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Fondamenti del Pensiero Aristotelico

L'idea di base del pensiero aristotelico è che, a partire dall'osservazione e dallo studio della natura, l'intera realtà possa essere compresa nella sua razionalità. Nel loro complesso, le opere di Aristotele danno così vita ad un rigoroso sistema che raccoglie i vari saperi. Questo sistema filosofico può essere distinto in due parti. Da un lato... abbiamo le scienze che hanno per oggetto il necessario, ovvero ciò che non può essere diverso da come è. Di questo gruppo fanno parte le cosiddette scienze teoretiche, ovvero le scienze che hanno a che fare con la conoscenza. Queste scienze sono la matematica, la fisica e la filosofia, che possiamo anche chiamare metafisica o ontologia. Dall'altro lato Abbiamo invece le scienze che hanno per oggetto il possibile, ovvero ciò che può essere diverso da come è. In questo gruppo rientrano le scienze pratiche, ovvero quelle che riguardano l'agire individuale e collettivo dell'uomo, in altri termini etica e politica, e le scienze poi etiche, che riguardano la produzione, ovvero la creazione di un qualcosa di esterno all'uomo, in particolare Aristotele. si sofferma sulla retorica, ovvero la produzione di discorsi, e l'estetica, ovvero la produzione artistica. Fuori da questa distinzione fra scienze che hanno per oggetto il necessario e scienze che hanno per oggetto il possibile, vi è la logica. La logica è quel campo che indaga il linguaggio, ovvero la validità dei discorsi. La logica rappresenta una specie di grammatica di base che fornisce le fondamenta di tutte le possibili scienze. Seguendo l'ordine delle opere aristoteliche, in questo video ci soffermeremo prima sulla logica, poi a seguire sulla fisica, la filosofia, le scienze pratiche e infine le scienze poetiche. La logica è definibile come ciò che studia la verità delle proposizioni. In pratica, studia se le connessioni che stabiliamo fra una serie di termini sono corrette o meno. A partire da questa premessa andiamo a vedere in particolare quattro questioni affrontate da Aristotele. Le tipologie di proposizioni possibili, il concetto di sillogismo, i concetti di genere e specie e il principio di non contraddizione. Per quanto riguarda il primo tema, Aristotele... sostiene che le proposizioni possono essere universali, particolari o singolari. Nella logica Aristotele si sofferma soprattutto su quelle universali e particolari in quanto le proposizioni singolari non sono oggetto della scienza in quanto non hanno una validità generale. Al di là delle distinzioni fra universali e particolari, poi possiamo suddividere le proposizioni in affermative o negative oppure in possibili o necessarie. A partire da queste possibili distinzioni, Aristotele studia le connessioni che sono valide o che non le sono. Fra le varie connessioni, la principale è quella che Aristotele chiama sillogismo. Un sillogismo è anche detto ragionamento concatenato ed è costituito da tre proposizioni, due premesse e una conclusione. In un sillogismo, se le premesse sono vere, la conclusione è necessariamente valida. Facciamo un esempio per capirci meglio. Prendiamo questo silogismo in cui la prima premessa è tutti gli animali sono mortali, la seconda premessa è tutti gli uomini sono animali, la conclusione è tutti gli uomini sono dunque mortali. Un silogismo, per essere corretto, non deve solo avere premesse valide, ma deve avere anche uno schema nei termini presenti. In particolare, nelle premesse vi deve essere innanzitutto un termine medio, ovvero che ricorre in entrambe le premesse, in questo caso animali. Poi due termini estremi che ricorrono uno in una premessa e uno nella seconda premessa, in questo caso mortali e uomini, e infine nella conclusione sono connessi due termini estremi e viene eliminato il termine medio. Questo schema basilare può avere una serie di variabili che Aristotele chiama figure, ma che qui non andiamo ad analizzare. Altro elemento che può ulteriormente complicare lo schema è la presenza o meno di proposizioni negative e o particolari. Qui ci concentriamo solo su questa prima figura però, perché essa è quella che Aristotele definisce scientifica, in quanto è quella che da certe premesse produce delle conclusioni valide. Questo ragionamento è un'altra cosa. è di tipo dimostrativo o deduttivo, ed è alla base della scienza in quanto produce un sapere universale e