ne pensi Piero Bianucci, non è una scienza la storia, non c'è niente da fare, il che non vuol dire che non abbia un metodo da seguire e delle regole da seguire, però non è una scienza perché non è in grado di prevedere esattamente i risultati. fare quando va bene e di provare a ricostruire quello che è successo e molto raramente anche dire perché, che è già tutta un'altra faccenda e noi di solito ci accontentiamo, siamo già contenti quando riusciamo a dire grosso modo è successo quello. Diciamo con una scienza descrittiva.
Sì, è anche interpretativa però non tanto da poter dire di conseguenza date quelle premesse succederà di nuovo la stessa cosa. Io poi stasera vi parlo di storia economica e anche l'economia, voi qui avrete discusso lungo con... con i vostri ospiti, se sia una scienza o meno.
Quest'anno era un tema quasi irrinunciabile, perché con la crisi abbiamo avuto anche questo tema dell'economia, in effetti, in questa stagione di giovedì. Sì, perché da quando c'è la crisi l'impressione, anzi la convinzione che l'economia sia una scienza è andata riducendosi nell'opinione pubblica. Noi parliamo comunque, in sostanza, di un problema passato, apparentemente lontano, la crisi del 300. Proveremo, perché lo abbiamo promesso anche nel titolo della serata, a vedere se se ne può trattare. trarre qualche insegnamento sulle crisi economiche in generale e sulla nostra crisi di oggi, ma il tema sostanzialmente è la crisi del Trecento.
Da dove cominciare? Cominciamo magari dicendo che siamo nel Medioevo, il Trecento è uno degli ultimi secoli del Medioevo, ma che questo Medioevo è qualcosa di molto diverso da quello che noi di solito tendiamo a immaginarci, dall'immagine di Medioevo che abbiamo ereditato dall'illuminismo. dal feminismo e dal romanticismo.
Il Medioevo, che all'improvviso, all'inizio del Trecento, si scopre in crisi, era un'epoca abituata alla crescita e all'ottimismo. L'Occidente medievale per secoli era cresciuto. Era cresciuta la popolazione, era cresciuta la produzione, era aumentata la circolazione monetaria, erano aumentati gli scambi, si erano ingrandite le città, era migliorata enormemente la qualità. dei manufatti, degli edifici, degli abiti. Una crescita straordinaria che ha lasciato il segno, nel senso che la mentalità medievale, lo dico perché tutti quanti quando si pensa al Medioevo automaticamente immaginano secoli bui, epoca oscura, superstizione.
In realtà la gente del Medioevo, del tardo Medioevo, quella su cui sta per abbattersi la crisi del Trecento, è convinta di vivere in un mondo meraviglioso dove la collaborazione fra Dio e l'uomo è una cosa che non si può fare. sta producendo progresso, dove la ragione e la natura collaborano per far migliorare continuamente la situazione. A un certo punto le cose cominciano ad andare storte.
E cominciano ad andare storte innanzitutto dal punto di vista della produzione, della cosa che è fondamentale per tutti, perché quello è un mondo, ripeto, in crescita, è un mondo ormai abbastanza sofisticato, complesso, ma l'economia si regge comunque sull'agricoltura. Poi dall'agricoltura viene fuori di tutto, vengono fuori i grandi commerci internazionali, viene fuori Marco Polo che va in Cina, viene fuori il fiorino d'oro che è la grande moneta internazionale del Mediterraneo, però alla base c'è l'agricoltura. Per secoli la popolazione è cresciuta e per secoli si è riuscito a dar da mangiare a sempre più gente, come con qualche miglioramento tecnologico, migliorando l'aratro, migliorando le alternanze fra le culture, ma in realtà senza una vera rivoluzione tecnologica.
Per secoli i nostri antenati del medioevo hanno dato da mangiare a sempre più gente semplicemente allargando i campi, aumentando la quantità di terra messa a coltura. All'inizio era facile, perché all'inizio, dopo le invasioni barbariche, dopo l'alto medioevo, la popolazione era scarsa. La gente viveva in un mondo pieno di foreste, di paludi, di boscaglia, brughiera, baraggia.
Di terra ce n'era finché si voleva, in apparenza. Quindi per secoli la terra l'hanno dissodata, l'hanno coltivata. Hanno tirato giù le foreste e coltivato grano.
E poi hanno cominciato a accorgersi che la popolazione continuava a crescere e che bisognava aumentare la produzione. Hanno coltivato grano, grano, segno. regala avena anche dove non era mica tanto conveniente farlo alla fine del 200 all'inizio del 300 si coltiva il grano in montagna a 1500 metri dove oggi non lo farebbe nessuno ma perché a un certo punto c'è fame c'è una fame disperata perché la gente continua a aumentare e bisogna aumentare la produzione.
A un certo punto questo meccanismo entra in crisi. A un certo punto non è più possibile mettere a coltura nuove terre. Già si sono sacrificati gli equilibri del territorio, noi abbiamo già alla fine del 200, immaginate, le prime disposizioni per proteggere i boschi, quei pochi boschi che sono ancora rimasti e dove non si può tirar giù tutto e coltivare grano o far pascolare le pecore, perché altrimenti non c'è più la legna, che è fondamentale come combustibile.
Dunque questo è quello che... l'equilibrio comincia a saltare e a un certo punto si accorgono che avendo messo a coltura terreni cattivi, avendo esagerato, e nel frattempo non hanno inventato fertilizzanti chimici, non hanno inventato macchine agricole, la produzione comincia a calare, la gente comincia a avere fame. Ecco, la prima connotazione della crisi del Trecento è questa.
I raccolti non riescono più a nutrire la gente. Quando va tutto benissimo il prezzo del grano è ancora ancora decente. decente, basta che un raccolto vada un po' male, i prezzi del grano schizzano alle stelle.
E questo continua a succedere lungo tutto il Trecento, anche se come vedremo il problema della troppa popolazione diminuisce in un altro modo. Ma lo stesso, tutto il Trecento è un'epoca di prezzi impazziti, dove a seconda di come va il raccolto, un anno la gente trova il grano sulla piazza a un prezzo che può permettersi e l'anno dopo i prezzi sono folli e la gente tumultua, protesta e i più poveri cominciano a morire. potrebbero essere malnutriti, sottonutriti e magari a morire negli anni proprio cattivi e cattivi di fame in strada.
Quella è una società complessa dove le cose devono andare veramente male perché non ci sia nessuno che ti soccorre, però comunque una popolazione malnutrita evidentemente è già un segno di crisi molto forte. Ci può essere anche un altro motivo che concorre ad aggravare la situazione, a moltiplicare i cattivi raccolti, ed è il cambiamento climatico. Potremmo pensare che siamo qui a una prima analogia con la nostra epoca, che è anche un'epoca di cambiamento climatico. In realtà all'inizio del Trecento le cose vanno in senso opposto rispetto all'epoca nostra.
Il Medioevo aveva conosciuto alcuni secoli di... prima ottimo, caldo, piovoso quel che basta, non troppo, estati calde, i raccolti andavano bene. E non solo i raccolti, anche il commercio, perché noi sappiamo che nel pieno del Medioevo si riusciva a passare in autunno e in inverno da certi passi alpini, che in epoca successiva saranno bloccati dai ghiacciai e dalla neve, invece nel pieno medioevo ci si passava. Ebbene, noi abbiamo tutti i motivi di credere che all'inizio del Trecento il clima sia peggiorato.
Apriamo una parentesi, non è soltanto l'azione umana che peggiora o che cambia il clima, oggi noi discutiamo molto di questo, ma in realtà è accertato che storicamente il clima della Terra è un clima di un'esplosione. ha avuto i suoi cicli le sue fasi anche indipendentemente dall'azione umana parentesi proprio giovedì prossimo dalla piccola era glaciale al riscaldamento globale con luca mercalli quindi tu se ti è la piccola era glaciale di cui parlerà mercalli e il modo in cui oggi ci siamo abituati a chiamare il periodo dal 300 al 700 un'epoca durante la quale faceva un freddo che oggi non ci immaginiamo neanche un'epoca durante la quale negli inverni i fiumi gelavano nelle grandi città, la Senna gelava a Parigi e si attraversava a piedi, il Tamigi gelava a Londra, ecco cose che oggi non riusciamo neanche a immaginarci, sono del tutto inimmaginabili. Questa piccola era glaciale comincia nel Trecento, comincia con inverni duri, con estati piovose, che sono il peggio perché distruggono il raccolto proprio mentre sta venendo fuori, e a un certo punto la gente del Trecento si trova di fronte a un fenomeno che da secoli non si conosceva più.
Una carestia così generalizzata che non c'è modo di risolverla andando a comprare il grano da un'altra parte. Perché anche prima la carestia poteva capitare in Lombardia, è un'annata cattiva e il grano è poco. Non c'è problema, il governo lo compra in Sicilia. Adesso per la prima volta ci si trova di fronte con il peggioramento del clima, con la pressione della gente da nutrire, a carestie che investono tutta Europa. Nel 1315, 16, 17, per la prima volta...
