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Riflessioni sulla vita di Giacomo Leopardi

Autore dei sottotitoli e revisione a cura di QTSS E' sul Vesuvio, l'immenso cratere vitale e fatale, che ha inizio il nostro viaggio e che termina quello di Giacomo Leopardi. Ci siamo arrivati saltando le tappe intermedie, fino all'ultima, la più emblematica del percorso di un uomo in fuga, che lasciato il nido, non ha fatto che viaggiare. Un viaggio di solitudine, di sofferenze, di glorie postume, per il poeta più grande dell'Italia moderna.

Un uomo in fuga, si diceva, ma da un luogo tremendamente amato. Palazzo Bello Il cane di notte dal casolare, al passar del viandante, era la luna nel cortile, un lato tutto ne illuminava, e discendea sopra il contiguo lato obliquo un raggio. Sono queste le prime parole che un diciannovenne leopardi scrive nello zibaldone, il suo diaio dell'anima. Parlano di sere infinite di lune piene, quando dolce e chiare la notte e senza vento. Notti in cui è bello addormentarsi tra pensieri di amori impossibili e malinconici.

Più volte mi è accaduto di addormentarmi con alcuni versi o parole in bocca, dormire pensando o sognando tutt'altro, e risvegliarmi ripetendo fra me gli stessi versi o parole. Oppure ci si sveglia nel cuore della notte, un po' prima dell'alba. Il faticoso mondo degli uomini appare ancora lontano e un sollievo ci prende l'anima. Sento dal mio letto battere l'orologio della torre, rimembranze di quelle notti estive, nelle quali, essendo fanciullo, tra la paura e il coraggio sentiva battere un tale orologio. La prima volta...

Sono entrata in questa casa quando avevo sette anni. Sono entrata perché eravamo andati a Loreto e mio padre ha detto che essendo a Loreto bisogna arrivare a Recanati, bisogna cercare di vedere la biblioteca. Siamo arrivati qui a Recanati e allora i visitatori erano pochi e feci un grosso capriccio perché allora avevo la passione dei giardini interni e quindi mi sono incapricciata che volevo vedere questi giardini. I giardini non si potevano vedere, però mio padre e mia madre mi sgridarono, ma invece il custode mi prese per mano e mi accompagnò a vedere i giardini. Quindi avevo… appena sette anni e non potevo mai immaginare che sarebbe stata la mia casa.

L'orologio ti sveglia e tu sei ancora un bambino felice, come Giacomo Leopardi. Leopardi vive in questo palazzo l'infanzia spensierata che molti bambini hanno la fortuna di vivere. Un bimbo che vuol primeggiare nei giochi.

con i suoi fratelli Carlo e Paulina. Il suo nome di battaglia è Filzero, un eroe terribile e buono, che fa le lotte nel giardino di casa, o che armato di bastoni, nella villa di campagna a San Leopardo, tende a guati animici immaginali. Ma è già un eroe che ama i perdenti, ama più le sconfitte che le vittorie, pur aspirando alla gloria.

Era un bambino vivace e un po' prepotente, in fondo lui si sentiva sempre più forte, più saggio, più intelligente forse dei fratelli, anche nei giochi, imponeva lui la sua volontà. Lui per esempio non amava il personaggio di Cesare, quindi quando facevano questi giochi in giardino... Veniva portata in trionfo Paolina che figurava il generale vincitore delle guerre, poi c'era Pompeo che era Giacomo e Cesare che era Carlo, Carlo doveva fare la parte di Cesare, non poteva fare la parte di Pompeo. Nella biblioteca del padre il piccolo Giacomo ha già iniziato a scoprire il mondo dei classici. Tra pareti che gli si chiudono lentamente addosso, in anni di studi, disperatissimi e solitari.

Il suo fisico ne uscirà rovinato e per la prima volta Leopardi avrà la sensazione che in questi giorni della gioventù passati in casa senza vedere alcuno. La bellezza del mondo si è persa per sempre. Questo dì fu solenne. Or da Trastulli prendi riposo e forse ti rimembra in sogno a quanti oggi piacesti e quanti piacquero a te. Non io, non Giacchio, speri.

Al pensier ti ricorro. Siamo arrivati a Ricanati per la festa di San Vito, la grande festa del paese. Il santo portato in chiesa, la banda, le chiacchiere, la gente allegra, le bancarelle e soprattutto ragazzi e ragazze addobbati per farsi vedere e divertirsi.

tutti i ragazzi dell'unione. E sembra un sabato del villaggio, una sera di difesta, lo scenario apparso alle parti degli anni dell'adolescenza, apparso qui, tra questi piccoli, ma in fondo una scena universale, la festa della vita e della gioventù e il dolore di esserne o sentirse inesclusi. E intanto vola il caro tempo giovanile, più caro che la fame e l'allor, più che la pura luce del giorno, e l'ospirar ti perdo senza un diletto, inutilmente.

