Eccoci qua, allora grazie per essere qui con noi e collegati con noi. Abbiamo con noi il professor Marco Aime, antropologo. Professore che cosa significa antropologo? E'uno che tormenta la gente con delle domande potremmo dire, ma di fatto gli antropologi... si occupano del modo in cui le varie società umane organizzano le relazioni tra di loro.
Quando io studiavo a Torino circolavo una battuta che diceva che i filosofi si occupano di Dio, i psicologi dell'Io, gli antropologi dello Zio, perché i sistemi di parentela sono la prima forma di organizzazione che gli umani si sono dati e la parentela siccome è un'invenzione si può fare in tanti modi. L'antropologia si studia di fatto in che modo noi organizziamo le relazioni. Ecco, diciamo che noi oggi ci occupiamo di una deviazione nell'organizzazione delle nostre relazioni, di una malattia nell'organizzazione delle relazioni che sono i razzismi.
Possiamo magari cominciare, avremo delle domande, anche voi poi in sala siete invitati a fare delle domande, ma... Già ci sono dei ragazzi collegati dalle varie scuole d'Italia che hanno già cominciato a porre delle questioni molto interessanti. Io magari ne leggo un paio per cominciare la conversazione. Leggo dalla terza C del liceo scientifico statale Benedetto Rossetti di San Benedetto del Tronto. Il colore della pelle è una differenza puramente estetica al pari della statura, del colore dei capelli, di qualsiasi altra caratteristica fisica.
Come mai però è proprio la carnagione ad essere una delle principali cause di discriminazione? E poi gliene leggo un'altra, sempre dalla stessa terza C. Il razzismo è un fenomeno che si verifica soprattutto per la paura della diversità. In base a cosa l'essere umano decide chi è diverso da chi e chi è superiore rispetto all'altro? Partiamo dalla seconda?
Benissimo. Intanto buongiorno a tutte, ragazzi e ragazze che siete qua. e anche a tutti quelli che sono collegati in Geoprint.
Su cosa costruiamo l'idea di diversità? Assolutamente su qualcosa che ci inventiamo. Anche perché se guardate ognuno che sta vicino a voi non è uguale a voi.
Già qui noi saremmo tutti diversi. Cioè questa idea dell'essere uguali noi e diversi dagli altri, molto spesso è un'invenzione. È una costruzione perché siamo animali strani.
che non riescono a pensare in grande, purtroppo, e allora dobbiamo creare un gruppo, l'idea di appartenere a un gruppo. Siccome non riusciamo a pensare di appartenere a tutta l'umanità, allora creiamo questi gruppi. Ma molto spesso la diversità è costruita per negativo, cioè siamo quello che gli altri non sono.
Quello, e poi forse lo ribadiremo avanti, quello che cambia è in che modo costruiamo l'altro, cioè in che modo tracciamo quel confine? Faccio un esempio e così poi mi collego anche alla seconda domanda. Tutti avete studiato l'antica Grecia e i Romani, i barbari greci o i barbari romani, il barbaro era il balbuziente, quello che non parlava bene, però se il barbaro imparava bene il greco e si comportava da greco o da romano diventava greco. o romano.
Molti imperatori romani venivano non da Roma, non dalle famiglie gentilizie, ma dalla periferia dell'impero, Adriano era spagnolo. Quindi era un confine culturale che poteva essere valicato. Quando io invece la diversità la pongo su un dato naturale, come il colore della pelle, per esempio, allora io lì non ho possibilità di cambiare il colore della mia pelle, la mia altezza, il colore dei miei occhi.
Posso anche colorarmi un po'ma non riesce. Quindi la sposto su un piano in cui condanno l'altro a essere quello che io voglio che sia. Perché la pelle? Beh, potremmo dire, uno, perché la pelle è il primo dato che noi vediamo di una persona ed è anche il confine che c'è tra noi e il mondo.
Noi finiamo dove finisce la nostra pelle. Non è un caso che quando qualcuno oltrepassa la nostra pelle spesso è un reato. ci punge, ci accoltella, ci taglia, a meno che non sia un chirurgo che è autorizzato a farlo.
Perché è il confine tra noi e il resto. Il perché la pelle più di altre cose, qui forse arriviamo un po'alle origini dell'idea di razza. L'idea di razze umane nasce nella seconda metà del Settecento, per intenderci. nasce la scienza in senso moderno. Il primo a gettare i semi della razza e non del razzismo, però un po'mangiato.
famoso Linneo o Linneus II come lo chiamiamo, il quale scrive un'opera colossale di 11 volume sul sistema nature dove classifica tutte le piante, gli animali, poi arriva a classificare gli esseri umani. Siamo nel Settecento, lui non è che conosca così bene come li classifica, sulla base del colore. Bianchi, anche se non siamo bianchi, neri gli africani, anche se poi la pelle scura ce l'ha. più di metà dell'umanità.
Gli indiani vengono definiti rossi, semplicemente perché si dipingevano con il colore, però pensate a quanto rimane poi il termine pelle rosso o red skin inglese ancora oggi. E poi gli asiatici gialli, qui è una storia curiosa perché gialli sono i Simpson, non gli asiatici, però li abbiamo fatti diventare gialli. Quindi che cosa fa lui?
Di fatto fa una classificazione su quattro continenti. sui colori, l'unico dato che aveva era il colore della pelle, peraltro su quattro casi in due inventato e sugli altri ci sarebbe discutere perché non si è né bianchi né neri ma semmai rose marron, ma quindi di fatto poi entra dentro di noi questo concetto che il colore della pelle indica o secondo i primi scienziati indicava anche una attitudine culturale, cioè se tu eri nero pensavi in un certo modo se eri giallo o se eri rosso. E tra l'altro è curioso che gli scienziati che classificano l'inneo, divide in quattro razze, poi fa cinque, sei, si va da tre a sedici, nessuno si è mai messo d'accordo sul numero di razze e proprio uno dei più grandi geni della storia scientifica, cioè Charles Darwin, dice attenzione, fate attenzione che... pur non avendo ancora, sapendo che esisteva il DNA, dice tra noi umani lasciamo perdere a parlare di razze, parliamo di altre specie, l'aveva già intuito molto prima.
Quindi sì, il colore della pelle nasce un po'da questo e un po'dal fatto che era il primo dato che poteva avere a disposizione uno scienziato come Linneo. Senta, ma io nei suoi libri ho letto che in realtà poi... Contemporaneamente, mentre noi facevamo questa classificazione, in realtà in tutte le comunità umane esiste poi una forma di razzismo. Adesso leggo una domanda che forse ci può portare dall'Istituto Colamonico Chiarulli di Acquaviva delle Fonti.