I cronistici parlano di gente che muore di fame per le strade. E dunque, questo è un primo contesto complessivo, la crisi della produzione, la frequenza della fame e delle carestie. Secondo aspetto, che non c'entra niente forse, arriva per conto suo, per caso, arriva alla metà del Trecento una malattia di cui non si sentiva parlare da secoli e secoli, la peste. La peste è una cosa di cui parlano le cronache. antiche.
Tucidide parla della peste di Atene al tempo di Pericle, si parla della peste al tempo di Marco Aurelio, si parla della peste al tempo di Giustiniano e delle invasioni barbariche. 800 anni prima del 300 di cui parliamo. Può anche darsi poi, gli scienziati discutono su questo, se queste grandi epidemie dell'antichità e dell'epoca delle invasioni barbariche fosse davvero la peste come l'hanno poi isolata i biologi moderni o fosse tutt'altro, il tifo per esempio, come ad Atene, il vaiolo come probabilmente al tempo di Marco Aurelio. Fatto sta che però poi per secoli di grandi epidemie, di malattie terrificanti che investono una popolazione non vaccinata ovviamente.
non vaccinati in modo naturale, e che fanno una quantità enorme di vittime, ecco, non ce n'erano più state. Verso la fine del 1347 arriva una galera genovese a Messina dal Mar Nero, portando a bordo dei topi infettati loro o le loro pulci dal bacillo di una malattia nuova. La chiamano subito peste, per analogia con quello che hanno letto nei classici.
È stata poi isolata nell'Ottocento, anche se oggi si discute, non siamo neanche sicuri che non si sia trasformata. ulteriormente perché sappiamo che le mutazioni dei bacilli sono continue, quindi anche qui non vi faccio un discorso scientifico. Quello che vi dico è che nel 1347-48 arriva una nuova malattia che nessuno conosceva, che nessuno sa curare, che ha dei sintomi spaventevoli, buboni che gonfiano e questo è nel caso migliore, nel caso peggiore la peste polmonare si comincia a tossire e in un giorno o due si è andati.
Questa malattia inarrestabile. attraversa tutta Europa lentamente, nell'arco di due anni è arrivata dappertutto e oggi si discute su quanto abbia inciso, ma malcuntà, come si dice da noi, metà della popolazione europea nel giro di due anni muore di peste. L'ordine della popolazione, quanti erano all'incirca allora?
Questo non lo sa nessuno, molti meno di oggi, ma forse 200 milioni in tutta Europa, grosso modo. in Italia, forse, ma abbiamo soltanto delle stime, infatti si discute molto. Certamente l'impatto che ha questo fenomeno sull'immaginario della gente è enorme, ne nascono capolavori letterari come Boccaccio e il Decameron, naturalmente, ne nasce tutta una nuova sensibilità più attenta alla morte, alla vicinanza della morte, alla quotidianità della morte, però intendiamoci, un evento terrificante, appena è finito, gli esseri umani hanno anche una grandissima capacità. capacità di dimenticarsene e di ricominciare a vivere.
La peste del 300 invece ha questa caratteristica, che dopo pochi anni torna di nuovo e la gente è forse ancora più spaventata della prima volta, perché immaginate, noi oggi siamo nel 2010, facciamo finta di essere nel 1410, la prima grande peste è arrivata nel 48-49, i più anziani fra noi erano già vivi e sono sopravvissuti a quell'epidemia. del 48-49. Non so se questo può essere un modo utile per capire l'esperienza che hanno vissuto quelle generazioni. Nel 61 è tornata, è tornata quando nessuno se l'aspettava, si poteva pensare che fosse stato un episodio isolato, invece è tornata quasi altrettanto violenta della prima volta. Poi è tornata negli anni 70, un po' meno violenta.
Poi è tornata all'inizio degli anni 80, dura anche quella, però tutto sommato un po' meno violenta, forse, forse, per qualche... che hanno più niente, nel 99 è arrivata terrificante di nuovo, da tirar via un terzo della popolazione. Noi siamo nel 10, l'ultima epidemia è stata 11 anni fa e chi ragiona su queste cose comincia a dire, eh, a livello statistico prima o poi, effettivamente nel 14-15 viene fuori, poi negli anni 20 ce ne sarà una terribile di nuovo.
E poi continua. In altre parole, la peste diventa una malattia endemica, come si dice. in Europa, nel bacino mediterraneo, che ogni 10-15 anni ritorna e tira via una fetta di popolazione. E ogni generazione deve vivere sapendo che una, due, tre, quattro volte in vita tua, tante più volte quanto più sei fortunato e sopravvivi alle prime, questa malattia tornerà a sconvolgere per qualche mese la vita sociale, perché si tira avanti naturalmente, però quando la peste è nel pieno, di solito nel pieno dell'estate, ecco, in quei momenti lì noi ci accorgiamo che... I consigli comunali smettono di riunirsi, i notai chiudono bottega, nessuno fa più contratti, nessuno fa più affari, si ferma tutto per qualche mese.
Ora, la presenza costante della peste fa sì che la popolazione europea vada giù e rimanga giù stabilmente. Perché appunto dopo una sola epidemia... Se ne accorgono anche i contemporanei, dopo ogni epidemia cominciano a nascere bambini, c'è il baby boom ogni volta, quindi un'epidemia da sola non vorrebbe dire molto.
Invece questa sequenza continua e fa sì che l'Europa del Quattrocento, l'Europa del Rinascimento, che noi identifichiamo con la grande prosperità artistica, intellettuale e così via, viene quella Europa alla metà degli abitanti che aveva l'Europa medievale. Peste, fame, c'è un terzo elemento che nei detti popolari torna sempre, la guerra, no? Peste, fame, guerra. Quali sono le maledizioni che Dio manda sugli uomini quando vuole punirli? Il Trecento è un secolo di guerre.
Intendiamoci, tutta la storia è fatta di guerre. Tutti i secoli sono secoli di guerre e nel Medioevo la guerra era sempre presente, dappertutto. Nel Trecento succede qualcosa di strano.
Le guerre, che poi proverò a spiegare, ecco per una volta proverò anche a dire perché, secondo me, succede questo. Le guerre si prolungano, si trascinano, non riescono a finire, durano sempre di più e hanno un carattere sempre più... più distruttivo per i civili. Come mai questo? Vi faccio un esempio.
Sapete tutti che c'è stata nella storia una guerra chiamata la guerra dei cent'anni? Ecco, la guerra dei cent'anni tra Francia e Inghilterra comincia nella prima metà del Trecento. e finisce alla metà del Quattrocento. Ma in generale, al di là dell'esempio vistoso della guerra dei Cent'anni, tutta l'epoca è un trascinarsi di guerre interminabili, che sono guerre, oggi si direbbe anche a bassa intensità, ma noi sappiamo oggi che i conflitti a bassa intensità sono distruttivi in modo spaventoso per le società dove avvengono, l'Afghanistan, l'Iraq. Ancora più logoranti.
Ancora più logoranti. Perché questo? Ve la faccio in breve. perché altrimenti mi fermerei troppo su ognuno di questi aspetti. Nel Trecento gli stati europei sono abbastanza forti.
La grande crescita medievale non ha rafforzato solo l'economia, ha rafforzato anche la politica, ha rafforzato gli stati, i re, oppure in Italia i tiranni, come si diceva, i signori, i visconti a Milano, gli scaligeri, oppure i grandi comuni come Venezia, Firenze. Questi governi nel Trecento si trovano ad avere... molti più mezzi di prima.
La gente paga molte più tasse, la crescita dell'economia vuol dire anche quello. Questi governi si propongono grandi ambizioni. Il re d'Inghilterra vuol conquistare la Francia.
Gian Galeazzo Visconti vuole diventare re d'Italia. Per fare questo pagano mercenari, mettono in campo compagnie di ventura, hanno soldi, hanno l'impressione di poter fare molto. In realtà poi i soldi non bastano mai. I soldi non sono mai sufficienti.
I mercenari costano carissimi, fanno la guerra svogliatamente aspettando di essere pagati. Se non vengono pagati, anziché far la guerra, si fermano, ma intanto vivono alle spalle dei contadini e degli abitanti dei luoghi dove sono dislocati. Ricattano i governi per farsi pagare, i governi aumentano le tasse, pagano i mercenari, la guerra ricomincia per un po', poi i soldi finiscono, ma i mercenari non tornano a casa.
Sanno fare solo quello e le compagnie di ventura cominciano a vendersi. sia il miglior offerente e se non trovano nessuno che le paga si spostano lentamente sul territorio, saccheggiando le campagne, trovano una città, i cittadini si sono chiusi tutti dentro e i mercenari chiedono di pagare un riscatto se la città vuole evitare di essere assediata e saccheggiata e la gente paga e i mercenari si spostano. Ecco, la guerra nel Trecento si fa così e l'incrocio fra le ambizioni di governi che si sentono forti ma che in realtà non hanno mai abbastanza soldi per fare le cose fino in fondo.
e eserciti di mercenari che sanno fare solo quello e vivono di quello. E dunque una guerra appunto a bassa intensità ma estremamente distruttiva. Bene, come vedete gli elementi per parlare di un'epoca di crisi sarebbero già più che sufficienti e io credo che nessuno si stupirasse, gli storici per molto tempo hanno inventato la categoria della crisi del trecento. Qui viene fuori naturalmente un paragone con i nostri tempi che ci fa subito vedere che stiamo parlando di cose un po' diverse, perché a noi oggi i nostri politici ci dicono continuamente che al più tardi, all'inizio dell'anno prossimo, la crisi sarà finita. Quindi noi viviamo in un'economia dove...
misuriamo le crisi su un anno, due anni, tre anni, al massimo un decennio, quando va male, dopo si dice sì, quel decennio lì è stato di crisi. Cosa vuol dire un intero secolo di crisi? Vuol dire appunto non tanto la crisi come la intendiamo noi in termini strettamente economici, ma vuol dire un'epoca che nel suo insieme ... Vista da noi che siamo comodamente in poltrona 700 anni dopo, viene da dire, beh, come secolo, un secolo da far paura.
una quantità di difficoltà per l'uomo comune molto maggiore che non in altre epoche. Ecco, forse questo è il punto. La vita collettiva si trova a dover affrontare la fame, la peste, la guerra, molto più spesso e in modo molto più devastante che non in altre lunghe epoche a noi conosciute.