necessario. Un ultimo problema da indagare però è quello delle premesse, in quanto il silogismo è valido se le premesse sono valide. Se infatti a partire da una certa verità che riconosciamo come tale possiamo derivare un'altra verità in modo deduttivo, il problema è come risalire alla verità generale universale da cui far derivare le altre. Qui occorre applicare un metodo contrario a quello deduttivo. ovvero quello induttivo. Il ragionamento induttivo è il partire da una serie di casi particolari per trarre una proprietà universale. Facciamo un esempio che fa anche Aristotele. Da un lato nota come l'uomo, il cavallo e il mulo sono animali senza bile, dall'altro nota che questi tre animali sono longevi. Questo gli permette di indurre una verità generale, ovvero che gli animali senza bile sono longevi. Questo discorso ci porta a un altro tema che è centrale nel sistema logico aristotelico, quello relativo ai concetti di genere e specie. Per genere intendiamo un livello più generale a cui un gruppo meno universale, detto specie, appartiene. Facciamo un esempio, l'uomo è una specie che appartiene al genere degli animali. Questa distinzione porta alla possibilità di produrre definizioni, ovvero a trovare un'essenza che contraddistingue un certo universale, intendendo per universale il concetto di uomini, oppure di cavalli, di gatti e via dicendo. Tutti questi gruppi appartengono al genere animale e dunque hanno nella loro essenza l'essere mortali. Allo stesso tempo però è possibile costruire una specifica definizione di ognuno di essi a partire dalle differenze. Stando nell'esempio possiamo dire che l'uomo è quella specie che appartiene al genere animale e che a differenza delle altre è razionale quindi possiamo arrivare alla conclusione che la definizione universale di uomo è che esso è un animale mortale e razionale un ultimo aspetto da analizzare rispetto alla logica aristotelica è quello relativo al principio di non contraddizione ogni scienza ha dei principi propri in quanto la fisica ad esempio è una cosa diversa dalla geometria. Ma esistono anche dei principi comuni. Questi principi comuni sono gli assiomi ovvero verità auto evidenti. Fondamentale fra gli assiomi è il principio di non contraddizione che è alla base di tutto il sistema logico aristotelico. Questo principio afferma che una cosa non può essere e non essere allo stesso tempo ovvero A non può essere anche non A. Detto in termini ancora più semplici un gatto non può essere un non gatto. Il principio di non contraddizione è la base logica di ogni discorso, in quanto negandolo si arriverebbe a formulare delle verità assurde. Le opere di logica, occupandosi del linguaggio, pongono le basi della conoscenza. Dopo queste, Aristotele inizia lo studio effettivo della realtà con una serie di trattati dedicati alla fisica, ovvero allo studio di quei corpi che hanno come caratteristica essenziale il cambiamento. I temi principali toccati da Aristotele e che ripercorreremo sono le essenze della specie, le cause del divenire, la struttura del cosmo, il primo motore mobile e l'anima. Prima di iniziare ad addentrarci nella fisica aristotelica, occorre una premessa. Secondo Aristotele, il mondo è composto da una serie di specie naturali, ognuna delle quali dotata di una propria essenza. Questo significa che mentre la scienza moderna cerca di individuare delle leggi generali in grado di spiegare il funzionamento dell'universo, in Aristotele ogni specie è dotata di una essenza. che ne determina lo specifico funzionamento. In questa prospettiva, la natura è un insieme ordinato di specie che sono fisse e dotate di propri meccanismi essenziali. Le differenze fra queste specie sono poi di natura qualitativa e non quantitativa. Anche qui vi è una grossa differenza con la scienza moderna, che studia le cose del mondo attraverso i suoi dati quantitativi, ovvero oggettivi e misurabili, e non qualitativi, ovvero soggettivi e non misurabili. Fatta questa premessa, andiamo subito a individuare un altro pilastro della fisica aristotelica. Se la fisica è lo studio delle cose che mutano, il punto di partenza deve essere quello di domandarsi perché esiste il cambiamento. Aristotele individua quattro cause che concorrono a determinare il mutamento. La causa formale il che significa che ogni cosa deve assumere necessariamente una certa forma, la causa materiale, il che significa che il cambiamento è possibile perché la