Esiste razzismo nei confronti dei bianchi? Adesso mi viene in mente, leggendo dai suoi libri, l'idea che ogni comunità è etnocentrica, ognuno si crede il centro. del mondo e ci sono delle popolazioni che appunto si chiamano, chiamano se stessi uomini e il resto non sono uomini. Adesso non so se è nei confronti dei bianchi ma è comunque nei confronti dell'altro.
Questo però lo lascio dire a lei. Sì, allora che ci sia sempre un altro, questo è, possiamo dire che è una malattia che abbiamo tutti, no? Tutti abbiamo bisogno dell'altro per definire noi, no?
C'è una bellissima poesia di un poeta greco, si chiama Costantin Cavafis, che si intitola appunto Aspettando i barbari, dove dice che tutti si abbigliano, fanno i grandi discorsi perché aspettano i barbari, arriva la sera, i barbari non arrivano e il verso finale è bellissimo, erano una soluzione quella gente. Perché ci serve il barbaro? Per sentirci civili. Allora ci inventiamo il barbaro, ci inventiamo il cannibale, mai esistito, però è così.
E quindi che tutti i gruppi umani... Per definirsi devono creare un altro, è un fatto che dobbiamo accettare. Tanto è vero che se noi prendiamo gli etnonimi, che sarebbero i nomi che le popolazioni si assegnano, per esempio noi chiamiamo gli Inuit, li chiamiamo eschimesi. Eschimesi è un termine che venne dato dagli indiani al Gonchini e vuol dire mangiatore di carne, non è proprio un complimento. quelli che chiamiamo twerg, loro si chiamano i mohag, che vuol dire uomini liberi, twerg vuol dire infedele.
Quindi se voi però andate a vedere, la maggior parte dei nomi che le popolazioni si assegnano sono gli uomini guerrieri, coraggiosi, cioè nessuno si chiama gli sfigati, gli storpi, tutti si sentono migliori degli altri. Questo è un atto, tutti siamo noi più bravi, più belli di tutti, e questo è etnocentrismo. che non vuol dire però che sia un razzismo, cioè non è detto che io per questo poi allora condanni attacchi o gli altri, boh mi reputo.
diciamo migliore ognuno, oppure a volte neanche mi reputo migliore ma misuro sul mio metro, cioè per farvi un esempio io posso dire gli arabi scrivono da destra a sinistra oppure posso dire gli arabi scrivono al contrario, ecco al contrario è un punto di vista etnocentrico, ma l'arabo può dire che io scrivo al contrario e abbiamo ragione tutte e due, oppure ci mettiamo d'accordo e uno scrive da destra a sinistra, da sinistra a destra, ecco. È uno sguardo l'etnocentrismo che può essere un incubatore del razzismo ma non per forza lo diventa. A lei ci stava raccontando di come nasce questa catalogazione delle razze, quindi inizialmente un desiderio di classificare, poi che cosa succede? Succede che qui diciamo che c'è già un primo meccanismo, nel senso che l'inneo finché classifica piante e animali, non pone gerarchie, cioè non dice che il cavallo è superiore al bufalo o qualcos'altro del genere. Quando si mette a classificare quelli come lui, cioè gli umani, beh, un po'comincia a avere il senso di superiorità dell'Occitane.
Tenete conto che siamo nella seconda metà del Settecento, cioè stia nascendo la rivoluzione industriale. È il momento in cui l'Europa è, diciamo, al top. l'impero britannico copre gran parte del mondo quindi è il momento di diciamo di apoteosi dell'europa e quindi c'è una specie di gerarchia tra virgolette scientifica quello che cambia è invece quando e potremmo anche dire che c'è un testo che è del prossimo già volta al 1855 quando de Gobineau scrive un libro che si intitola Saggio sulla diseguaglianza delle razze.
Cosa dice de Gobineau? Dice, attenzione, ci sono razze a cui il destino ha segnato quello di comandare e altre di essere assoggettate. Cioè, è così la natura.
Non è un caso che sarà la lettura preferita di Hitler, eh, de Gobineau. Per dire come si pensava proprio in quegli anni, C'è una famosa poesia di Kipling che si intitola Il fardello dell'uomo bianco, in cui Kipling, che era un britannico, un uomo della sua epoca, quindi coloniale, ma perché non riusciva a pensare in altri modi, e cosa dice? La storia ha assegnato all'uomo bianco il fardello di portare la civiltà nel mondo.
Quindi andate e colonizzate. E questo legittimava il colonialismo, l'occupazione e tutti gli altri. Quindi ecco... Il passaggio da una classificazione scientifica a una applicazione politica di potere, quindi di rapporti di forza, dell'idea di razza avviene in quegli anni, siamo già nell'Ottocento. Di colpo allora si comincia a pensare che ci sono razze superiori e razze inferiori, sempre basandosi su quel fatto presupposto che la razza è più grande che la razza superiore.
teniamola buona sta parola e poi la smontiamola, è un dato biologico e che però influenza il modo di pensare, secondo i teorici della razza. Quindi noi siamo condannati a avere una certa idea, una certa cultura, un certo pensiero perché apparteniamo a una certa razza. Quindi c'è una convinzione che ci sia una base scientifica. Esatto, possiamo anche anticipare, tanto non vi ho fatto.
E questo rimarrà, sappiamo cosa porterà a questo. Ecco, aspetti, leggo questa domanda dal liceo Giorgio Vasari di Figline Valdarno. Esattamente da cosa scaturisce questo bisogno di attaccare ma anche fisicamente una persona o un gruppo di persone?
Beh, se guardiamo, non c'è solo una domanda, se guardiamo storicamente... Non leggiamo solo il razzismo come un discorso di ideologie, c'erano degli interessi in ballo. Se io comincio a pensare che gli africani sono inferiori, sono legittimato a conquistarli, mi è più facile, ma in realtà dietro c'erano fiori di soldi, risorse, materie prime, territori da conquistare.
Quindi non è solo una cosa ideologica, a volte è un cappello ideologico per legittimarsi. settimare certe azioni. Poi ci sono altre manifestazioni di razzismo dove invece magari ci sono altre cose che muovono, magari possiamo poi vederle, però se noi andiamo a vedere Le tre manifestazioni di razzismo storico, possiamo metterli in ordine cronologico. Pensiamo al razzismo negli Stati Uniti.
Voi pensate, negli Stati Uniti gli africani arrivano già schiavizzati. L'inferiorizzazione è già al momento dell'arrivo, perché arrivano già incatenati. Ve lo dico perché può essere interessante.