Una volta che si lancia un concetto, poi rimane la moda di solito. La crisi del 300 è un concetto che ha attecchito. I manuali scolastici hanno di solito un capitolo che si chiama La crisi del 300 e gli storici vengono invitati a fare conferenza sulla crisi del 300. Allora viene naturale mettere nel quadro anche tante altre cose che capitano in un'epoca e dire beh anche questo evidentemente fa parte della crisi.
E io vi faccio un paio di esempi. Di cose che se fossero successe in un'altra epoca magari non sarebbero rientrate sotto questa categoria della crisi. Invece, siccome succedono nel Trecento, beh, allora tutto concorre a questa immagine, non so se mi spiego. Il Trecento è l'epoca delle più grandi rivolte popolari, contadine e anche operaie, nella storia d'Europa. Una delle più grandi, prima delle grandi rivoluzioni novecentesche, si capisce.
È l'epoca delle grandi rivolte contadine, come la giaccheria. in Francia, oppure noi nel nostro piccolo qui in Piemonte, la rivolta dei tucchini del Canavese, l'unica grande rivolta contadina nella storia d'Italia prima della rivoluzione francese. Rivolte operaie, dicevo, in quelle grandi città dove ci sono concentrazioni di operai, Come a Firenze, dove c'è il tumulto dei ciompi. I ciompi sono gli operai dell'industria della lana a Firenze e verso la fine del Trecento c'è una grande insurrezione in città di questa massa operaia. Ora, il pullulare delle rivolte popolari, ovviamente dipende da che punto di vista lo guardiamo, per gli storici marxisti era la prova di una società straordinariamente attiva e dove succedevano cose interessantissime.
In realtà la storiografia dominante ha avuto la tendenza, diciamo, a vedere le cose dal punto di vista dei padroni e quindi a pensare che un'epoca in cui c'erano così frequenti rivolte, ebbene, anche per quello è un'epoca di crisi. Ultimo aspetto, profonda crisi morale di quest'epoca, legata alla crisi del papato. Questa è un'epoca in cui il papato, per diversi secoli, si è proposto come la leadership morale, si intende.
anche politica della cristianità. All'inizio del Trecento sono due secoli che grandi papi come Gregorio VII o Innocenzo III o Bonifacio VIII hanno fatto politica con un'energia straordinaria. straordinaria. Per noi medievisti è facile essere tentati di dire, beh, adesso che ho visto Giovanni Paolo II, ecco, un po' mi immagino come potevano essere quei papi lì.
Papi che regnano a lungo, che hanno un programma politico preciso, far sì che il papato sia la guida del mondo cristiano, che i re e i governi ubbidiscano a Roma. Su questo progetto si può discutere, ma certamente è stato portato avanti con enorme impegno e dando al papato una statura morale e politica enorme. Nel Trecento tutto questo patrimonio viene scialacquato.
Perché nel Trecento, per ragioni politiche complicate che non stiamo a dire qua, il papato arriva addirittura a dimostrarsi così legato a una potenza politica, il Regno di Francia, che addirittura lascia Roma per andare a risiedere in Italia. in Francia per essere più vicino al re di Francia. È un po' come se oggi la congiuntura politica fosse tale che il Papa decide di spostarsi negli Stati Uniti, sostanzialmente.
E la cosa ovviamente provoca critiche, contestazioni, smarrimento. Si è insistito così tanto sulla chiesa romana e adesso questa chiesa romana risiede ad Avignone. Ma c'è di peggio, perché quando, dopo una settantina d'anni, i Papi... Un Papa decide che effettivamente la residenza ad Avignone indebolisce troppo l'autorità morale del papato e perciò bisogna tornare a Roma, e beh, c'è una parte dei cardinali che non sono tanto d'accordo perché gli interessi politici legati alla Francia ci sono e sono grossi.
Quando il Papa che è tornato a Roma muore pochi mesi dopo, i cardinali ne eleggono un altro che decide di restare a Roma e a quel punto una parte dei cardinali cambia idea, si riuniscono e si rivolgono a Roma. riuniscono separatamente ed eleggono un nuovo. Papa che invece torna ad Avignone. Non so se mi sono spiegato, l'ho detta forse un po' in fretta, un po' confusamente.
Il risultato è che i cristiani stupefatti si sentono dire che sono stati eletti due papi. Tutti e due eletti dalla maggioranza dei cardinali, perché molti cardinali hanno cambiato idea fra un conclave e l'altro. altro. Un Papa sta a Roma e uno sta a Davignone, ognuno scomunica l'altro ovviamente, ognuno sostiene che i cardinali e i vescovi che sostengono l'altro sbagliano e sono scomunicati tutti quanti.
La cristianità si trova a toni di... comunità a dover decidere perché ognuno deve decidere se il papa giusto è uno o è l'altro, poi difficilmente si lascia alla gente la libertà di decidere in cuor suo e il governo che decide il nostro paese sta con il papa di Avignone come fanno per esempio qui in Piemonte i Savoia e allora tutti i buoni sudditi devono stare con il papa di Avignone. Ognuno poi in cuor suo può avere i suoi dubbi ovviamente e questo vuol dire evidentemente che questo mondo che si era abituato a guardare al papa papa come alla massima autorità morale si trova in un profondissimo dramma, in una profondissima incertezza. Ecco, c'è altro? Io avevo una scaletta.
Vediamo se ho dimenticato qualcuno dei tanti elementi che fanno sì che il 300 sia sentito come una crisi. Beh, mettiamone ancora uno, ecco che me lo dimenticavo, è che ci può di nuovo far pensare un po' a qualche analogia con l'oggi. La crisi della democrazia. Cosa vuol dire messo così? Non che la crisi sia una crisi, ma è una crisi.
che nel Medioevo ce ne fosse tante di democrazia, ma qui in Italia un po' ce n'era. L'Italia, i governi delle città comunali italiane, è l'unico posto dove si erano fatti esperimenti per cui il potere era gestito collettivamente. Una grande città italiana del 200, e anche una piccola, peraltro, una città italiana dell'epoca del Barbarossa o del 200, aveva un governo comunale in cui effettivamente tutti i cittadini avevano una certa partecipazione.
Intendiamoci, i cittadini erano soltanto i maschi, capi famiglia, proprietari di una casa o una bottega e che quindi pagavano le tasse nel comune. Quelli erano i cittadini, non le mogli, non i figli, non gli operai, i lavoranti, i garzoni di bottega e così via. Però questo vuole comunque dire che in una città italiana migliaia di persone potevano essere elette.
o sorteggiate, perché si sorteggiava molto, per i tantissimi incarichi di gestione del comune, che ruotavano ogni pochi mesi, per cui migliaia di persone effettivamente partecipavano alla gestione della cosa pubblica. All'inizio del Trecento questo modello comincia a scricchiolare, perché questa democrazia comunale in realtà non ha mai risolto il problema della lotta politica. La lotta politica medievale...
E' perfino più violente e più barba della nostra oggi, perché oggi ci si limita alle parole, mentre nel Medioevo ci si comporta coerentemente e quando si odia un avversario e si pensa che sia un criminale, si procede ad aggredirlo in piazza e ammazzarlo tendenzialmente. La lotta politica nei comuni medievali è di una violenza estrema e in questo contesto fra la gente nasce la voglia di vedere arrivare l'uomo forte che può cambiare la situazione. situazione, che può mettere fine al disordine. Una dopo l'altra le città italiane si sottomettono a personaggi di estrazione nobiliare con vaste clientele, con uomini armati a loro seguito, con finanziamenti dalle banche, che propongono appunto di farla finita con la violenza e col disordine. Il comune magari continua a esistere, ma tutti sanno che chi comanda è Matteo Visconti, per esempio, oppure più tardi nel Quattrocento.
Lorenzo de' Medici a Firenze. In altre parole, quella che era stata una sperimentazione straordinaria di governi larghi, come dicevano loro nel Medioevo, a cui tutti potevano partecipare, o tanti potevano partecipare, lascia il posto a soluzioni che si garantiscono l'ordine, garantiscono la pace a un costo molto forte e suscitando naturalmente opposizioni, rancori. Ecco. Aggiungiamo anche questo e si capisce che per gli storici per tanto tempo il Trecento sia stata l'epoca della crisi. Perché dico per tanto tempo sia stata?