Nell'età in cui i ragazzi giocano a palla nei cortili dei collegi, o si innamorano sulla piazza di Recanati, Leopardi scopre la disperazione della solitudine e la bellezza triste della cultura. l'una necessaria all'altra, perché siano la condizione di qualcosa di veramente grande, perché, se qualcosa di indubitabile c'è da sempre, nella mente e nel cuore di Leopardi, è un desiderio smisurato di gloria e di amore, è un senso quasi fatale della propria grandezza, all'ombra di un padre col quale non è facile capirsi. ma più simile a Giacomo di quel che si pensi di solito. Monaldo è stato varie volte confaloniere, quindi ha avuto l'amministrazione del paese, ha fatto tante cose. Questo è stato il primo comune delle Marche ad aver...

l'illuminazione notturna. Poi voleva l'università, lui voleva fare un'università a Recanati, era stato fatto padrone e amministratore dei beni quando era ancora un po' di tempo. un ragazzo, quindi aveva fatto dei grossi errori e dei grossi debiti, ma era meno interessato alla parte finanziaria, in fondo lui era contento che se ne occupasse dell'Aide, preferiva dedicarsi allo studio, ai libri e all'educazione dei figli. Il segreto di Casa Leopardi è quello di tante famiglie nobili di fine Settecento. chiuse nei loro palazzi feudali su un mondo che precipita di rivoluzione in rivoluzione arrivano anche arricanati con Napoleone le baionette e le idee egualitarie francesi di fronte al grande caos sociale emerge la figura di Monaldo erede di un'antica fortuna che sta per mandare in rovina nel giro di pochi anni Adelaide E la giovane moglie, che ottiene l'incarico di salvare la dinastia dalla morte certa per debiti, lo farà con disciplina intransigente, senza tenerezze, neanche per i figli.

Adelaide aveva avuto un'educazione molto ristretta, molto dura. Non era stata educata a dei rapporti più teneri, diciamo, più maturi. Però ci seguiva sempre con gli occhi ed era questo il suo unico segno d'amore praticamente.

Monaldo ha dei propri figli, un'idea diversa, molto più aperta, anche di Paolina, pur essendo Paolina donna, Monaldo chiese al governo di Roma l'autorizzazione per sé e per i propri figli e anche per Paolina di leggere i libri proibiti, i libri all'indice. Trova rifugio tra le cose che ama, quei 15.000 volumi raccolti in gran parte dai conventi chiusi dai francesi. È in questo ritiro da solitario che introduce Giacomo in stanze che sembrano un riparo dalle durezze del mondo.

Anche se c'è l'orgoglio di un padre per il ragazzo prodigio, i due non trovano una vera alleanza nella cultura. Troppo diverse le idee politiche e filosofiche. Ma il vero dramma è che non possano intendersi due persone in fondo così simili. Accanto alla biblioteca Monaldo si preoccupa anche della formazione scolastica dei figli, si circonda di pedagoghi e di precettori.

Il precettore più importante di Casalopardi è il Sanchini che impartisce. impartisce lezioni di latino, di fisica, di teologia, di metafisica. Quando Giacomo ha 14 anni il Sanchini non ha più niente da insegnargli e a quel punto l'oparge si chiude, Giacomo si chiude. si chiude nella biblioteca paterna e lì si forma quella cultura straordinaria che tutti conosciamo.

Del carattere solare del primo Leopardi resta ormai traccia in una strana luce dolce e beffarda dei suoi occhi di adolescente dall'intelligenza portentosa. A 14 anni Giacomo conosce come pochi in Europa il greco e l'ebraico, imparandoli praticamente da solo. Studia l'ebraico. ebraico, studia il francese, si dedica a studi di astronomia, comincia ad analizzare il passato, nel saggio, sopra gli errori popolari degli antichi e poi comincia a scrivere. Giacomo avverte tutta la precarietà del vivere, l'inganno di una natura che lascia intravedere la felicità possibile, poi la nega.

Anzi, quanto più ci si appienti, con più accanimento sembra negarla. Perché la cultura allora? Perché la poesia e la bellezza? E cos'è la bellezza? Cos'è la vita?

Io era spaventato di trovarmi in mezzo al nulla, un nulla io medesimo. Io mi sentiva come soffocare considerando e sentendo che tutto è nulla, anche la mia disperazione. La vita gli appare come una cosa impossibile, ogni cosa bella che appare, una ragazza, una luna, un cielo.