Vi piace la roba dolce, no? Ecco, sappiate che lo zucchero è stata la prima causa dello schiarismo. Perché dopo le scoperte dell'America si diffusero in Europa il caffè, il tè e il cacao che venivano di là. E però tutte e tre hanno bisogno di zucchero.
La canna da zucchero era nei Caraibi, ma nei Caraibi non c'era più gente per lavorare perché li avevamo ammazzati tutti. e quindi cosa si fa? Si prende la gente dall'Africa e la si porta nelle Americhe per coltivare zuccheri e poi cotone. Quindi negli Stati Uniti nasce questa forma di razzismo già all'inizio.
Il nero è schiavo e quindi il razzismo nasce da che cosa? Dallo sfruttamento di mano d'opera. Quando ci sarà la guerra civile negli Stati Uniti e dove i nordisti attaccheranno il sud, spesso viene detto per liberare, abolire la schiavitù, Lincoln aveva degli schiavi. In realtà è che negli nord c'erano manifatture dove lavoravano operai pagati, al sud lavoravano schiarri gratuiti, era concorrenza sleale, quindi non è che fossero buoni, era utilitarismo anche questo. E lo sfruttamento degli afroamericani negli Stati Uniti è durato moltissimo, di lì poi la discriminazione che continua anche dopo lo sfruttamento, pensate ancora a Rosetta Park, quella che si rifiuta di alzarsi in piedi sull'auto, siamo nel 1955, il primo studente afroamericano che viene ammesso in un'università, John Meredith, nel 1964, quindi stiamo parlando non di secoli fa, di anni recenti, e ancora oggi vediamo, abbiamo visto soprattutto il Black Lives Matter, ancora c'è una forte discriminazione.
E quindi era un razzismo di sfruttamento. Diverso è l'altra terribile esperienza che è quella della Shoah, del nazismo. Beh, qui si crea, si inventa la razza ebraica. Non c'è neanche un presupposto. Ancora oggi è difficile definire che cos'è un ebreo, persino lo Stato di Israele va molto, diciamo, a matita perché...
Ma la si inventa per cosa? Anche per legittimare... Una crisi economica che era terribile in Germania dopo la prima guerra mondiale. E allora ecco che dare, trovare il nemico, ecco quando dicevo costruire l'altro, costruirci un nemico ci serve.
Diamo la colpa a chi? Agli ebrei che hanno in mano tutta l'economia, complottano, e di qua parte. E questo non è più un razzismo di sfruttamento, questo è un razzismo di eliminazione. All'inizio, cosa fa?
Hitler vuole liberare la Germania dagli ebrei. vuole una Germania Judenfrei, come dice lui, gli sbattono fuori. Poi Hitler conquista l'Europa dell'Ovest, la Francia, altre cose.
Allora vuole un'Europa Judenfrei. E gli ebrei vengono sbattuti o se ne vanno in Russia, l'Unione Sovietica all'epoca. Quando poi nel 1941 Hitler invade la Russia, ecco che decide la soluzione finale.
Non c'è più spazio, bisogna sterminarli. Quindi non era un momento quello degli Stati Uniti a disfruttamento. per cui lo schiavo lo voglio vivo, mi serviva, qui siamo un razzismo di eliminazione. Il terzo caso che è l'unico nato, e sto parlando di razzismo istituzionale, quindi non quello che ognuno di noi può o non avere, è quello del Sudafrica, dell'Apartheid tra il 48 e il 92, anche qui questo tipo di discriminazione tra bianchi e neri è stato poi analizzato in altri termini.
che potremmo dire con una classe, un'elite dominante bianca e un proletariato nero. Quindi è difficile dire quanto fosse una questione solo di repelle o quanto invece di classi sociali. A molte facce, infatti non a caso, è stato creato razzismo questo incontro. Ecco, però quello che lei sta mettendo in evidenza è che questo razzismo Qualunque sia la spinta è sempre funzionale al potere, c'è sempre una ragione che sia una ragione economica, che sia una ragione di mantenimento del potere, che sia una ragione di mantenimento dello status quo, cioè è sempre esercitato perché qualcuno possa restare al potere.
Ecco, quando parliamo di razzismo istituzionale sì, vuol dire un razzismo organizzato da uno Stato. Però poi abbiamo altre forme di razzismi che sono invece a livello non istituzionale, quelli più spontanei, in basso la gente, uno che detesta questi o questi altri. e non si sa magari neanche bene per quali motivi.
Se pensiamo, allora, sull'Italia è un caso strano perché l'Italia è un paese che non ha mai fatto i conti con il proprio passato, per cui ci siamo dimenticati l'esperienza coloniale e ci siamo un po'costruiti il mito degli italiani brava gente, no? Noi non siamo razzisti come gli inglesi, i francesi, i tedeschi, finché non ci hanno dato l'occasione di metterci alla prova, cioè con l'arrivo di persone da altri continenti. e ci siamo accorti che non siamo né meglio né peggio di altri. Molto spesso, anche qui, c'è un razzismo quasi di difesa.
Per esempio pensiamo al luogo comune, falso, ma tutto il razzismo si basa, ogni ipotesi di razzismo si basa su un'idea falsa, per cui è una menzogna in partenza. Pensiamo quando si dice che ci rubano il lavoro, allora scatta razzismo di paura, in questo caso, non di dominio, ma... di sottomissione, attribuendo agli altri delle dimensioni, degli atti o dei presupposti che sono assolutamente fasulli.
Ma questo quasi sempre alla base del razzismo, non quello istituzionale, quello di pancia per interci, c'è un pregiudizio luogo comune. Faccio un esempio anche per dare un'idea di come noi siamo. condizionati dalle percezioni.
Un sociologo molto bravo qui di Milano, Maurizio Ambrosini, che si occupa da tempo dell'immigrazione, ha fatto un sondaggio su un campione molto grosso di persone, su cinque punti, chi sono gli stranieri in Italia, chiedendo della gente comune chi sono gli stranieri d'Italia. Risultati del sondaggio, gli stranieri in Italia sono maschi, neri, musulmani provenienti da paesi poverissimi in cerca di asilo politico. Dati Istat, sono donne bianche, cristiane, le badanti, quasi tutte, provenienti da paesi non poverissimi in cerca di lavoro e non di asilo politico. Cinque punti su cinque sbagliati.
Questo ci dà l'idea di come nascono i pregiudizi, non conoscendo la realtà. Se uno guarda i dati e guarda la percezione, ci si accorge che noi viviamo in una realtà fatta di luoghi comuni, di percezioni, e che in realtà non è basata sui dati. Io sono convinto che vi chiedo, dalla vostra percezione, da dove arrivano gli immigrati?