Perché oggi, su questa lunga epoca di crisi, si comincia a ragionare diversamente e a questa parola crisi si comincia a mettere le virgolette. E qui comincia, come dire, la seconda parte di questa lezione, è sempre ammesso che io abbia il tempo di farla, sì, ma non ho debordato troppo dalla prima metà. Siamo nei tempi corretti.
Perché? Io vi lascerei con un'impressione completamente falsata. Se vi facessi tornare a casa pensando, eh sì, il 300 è stata un'epoca veramente di crisi, tutto sommato a noi oggi va di lusso.
Non è questo lo scopo. Lo scopo invece è di provare a ragionare insieme su come ogni crisi può avere il suo rovescio, su come ogni crisi può anche essere piena di fermenti di cambiamento. Non che lo sia per forza, non che oggi sia così evidente, per esempio, che ci sono i cambiamenti in meglio che stanno nascendo, ma è possibile che questo succeda.
La crisi del 300, in questo senso, è un esempio bellissimo di come ciò che da un lato ci sembra crisi, da un altro punto di vista, invece, vuol dire qualcosa di diverso. E provo a spiegarmi. Cominciamo dall'aspetto...
che forse in assoluto è il più terrificante del 300, quella cosa che veramente c'è da ringraziare di non essere vissuti allora e uno dice è ben difficile immaginare che ci sia un risvolto positivo, la peste. La peste è certamente una brutta compagna con cui vivere e le epidemie sono certamente state esperienze terrificanti per quelli che le hanno attraversate. Ogni epidemia dura qualche mese, un anno o due al massimo, un po' più forte, un po' più debole, forse finita. No, con l'estate ricomincia, però poi finisce.
Non sta morendo quasi più nessuno, non muore più nessuno, è finita. Si torna alla vita normale. Si torna alla vita normale e tutti hanno ereditato. Tutti quelli che sono sopravvissuti all'epidemia...
Hanno visto morire, per carità, hanno visto morire amici, parenti, la sofferenza, la quantità di sofferenza è chiaramente enorme, ma quando si ricomincia a vivere hanno tutti ereditato. Tutti vivono in case più grandi, hanno ereditato la casa dello zio, la bottega del cugino, la ditta rivale ha chiuso i battenti perché il rivale è morto. La quantità di edifici, di case, di oggetti disponibili è sempre la stessa, la popolazione si è dimezzata.
La quantità di denaro circolante è sempre la stessa, ma la popolazione si è dimezzata. In altre parole, noi ci accorgiamo che può sembrare un meccanismo perverso, ma alla fine di ogni epidemia i superstiti non solo hanno una gran voglia di ricominciare a vivere, e tutti quelli che sono rimasti vedovi si risposano e cominciano a nascere bambini, come si diceva, ma anche il livello del benessere materiale per tutti è decisamente maggiore. Ma poi c'è anche un meccanismo... economico, specifico, questa sì, forse troviamo una legge economica che possiamo quasi dire che è scientifica, effettivamente. Ed è questa, provate a vedere se riesco a farmi seguire.
Lo strato più basso della popolazione, quello che soffre di più della fame, che forse soffre anche di più della peste, perché dopo tutto i ricchi scappano in campagna e si chiudono nella villa, come i protagonisti della cornice. del Decameron e magari scampano i poveri affollati nei quartieri operai delle città, quelli muoiono come mosche. Allora tutto lo strato più basso della popolazione che in campagna è formato da braccianti. contadini senza terra, quelli che, come i nostri immigrati di oggi che raccolgono i pomodori, insomma, o le arance, e che vivono come vivono, come possono campare, oppure gli operai delle città che anche loro vivono da salariati in un mondo che fino a un attimo prima era sovraffollato e dove quindi i salari erano bassissimi, perché era pieno di manodopera che non costava molto, disperata, che pur di mangiare era disposta a lavorare per salari bassissimi. Ma una volta che le cose sono cambiate e che ci si rende conto che la gente è molta meno di prima, ebbene, le cose non stanno più così.
I salari devono crescere per forza. I braccianti, gli operai, scoprono che se il padrone non gli aumenta lo stipendio, trovano un altro padrone che ha un gran bisogno di mano d'opera, perché ce n'è poca in giro, e che è disposto a pagare di più. E' un meccanismo economico elementare naturalmente, è diminuita l'offerta di mano d'opera e di conseguenza chi voglia continuare a tenere la bottega aperta deve aumentare i salari.
Ecco, dal punto di vista degli imprenditori... Loro non usavano il termine crisi, non ragionavano in questi termini, non avevano una scienza economica, ecco che mi è scappato di definire la scienza, ma insomma, non avevano un pensiero economico ancora a quell'epoca, ma certamente dal punto di vista degli imprenditori, anche questo fatto, che di colpo gli operai vogliono essere pagati di più, sarebbe certamente stato considerato una prova che c'era la crisi. Ecco, peggio di così non può andare.
E infatti gli imprenditori dell'epoca fanno di tutto per tenere la crisi. ...ner bassi i salari. Si associano fra loro col patto che nessuno può pagare più degli altri. Si chiedono ai governi, dominati dagli imprenditori, si chiedono ai governi tariffe, salari massimi. Oggi noi veniamo da un'epoca in cui si è combattuto perché si stabilisse per legge il salario minimo.
Gli imprenditori del 300 chiedono ai governi di stabilire il salario massimo, in modo da costringere gli operai a restare al loro posto. Ma si sa quanto possono servire queste leggi. I salari.
salari in realtà salgono. E dunque, intanto abbiamo tutta una fetta di popolazione, i salariati, per i quali la crisi vuol dire in realtà che alla fine si trovano più soldi in tasca e che quindi tutta questa fetta di popolazione vive meglio di prima. Ma la cosa interessante è che questo viver meglio di prima innesca dei meccanismi economici. Cosa succede?
Il bracciante, il salariato, va a bottega, lavora, scopre di avere più soldi in tasca di prima. Fino all'inizio della crisi i soldi bastavano appena per dar da mangiare a tutta la famiglia. Pane.
Pane e zuppa. Adesso i soldi sono un po' di più. Cosa si fa con questo po' di soldi in più?
Oltre a mangiare pane e zuppa, si mangia carne. Il consumo di carne nell'Europa del 300 e del 400 sale a dei livelli impensabili prima e impensabili anche dopo, perché tutti noi sappiamo che fino a 50-100 anni fa i contadini e gli operai la carne la mangiavano veramente di rado. Nel 300 e nel 400 è documentato con certezza il fatto che la gente mangia carne. Tutti mangiano molta più carne di prima. C'è una quantità di macellai aperti inverosimile.
Torino, che era una piccolissima città all'epoca, nel momento più basso, all'inizio del Quattrocento, quando una serie di epidemie hanno veramente inciso, ha, voi vi metterete a ridere, 5.000 abitanti. A Torino, con 5.000 abitanti, io personalmente ho ritrovato nei documenti dell'epoca non meno di 15 o 20 macellai. Voi capite che se con 5.000 abitanti ci sono 20 macellerie aperte, questo evidentemente qualcosa vuol dire. E tutti i dati che abbiamo sul consumo ci dicono enorme richiesta di carne, soprattutto montone peraltro. Ma questo a sua volta cosa vuol dire?
Vuol dire che gli imprenditori in campagna, quelli svegli, fanno i loro conti. Questa carne da dove viene? Prima della crisi, quando il mondo era sovrappopolato e si producevano città, Cereali dappertutto, perché è la cosa più economica per nutrire una massa di persone.
Oh, di allevamento se ne faceva poco. Prati, pascoli, ce ne erano pochi. Cereali dappertutto.
I cereali erano il grande investimento. Adesso gli imprenditori... I prenditori scoprono che i cereali non sono più un grande investimento. I prezzi del grano sono sempre impazziti, come vi dicevo all'inizio. Quando c'è il cattivo raccolto per ragioni climatiche, i prezzi del grano vanno alle stelle.
Ma negli anni buoni no, perché ormai la richiesta è diminuita. Qualche imprenditore si lamenta, qualcuno fa fallimento, qualcuno, se è un nobile, pensa che in fondo, anziché continuare a coltivare l'azienda, è meglio andare a fare la guerra e a ruolarsi in una compagnia mercenaria, che lì si guadagna meglio. Grazie. ha ragione.
Ma altri imprenditori scoprono che questa crisi con i suoi effetti offre anche delle occasioni di guadagno. Un po' dappertutto noi vediamo, lo vediamo tangibilmente, perché a quest'epoca ormai abbiamo dei registri fiscali, dei catasti che ci dicono che cosa si coltivava, come era usata la terra e noi vediamo che pian piano la quantità di terra coltivata a campo diminuisce e dappertutto aumenta il prato, aumenta il paio. pascolo. Aumenta il prato e il pascolo perché l'allevamento del bestiame è diventato conveniente e chi sa riconvertirsi a questo fa i soldi naturalmente.