Appare soprattutto nel suo passare, passare troppo veloce, come dirà un giorno di Nerina, ma rapida passasti e come un sogno fu la tua vita. E' la consapevolezza che nessuno potrà mai risargire il tempo perduto, l'amore non conosciuto, le prese in giro dell'adolescente senza difese, quando anche un difetto fisico appare una tragedia rimediabile. Io non ho mai sentito tanto di vivere quanto amando, benché tutto il resto del mondo per me fosse morto. A poco più di vent'anni, la vita di Leopardi cambia profondamente. La mutazione totale in me seguì, si può dire, dentro un anno, cioè nel 1819. dove privato dell'uso della vista e della continua distrazione della lettura cominciai a riflettere profondamente sopra le cose a divenire filosofo di professione in luogo della vista l'anima si immagina quello che non vede che quell'albero, quella siepe, quella torre gli nasconde e va errando in uno spazio immaginario La contemplazione di spazi infiniti è già un programma filosofico e di poesia.

Un programma di vita in cui le illusioni spingono l'uomo a forzare l'urgenza del vuoto. È il 1819, un grande momento per Leopardi. A 21 anni compone l'idillio che è ormai il simbolo della poesia stessa.

Sempre caro mi fu quest'ermocolle e questa siepe che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude, ma sedendo e mirando in terminati spazi di là da quella e sovrumani silenzi e profondissima quiete io nel pensier mi fingo, ove per poco il corno si spaura. E come il vento odo stornir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando, e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei, così tra questa immensità s'anneghe il pensier mio, e il naufragarme dolce in questo mare. Se il cuore contempla l'infinito, il corpo non può restare a Recanati.

Leopardi ormai vuole fuggire. Il mondo culturale di Recanati viene stroncato da Leopardi. Leopardi ne subisce con fastidio l'ignoranza. Leopardi anela da tempo a varcare questi monti azzurri. immaginandosi un'arcana felicità, al di là tenta nel 19 questa fuga viene scoperto.

L'incomprensione con Monaldo arriva tardi, quando incomincia Giacomo a voler lasciare la casa. casa, trasferirsi in un mondo più ampio, lui sapeva già di questa domanda che aveva fatto di nascosto Giacomo per il passaporto, quindi fa la domanda senza farne sapere niente al padre, però il padre era stato già avvisato, quindi sapeva della cosa, gli dà la possibilità di scegliere lui, a un certo momento Giacomo che aveva archivato il suo libro, architettato tutta questa fuga come una cosa romantica quasi così, rimane malissimo del fatto che il padre gli dice fa quello che vuoi. Dopo un infelice tentativo di fuga, Giacomo si rifugia nella poesia, ma prima ancora nei suoi studi eruditi, sperando di farsi conoscere da un pubblico di sapienti.

Il suo scopritore Pietro Giordani, un letterato emiliano, il primo a capire la dimensione di questo giovane genio, certo sprecato in provincia. Tre anni dopo, si presenta la grande occasione di vedere quel mondo finora immaginato. Da ora in poi, la sua è la storia di un viaggio, la storia delle città di Leopardi. Un viaggio che ha inizio da Roma, allora capitale dello stato pontificio, di cui Re Canati era parte. La città eterna, emblema di quel mondo antico tanto studiato, dove Leopardi comincia ad assaggiare, dopo mille progetti immaginari, cosa sarebbe stato il mondo per lui.

Leopardi viene a Roma nel novembre del 22, quindi ha 24 anni. Fino a questo punto la sua vita si è svolta esclusivamente a Recanati. Giacomo ha desiderato di andarsene. lasciare Recanati in maniera diciamo serena fin da ragazzino, fin da giovane e a questo avevano anche collaborato gli inviti di questo zio Carlo Antici, fratello della mamma di Giacomo Leopardi e molto amico del padre.

Carlo Antici scriveva a Monaldo spesso dicendo ma manda Giacomo a Roma, ha bisogno di studiare, ha bisogno di biblioteche, ha bisogno di conoscenze. La sua curiosità nei confronti delle terre lontane, dei popoli lontani si vede insomma sempre attraverso la sua opera, ma in qualche maniera quando nel novembre del 22 si accinge ad un viaggio allora faticoso, lungo sei giorni in carrozza eccetera parte con una finalità molto netta vorrà rendersi conto di come funzionano i rapporti di società quelli che lui non può aver visto stando a Recanati più o meno chiuso dentro la casa del padre e dentro la biblioteca Leopardi è costretto ad un vero e proprio shock. A casa Leopardi e Recanati vigeva un ordine esagerato.

A Palazzo Antici la confusione, il disordine. Leopardi usa metafore guerresche per parlare di questa, della piccola società di casa Antici. Ciascuno è in guerra con ciascuno. Il fiasco, il rumore, la grandezza della città. Ecco, Leopardi parla di questa grandezza sproporzionata di Roma.