La maggior parte penserà al Mediterraneo, Lampedusa, gli Sbarchi, bene. E il 10% degli stranieri arriva dal Mediterraneo. il 90% arriva dalla rotta balcanica, però noi siccome ci fanno vedere Lampedusa pensiamo che tutto avvenga lì, questo fa sì che alimenta molti di questi sensi. Quindi in realtà dicevamo che spesso è una paura, è un timore che spesso non si basa neanche sull'esperienza, adesso faccio un caso che mi aveva colpito durante alcune elezioni tedesche. C'era stata una grossa vittoria di un partito di estrema destra, in particolare in un paesino del confine est della Germania.
La nostra inviata andò lì e trovò che era un paese praticamente a zero immigrazione. Era un paese senza immigrati che aveva votato in massa un partito fortemente anti-immigrati. Quindi con un'idea dell'immigrazione, con una paura dell'immigrazione, aveva in realtà più che altro un problema di frontalieri europei, ma non di immigrazione.
vera diciamo dal extraeuropea o di... quindi spesso è una percezione, è una paura, questo stiamo capendo. C'è stato un caso simile a proposito della Brexit in un paese del Galles dove c'è stata la più alta percentuale di voti a favore dell'uscita perché c'erano gli immigrati e in questo paese c'era un polacco, uno, che aveva sposato una donna del paese peraltro, però il problema erano gli immigrati. Sì, è un problema appunto di percezione di paura, una paura anche alimentata da certe retoriche politiche, perché se si comincia a dire che gli immigrati delinquono, gli immigrati sporcano, gli immigrati rubano il lavoro e tutte altre cose, ecco che ci si fa un'immagine. C'è spesso anche...
La comunicazione mediatica condiziona, ecco io ho ancora una pagina di un giornale, di un quotidiano italiano, in cui c'è nella stessa pagina in alto un articolo scritto rumeno. Mi sembra stupra una donna così. Sotto nella stessa pagina c'è scritto studentessa violentata da compagni di classe. Però sotto non c'è scritto che è avvenuto a Trento ed erano tutti trentini, vittima e carnefici. Nell'altro caso sì, ecco allora uno si fa subito l'idea che cosa non ha messo ecco studenti trentini violentano compagni di classe.
Spesso anche queste cose poi si... per chi non approfondisce creano un sentiment. Sempre per esempio questo liceo Rossetti di San Benedetto del Tronto ci chiedono, secondo lei, quanto i nuovi media possono accentuare i problemi del razzismo?
Io aggiungo anche i vecchi. Sì, sì, i media tutti possono accentuare, diciamo che dipende come imposto il discorso, quanta enfasi do. E quindi diciamo che i nuovi media concedono più libertà al singolo, nel senso che ognuno può scrivere abbastanza quello che vuole e magari con dei toni anche più duri, più violenti, magari i media ufficiali hanno un po'di filtri, ma di fatto sappiamo che tutta la comunicazione può condizionare, d'altronde vuol dire.
La propaganda è fatta per questo, lo diceva già Goebbels che era un maestro della propaganda. Senta, le leggo questa domanda della quarta D del liceo Coluccio Salutati di Montecatini Terme. Esiste una correlazione tra razzismo e livello di scolarizzazione? Cioè, forse, magari più che di scolarizzazione, di conoscenza?
Sì, se la scolarizzazione è di conoscenza possiamo dire che esiste. Se uno conosce... diciamo è più facile che abbia degli strumenti per capire le diversità ma soprattutto per capire l'imbroglio diciamo il razzismo si basa su un'idea che noi siamo così e gli altri sono del tutto diversi no in realtà forse a questo punto è ora di svelare anche il discorso del concetto di razza allora partiamo da questo Nel 1953 esce sulla rivista Science un articolo firmato da Crick e Watson in cui si annuncia la scoperta del DNA. Il DNA, se lo sapete, è la nostra carta di identità genetica. Nel nostro DNA c'è scritto tutto quello che è il nostro passato, ma millenni addietro.
E che cosa si scopre dal momento in cui abbiamo individuato il DNA? si comincia negli anni 60-70 a fare campionature di DNA a tutto il mondo per confrontarle, l'idea della razza. E questa è stata la grande sorpresa, ecco, se fosse qua l'amico Telmo Pievani direbbe che quella scoperta più bella è quella che non ti aspettavi, che ciascuno di noi ha dentro di sé l'80% del patrimonio mondiale genetico. Cioè se scomparisse tutta l'umanità e rimassessimo tutti qui, non mi spiace per quelli collegati che sembra brutto farli sparire, però... Teniamo anche loro, va?
E fa teniamo anche loro, teniamo... Non cambia niente, ci siamo tutti, qui dentro abbiamo antenati vichinghi, uzbeki, turchi... Perché? Perché, ve lo spiego, perché provate a guardare che cosa avete al fondo delle gambe, avete dei piedi. Ecco, tutta la storia dell'umanità è fatta coi piedi.
nessuno è mai stato fermo al suo posto e siccome ci siamo sempre incrociati, scambiati e così, ci siamo anche allegramente scambiati spermatozoi, per cui siamo tutti belli meticciati o anche imbastarditi, ma nel senso buono del termine, quindi è impossibile classificarsi in razze per gli umani, non che le razze non esistano, gli animali esistono, esisterebbero tra gli umani se ciascuno fosse stato al suo posto. Quindi anche l'idea di razza pura è impensabile? Potrebbe essere pensabile se noi prendessimo un cavallo, un cavallo da zero, perché ormai non più all'inizio avessimo preso i primi cavalli o le prime persone e sempre si fosse accoppiati tra di loro.
Pascal diceva che tutti i problemi dell'uomo nascono dal fatto che non è capace di stare chiuso nella sua stanza. Forse aveva ragione, ma non è andata così. C'è... Se tutti noi fossimo stati in un altro posto, premesso che se fosse così noi saremmo Neandertal e non Homo sapiens, i sapiens sarebbero in Africa e forse ci avrebbero già conquistati di nuovo dopo, però allora potremmo parlare. Ma di fatto ci siamo sempre mescolati e rimescolati e rimescolati e di fatto oggi ci portiamo dietro storie di millenni di scambi genetici per cui nessuno può essere classificato in razza.
quelle che ci appaiono, il colore della pelle, i tratti somatici, sono semplicemente adattamenti al clima, all'ambiente e altre cose, non c'entrano niente. Ma allo stesso tempo, quando appunto la costruzione dell'altro, qui forse arriviamo un po'più all'oggi, che non passa più attraverso la razza. Anche le nostre culture sono meticciate o bastarde se vogliamo dirlo. Un po'di tempo fa, visto che a Terezoni faceva uno scherzo, una provocazione, uno che andava in giro chiede alla gente preferite usare i numeri arabi o i nostri?