L'allevamento del bestiame vuol dire un'altra industria, l'industria del formaggio e in quest'epoca che la pianura padana diventa una grande industria casearia e in quest'epoca che viene inventato il formaggio parmigiano per esempio, che all'epoca non chiamano parmigiano, lo chiamano piacentino, è una delle tante cose che hanno inventato Piacenza che poi... poi Parma in qualche modo ha sottratto. Comunque, è in quest'epoca che la pianura padana diventa una capitale della grande produzione di formaggi esportati fino nell'impero ottomano.
Questo comporta naturalmente degli investimenti e delle infrastrutture. Tutti noi sappiamo che le nostre campagne sono piene di rogge, di bealere, di una rete di canali che fanno della pianura padana una delle pianure irrigue più ricche del mondo. Questa rete di canali... Non esiste mica per natura, sono stati scavati da mano umana. Ed è soprattutto con la crisi del 300 che aumenta una tendenza che c'era già un po' prima, va detto, eh?
Ma col 300 e il 400 aumenta decisamente... La tendenza è investire, scavare canali e trasformare quello che prima era un campo in un prato e in un prato irriguo, in una marcita, che rende come foraggio dieci volte di più rispetto a un prato secco. la pena di spendere, di investire soldi per migliorare la resa della terra. Capite che stiamo parlando di una modernità che sta arrivando. Investimenti, miglioramenti, spendere del denaro per far sì che la terra produca di più, capire qual è la cultura che rende di più e usare, investire per far quello anziché quell'altra cosa, sono comportamenti moderni che in qualche misura potevano esistere già prima, ma che certamente in questa epoca di crisi entrano in primo atto.
piano. Cosa ancora? Cosa fa l'operaio una volta che ha mangiato pane, zuppa e anche carne, cosa che il babbo ai suoi tempi si sognava?
Beve vino. Il consumo di vino in quest'epoca sale e rimarrà molto alto per parecchi secoli, va detto, e i prezzi del vino scendono perché comunque c'è tanta più gente che ha soldi e che compra vino e beve vino. Anche lì in campagna... Chi ha la possibilità di investire, di trasformare le culture, investe su quello. Cos'altro fa l'operaio una volta che ha ben mangiato e ben bevuto?
Con quel po' di soldi che gli restano in tasca scopre che può vestirsi un po' meglio. E anziché continuare a vestirsi come si faceva prima, con i panni tessuti in casa dalla moglie, magari ogni tanto si permette di andare al mercato e comprare una pezza di panno un po' migliore per vestirsi un po' meglio. Nelle miniature del 300, del 400, i contadini sono vestiti molto meglio che non nelle opere d'arte del 600, per esempio, dove noi siamo abituati nei quadri del 600 a vedere questi contadini stracciati, scalzi. Nelle sculture del 3-400 i contadini appaiono tutti vestiti mica male e noi sappiamo per certo che sui mercati un certo tipo di panni si vende bene, ma non i panni di lusso.
Sui panni di lusso aveva puntato tutta l'industria tessile medievale fino a quell'epoca. Le grandi capitali del tessile, come Firenze per esempio, erano in concorrenza per chi produceva i panni più lussuosi, per una clientela aristocratica. Le città come Firenze che anche nel 300, nel 400 vogliono continuare a fare panni di lusso, si accorgono che il mercato non è poi così florido.
Ma nasce tutta una nuova industria dove ci sono imprenditori, e ci sono specialmente nelle città padane, ci sono a Milano, ma ci sono anche qua in Piemonte, a Chieri per esempio, dove nasce allora l'industria tessile chiarese, ci sono imprenditori che capiscono che accanto ai panni di lusso adesso c'è un mercato per panni di lusso. anni più a buon mercato. Non solo di lana, di cotone per esempio. Ecco, in quest'epoca cominciano a salire da Genova carovane di muli carichi di balle di cotone che arriva dall'Oriente e che salgono fino alle città della pianura padana dove si lavora il cotone e si fa il fustagno.
E quindi anche qui, declino economico di certi settori, ma altri settori, quelli che riescono a cavalcare la trasformazione. invece prosperano. E quindi come vedete anche in termini puramente economici il quadro della crisi ha un suo rovescio. La crisi come tragedia, come susseguirsi di eventi catastrofici è indiscutibile.
La crisi come meccanismo, Il meccanismo economico invece non è più così chiaro come dobbiamo considerarla. Forse dopo tutto è un grande cambiamento più che non uno sprofondare indietro. E questo concorda con un'altra cosa che si verifica in quell'epoca ed è che la qualità...
degli oggetti migliora continuamente. Per tutto il Trecento, e poi anche dopo, ben inteso, la qualità dell'edilizia, la qualità dell'abbigliamento, migliora tutto. La qualità dell'arte non ne parliamo neanche, stiamo entrando nel Rinascimento.
La prima grande generazione di artisti del Rinascimento, Masaccio, Donatello, vivono nel pieno della crisi, nell'abisso della crisi, eppure tutto sta migliorando. Il tenore di vita di chi sopravvive sopravvive alle catastrofi, indiscutibilmente migliora dappertutto. In futuro ci chiederemo, ma forse anche oggi tutto sommato, nonostante la crisi, che ne so, la qualità tecnologica, Le nostre tecnologie, per esempio, va migliorando continuamente.
Il computer che usiamo è migliore di quello che si usava cinque anni fa, nonostante questi cinque anni siano stati di crisi nera. Ecco, quindi questo è forse un altro elemento di riflessione, di parallelo possibile. E allora a questo punto voi capite che noi che di mestiere ci occupiamo di medioevo, almeno fra noi, non riusciamo neanche più a dire la crisi del 300. Lo diciamo cercando di pronunciare le virgolette. Pronunciare le virgolette non è tanto facile, però quando lo scriviamo le mettiamo in un'altra parte. E poi abbiamo sempre la crisi del 300, punto interrogativo.
Cosa vuol dire questa crisi? E allora se uno si mette in questa prospettiva, ecco che anche tutti gli altri elementi che prima potessero essere, potevano sembrare come una conferma che quello è un secolo brutto, sono tempi bui, tempi tristi, le cose vanno male, ecco, anche altri elementi rivelano una loro diversa faccia. Per esempio, le rivolte. Queste rivolte contadine che sul momento appaiono certamente ai signori come episodi scioccanti, a volte anche brutali, a volte anche di estrema violenza.
Non quella dei tucchini nel Canavesa, che è una lunga rivolta di grande successo, con pochissima violenza e pochissimi morti. Ma in Francia, per esempio, dove quando fanno le rivoluzioni vanno più fino in fondo, la grande jacquerie fa migliaia di morti. E però, se uno va a vedere, al di là dell'esplosione di violenza... queste rivolte dei contadini medievali sono rivolte che danno anche il senso di una crescita politica perché questa violenza è soltanto un'arma fra le tante in una società che certamente è più abituata della nostra alla violenza, più brutale ma la violenza è soltanto un'arma che si usa nel negoziato politico e nel 300 in Europa sta crescendo una cultura politica che arriva anche nelle campagne non soltanto nelle città grazie Non è più la cultura politica dei comuni cittadini italiani, di cui parlavo prima, una cultura di partecipazione democratica.
E semmai la cultura, che rimane quella delle nostre campagne molto a lungo, la cultura del sentirsi comunità, del sapere che tutti noi che abitiamo in questo paese, in questa parrocchia, abbiamo interessi comuni e vogliamo difenderli questi nostri interessi comuni. Che siamo in grado di negoziare con il Signore e con il Re, se ce n'è bisogno, per ottenere privilegi, ottenere franchigie, statuti. tutti iscritti, per far rispettare i nostri diritti.
In tutta Europa le comunità contadine si organizzano, ottengono il permesso di avere un consiglio comunale, dei sindaci, eletti, di poter gestire loro una parte dell'attività politica sul posto, incassare le multe per i piccoli reati, decidere loro autonomamente il calendario dei lavori agricoli anziché farlo decidere dal Signore. Ecco, è tutta una crescita politica che i suoi effetti duraturi li ha lasciati eccessivamente. e come sulla storia d'Europa, e che si accompagna, sì, si accompagna alle esplosioni di violenza, che ogni tanto è violenza cieca, ogni tanto invece è violenza ben calcolata, per dire spaventiamoli per vedere se possiamo ottenere quello che vogliamo. Cosa ancora? Consultiamo la scaletta.
La guerra. Questa guerra che certamente per quelli che la subiscono è un fenomeno devastante perché la guerra all'epoca si fa con piccoli numeri, a bassa intensità appunto, semplicemente con qualche centinaio di uomini d'arme che arrivano a quartierarsi in un villare. mangiano gratis bevono gratis fanno sparire tutto quel che c'è da mangiare vuotano le cantine fa sparire le scorte alimentari dei contadini fa sparire il pieno dai fienili poi ripartono portandosi via il bestiame chi si è opposto lo hanno bastonato magari c'è scappato il morto, qualche donna è stata violentata, il villaggio è a terra. Comincia subito a scrivere al sovrano per ottenere una riduzione delle tasse, prima cosa che fanno ovviamente.
Questa è la guerra di Annora e quando sei in territorio amico si fa così, quando sei in territorio nemico si fa bruciando tutto, distruggendo i mulini, tagliando le viti, sradicando gli alberi da frutta, per far paura, per costringere il nemico ad arrendersi. Questa guerra è certamente devastante, eppure anche da questa guerra... E in guerra ci sono tanti che traggono profitto.