Appare agli occhi di Giacomo una città vastissima, dove gli uomini non riescono ad incontrarsi. È curioso vedere che Leopardi non rimane colpito, o almeno non scrive dei grandi monumenti di Roma. Colle del Gianicolo la più suggestiva finestra su Roma a Santo Nofrio in un angolo poco noto caro alla memoria di un poeta molto amato Leopardi fa l'esperienza più bella del suo soggiorno ancora una volta non è la grandezza delle cose ma quella del cuore a contare Leopardi sale, questa volta senza fatica, vuole andare a vedere la tomba di Torquato Tasso, di questo poeta che per lui è una sorta di alter ego.

Sale e per la salita di Sant'Onofrio sente i canti dei... dei operai, dei tessili che lavorano e questo lo commuove profondamente nel momento in cui vede la tomba di Torquato Tasso, piccola, umile, ciò che viene rappresentato come grande di fatto risulta essere piccolo, cioè risulta essere piccolo. essere di minor valore.

I grandi spazi, le grandi rappresentazioni sociali, i carnevali, perfino i teatri appaiono a Leopardi come elementi socialmente fatui. La società è caratterizzata da comportamenti che si ispirano all'apparenza e non alla sostanza, non al vero insomma. Il tema dell'apparente vero creativamente si tradurrà nel capolavoro delle opere stemorali. Il fratello Carlo è l'amico, è il compagno. Leopardi lo dice proprio a Carlo, qui non ho nessuno per poter parlare come parlavo con te.

La prima lettera che Giacomo scrive al fratello è veramente toccante. Voi forse desiderereste venire qui, ma qui non c'è niente che ci possa dare maggior piacere di quello che abbiamo recanati, perché io ho bisogno d'amore, ho bisogno d'amore. D'amore, scrive al fratello.

L'esperienza romana in modo fallimentare, Leopardi rientra a Recanati e qui resta altri due anni, fino al 1825. La seconda occasione di fuga si presenta nell'estate. Leopardi ha 27 anni, passa da Bologna, ma il suo obiettivo è Milano, già allora anche se sotto la censura austriaca. la città delle imprese e degli editori.

Anno 1825 Leopardi aveva ricevuto l'invito da parte dell'editore Anton Fortunato Stella a raggiungerlo qui perché intendeva affidargli la cura di tutte le opere di Cicerone. Due crestomazie, le grosse antologie della prosa e quella della poesia italiana e una interpretazione e il commento delle rime di Petrarca. Lo Stella si disse poi che era un avaro mercato, il mercante faceva il suo mestiere, gli offre uno stipendio per così dire, uno stipendiolo, 10 scudi che poi dopo un mese diventano subito 20 scudi, diciamo 600-700 euro al mese, via.

Così come campava Leopardi, insomma, poteva tirare avanti. Cosa si aspettava lui da Milano? Degli incontri ad alto livello.

Vincenzo Monti era un nome delle patrie lettere, ancora nel 25, ma un nome vecchio. Lo stesso Leopardi, che l'aveva considerato un maestro, cioè gli aveva dedicato le prime due canzoni, eccetera, però gli aveva scritto delle cattiverie nello zimbaldone del suo conto. Era poeta dell'Oriente. e dell'immaginazione e del cuore in nessun modo.

Quando viene a Milano ha desiderio di incontrarlo, perché comunque era un monumento. E però cosa dice? Dice l'ho incontrato e mi ha fatto sputar sangue, perché era sordo, riponeva delle domande e l'altro non sentiva. Questo è l'unico incontro importante per lui a Milano. Sembrò una città prevalentemente mercantile, quindi per lui poco significativa.

Il fatto stesso poi di abitare in un appartamento che era anche negozio, lo dice proprio, dice qui c'è una casa dal tuono mercantile. Poco tempo dopo il breve soggiorno milanese, Leopardi si trasferisce a Bologna. L'opardi arriva alla fine del 25, provenendo da Milano, dove aveva stabilito dei rapporti con questo editore Stella, e quando arriva a Bologna ha subito delle impressioni molto gradevoli dalla città e lo colpisce anche proprio la...

La caratteristica dei portici, degli aspetti medievali, la sede dell'università, gli amici che trova, gente che in qualche maniera lo stima. Ha degli incontri per esempio con una persona di servizio di Casa Leopardi che si era ritrovata a sposa a Bologna di un cuoco bolognese, la va a trovare in Via Remorsella, vanta così la bontà dei cibi bolognesi ma nello stesso tempo fa propaganda ai cibi marchigiani. Quello che è certo è che qui a Bologna si consuma il suo tentativo di diventare una persona normale che si guadagna la vita. con le sue competenze, perché fallisce il suo tentativo di diventare un professore, un insegnante qui dello Stato Pontificio, non gode di buona fama presso le autorità ecclesiastiche, si dice che frequenta persone poco raccomandabili come Pietro Giordani, lavora tanto perché dà lezioni private, prepara il commento a Petrarca, che aveva promesso all'editore Stella che gli frutta un po' di denaro.