E tutti dicevano i nostri, no? E i nostri numeri sono di origine persiana di fatto, no? Ma per darvi l'idea anche di quanto siamo mescolati raccom... Un aneddoto che è di un antropologo statunitense degli anni 40, Ralph Linton, il primo giorno di lezione faceva una sorta di provocazione ai suoi studenti. Il statunitense chiedeva di quello che usate, oggetti, non stiamo parlando di concetti, oggetti che usate tutti i giorni, quanto è americano.
70-80% sono nazionalisti. Bene, allora chiedo... A te stamattina, quando ti sei alzata, qual è la prima cosa che hai fatto?
Hai sollevato un lenzuolo che è fatto di cotone, fibra tessuta in India nel VI secolo a.C. Poi ti sei infilato un paio di ciabatte inventate dagli indiani algonchini. Vai in bagno, ti lavi col sapone, invenzione dell'antica Gallia. Poi vai a fare colazione in una tazza di una scodella di ceramica, invenzione dell'antica Cina. Prendi il caffè che arriva dall'Abissinia, del tè che arriva dall'India o del cioccolato che arriva dall'America Centrale.
Poi magari esci, vai a comprare un giornale con una moneta, invenzione dell'antica litia, compri un giornale stampato su carta, processo inventato in Cina, ma stampato su un carattere immobile inventato in Europa e a seconda delle notizie ringrazi o meno una divinità ebraica di averti fatto il 100% italiano. Ecco, l'appologo di Linto, che è molto più lungo di come io, se lo inrete basta cercare il 100% americano, un po'un pugno nello stomaco per vedere come persino nella banale quotidianità siamo il prodotto di interscambi. Quindi quando sentiamo parlare di identità culturale, difesa culturale, le nostre culture sono quanto di più complicate e di mescolato usiamo. Noi un parlante italiano usa il 6% di parole arabe e io per primo non lo so, tranne quelle poche che cominciano con al, ma quindi di fatto... ecco che allora dove sta la differenza nel volerla inventare oppure nel andare a vedere quel 10% che ci divide e non vedere il 90% che invece se non ci unisce ci fa comprendere.
Allora professore arriviamo all'oggi come stavamo dicendo, ci sono molte domande di questo tipo, per esempio la terza B dell'istituto Leonardo da Vinci di Carpi. Lei definirebbe l'Italia un paese razzista? Se sì, per quale motivo? Liceo dei Ruggeri, prima A di Massafra. Se il razzismo risponde anche a logiche di potere, secondo lei oggi il razzismo in Italia a quale scopo risponde?
Insomma, molte domande sull'Italia e il razzismo. Lo dicevamo prima, c'è stata anche una matrice razzista, un passato razzista in Italia, nelle nostre imprese coloniali. Non ce lo ricordiamo tantissimo perché è un passato un po'negato, nascosto anche un po'per vergogna, sono anche imprese non tanto riuscite.
Ma oggi l'Italia, lei lo definirebbe un paese razzista e se sì il razzismo sotto quali forme si esprime? Allora, è difficile definire un intero paese razzista. Pensavo proprio qualche giorno fa perché nello stessi due giorni sono accaduti due episodi che potrebbero far pensare in modo opposto e tutti e due legati allo sport. Paola Egonu, la pallavolista che è scoppiata, ha avuto questa crisi, il fatto che lei che è una bandiera della nazionale italiana a cui vengono ancora chiesto perché è italiana, quindi ha avuto questo sfogo.
questo slancio perché comunque gli arrivano sempre anche insulti come a molti altri sportivi di colore bene allo stesso tempo non lontano di qui è successo una cosa come molto interessate non è stato non ha preso le prime pagine del giornale in un campetto a gallarate campo di calcio squadra giovanili gallarate contro il busto assizio l'allenatore del busto assizio ha insultato un giocatore un ragazzo di 16 anni al gallarato dandogli del negro, tra l'altro era marocchino, però questa cosa. Però la cosa, secondo me, proprio bella è stato che i suoi compagni di classe hanno smesso di giocare e sono usciti. Ecco, questa è...
è un segno che c'è una speranza. C'è un collegamento e questo prendo da un'altra domanda sempre dell'Istituto Chiarulli di Acquaviva delle Fonti sul tifo e il razzismo. Il tifo è un veicolo, lo stadio nasconde, mimetizza, è più facile dire quello che si vuole senza prendersi responsabilità. Io voglio vedere chi va a dirglielo in faccia a Lukaku, ecco che nero, davvero qualche nero, quindi è molto più facile. Beh, molto spesso, ecco qui vabbè, qui è una cosa anche molto italiana del fatto che non siamo abituati, appunto legato a questa rimozione dell'esperienza coloniale, ma di fatto, sì, nello sport abbiamo...
Caro amico Lilian Thuram, che è stato calciatore campione del mondo nel 98 e che oggi è presidente della fondazione Lilian Thuram contro il razzismo. Ricordo proprio che tempo dietro gli venne chiesto lui se un giocatore di colore viene fischiato deve uscire e la risposta fu quella, proprio che questi ragazzi hanno dato, non deve uscire lui, devono uscire tutti perché il razzismo non è un problema suo. è un problema di tutti.
Ecco, questi ragazzini di questa squadra hanno dato una lezione grossa. È più importante un appartito o è più importante tutelare il proprio amico o compagno? Ecco, quindi voglio dire, non possiamo dire un paese, è un paese dove c'è del razzismo, più o meno come ovunque.
Anzi, abbiamo scoperto di esserlo, forse prima non avevamo motivo. In realtà... Se andiamo a vedere, non possiamo proprio chiamarlo razzismo, ma già nell'immigrazione dal sud Italia al nord c'erano stati elementi di discriminazione che però poi sono stati assorbiti.
Oggi invece c'è un'altra forma. Però allo stesso tempo abbiamo degli slanci di settore. Io posso raccontare anche, ho fatto un'esperienza proprio di ricerca a Lampedusa, partendo da una domanda, ecco, come mai chi è al nord è lontano da quella realtà, si arrabbi in preca contro gli sbarchi e i lampedusai non si lamentano mai, allora o sono strani oppure... La realtà è totalmente diversa, è molto semplice, la gente di Lampedusa non vede, noi siamo dietro una televisione, l'annuncio dice oggi sono sbarcati 365, è un numero, già il termine sbarco dovrebbe fare riflette perché...
se arriva lo yacht di un miliardario diciamo che ha attraccato o ha prodato a sbarcare sempre il nemico e poi MIGI 365 è un numero tanto piccolo non lo so però sembra i lampedusani vedono in faccia delle persone semplicemente e si accorgono che sono persone e che non fanno paura che non c'è e quindi ho parlato con molti pescatori che sono stati i primi a soccorrere i barconi prima che iniziassero le operazioni e E semplicemente dice, beh, quando hai a vedere la gente in pericolo la devi salvare, non ti crei neanche l'idea di chi sia, non ti puoi il problema di chi è. È un essere umano, anzi un cristiano come dico loro. Mi ha persino colpito un pescatore che dopo avermi raccontato tutti i salvataggi e cose, mi ha detto, guardi, a me sulla terraferma non sono simpatici, ma io i mari li salvo. E io l'ho trovata anche una gran cosa, non mi devono piacere, devo riconoscere che è un essere umano. Poi applico un principio che mi nobilita e che mi rende umano.