Tutti i signori rimasti disoccupati perché la loro signoria non rende più bene, tutti quelli che hanno terra ma non sono più capaci di farla rendere, che non sanno riciclarsi di fronte alla crisi economica, trovano nella guerra, che per i nobili è pur sempre il mestiere che loro sanno fare fin da bambini, la grande scappatoia. Una gran parte dei ceti dirigenti dell'epoca trae profitti anche dalla guerra e ovviamente questi profitti li rimette poi in circolo. Perché lo stesso denaro che hai ottenuto dal re o dal tuo committente comunque e che poi hai risparmiato perché durante la guerra non hai speso niente, prendevi tutto gratis rubando e saccheggiando ma poi quando torni a casa quel denaro lo spendi lo spendi per commissionare la nuova cappella di famiglia nella cattedrale lo spendi in abito In abiti, in vini preziosi, in gioielli, in armi, tutto questo denaro rifluisce nell'economia per così dire. Non è edificante a pensarci, eppure è assolutamente così. E molto denaro rimane nelle tasche.
di quelli che la guerra la gestiscono. Questa è la grande epoca dei tesorieri, dei commissari di finanza, dei commissari all'esercito, quelli che riscuotono le tasse e poi pagano gli uomini d'arme e tengono i conti e nelle loro tasche rimane sempre molto, molto denaro. E tutta questa gente che comincia magari come piccolo scrivano, segretario, notaio, piccolo contabile e uno si accorge che dopo un po' di anni che fanno quel mestiere sono diventati gran signori. Nobili, comprano la nobiltà, comprano signorie, nuove grandi famiglie che nascono. Una parte consistente della nobiltà europea non discende mica da cavalieri delle crociate, ma discende da quei segretari, notai, uomini d'affari che hanno fatto i soldi in quei secoli al servizio dello Stato e soprattutto gestendo l'enorme partita dei finanziamenti di guerra e delle forniture di guerra.
Qui l'analogia con la modernità è evidente, con la contemporaneità. C'è, magari non tanto con i nostri anni, ma se pensiamo all'enorme impatto che la seconda guerra mondiale ha avuto per mettere fine alla grande crisi del 29 e degli anni 30 e per rilanciare l'economia mondiale, ecco lì l'analogia credo che sia proprio evidente. Cosa ancora? Un'ultima cosa. Mi sono spinto sul terreno dei valori, delle guide morali, dello smarrimento morale, la crisi del papato.
Ebbè, anche la crisi del papato ha un suo risvolto estremamente significativo. Perché nel momento in cui il papato è lacerato dallo scisma, in cui ci sono due papi nemici a Roma e a Davignone, ecco, e i semplici credenti, così, non sanno più bene a cosa credere, nella Chiesa molte teste pensanti... Si dicono che bisogna trovare una soluzione e che forse quella è l'occasione anche per cambiare qualcosa. Molte teste pensanti del mondo ecclesiastico, molti intellettuali di punta dell'Europa di quei secoli, si dicono che se siamo arrivati a questo punto è segno che c'è qualcosa di sbagliato in questa idea di un'autorità assoluta del Papa che governa da solo la Chiesa. Perché adesso di fronte a due Papi rivali non ci sono gli strumenti per risolvere questo problema.
questa contesa. Nel mondo ecclesiastico si fa strada l'idea che forse sarebbe bene se la gestione della Chiesa fosse affidata non solo all'autorità suprema del Papa, ma che accanto al Papa ci fosse il concilio, ci fosse cioè una misura di concertazione, di discussione, un luogo, il concilio appunto, dove tutta la Chiesa, tutte le comunità sono rappresentate e dove le decisioni vengono prese in modo monarchico dall'alto, ma appunto attraverso la discussione e la comunicazione. Questa idea di una democrazia della Chiesa, aggiungo ancora quest'ultima cosa, per che sia ben chiaro il contesto, non è così nuova, perché anche nella politica all'epoca, i re non sono ancora i sovrani assoluti.
alla Luigi XIV, lo Stato sono io, che verranno fuori più tardi. I re del Trecento, anche per il fatto che devono fare tutte quelle guerre e riscuotere tutte quelle tasse, e per far pagare alla gente le tasse bisogna anche convincerla in qualche modo, i re del Trecento sono i regni del mondo. 300 governano tramite parlamenti, tramite assemblee dove convocano continuamente i grandi baroni, i vescovi, ma anche i rappresentanti delle città e perfino delle comunità contadine per spiegare la loro politica, per spiegare che hanno bisogno di soldi, per chiedere nuove tasse.
Questa dimensione parlamentare del governo, che poi noi abbiamo un po' dimenticato perché dopo viene l'assolutismo, tutto questo finisce, è invece proprio tipica di questa epoca di crisi. E allora non è strano. che anche nella Chiesa nasca questa idea di un governo rappresentativo, partecipato. E la Chiesa conosce una grande stagione di concili.
Anche qui il Concilio ha avuto i suoi alti e bassi nella storia. Ci sono state epoche in cui i concili sono stati considerati centrali nella vita della Chiesa. L'ultima volta ovviamente è stato con il Vaticano II, negli anni Sessanta. Adesso è da molto tempo che la Chiesa non si gestisce più attraverso l'incontro tra l'autorità del Papa e la democrazia del Concilio. o perlomeno la discussione del concilio.
Chi lo sa cosa succederà in futuro. Certamente la crisi del Trecento ha partorito allora delle innovazioni nel modo di pensare la Chiesa che hanno ridato forza alla Chiesa. Perché se la Chiesa è uscita allora da quella crisi... e perché la gestione conciliare ha saputo superare la spaccatura tra i papi, riportare la Chiesa a un'unità. E' una Chiesa che era sembrata sul punto di perdere definitivamente il controllo sui cuori, sulla fiducia dei credenti.
ecco, l'ha recuperata e l'ha trattenuta a lungo. Poi forse non è un caso se una volta recuperata la fiducia i concili sono stati messi da parte e la Chiesa è tornata a una gestione di tipo diverso, andando incontro nel Cinquecento, come sappiamo tutti, di nuovo a una violentissima contestazione, la riforma. Ma qui andiamo a conseguenze lontane, insomma, del mio tema.
Ecco, io direi che mi fermerei qui e vi ringrazio. Grazie, professor Barbero, è stato interessantissimo quanto ci ha detto. Io vorrei anche ricordare che ha ricevuto un'importante onorificenza in Francia, professor Barbero, con la nomina Chevalier de l'Ordre des Arts et des Lettres. ma mi sembra un riconoscimento anche nella sua altisonanza imponente. Allora, possiamo rivolgere qualche domanda al professor Barbero a questo punto, una domanda che può riguardare il 300. ma anche in controluce la modernità attraverso questo filtro, l'abbiamo potuto intravedere, sappiamo che sono crisi molto diverse e giustamente il professor Barbero ci ha fatto rilevare che la storia non si ripete, che quindi nulla è come prima per il solo fatto che il tempo scorre, ma qualche analogia in fondo si può riconoscere, è questo fatto che le crisi viste più attentamente possono anche essere...
viste come occasioni, questo ci interessa perché potrebbe essere un modo di uscire dalla nostra crisi che non sarà lunga un secolo, però ci sembra lunga un secolo anche se sono soltanto due o tre anni e ne stiamo pagando credo un po' tutti le conseguenze, almeno c'è tutta una fascia di popolazione che le sta pagando molto duramente. Allora sentiamo se c'è una prima domanda, mi pare di sì, buonasera. Io non so se sbagliando ho sempre considerato la nascita di una coscienza laica come un fattore molto modesto. moderno, questa crisi morale del 300 può aver portato in quel periodo a una nascita della coscienza laica anche nella popolazione?
Io direi di no, ovviamente dovremmo intenderci esattamente su cosa vogliamo dire, però mi sembra che ci sia un punto cruciale ed è questo, la gente di quell'epoca in occidente era profondamente religiosa, non esisteva di pensiero che prescindesse dalla religione. Poi nei comportamenti quotidiani tutti sapevano distinguere fra chi era una persona di chiesa, sempre lì, baciapile, c'era già allora la satira di quelli che stanno troppo attaccati. E chi invece magari dava prova così di spirito libero, ma lo spirito libero non era laico nel senso di prescindere da una dimensione religiosa. Gli spiriti liberi di quell'epoca erano quelli che non credevano ai preti e pensavano la religione a modo proprio.
Questa è una cosa che attraversa tutto il basso medioevo, non soltanto l'epoca di cui parliamo, c'è anche nel 300, nel 400. come c'era prima, il fatto che noi percepiamo sicuramente un vasto terreno di dissenso. Il dissenso vuol dire che noi abbiamo innumerevoli testimonianze che dappertutto, a casa dei mercanti ma anche a casa dei pastori, capitava che fra amici la sera si diceva ma sono tutte frottole quelle che raccontano, il purgatorio, la messa per il nonno, sono solo per guadagnare soldi loro, io non ci credo, sai ho sentito uno dire che in realtà Dio ha creato il mondo ma in realtà erano due. un dio buono, un dio cattivo. Ecco, tutto questo che adesso sto facendo un po' in caricatura, ma noi sappiamo che era largamente diffusa la capacità di discutere di queste cose fra la gente del Medioevo.