La Bologna è veramente solo, ha il suo appartamentino, frequenta i salotti, si innamora della Malvezzi, era una gentildonna bolognese che si piccava di letteratura, traduceva dall'inglese, faceva vedere le sue cose a Leopardi e Leopardi naturalmente la invogliava. vogliava lavorare, proprio perché era attratto dalle grazie, solo che lei a un certo punto di fronte alle insistenze, alla continua presenza ossessiva, l'ha congedato in pratica, gli ha fatto capire che non gradiva e naturalmente lui se ne è legato al dito, se ne è lamentato. Direi che il denominatore comune del Leopardi bolognese è proprio questa sua prosasticità.

È un prosatore a Bologna, è un prosatore e affronta la prosa della vita. A Bologna Leopardi esplora la sua anima con le prose dello Zibaldone, uno dei libri più straordinari di sempre. Rimasto a lungo segreto, il diario verrà riscoperto molti anni dopo, sempre a Bologna, da un altro grande poeta. Lo Sivaldone è un'opera unica che non ha riscontro in nessuna letteratura, è il libro di bordo di un grande navigatore tra i libri, è un libro per se stesso, è in qualche modo il semenzaio di tante cose. opere che verranno dopo, fissa lì anche elementi della sua autobiografia che non ha mai scritto, chi ha letto Leopardi per tutto l'Ottocento senza conoscere lo Zibaldone aveva un'idea di Leopardi come di puro lirico.

Ducci con la Commissione Nazionale ottenne i finanziamenti e stampò la prima edizione di questo enorme inedito, a quel punto lì il Leopardi del Novecento è un Leopardi fulminante, perché accanto al grande poeta c'è un filosofo di grande levatura, il mondo moderno scoperto in questa sua dimensione alienante, in cui si sono ritrovati anche filosofi dell'esistenzialismo. Il Papa ci ha insegnato a scoprire le impressioni primordiali. Quando dice io vedo questa torre, ma non è la torre reale che vedo adesso, è la torre che ho visto la prima volta e che mi ha in qualche maniera inondato l'anima, mi ha modificato. Per l'uomo sensibile, cioè per il poeta, la realtà non è mai semplice, è sempre doppia. La realtà vera, autentica, quella poetica, è la...

prima realtà, quella dell'infanzia. Questa è una strada evidentemente che arriva poi a teorizzazioni evidentemente, Freud, Proust, Joyce e la scoperta della memoria involontaria. cadute le illusioni Leopardi si confronta con la vita ma non ha prospettive concrete l'unico prodo possibile appare Firenze dove nel 27 il poeta arriva per conoscere il centro culturale più moderno e aperto dell'epoca La destinazione Firenze gli viene suggerita da Pietro Giordani, lo stimola a prendere contatto con Giovanni Pietro di ESE che dice Giordani è l'unico in Italia che sappia cosa è.

Buongiornale. Leopardi scrive a VSE proponendo se stesso le sue capacità all'impresa di Giovanpietro VSE. Praticamente era una biblioteca consultabile su abbonamento, quindi il lavoro che VSE faceva era di fornire sempre tempestivamente le novità nelle varie lingue, il prestito che uno poteva avere a casa di libri e a volte anche di periodici.

Il problema che Leopardi pone a VSE è che quello che lui fa, quello che lui sente, è più che altro il rapporto con se stesso, cioè con l'uomo in sé. Quindi se sono in piena sintonia immediatamente a questo primo scambio di... lettere sul piano della crescita morale come prima necessità dell'Italia, ovviamente non si trovano sul come questo progresso debba essere realizzato e attuato. Nonostante questa diversità di dimensioni...

su cui si collocano, è accolto con grandissimo affetto, nonostante alcuni momenti in cui Leopardi con Firenze ha delle reazioni piuttosto dure, non sopporta Firenze, le strade strette, maleodoranti, le donne le definisce ignoranti e superbe, l'unica o ambiente, l'unica persona che frequento con piacere e con soddisfazione sono appunto Viese e la sua cerchia. Due scrittori, due universi che si sfiorano senza rendersi conto fino in fondo l'uno dell'altro. Manzoni ha appena pubblicato i promessi sposi, un grande successo. Leopardi, le operette morali, un grande insuccesso. Ma restano i due scrittori più grandi del tempo, come ciascuno di due ammetterà.