Allora, magari vogliamo cominciare a vedere se ci sono delle domande anche in sala, oltre a quelle che arrivano dai licei collegati. C'è qualcuno che vuole cominciare a porre qualche questione? Siete pronti o andiamo ancora un po'avanti? Eccola lì, bravo! No, ti arriva il microfono.
Magari se ci dici anche di che istituto e liceo sei. Allora, si sente? Sì, benissimo. Allora, sono della quinta A del liceo Carlo Tenka, Scienze Umane Economico Sociale. Benvenuti.
E volevo fare una domanda che in realtà potrebbe sembrare apparentemente una cavolata, però è una riflessione al quale ci penso da un po'. In America ci sono tante persone di colore, no? E tra di loro c'è questo gergo, nigga. Cioè, si chiamano, tradotto, negro.
Ok? Mi sono sempre chiesto, ma c'è il paradosso, no? Non vuoi che la gente bianca ti chiama, cioè ti chiami negro e tu stesso tra di voi mi chiamate negri. Ecco, volevo quindi sapere un suo parere personale sull'argomento.
In effetti, per esempio, anche io mi chiamo Terrona da sola. Forse così molti amici nostri che... È il contrasto di non volere un'anomea ma chiamarsi allo stesso momento...
con quel nome. È una bella domanda. Una bellissima domanda.
Poi partire dal presupposto che le domande non sono mai stupide semmai le risposte, quello sono. No, questo è interessante perché allora è curioso forse ci fa capire come le parole slittano di significato. Se noi la prendiamo all'origine, il termine negro è semplicemente nero in spagnolo.
Nero, negro o black potremmo dire. non ha una connotazione negativa. Però negli Stati Uniti poi è stata usata con gli schiavi.
Allora Negro è diventata... James Baldwin, che è uno scrittore afroamericano, dice i negri esistono solo negli Stati Uniti, di là sono neri, nelle altre parti. Il termine negro è nato proprio lì.
Cosa succede poi? Che comincia tutto, potremmo dire, negli anni 60. Quando ci sono movimenti di rivolta, ribellione e anche Martin Luther King per fare un grosso nome, Malcolm X, i movimenti per la lotta dei diritti civili dei neri, forse conoscete la figura di Cassius Clay, Muhammad Ali, il pugile che si rifiutò. Ecco è curioso, Muhammad Ali quando si rifiuta di andare a combattere in Vietnam e all'uscita del processo in cui viene condannato in prigione per due anni al giornalista che gli chiede perché non vuoi andare in Vietnam, lui dice perché nessun vietnamita mi ha mai chiamato negro. E lo usa proprio per dire non mi ha mai disprezzato.
Ecco, in quegli anni anche nasce però un movimento che comincia a ribaltare la visione, no? Black power, potere nero. C'erano anche le Black Panther che erano gli attivisti.
E nasce un po'il ribalto, attenzione, nero è bello. Perché dobbiamo essere inferiori? Ecco allora che diventa, tanto è curioso, lo dico per dire come si usano le parole, spesso lo si vede molto nei film, gli afroamericani spesso si chiamano tra di loro brother, fratello, questo è curioso perché viene dall'Africa, in moltissime lingue africane non c'è il termine cugino, perché tu cresci insieme a tanti altri in famiglie numerose e sono tutti fratelli. Quindi riprendere il termine brother era per dire una fratellanza nera. Ecco, allora se tu lo guardi dall'altra parte, ecco che allora dici, bene, io lo uso, cioè voi lo usate come dispresativo, io lo uso come elemento per dire che non sono come voi.
Se vuoi è una distinzione al contrario, ma la faccio dalla mia parte, non sei tu che me lo dici, sono io che sono, anzi, e lì ga... che poi viene anche scritto nigger, viene poi molto usato nel linguaggio dei rapper, dei primi rapper, dell'hip hop, proprio anche in questa chiave. C'è una bellissima battuta di Spike Lee, uno dei registi più famosi afroamericani, in cui tutti i suoi film sono ambientati nelle comunità afroamericane. E una giornalista, dopo una lunga intervista, gli chiese perché lei mette tutti gli attori neri nei suoi film.
E lui rispose, ha mai chiesto Fellini perché li ha messi tutti bianchi? Ecco, lui rivendica invece al contrario. Quindi il termine viene usato proprio per dire no.
Adesso è un po'come quello che è accaduto nei nativi americani o indiani d'America. Cioè, ci avete chiuso nelle riserve, bene, adesso siamo noi che di qui guardiamo voi. La sbarra è al contrario, fuori e qui dentro facciamo...
quello che noi vogliamo ecco è un riprendersi in mano quindi una cosa negativa ecco che diventa un segno un marchio d'orgoglio di avercela fatta e poi spesso è legata anche a una manifestazione esteriore se non estetica penso per esempio a Malcolm X nell'autobiografia quando smette di lisciarsi i capelli per rivendicare la capigliatura afro che diventa poi un simbolo da anche delle dell'attivismo black, penso anche Angela Davis e anche per esempio in Italia ci sono delle forme di rivendicazione anche di un aspetto diverso che corrisponde a un modo diverso di affermarsi. Sì, dicevamo di parole che hanno una connotazione, forse è una parola che ha preso un'accezione negativa, razzista. e che invece risponde a una di quelle questioni, di quelle comunità eternamente discriminate, è Zingaro.
Adesso dalla quarta B del liceo Leopardi di Macerata, perché ci sono etnie così tanto discriminate? Rom, addirittura complimenti al liceo Leopardi, conoscono i Uiguri, che è questa etnia discriminata in Cina, in Asia. Perché alcuni gruppi sono bersaglio anche un po'trasversale di razzismo? Allora, potremmo parafrasare l'incipi di Anna Karenina, tutti i matrimoni felici sono uguali, tutti quelli infelici, ognuno è infelice a modo suo. Cioè nel senso che di gruppi discriminati ce ne sono tanti ma non per le stesse ragioni.
