato e si diresse alla stazione seduta su una ruvida panca di legno del marciapiede col suo involto in grembo e gli occhi spaventati blanca aspettò per ore l'arrivo del treno pregando tra i denti perché il conte rincasando e vedendo lo scempio sulla porta del laboratorio non la cercasse sino a trovarla e a costringerla a tornare nel malefico regno degli incas Perché il treno si sbrigasse e una volta tanto fosse in orario, perché potesse arrivare a casa dei suoi genitori prima che la creatura che le scuoteva le viscere e le dava calci nelle costole annunciasse la sua venuta al mondo, e perché le bastassero le forze per il viaggio di due giorni filati, e perché il suo desiderio di vivere fosse più potente di quel terribile scoraggiamento che cominciava a travolgerla. Strinse i denti. e aspetto