materia che compone le cose è destinata a mutare, la causa efficiente, ovvero l'idea che vi sia un agente esterno che interviene sulla materia per modificarla, e infine la causa finale, ovvero l'idea che il cambiamento è sempre determinato da un certo fine. Queste quattro cause... Si possono comprendere con facilità con un esempio. Pensiamo ad esempio a uno scultore che realizza una statua di marmo di del dio Apollo. Qui noi abbiamo una causa formale, che è la forma stessa del dio, una causa materiale, che è il marmo, il quale può essere modificato nella forma che assume, una causa efficiente, che è lo scultore, che interviene sul blocco di marmo iniziale per dargli una forma diversa, e una causa finale, che è il motivo per cui lo scultore si mette all'opera. che nel caso specifico può essere ad esempio venerare il dio fra le varie cause secondo aristotele la più importante è quella finale in quanto è ciò che determina effettivamente l'inizio del cambiamento terzo pilastro della fisica aristotelica è la descrizione del cosmo come unico finito ed eterno questa descrizione deriva dall'impostazione finalistica che abbiamo visto prima In questo caso, infatti, l'idea di base è che l'universo è perfetto e per essere tale deve possedere necessariamente queste tre caratteristiche. In questo universo, la Terra è posta al centro, in una prospettiva geocentrica. Intorno ad essa, i corpi celesti ruotano seguendo orbite circolari, circolari in quanto esse stesse sono perfette. Altro punto fondamentale è che per Aristotele il mondo terrestre e quello celeste sono composti da elementi diversi. Il mondo celeste è composto da etere, una materia incorruttibile, priva di peso e trasparente. Il mondo terrestre è invece composto dai quattro elementi tradizionali, l'acqua, l'aria, la terra e il fuoco. In questa composizione non esiste il vuoto, come ad esempio sosteneva Democrito, per cui il movimento si spiega secondo la teoria dei luoghi naturali. Secondo questa teoria formulata da Aristotele, I corpi celesti si muovono in maniera circolare perché si muovono nell'etere. I corpi terrestri invece si muovono o verso l'alto o verso il basso in base al luogo che naturalmente gli appartiene. Spieghiamoci. I vari elementi hanno una pesantezza diversa, dal fuoco che è più leggero e che quindi compone l'atmosfera, alla terra che è la più pesante e che dunque è più in basso. I vari enti vanno, secondo Aristotele, a ricongiungersi col luogo che gli appartiene. I corpi stessi, infatti, sono composti da questi quattro elementi e si ricongiungono allo strato che più gli appartiene. Per fare un esempio semplice, se abbiamo un sasso in mano e apriamo la mano, il sasso cade a terra non per la legge di gravità, ma perché appartiene naturalmente alla terra, che essendo lo strato più basso nella disposizione dei quattro elementi, attrae il sasso verso il basso. La visione cosmologica di Aristotele Si conclude con la dimostrazione che l'universo richiede un primo motore immobile. Cerchiamo di capire cosa significa. L'idea di base è che ogni cosa che si muove e cambia, non si muove e cambia da sé, ma è attivata da qualcos'altro. Questo vuol dire che vi è una catena di cause che si può ripercorrere all'indietro. Questa catena però, per logica, non può essere infinita. E se non può essere infinita, vuol dire che vi deve essere un punto di inizio. Dunque, vi deve essere una sostanza che non è mossa da altro, ovvero una sostanza che è causa incausata. In altri termini, una prima sostanza che è causa del movimento di altro, ma che a sua volta non è causata, ovvero non è messa in moto da altro. Questa sostanza è detta da Aristotele primo motore immobile. Il termine chiarisce cosa vuol dire Aristotele. Questa sostanza è il primo motore, dunque il primo articolo. del movimento ma è immobile ovvero non è in movimento. Qui abbiamo però un problema. Ogni cosa dotata di materia deve necessariamente cambiare come abbiamo già visto con le quattro cause del divenire. Questo motore invece è immobile il che vuol dire che non ha materia. A questo punto Aristotele è arrivato ad individuare una sostanza immateriale e che non cambia. Questo vuol dire che il motore immobile non può essere studiato dalla fisica e andrà invece studiato dalla metafisica. Quindi Aristotele vi tornerà nei trattati successivi. Prima di passare allo studio della filosofia, Aristotele conclude il le sue opere di fisica studiando gli