Il caso degli auguri è un discorso proprio di un rapporto di... di potere, di forza, di condizionamento, il fatto di essere un'etnia islamica che viene condizionata dal governo cinese. Caso dei Rom, Zingaco, vogliamo chiamarli, qui è ancora diverso. Diciamo che i nomadi non piacciono a nessuno dei sedentari. Cioè qui in Europa abbiamo gli zingari, se voi andate in Africa i tuareg sono visti come gli zingari, perché i nomadi in genere, siccome i governi sono sedentari, il nomade è sfuggente, destabilizzante, non ha un indirizzo, non puoi classificare.
Sugli zingari poi si è creata una retorica che, come sempre, i luoghi comuni non sono del tutto inventati. magari si parte da un dettaglio e che poi lo si estende. È un po'lo stereotipo.
Per farvi l'idea, lo stereotipo è l'equivalente culturale della caricatura. Il caricaturista prende un elemento dell'individuo, se uno ha un naso grosso lo fa tutto naso e diventa solo naso. Obama mi ricordo veniva disegnato con delle orecchie enormi perché era svento.
Lo stereotipo prende un dettaglio e fa sì che tutto sia ridotto a quel dettaglio, gli svizzeri sono puntuali, noi siamo casinisti, tutte queste cose. Per cui sullo zingaro ne nascono molte. Di fatto è che questo non essere inseriti all'interno di un'organizzazione statale, di non avere spesso questa mobilità, fa sì che appaiano sfungenti e quindi poco classificabili e allora nascono una serie di pregiudizi che poi portano a discriminazione. Anche qua è stato fatto un sondaggio, quanti sono gli zingari in Italia? Uscivano cifre di milioni, sono cento e qualcosa mila, pochissimi, quindi non è operato.
E sono regolarmente quelli... I primi a essere colpiti quando c'è una crisi, e peraltro sono un ottimo barometro sociale, i primi a scappare dall'ex Yugoslavia sono stati i zingari quando poi è scoppiata la guerra. Lo stesso è accaduto in Romania e lo stesso da altre parti. Quando gli zingari arrivano via dovremmo preoccuparci, ecco, perché sta succedendo qualcosa. Perché sanno di essere minacciati, i primi a essere colpiti.
Altre domande ragazzi? Ci siamo scaldati? Un ragazzoli.
Buongiorno, io vorrei chiedere dal suo punto di vista invece qual è il rapporto tra pregiudizio e stereotipo. Qual è che viene prima, cioè un po'come la domanda dell'uovo e della gallina, qual è che viene prima? e qual è che causa l'altro? Beh, diciamo che forse non è una causa-effetto. Allora, molto spesso lo stereotipo è già costruito, ce lo troviamo, no?
Il pregiudizio, cioè lo stereotipo è più condiviso, più o meno abbiamo, diciamo, i francesi sono così, i spagnoli così, oppure anche tra noi italiani, no? Io insegno a Genova che i genovesi siano tirchi, è uno stereotipo condiviso da tutti. Teniamo conto anche qui, lo stereotipo non nasce dal nulla, c'è sempre un piccolo aggancio alla realtà, non è che la gente se li inventa gli stereotipi, e che poi estendono tutti e amplificano. Il pregiudizio è più un dato individuale, cioè ognuno sviluppa...
pregiudizio dicevo prima di analizzare un giudizio prevede un'analisi invece pregiudizio e questo e qui ecco forse la domanda si presta una cosa interessante che potremmo dire quando parliamo di razzismo allora un conto e dire io odio i neri, quella razza lì perché sono inferiori, tutto quello che vuoi, no? Un conto invece è dire no, mi stanno sull'anima e basta, li detesto, senza darmi una motivazione. Ecco, questo è un pregiudizio. Senza neanche provare a spiegare perché ce l'ho con questa gente, con chiunque, qualunque gruppo, che non solo è razziale, ecco. Oppure invece...
tento di darmi una spiegazione che magari poi arriva a legittimare lo stesso la mia avversione. Lo raccontavo prima a un amico giornalista che aveva fatto una trasmissione anni fa, lui è congolese, un giornalista. La sigla, lui girava per Roma chiedendo se suo figlio o sua figlia portasse un fidanzato o una fidanzata, negro o negra, diceva apposta per... e la sigla era diventata il tassista romano che ha tirato giù, fa la pennichella, lui gli bussa e chiede a una figlia, si quanti anni ha?
20, se le portasse un fidanzato negro e lui le ha risposto porti chi gli pare pur che non sia laziale ecco quindi voglio dire il razzismo non è solo con i neri o con gli altri può essere anche nel caso di tifo calcistico, politico o altre cose lo stereotipo è un qualcosa che più o meno Al di là che lo accettiamo o meno, lo conosciamo tutti. Abbiamo quei luoghi comuni che a volte servono un po'a semplificare. Non è che noi sempre dobbiamo fare discussioni, magari sono ottimi per la battuta.
Faccio ancora un esempio di come invece lo stereotipo può diventare coltivo. In molte parti d'Africa esiste, tra certi gruppi etnici, quella che viene chiamata relazione scherzosa. Cioè, se tu e io fossimo di due gruppi etnici diversi, che abbiamo la relazione scherzosa, come ti chiami?
Andrea. Quando ci incontriamo, prima di salutarci, ci insultiamo, io ti dico, madonna sei diventato brutto, storia. Tu insulti me, poi ci abbracciamo.
Ma ti insulto sullo stereotipo che ho di te, no? So che mangi fagioli... Non lo so, invento. Ecco, è un bel modo per non nascondere la differenza, ribadirla, però metterla sul piano dello scherzo.
Cioè, siamo diversi, però, vabbè, senti, è una strategia di usare lo stereotipo però in chiave positiva e non negativa. Senta, professore, a proposito di stereotipi e pregiudizi, quanto si ereditano, diciamo? Leggo questa domanda della prima D del liceo Baldi di Urbino.
Vorremmo capire meglio quanto l'educazione familiare e le idee vecolate dai genitori influiscono sul razzismo di noi giovani e la difficoltà di accettare i diversi. Allora, incidono ma non sono le uniche, incide tutto. A volte non sono neanche le cose esplicite. Mio padre non mi ha mai detto di non essere razzista.
Però probabilmente perché non lo era lui mi è venuto normale. Dipende però non sono solo i genitori, la famiglia, ma anche il contesto, gli amici. Cioè noi ci costruiamo delle nostre idee, opinioni su dialoghi che non sono soli, non è che solo quello che ci dice la famiglia è così.