Da resto il Decamerone ce lo dice. Il Decamerone ce lo dice naturalmente. Però nel Decamerone si vede anche molto il rifiuto di accettare una certa disciplina della morale, dei comportamenti della Chiesa, naturalmente, certo.
Noi sappiamo che la Chiesa è spaventata da questo e si attrezza per reprimere questo fenomeno. Grazie. L'inquisizione nasce proprio per andare a controllare capillarmente cosa dice la gente la notte a veglia nella stalla o a letto con la moglie. Questo è quello che gli inquisitori chiedono ai loro testimoni durante i processi. Tutto questo io semplicemente non lo chiamerei laico nel senso nostro, ecco, perché...
Si tratta comunque di un profondissimo interesse per la dimensione religiosa. La laicità consiste semmai nel fatto di voler pensare con la testa propria e di contestare l'autorità della Chiesa, però all'interno di una prospettiva religiosa. Ecco, se lei la intendeva così, allora sì, c'è una laicità medievale, che però non direi sia legata specificamente alla crisi del Trecento, ce ne sono testimonianze già molto prima.
C'è un'altra domanda, buonasera. Buonasera. chiedere al professore, tenuto conto di tutta la sua conoscenza storica, se ha un'idea di come potrebbe essere superata o comunque di come potrebbe passare, evolvere questa crisi che c'è attualmente economica ma anche della disoccupazione.
Grazie. Io sapevo che arrivava questa domanda poi e che venivo richiamato alle mie responsabilità. Io però non ne ho idea, anche se mi dispiace deludere.
In questo senso che, rientriamo nel discorso che si faceva prima sul fatto che la storia non è una scienza, nel senso che non permette di prevedere i risultati di un esperimento. Ben inteso, questo è vero fino a un certo punto. Io alcune cose ho la sensazione di poterle dire, perché all'ingrosso vedo che sono già successe e mi sembra ovvio che debba succedere la stessa cosa anche adesso.
Per esempio, sposto un po' il discorso. Dico lo stesso una cosa che è di interesse forse per il nostro oggi. A me sembra abbastanza possibile che il rimescolamento delle popolazioni a livello internazionale abbia alla lunga l'effetto di cambiare le identità dei popoli.
I popoli nascono e possono anche scomparire e ne vengono fuori altri. Gli italiani al tempo di Carlo Magno non esistevano mica. Poi a un certo punto si è cominciato a sentire che un certo insieme di popolazione che viveva in un certo luogo, che parlava una certa...
certa lingua anch'essa nuova ecco erano gli italiani italiani sono esistiti per molti secoli e dopodiché non ci sarebbe proprio niente di sorprendente per lo storico se fra 500 anni gli italiani non ci fossero più così come non ci sono più i goti per esempio che pur erano un popolo con le spalle quadre ben convinti di se stessi fieri e orgogliosi quindi questo mi sentirei di poter dire che per esempio non ci sarebbe da stupirsi se molto lentamente nel corso del tempo, nessuno di noi farà in tempo ad accorgersene, questo succedesse. Dal punto di vista della crisi, mi è più difficile fare dei paralleli. Mi riduco anch'io, pur facendo lo storico, a quello che tutti potremmo dire al bar, e cioè prima o poi finirà, perché non si è mai visto comunque che è una crisi duri all'infinito. Quello che posso dire è, state tranquilli, il parallelo che abbiamo fatto nel titolo di questa conversazione, crisi del 300, crisi del 2000, non vuol dire che come... nel 300 abbiamo cent'anni di crisi, così potrebbe succedere anche a noi, proprio perché noi intendiamo la crisi economica in un senso, lo avete visto, molto più tecnico, molto più specifico, ecco, e i meccanismi del capitalismo che noi conosciamo ci dicono tutti che rapidamente di solito le crisi si esauriscono e lasciano il posto a qualcos'altro, a cosa poi bisogna vedere naturalmente, ecco.
No, basta, perché veramente... Il mio mestiere di storico non mi dà nessuno strumento purtroppo per dire qualcosa di più su questa. Però mi viene un'osservazione interfacciando quello che abbiamo sentito dal professor Barbero con quello che abbiamo sentito dalla professoressa Fornero la settimana scorsa.
Il professor Barbero ci ha detto che purtroppo la peste ha dimezzato la popolazione, però quelli che restavano ereditavano. Quindi c'erano dei superstiti e dei giovani che fruivano di ricchezze che in qualche modo arrivavano loro dalla giovane. generazione precedente la settimana in cui la settimana scorsa in cui abbiamo avuto la professoressa fornero invece abbia sedito l'opposto cioè che tutti i meccanismi della nostra previdenza attuale congiurano nella direzione di lasciare dei discendenti della nostra generazione più poveri in realtà quindi da questo lato qui forse erano migliori quelle crisi che non quelle alle quali ci stiamo preparando ma anche queste sono chiacchiere da bar naturalmente però è una differenza interessante questa cioè siamo Siamo noi di una certa generazione ormai anziana quelli che fruiscono ancora, se volete, di quel miracolo economico che abbiamo attraversato e sappiamo che purtroppo le generazioni più giovani non avranno un benessere da ereditare ma se lo dovranno completamente costruire.
Questo è uno dei problemi probabilmente del nostro tempo e questo è anche un modo per vedere delle profonde differenze. Come diceva il professor Barbero nulla è veramente paragonabile, è una differenza profonda. rispetto a quello che succedeva allora.
Non so se c'è qualche altra... Aggiungerei solo un'unica cosa su questo, che in realtà noi medievisti non abbiamo mica inventato niente dicendo che... cioè, constatando che dopo la peste, tutto sommato, i superstiti se la cavano meglio, perché l'aveva già capito il Manzoni. che anche lui è un grandissimo esperto di pesti che a un certo punto fa dire se non sbaglio a Don Abbondio bene c'è stata la peste Don Rodrigo è morto, quell'altro anche beh ci si potrebbe quasi stare a patto di sopravvivere sarebbe un'ottima cosa averne uno ogni tanto sentiamo la prossima domanda intanto io vorrei segnalare ancora, l'abbiamo già detto la volta scorsa magari abbiamo ancora un'opportunità per ripeterlo segnalare la presentazione dell'annuario Scienze e Società 2010 gli italiani, la scienza e le sfide bioetiche, la scienza fa notizia, sono altri rapporti all'interno di questa rassegna dei dati che riguardano scienza e società in Italia, la presentazione di quest'annuario mercoledì 24 febbraio alle 18 al Circolo dei Lettori in via Bogino 9. Sentiamo adesso se c'è qualche altra domanda. Allora, volevo chiederle, lei ha detto che anche il popolino, cioè la gente della fascia della società più bassa, alla fine di questa crisi, è stata meglio, è diventata più ricca.
Poi però, almeno io faccio terza media e ho studiato, per quello che c'è scritto sul mio libro, che appena tre secoli dopo, ma anche attraverso il Cinquecento, la gente è diventata più ricca. più povera, infatti del 600 stavano non bene, la parte della popolazione più bassa, mi chiedo, questa ricchezza, anche di questa fascia più bassa della società, dove è andata a finire? Sì, è verissimo quello che lei ha letto sul suo libro di scuola, è proprio così, nel senso che c'è un rapporto fra la quantità di popolazione e il benessere, un rapporto perverso, nel senso che se c'è troppa gente il benessere è un rapporto tra la quantità benessere va diminuendo ed è soltanto la tecnologia moderna che ha rotto questa cosa, è soltanto con la rivoluzione industriale che è diventato possibile moltiplicare così tanto la produzione che non è più un problema la quantità di gente che c'è da nutrire, da vestire o così via. Prima, in tutto quel periodo della nostra storia che chiamiamo appunto periodo pre-industriale e che comprende anche il Medioevo e l'Età Moderna, ecco non c'è dubbio che la tendenza è quella e cioè...
Quando la popolazione è scarsa, scarsa perché è successo qualcosa di disastroso, tutti si rimboccano le maniche e il benessere cresce. In effetti all'inizio del Quattrocento l'Europa era così poco popolata che c'erano opportunità per tutti. Non arriva un'immigrazione da fuori perché in realtà la peste ha falcidiato anche il mondo islamico, il mondo mediterraneo, però c'è spazio, c'è terra, c'è possibilità per fare.
Tutto il Quattrocento e gran parte del mondo è in Europa. del Cinquecento sono un'epoca di crescita, in cui si vede di nuovo continuano a migliorare le cose, la qualità dell'edilizia, delle opere d'arte, dei vestiti, la quantità di oggetti e la quantità di gente. Poi non c'è niente da fare, verso la fine del Cinquecento, anzi già dopo la metà del Cinquecento, Dispiace dover dire che è una cosa così meccanica, uno vorrebbe che fossero più complicati i moventi di quello che succede e invece non c'è niente da fare, già dopo la metà del Cinquecento si è raggiunto di nuovo il livello di popolazione di prima e di nuovo I salari sono bassi per tutto il Cinquecento, i salari non crescono. Uno che rema sulle galere di Venezia prende la stessa cifra alla fine del Cinquecento che prendeva il suo bisnonno cent'anni prima, benché i prezzi siano più alti.
hanno saliti nel frattempo, perché i prezzi salgono sempre comunque. Quindi è inevitabile a quel punto che il benessere diminuisca a livello dei ceti più poveri. Non c'è proprio niente da fare e non c'è dubbio che a fine Cinquecento e nel Seicento e ancora perfino nel Settecento le masse più povere vivono peggio che no nel Tre, Quattro, Primo Cinquecento, non c'è proprio nessun dubbio.