esseri viventi. Questo vuol dire che Aristotele nella fisica si occupa anche di biologia. Tutti gli esseri viventi hanno in comune, secondo Aristotele, il fatto di possedere un'anima. Quindi anche la psicologia, ovvero lo studio dell'anima, fa parte della fisica. Secondo Aristotele, l'anima è inseparabile dal corpo, a differenza di quanto sosteneva Platone. Anzi, Aristotele definisce l'anima la forma del corpo. ovvero ciò che organizza il corpo stesso. Se l'anima organizza il corpo, significa che ne determina le funzioni vitali. Queste funzioni principalmente sono tre, la funzione nutritiva, la funzione appetitiva e la funzione intellettiva. L'anima delle piante possiede solo la prima funzione, quella degli animali le prime due, ma solo l'anima umana possiede tutte e tre le funzioni. La coscienza intellettiva È dunque quella che contraddistingue l'uomo ed è quella che rende possibile il passaggio da una conoscenza sensibile, che avviene grazie alla funzione appetitiva, ad una conoscenza razionale. Spieghiamoci, la conoscenza sensibile è quella che ci permette la percezione di un qualunque ente, ad esempio un uomo. La conoscenza razionale è quella che ci permette la comprensione della natura di un ente, ovvero la comprensione del suo essere un uomo, e che ci permette di arrivare a produrre concetti universali. ovvero quei concetti che abbiamo visto nella parte dedicata alla logica. Andiamo a concludere questo discorso sulla visione fisica di Aristotele. Questa infatti condiziona il modo di pensare l'universo perlomeno fino alla rivoluzione scientifica del XVII secolo che stravolgerà gli assiomi aristotelici e fonderà la scienza moderna. Le basi su cui poggia la visione aristotelica sono tre in particolare. La prima è l'impostazione finalistica secondo cui il funzionamento della natura è determinato dal suo fine e nulla avviene in maniera casuale. In secondo luogo, una visione cosmologica fondata sull'idea che l'universo è finito, i movimenti dei corpi celesti circolari, il vuoto non esiste e la Terra è posta al centro di questa totalità. In terzo luogo, abbiamo l'idea che l'universo è composto da specie naturali fisse ed immutabili, ognuna dotata di una propria essenza che ne fissa il funzionamento. In una serie di trattati che nel III secolo d.C. verranno raccolti sotto il titolo di Metafisica, Aristotele studia la filosofia, che lui definisce scienza prima, in quanto essa studia le cause e i principi primi, ovvero le cause più generali dell'intera realtà. Oltre che scienza prima, la filosofia aristotelica la possiamo anche definire metafisica, in quanto studia ciò che è oltre la natura in quanto materia, o ontologia, in quanto studia l'essere. I principali temi affrontati dalla metafisica aristotelica sono il concetto di categorie, il concetto di sostanza, i concetti di potenza ed atto e il primo motore immobile. Il punto di partenza della riflessione ontologica di Aristotele è che l'essere non ha una sola forma. Questo aspetto lo possiamo riscontrare innanzitutto nel linguaggio, pensare in quanti modi diversi utilizziamo il verbo essere. Questi diversi modi danno luogo innanzitutto a quello che Aristotele definisce le categorie, ovvero le differenti possibilità di espressione dell'essere. Per fare un esempio, una delle categorie è quella di luogo. Noi infatti possiamo dire tizio è a Parigi, oppure è a Roma, è al mare, e via dicendo. Un'altra categoria possibile è quella dell'agire, ovvero il compiere una certa azione. si può infatti dire che Caio è in piedi oppure che è seduto. La caratteristica comune di queste categorie è che queste sono accidentali, questo vuol dire che non sono necessarie per definire qualcuno qualcosa. Se noi infatti diciamo tizio è a Parigi, l'essere a Parigi in questa frase non definisce l'essenza di tizio, il quale si trova sicuramente da qualche parte, accidentalmente ovvero momentaneamente si trova a Parigi. Questo discorso ci porta al secondo tema ovvero il concetto di sostanza. che è una seconda e più essenziale manifestazione dell'essere. Per sostanza intendiamo l'essenza, dunque ciò che è necessario, di un ente, intendendo per ente ciò che è dotato di esistenza. Viceversa, le categorie di cui stavamo parlando sono gli accidenti della sostanza. Rifacendoci all'esempio di prima, possiamo dire che tizio è la sostanza, mentre l'essere a Parigi è l'accidenti di questa sostanza. Dunque, possiamo definire la sostanza come