Simbolicamente si incontrano nella patria della lingua italiana, all'interno del gabinetto VSE. Basta ovviamente, giustamente celebre la serata del 3 settembre 1827, quando Manzoni e Leopardi si trovano insieme in questa riunione, le riunioni erano settimanali, ci sono delle resoconti, delle cronache. anche di questo incontro in cui Leopardi appare come schivo, appartato, nonostante Leopardi fosse piuttosto perplesso all'inizio sul romanzo, però è certo che rispetto alla fama di Manzoni Leopardi è stato un po' più perplesso, non aveva ancora questa, anche se era stimatissimo nei diversi ambienti italiani, uno dei meriti di Viessee e del suo gabinetto fu proprio quello di inserirlo proprio con costanza, con fiducia, con convinzione presso gli ambienti intellettuali più vivi d'Italia. Oggi via Verdi, Leopardi, è ospite di due sorelle, le signorine Busdraghi. Sul loro volto dice, era scancellato l'amore, la giovinezza era scomparsa.

Un mondo di casi in affitto, di solitudini senza nome, che poche righe di un poeta ci restituiscono per un istante. Ancora una volta, nella vita di Leopardi, con gli eventi assumono il volto dei grandi. Ed è un piccolo viaggio stavolta, tra due città vicine, entrambe affacciate sull'Arno.

Su un giornale di fine ottocento, una vecchia signora intervistata in un ricovero per anziani, tale Teresa Lucignani, dichiara che qui, in via della fagiola a Pisa, Leopardi si era innamorato di lei al tempo ventenne. Anche se non fu così, questa resterà per sempre la città dove Leopardi riscopre la facoltà di amare, di accarezzare le illusioni della vita e della poesia. Il primo soggiorno fiorentino, Leopardi per timore dell'inverno gelido di Firenze.

Viene consigliato dagli amici di andare a Pisa, la città più adatta per lui, in un appartamento così come pensionante come è stato a Firenze. E Leopardi si rallegra del poco prezzo dei pisani rispetto ai fiorentini. È emozionante l'arrivo a Pisa, perché in fondo Pisa d'improvviso gli appare come la sua città ideale, per la bellezza dell'Arno e perché questa città, anche nella sua parte antica, conserva orti e giardini, questo insieme di antico e di natura gli sembra estremamente romantico, usa proprio questa parola. Pisa, bella in sé, non troppo grande, non troppo piccola come Recanati, ma è anche il doppio di Recanati, cioè si emoziona particolarmente perché ci ripropone anche un ricordo. di una cosa passata.

Scrive in una lettera a Paolina, ho qui trovato una via che io chiamo via delle rimembranze e dove ripenso di quando io ero là, con i sentimenti della prima giovinezza. Nel ricordo di ciò che era stato, Leopardi fa un grande annuncio alla sorella Paolina. Dopo anni di prosa...

Torna alla poesia con quel suo cuore di una volta. Scrivi a Pisa il risorgimento, il canto della sua nuova ispirazione poetica e soprattutto a Silvia, il canto dell'amore che non era stato. Silvia, rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale.

Quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, e tu, lieta e pensosa, illimitare di gioventù salivi, sonavan le quiete stanze e le vie d'intorno al tuo perpetuo canto, allorca all'opre femminile intenta sedevi, assai contenta di quel vago avvenir che in mente avevi. Silvia Era una ragazza semplice, la figlia di un cocchiere, credo, insomma di un dipendente della casa Leopardi e passava appunto le sue giornate tessendo. Silvia nel momento appunto della prima giovinezza, perivio tenerella, ecco c'è questa tenerezza poi per questa giovane.

Contemporaneamente Leopardi sente di aver perso la speranza, quindi questi due momenti vive la morte di Silvia. Silvia e la morte della sua speranza, che però come ci dice nel Risorgimento ora è rinata. Chi dalla grave e memore quiete or mi ridesta, che virtù nuova è questa, questa che sento in me?

Forse la spemi, o povero mio cor, ti volse un riso? Pisa sente rinascere quella che poi nella poesia di risorgimento chiamerà virtù nova. Cos'è questa virtù nova?

Ecco, è ritrovare la speranza, quella speranza che anche in Silva... nomina come compagna dell'età mia nuova e che aveva perso e sa che la poesia riscalderà la sua vecchia più la propria poesia che quella degli altri perché nella vecchia ritroverà di nuovo questi sentimenti che ha espresso nella poesia Era previsto che Leopardi lasciasse Pisa verso la primavera e tornasse a Firenze, ma subentra una circostanza molto dolorosa, perché Leopardi riceve la notizia che era morto il fratello più giovane. E questo è un dolore terribile, che per la prima volta unisce Leopardi al padre e torna precipitosamente.