Sentiamoci se c'è ancora qualche domanda, intanto vi ricordo la settimana prossima con Luca Mercati. dalla piccola era glaciale al riscaldamento globale e sarà anche l'occasione per parlare di 300 anni di clima a Torino perché Mercalli raccogliendo delle serie di dati di varia provenienza ha finito un lavoro in cui ricostruisce questi 300 anni di clima nella nostra città. Io mi accorgo però che non ho risposto completamente alla domanda che mi è stata fatta perché la domanda era anche e soprattutto dove è finita tutta questa ricchezza e allora diciamolo anche.
quella ricchezza Lì in realtà si è materializzata in cose che sono rimaste. Tutta l'architettura del Rinascimento, noi ce l'abbiamo ancora. Un'enorme quantità di edifici che segnano le nostre città del Rinascimento e poi naturalmente del Barocco. Un enorme investimento dei ricchi, dei centri dirigenti, dei governi, della nobiltà, della Chiesa, che ha cambiato il volto urbanistico dell'Europa.
Tutta quella è ricchezza solidificata, coagulata, investita. La vita rimasta lì. La quantità di oggetti, di opere d'arte, di documenti prodotti e conservati negli archivi dei governi, di scartoffie, di libri stampati, la quantità di roba prodotta è andata continuamente aumentando. Quindi quella ricchezza non è andata scialacquata, diciamo così, ha lasciato traccia di sé.
Quello che è successo è che a un certo punto c'è stata sempre più gente che non partecipava più al girare di questa ricchezza. ricchezza che rimaneva tagliata fuori esclusa e in miseria quindi lei ci sta suggerendo quello a cui dovremmo pensare più spesso cioè che noi ancora adesso quando usufruiamo di questo grande patrimonio artistico abbiamo ereditato e sappiamo quale importanza abbia come richiamo turistico noi fruiamo in qualche maniera ancora di questo grande accumulo di ricchezza che risale all'epoca del rinascimento sostanzialmente dubbio potremmo anche dire un'altra cosa molto più terra terra che va nella stessa linea è vero E' verissimo questo, come è anche vero che noi ai nostri figli lasciamo una situazione meno prospera, però l'80% delle famiglie italiane, i propri figli, lascerà una casa di proprietà. E' precisamente di nuovo la materializzazione della ricchezza accumulata da un'intera generazione. E' anche direi tipicamente italiano, perché noi siamo uno dei paesi che ha più tendenza a mettere risparmio nei mattoni e assicurare la risparmio. almeno l'abitazione alla famiglia, quindi questo è effettivamente un bene che per fortuna le generazioni successive si ritroveranno, insieme anche con delle difficoltà.
C'è ancora qualche domanda? Forse ancora una? Sì, professore. La crisi morale in quell'epoca c'era e soprattutto la Chiesa dava dei buoni esempi. So che poi i costumi della Chiesa sono andati degenerando fino alla controriforma.
In quell'epoca medievale appunto sono saltati fuori degli eretici come Valdo, anche altri, insomma che proprio sulla spinta di questa amoralità, diciamo così, dei costumi, volevo sapere nel popolo c'era una profonda crisi religiosa o morale? Grazie. Ma guardi, al di là del discorso di vertice che ho fatto, credo a sufficienza, sul papato vignonese, lo scisma, la rivalità fra i due papi, più in generale...
La Chiesa medievale in realtà è una realtà profondamente contraddittoria, che tiene al suo interno cose molto diverse. La Chiesa è una grande organizzazione di potere. Perché l'ascesa di grandi papi, come quelli che io ho menzionato, che si sono potuti proporre l'obiettivo politico di dirigere l'Europa, ma dirigerla anche proprio politicamente, ha comportato che la Chiesa diventasse una grande istituzione, estremamente complessa, con un governo, il Vaticano in sostanza, nasce in quest'epoca, l'idea che c'è il Vaticano, e quindi un governo con un personale, degli uffici e delle entrate. E no. enormi.
La chiesa di Roma in quei secoli fa una cosa che prima non faceva, cioè riscuotere denaro in tutte le diocesi d'Europa e farlo affluire a Roma e poi ad Avignone. Questa è una cosa che da un lato è strettamente necessaria per il programma politico dei papi, per il loro progetto di guidare l'Europa. Al tempo stesso produce critiche diffusissime.
Fra i credenti di mezza Europa si diffonde l'idea... Lo dico anche se è una battuta stupida, Roma ladrona è un'invenzione che nasce allora, ma è quella Roma lì che è percepita in quel modo. La satira contro Roma, contro l'avidità di questo governo della Chiesa che si fa mandare denaro dalla Germania, dall'Inghilterra, dalla Francia, dalla Spagna, ecco, è diffusissima questa cosa.
Quando questo governo da Roma addirittura va ad Avignone, con tutta la differenza di valenza morale, spirituale e religiosa dei due luoghi, ecco, la critica si accentua molto di più. La libertà di costumi dipende, ci sono epoche in cui dai vertici della Chiesa si vuole moralizzare e si impongono comportamenti corretti, altre epoche di maggior lassismo. Sono epoche di grande disinvoltura morale in cui il clero, anche l'alto clero, non si preoccupa di dare un esempio morale da quel punto di vista lì.
E a livello invece di popolazione di fedeli? erano più, come dire, più osservanti e avevano comportamenti più etici che non la gerarchia che li guidava? Ma dunque, naturalmente dipende da cosa intendiamo con etici, perché qui si rischia di fare delle confusioni. Rubare certamente non è etico.
e la gente allora rubava come ruba oggi, forse anche di più tutto sommato, i funzionari pubblici rubavano certamente più di adesso, ma rubare siamo tutti d'accordo che non è etico. Qui parliamo anche di altri comportamenti che non è detto che non siano etici, per esempio in teoria i preti non dovevano sposarsi, in pratica era larghissimamente diffuso il fatto che convivessero e la gente lo trovava abbastanza normale, nessuno di questo a quanto pare protestava, magari ci scherzavano su, ridevano sulla pretessa. Però poi la pretessa era una donna del paese come tutte le altre e nessuno ci faceva caso. E allo stesso modo i comportamenti dei fedeli nella società medievale erano piuttosto liberi da questo punto di vista.
Ci vuole poi la controriforma e quindi il 500, l'inquisizione per imporre un controllo più severo sulla morale. Noi nei documenti medievali troviamo continuamente gente che appunto convive senza essere sposata, per esempio, figli illegittimi da tutte le parti. E se sei figlio illegittimo di un nobile, tenevanti, perché quello che conta è il sangue nobile e non il fatto che sei illegittimo. All'inizio del Quattrocento il principale uomo politico in Piemonte, che governa per lunghi periodi per conto di suo padre, il duca di Savoia, è un figlio illegittimo del duca di Savoia che firma Umberto Bastardo di Savoia, cosa che assolutamente non contiene la minima dimensione di rimprovero.
Quindi certamente c'è una dimensione. dimensione di libertà di costumi familiari, morali, sessuali molto maggiore che poi verrà repressa già nel corso del 400 e poi con la controriforma del 500. Quanto al cattivo esempio, appunto, ogni cosa ha una doppia faccia. Certamente c'è diffuso fra i cristiani il senso che non è una cosa bella che la Chiesa sia così ricca, che il vescovo viva in un meraviglioso palazzo, che vada in giro a cavallo vestito di abiti d'oro e così via.
E' anche vero... Che quelli che la pensano così, all'inizio tendono a essere respinti dalla Chiesa ufficiale quando si fanno vedere e quindi stanno in clandestinità, e sono gli eretici allora, i valdesi, i catari, ma è anche vero che a un certo punto la Chiesa ha la capacità di suscitare e tener dentro anche movimenti di questo tipo. Per cui i francescani, per intenderci, per cui il cristiano che ha letto il Vangelo, che ha letto che bisogna seguire nudi il Cristo nudo. che bisogna dare tutto ai poveri, che gli apostoli andavano in giro scalzi, se è orientato alla protesta può benissimo dire io con questa chiesa non voglio avere niente a che fare, vado a sentire gli eretici la prossima volta che vengono al paese e lo fanno. Ma si può anche benissimo avere queste idee e riuscire a stare dentro.
dentro la Chiesa, in questi ordini appunto mendicanti, che non sono solo i francescani o i domenicani, ma anche altri tipici dell'epoca, gli umiliati per esempio, che sono un movimento operaio in realtà, di persone che si riuniscono e si mantengono facendo gli operai del tessile, quel tessile di cui parlavamo prima, e sono riconosciuti dalla Chiesa come un ordine. Quindi insomma è un mondo molto vasto, complesso, dove ci sono grandi contraddizioni. Grazie, grazie professor Dalbero, grazie a tutti voi e appuntamento a giovedì prossimo.