ciò che è, mentre possiamo definire gli accidenti come ciò che sono in relazione alla sostanza. In altri termini, la sostanza è la categoria necessaria, la cui essenza non cambia con il mutare degli accidenti. Non casualmente, Aristotele usa il termine usia per parlare di sostanza, che letteralmente significa ciò che è sotto, in quanto la sostanza è alla base dei possibili accidenti. La sostanza, in altri termini, è l'individuo concreto in quanto tale. Per descrivere l'essenza della sostanza, Aristotele usa il termine sinolo. Sinolo significa unione di materia e forma. L'essenza di una sostanza, dunque, è che essa è determinata inevitabilmente dall'avere una certa maniera e dal possedere una certa forma. Questa forma è a sua volta legata alla specie. Una persona, ad esempio, ha la forma di un essere umano perché appartiene alla specie umana. Forma e materia sono inseparabili fra di loro. Ma Aristotele sostiene che fra le due la più importante sia la forma. Lo capiamo attraverso un esempio banale. La materia argilla può assumere la forma ad esempio di un vaso o di un piatto, dunque la forma a dare una identità alla materia. Per chiudere questo discorso è importante una precisazione. Per parlare della forma Aristotele ricorre spesso al termine eidos, che è lo stesso che Platone usa abitualmente per parlare delle idee. La stessa parola ha però una valenza diversa legata alla differenza concezione filosofica. In Platone le idee sono separati dai corpi e hanno un'esistenza autonoma, mentre in Aristotele la forma esiste soltanto nella misura in cui è legata ad un corpo, quindi non esiste un piano ideale indipendente. Stabilito che la sostanza è un sinolo di materia e forma. Aristotele si chiede come sia possibile che la sostanza di per sé necessaria e non accidentale possa cambiare, come faccia ad esempio un neonato diventare un ragazzo e poi un adulto e via dicendo. Per spiegare il mutamento, Aristotele ricorre ai concetti di potenza ed atto. Per atto intendiamo ciò che un sinolo è attualmente in un determinato momento. Per potenza intendiamo invece la potenzialità che il sinolo ha di mutare. Riprendendo l'esempio di prima. L'argilla è la materia, dunque la possibilità che essa ha di essere plasmata in una certa forma. Dunque l'argilla è la potenza. Quando l'argilla assume la forma del piatto è in atto un piatto. Il passaggio dalla potenza all'atto è un tema fondamentale perché riguarda il divenire dell'essere. Il divenire infatti è descritto da Aristotele non come passaggio dal non essere all'essere, che come Parmenide aveva già stabilito è impossibile, ma come passaggio da potenza ad atto. In questo senso... Il cambiamento è qualcosa che è insito nella natura stessa della sostanza e dunque dell'essere. Fra atto e potenza, Aristotele attribuisce poi una priorità logica all'atto. Questo perché è ciò che una cosa è attualmente che determina le sue potenzialità. Facciamo un esempio molto banale. Un adulto in atto non può in potenza diventare un bambino. Il discorso sulle possibili forme dell'essere si conclude con la descrizione del primo motore immobile. La sua esistenza era già stata individuata da Aristotele nella parte dedicata alla fisica, ma la sua descrizione avviene nella metafisica, dato il carattere immutabile del motore. Com'è infatti possibile che il motore sia immobile? La spiegazione che Aristotele si dà è che esso è primo di materia e dunque sia pura forma, in altri termini è puro atto, senza potenza. In quanto pura forma, Questo motore è totalmente astratto, quindi è descrivibile come pensiero. Se portiamo queste premesse alla loro conclusione, possiamo definire il motore come eterno e perfetto. In altri termini lo possiamo definire un dio. Ma attenzione, questo motore immobile non ha nulla a che vedere con il successivo dio cristiano. Mentre il dio cristiano crea il mondo, quindi, usando una terminologia aristotelica, è la causa efficiente della natura, Il dio aristotelico è puro pensiero che pensa esclusivamente a se stesso in quanto perfetto. Non è dunque il motore immobile a creare il movimento degli altri cieli, ma sono i vari cieli che, attratti dall'amore per la sua perfezione, attivano il loro movimento. Dunque il motore immobile non è causa efficiente, ma causa finale dell'universo. All'inizio dei suoi trattati sulla metafisica Aristotele spiega che la filosofia prima si occupa di studiare l'essere in quanto essere, la