Molti anni dopo, la donna che ha più amato Leopardi, la sorella Paolina, andrà in pellegrinaggio nei luoghi dove il fratello era stato e verrà appisa perché qui lui le scriveva. Per un breve momento era stato felice. Per un destino singolare, Paolina morirà proprio qui, in questo albergo. Ma adesso, dal suo più felice soggiorno, Leopardi è costretto a tornarsene a casa. Chi ha viaggiato gode questo vantaggio, che le rimembranze che le sue sensazioni gli destano sono spessissimo di cose lontane e però tanto più vaghe, suscettibili di fare illusione e poetiche.

Leopardi torna a Recanati nel 1828. È la stagione delle grandi poesie della memoria, rianimata dal soggiorno pisano. Leopardi torna a Recanati nel novembre del 28 e Recanati scrive il sabato del villaggio, la quiete dopo la tempesta, il canto notturno di un pastore errante, i grandi canti, del canto in cui Recanati diventa il mito, il mito dell'infanzia e della giovinezza perduta. Qui non è cosa, chi ovegga o senta, onde un'immagine dentro non torni, e un dolce rimembrar non sorga, dolce per sé, ma con dolor sottentra il pensier del presente.

Ma a fronte di questo entusiasmo e di questo momento di grande creatività poetica, Re Canati non è più una città in cui Giacomo può vivere. Un aiuto finanziario degli amici fiorentini, tra tutti Colletta e Biese, lo riporta nel capoluogo toscano. Grazie a loro nel 31 esce la prima edizione dei canti, le sue poesie. A Firenze, Leopardi frequenta il salotto di Fannitta Argiuni Tozzetti.

una nobildonna interessata da artisti più o meno famosi. Da questo amore non corrisposto nascono nuove poesie, il ciclo di Aspasia, contemplazione di un ideale femminile che supera l'umano. Bella qual sogno, angelica sembianza, nella terrena stanza, nell'alte vie dell'universo intero, che chiedo io mai, che spero, altro che gli occhi tuoi veder più vago, altro più dolce aver che il tuo pensiero.

E' un altro l'incontro decisivo che a Firenze, quello con Antonio Ranieri, il bel patriota di cui tutte le donne si innamorano e a cui Leopardi unisce il suo destino, un po' per condividerne i romanzetti d'amore e un po' per disperazione, come sostegno per non dover tornare a casa, visto che i soldi degli amici sono finiti da un pezzo. Lo segue prima a Roma, dove vanno ad abitare in zona Piazza di Spagna. Frequentano il caffè greco e un ristorante ora scomparso in via dei condotti. Probabilmente Leopardi fa conoscenza con Belli, il più grande poeta romanisco.

Ma è difficile confrontarsi con la pochezza di certi uomini. Proprio qui, un barbiere di Ricanati che incontra Ranieri. insinua che tra lui e il continuo Leopardi vi sia del tenero, un'assoluta nonzogna, un'assurda leggenda tra tante che perseguiteranno Leopardi dopo morto. Si rifugiano insieme nell'ultima città, l'ultima tappa del Grand Tour per gli artisti nord-europei, che qui cercano sole, vita e antichità, la città definitiva di Giacomo Leopardi. Napoli come ultimo approdo, una città importante per Leopardi, prima cosa perché è la città che accoglie la sua morte, ma è qualcosa anche di più, perché nella morte, negli ultimi anni della vita di un uomo...

poi si costruisce anche l'essenza più profonda di una persona. Leopardi si trova in una città che contemporaneamente ama e odia, è ancora in una situazione di degrado, in una situazione di arretratezza culturale rispetto al presente. esempio alla Toscana. Nello stesso tempo però una città in cui prevale un senso della, chiamiamola natura, la natura del luogo, la natura degli abitanti, degli uomini e la natura in quanto tale rappresentata appunto dal Vesuvio. La natura degli uomini è una natura che metteva paura anche ai viaggiatori del Grand Tour perché troppo immediata, troppo forte, troppo diretta, violenta anche.

Ma d'altra parte lui qui trova vita, quello che lui ha cercato tutta la vita. questo sentire anche estremo, questa mancanza di freddezza, di indifferenza, di calcolo, di riflessione. Questo giustifica i racconti di Ranieri o di altri amici che vedono leopardi nella folla di Santa Lucia o che cammina lungo la riviera di Chiaia o che va nei vicoli di Napoli dove erano le sue varie case. Quindi un leopardi a contatto col popolo. Nello stesso tempo Leopardi frequenta i salotti, per esempio il salotto della Guacci Nobile oppure il salotto di Ferrigni che guiderà Leopardi nella Villa delle Ginestre.