sostanza, Dio, i principi primi delle cose. Giunti a questo, la filosofia prima si occupa A questo punto possiamo vedere le conclusioni metafisiche a cui giunge Aristotele. Per essere in quanto essere, Aristotele si riferisce alla realtà nel suo complesso, le cui manifestazioni sono molteplici, categorie, la sostanza, la potenza e l'atto. Per sostanza Aristotele si riferisce poi in particolare al sinolo, per Dio invece si riferisce al primo motore immobile. Per principi prime delle cose, Aristotele si riferisce infine ai principi che regolano l'essere e che sono. Il principio di non contraddizione, come già stabilito dalla logica. Il principio di causa, che è alla base del passaggio da potenza ad atto per cui ogni cosa è causata da altro. E il principio di fine, che è alla base del cambiamento, in quanto ogni cosa tende a raggiungere la sua forma perfetta. Dopo le opere di filosofia, Aristotele passa a dedicarsi a quelle che definisce le scienze pratiche, ovvero quelle scienze che riguardano l'agire dell'uomo. In questo termine, Aristotele include quelle che per noi sono due aspetti distinti, ovvero l'etica, che studia l'agire individuale del singolo, e la politica, che studia l'agire della collettività. I due discorsi però sono strettamente connessi in Aristotele, secondo il quale il fine ultimo delle azioni dell'uomo è la felicità. ma la giusta felicità non si realizza individualmente ma nella vita in associazione con gli altri. Aristotele definisce infatti l'uomo un animale politico. Per quanto riguarda il discorso etico, Aristotele parte dalla considerazione che l'uomo agisce sempre in vista di un qualche fine, ma ogni singolo fine agisce a sua volta verso un fine ultimo che è definito da Aristotele Bene sommo. Questo bene supremo è la felicità che concretamente si può realizzare nella vita. Fatta questa premessa dobbiamo chiederci, in cosa consiste la felicità dell'uomo in quanto tale? La risposta è che la felicità consiste nell'esercizio della ragione, in quanto la ragione è il tratto distintivo dell'uomo. L'esercizio della ragione rende l'uomo virtuoso e dunque felice. La virtù non è però unica. Dal momento che l'uomo ha sia una parte appetitiva, ovvero che segue gli istinti, che una parte razionale, Aristotele divide le virtù in due grandi categorie. Le virtù etiche, che sono quelle in cui la ragione riesce a dominare la propria parte appetitiva, e le virtù dianoetiche, ovvero quelle che consistono nell'esercizio stesso della ragione in sé. Aristotele individua una serie di possibili virtù etiche e sostiene che per determinare l'atteggiamento virtuoso occorre applicare il principio del giusto mezzo fra gli estremi. Ad esempio il coraggio è una virtù in quanto è il giusto mezzo fra l'essere temerario e l'essere pauroso. Aristotele elenca una serie di virtù ma stabilisce che la più importante è la giustizia in quanto essa vuol dire agire in modo giusto. Per questo la giustizia è sia una virtù particolare che una sintesi di tutte le virtù. Aristotele individua due possibili forme di giustizia. La giustizia distributiva, con cui intendiamo la distribuzione dei beni. In tal senso, la piena giustizia distributiva è quella che ricompensa in maniera proporzionale le persone per i loro meriti. Poi abbiamo la giustizia commutativa, la quale è invece di natura correttiva. Ad esempio, di fronte ad un reato... occorre correggere l'azione attraverso una pena proporzionale. La giustizia quindi sta nel sancire la giusta pena rispetto al reato commesso. Su queste due forme di giustizia occorre fondare il diritto garantendo così che il rispetto della legge produca un comportamento virtuoso. Quanto riguarda invece le virtù dianoetiche, ovvero quelle che riguardano lo sviluppo della regione? Aristotele fa una classifica che ha al suo vertice la sapienza. Per sapienza Aristotele intende la capacità di coniugare la capacità intuitiva di cogliere i principi primi e quella dimostrativa di compiere deduzioni. Dal momento che la sapienza è la virtù dianoetica per eccellenza e dal momento che le virtù dianoetiche sono quelle che più caratterizzano l'uomo in quanto riguardano l'esercizio puro della ragione, la sapienza è la virtù più elevata dell'uomo e quella che dunque permette il bene sommo, ovvero la felicità. Da questo punto di vista, la vita contemplativa, ovvero legata allo sviluppo dell'intelligenza, è il modello ideale a cui l'uomo deve aspirare. Questo discorso è