Qui sull'arida schiena del formidabile monte sterminator vesevo, la qual null'altro allegra arbor ne fiore, coi cespi solitari intorno sparghi odorata di nestra, contenta dei deserti. Proprio sotto il Vesuvio. Di fronte al purissimo azzurro del mare e del cielo sul golfo, Leopardi trascorre i periodi più belli del soggiorno napoletano, nella villa delle Ginestre. Ancora una volta è nella bellezza della natura che riconosce i segni di una speranza. Io credo che quel temperamento sensibile che certamente era di Giacomo Leopardi non poteva non essere profondamente toccato.

Vorrei dire toccato. turbato dallo straordinario connubio di storia e di ambiente che ha illustrato e continua ad illustrare la zona pesuliana, che certamente ha influenzato negli ultimi, anzi nell'ultimo anno della sua vita e ha creato condizioni perché lo spirito di Giacomo Leopardi potesse forse addolcire quel suo pessimismo. Napoli è una città millenaria.

Tutti coloro che ci sono venuti dai luoghi più distanti ci sono trovati talmente bene che hanno avuto il desiderio di rimanerci. Nei secoli l'uomo... ha continuato a sfidare questo posto con le sue insidie, il vulcano, e non ha scelto di trasferirsi altrove. Questo già la dice lunga, peraltro verso io devo dire che io credo che i luoghi non possano perdere la memoria di coloro che li hanno abitati. Se filosofare è un ragionare sulla morte, come dice Montaigne, Napoli, ostaggio di un visubio incantevole e pauroso, è la vera culla della filosofia.

William Hardy, quasi più filosofo che poeta, o poeta in quanto filosofo, porta alle estreme conseguenze il suo sistema di pensiero. La situazione napoletana degli anni 30 dell'Ottocento è una situazione particolare perché scopre ora in questi anni 30 l'ideologia del progresso, quindi proprio ciò contro cui Leopardi in qualche modo... lancia i suoi strali, perché questo progresso lineare, perfettibile, continuo, è così lontano dall'idea leopardiana. Sicuramente ha per leopardi la verità della vita nei sentimenti. Sicuramente nelle passioni e nel sentire le emozioni e sicuramente Leopardi sa che il discorso di un incivelimento sempre più forte porterà alla negazione dell'emozione, alla negazione delle passioni, a un sentire che diventa atrofizzato, porterà all'indifferenza.

Ora qui c'è un'essenza finale, c'è un messaggio finale che sarà poi quello della ginestra che appunto trova le falde del Vesuvio. la sua occasione spinta, direbbe Montale, cioè è questo simbolo della morte e dell'indifferenza della natura che può distruggere civiltà come quella che Pompei rappresentava. L'unica speranza è essere tutti gli uomini tra sé confederati, cioè un discorso di solidarietà umana, questa è una risposta, è un discorso di valori perché torto il sacro dal mondo non c'è possibilità di vita. ma è una nuova barbarie. L'essenza importante da preservare è l'umano, un umano che sappia quindi avere in sé un'utopia tale da difendere l'uomo.

Mio carissimo papà, se scamperò dal colera, è subito che la mia salute lo permetterà. Io farò il possibile per rivederla. Prego lor tutti di raccomandarmi a Dio ciò che, dopo che io gli avrò riveduti una pronta e buona morte, ponga fine ai miei mali fisici, che non possano guarire altrimenti.

La morte di leopardi è avvolta in circostanze che pur essendo note hanno lo stesso qualcosa di misterioso. C'è pure chi ha parlato di un'indigestione da gelati di cui pare fosse smodatamente goloso, indice di una vita ormai senza regole. Poco prima di far ritorno nella sua amata villa delle ginestre, un leopardi debilitato da una esistenza insostenibile, Muore, assistito da Antonio e Paolina Ragneri. Tutto da ora in poi su di lui sembra confondersi nell'ombra, quasi un velo di infelicità aggiuntiva sul destino così sofferto di Giacomo. C'è tutto un leopardo ipostumo, oggetto di polemiche infinite, sul suo pensiero, sulla sua morte, sulle sue carte, sulle sue ossa, su chi lo vuole a Napoli o a Recanati.

Ragneri, imperversato il colera, ne salva il corpo dalla fossa di un'altra. Magico per la sua bellezza, per le suggestioni della tomba di Virgilio, nel medioevo, popolarmente considerato una sorta di mago, è comunque un connubio unico, le due voci più alte uscite dal suolo italiano, confluite qua assieme, nel nome della poesia. Siamo tornati a Ricanati per la fine della festa di San Vito.

In questi luoghi dove Leopardi non è mai tornato col corpo e dove tutto è nato, la festa lentamente si spegne. Nella mia prima età, Quando sospetta bramosamente il dì festivo, or poscia che egli era spento, io doloroso inveglia premeale piume, e dalla tarda notte, un canto che sudia per gli sentieri, lontanando, morire a poco a poco, già similmente mi stringeva il cuore. Musica