da collegarsi strettamente al discorso politico. La vita contemplativa, infatti, è permessa solo se l'individuo è inserito in una comunità che funziona in maniera adeguata e assicura ai suoi cittadini i beni materiali necessari. A questo punto occorre dunque chiedersi quale sia la forma politica più adeguata. Aristotele rifiuta il discorso platonico dello Stato ideale in quanto non realizzabile. Per questo Aristotele studia le diverse forme di governo. concretamente esistenti, alla ricerca della soluzione realisticamente più adeguata. Aristotele individua tre possibili regimi, il governo in cui governa uno, il governo in cui governano in pochi e il governo in cui governano in molti. Ognuno di questi possibili regimi ha una forma positiva e una negativa in base al fatto se il governo agisce in vista del bene comune oppure no. Per quanto riguarda il governo di uno solo, abbiamo la tirannide da un lato, che è la degenerazione della monarchia. in quanto questo governo è instaurato a puro vantaggio del singolo despota. Per quanto riguarda invece il governo dei pochi, la forma positiva è l'aristocrazia, mentre quella negativa è la oligarchia, in quanto l'aristocrazia è il governo dei migliori, mentre l'oligarchia è il governo dei ricchi. Per quanto riguarda invece il governo dei molti, Aristotele distingue fra una repubblica moderata e una democrazia. Per la repubblica moderata Aristotele utilizza il termine di politeia. Con questo termine, Aristotele intende un tipo di regime in cui le cariche di governo sono aperte ai migliori, ovvero gli aristocratici, ma in cui le decisioni sono prese dai cittadini. Questo modello è ben funzionante quando è presente una numerosa classe media che impedisce gli eccessi sia dei ricchi che dei poveri. Per democrazia, invece, Aristotele intende una forma degenerata in cui si realizza una tirannia dei poveri, perché il potere è assunto dai demagoghi, ovvero da quelli che Aristotele definisce con disprezzo gli adulatori del popolo. Il corpo delle opere aristoteliche si chiude con i trattati dedicati alle scienze produttive, intendendo con questo termine in particolare la retorica, ovvero l'arte di produrre discorsi persuasivi, e la poetica, ovvero l'arte di produrre poesia. La retorica è l'arte di persuadere il pubblico a proposito di un certo argomento. Così come già abbiamo visto nella dialettica logica, anche la retorica può far ricorso al sillogismo, ma stavolta non si tratta di un sillogismo scientifico, bensì di un sillogismo retorico. La differenza sostanziale è che il sillogismo scientifico parte da premesse vere, quello retorico da premesse ritenute per lo più vere, ovvero ritenute tali dalla maggioranza della popolazione. Aristotele individua tre possibili discorsi retorici. Il primo è il genere deliberativo, che consiste nel convincere un'assemblea politica a prendere decisioni. Qui siamo nella sfera, dunque, dei discorsi che devono condizionare il futuro. Poi abbiamo il genere epidittico, un genere volto a lodare o criticare un certo personaggio. Quindi qui siamo nella sfera del presente. E infine abbiamo il genere giudiziario, quel genere che... nasce per difendere o accusare un imputato. Qui, quindi, abbiamo in ballo eventi che riguardano il passato. A prescindere dal genere in cui l'oratore è impegnato, questi è chiamato a persuadere i suoi ascoltatori tenendo conto delle loro passioni. Come dice infatti il filosofo, le cose non sembrano le stesse a chi ama e a chi odia, bensì appaiono del tutto differenti. Con il termine poesia, Aristotele include l'epica, la lirica e il teatro. La peculiarità della produzione poetica è il fatto che essa imita la realtà. L'imitazione non significa però copiare, bensì mettere in scena una drammatizzazione delle passioni umane. Per Aristotele, la produzione poetica ha dunque un forte valore. Lo spettatore o il lettore che si trova di fronte all'imitazione della vita può apprendere da essa. Secondo Aristotele, Un valore particolare è ricoperto dalla tragedia, in quanto con essa lo spettatore può osservare cosa può produrre una passione non controllata e così liberarsi da essa, andando incontro ad una catarsi, ovvero può immedesimarsi nelle vicende messe in scena e purificarsi attraverso la rappresentazione. Questo processo si conclude con un apprendimento che avviene proprio attraverso questi passaggi, per cui il valore ultimo della tragedia è che essa è fonte di conoscenza.