Poi anzi molto spesso sappiamo, poi c'è un'età in cui si contrasta la famiglia, a volte... uno pensa all'opposto dei genitori, magari non pensa all'opposto ma lo fa per dar fastidio, è normale, l'abbiamo fatto tutti, quindi non è solo questo, sono tante le cose, il contesto in cui si cresce e queste cose. Poi io sono anche convinto che c'è un problema per quanto riguarda l'Italia, c'è un problema anche generazionale, io sono cresciuto, credo anche tu, noi siamo andati a scuola, in classe in cui eravamo tutti italiani bianchi presuntamente cattolici, quindi neanche ci si poneva il problema della diversità.
Tenete conto che viviamo in un paese, come dicevo prima, che non ha mai fatto i conti nemmeno con la propria emigrazione. Noi siamo 50 milioni di italiani che sono fuori, cioè noi siamo un paese che è sempre stato di emigranti. E di colpo ci siamo trovati in un paese dove arrivano degli emigranti.
Ecco che si è rimasti a bocca aperta e subito sono scattate queste relazioni in consulte. Noi siamo andati via e dal 2016 ci sono più italiani che vanno all'estero degli stranieri che arrivano in Italia e sono tutti giovani laureati, quelli che vanno all'estero quindi ancora... Per cui, cioè vuol dire, oggi un bambino che va in una scuola, inizia una scuola elementare è molto probabile che si trovi in classe dei compagni di classe che hanno colore della pelle, magari una religione, che mangiano cose diverse, che hanno... modi di comportarsi anche diversi, ma diversi che una diversità che verrà normalizzata, interiorizzata. Alcuni studenti studentesi che hanno fatto delle tesi sulle scuole del centro storico di Genova che è caratterizzato dalla presenza di molti bambini stagioscuri elementari e ricordo una mamma di un bambino italiano era colpito perché diceva che suo figlio parlava sempre di un certo suo amico Gabriel che aveva la maglia dell'Inter.
Poi un giorno invitano Gabriel a casa a giocare e Gabriel è nero di pelle, ma suo figlio non l'aveva mai detto. Cioè la maglia dell'Inter è un elemento forse più importante. I bambini non classificano su queste basi, hanno altre modi.
Se non gliele inculchiamo, ecco queste idee. Certo se uno poi cresce che a casa sente discorsi, diciamo, di... Contro gli stranieri, contro l'arrivo, tutte le minacce, le cose, e allora è più facile che sia orientato. Però attenzione, credo che ci vorrà un po'di tempo, però anche questo sarà sempre più normale.
Ci sono altre domande che ci portano a approfondire quello che stiamo dicendo, anche tornando all'uso delle parole. Liceo artistico Cle Barabino di Genova, che cosa pensa del politicamente corretto a livello linguistico e non? E le leggo anche questa domanda della Quinta C del Liceo Manzoni.
Recentemente nei film e nelle serie si scelgono attori di colore, sembra per rispettare delle quote, con effetti paradossali dal punto di vista storico, come vedere Lord Inglesi del Settecento di colore. Crede sia giusto usare la logica delle quote per risolvere i pregiudizi? Non crede che sia eccessivo che possa far pensare che un tempo i neri stavano bene? Insomma, questa questione è un po'tra il politicamente corretto, l'eccesso di politicamente corretto, l'eccesso di quote. Ma sì, come sempre anche dei principi che possono essere giusti quando vengono esasperati finiscono per cadere nell'opposto.
Il politicamente corretto... Spesso è un po'un'ipocrisia. Quando noi magari diciamo che è una persona di colore, dai, mica pensi anche sia blu, cioè è ovvio che parliamo di uno che ha la pelle scura, allora non è questione della parola, è che che significato diamo a quella parola.
Ecco, se io appunto, se dico nero in senso negativo, ma posso dire uomo di colore in senso negativo lo stesso. è il pensiero che sta dietro, non è la parola in sé. Poi ci possono essere alcuni casi, il caso di Negro, ecco, può essere una parola che è particolare, ma in molti casi...
E un po', poi torniamo anche alle quote, come il discorso della cosiddetta oggi cancel culture, no? Cancellare... possiamo anche buttare giù le statue, ma la storia è quella, rimane.
Allora, invece di buttare giù una statua di Hitler, facciamoci una bella targa sotto ricordando che cosa ha fatto. E ricordiamocelo, perché se no ritorna. Questo far finta e cancellare, c'è un bellissimo passaggio di un romanzo di Romangari ambientato proprio nella resistenza nazista, in cui uno dei due protagonisti dice che il nazismo è disumano, potrebbe valere per razzismo. E l'altro dice attenzione. Se facciamo così non lo capiremo mai.
Il nazismo è profondamente umano, il razzismo è profondamente umano. Se noi lo spostiamo, lo consideriamo disumano, vabbè è una roba che riguarda pochi. No, c'è, è tra di noi, dobbiamo prenderlo, fa parte del... Ecco, questo, l'utilizzo delle quote, no, proprio perché è un razzismo positivo, no, è la discriminante positiva, cioè, allora... Perché sei nero tu hai diritto.
No, cioè valutiamo le persone per quello che sono. Forse in una fase può aver funzionato, no? Può aver inizio in una fase, sì. Quando dai maggiori diritti a una categoria svantaggiata per cercare di accelerare il processo.
Però se poi rimane una cosa strutturata rischia davvero di creare una discriminante impositiva. Che è quello che è successo negli Stati Uniti con le cosette affirmative action per cui finiscono poi per... discriminare in positivo altre persone.
Senta, allora rompendo il politicamente corretto accettiamo queste domande sulla politica attuale italiana. La quinta S di Fermi, del liceo Fermi di Desio, il voto degli italiani per uno schieramento che rivendica l'identità italiana è influenzato dalla paura del diverso, quindi degli immigrati? Le leggo un'altra domanda molto interessante, forse ci aiuta anche ad ampliare questo discorso. l'Istituto Tecnico Abba Ballini di Brescia, che rapporto ci sarebbe tra patriottismo e razzismo? E ancora Torricelli di Milano, si può parlare di razzismo funzionale per quanto riguarda la politica italiana?
Pensa che i nostri politici possano strumentalizzare le dinamiche razziste nella nostra società per arrivare ai loro obiettivi? Allora, forse partiamo dalla terza. Sì.
Libera scelta. Allora, se si pensa che sia funzionale, abbiamo sbagliato tutto. Nel senso che lasciamo perdere ogni discorso di principio, anche di principio umanitario.
Facciamo i cinici per un momento. Noi siamo un paese, noi, noi Italia, vale per l'Europa, però parliamo d'Italia, siamo un paese di vecchi. dove ci sono pochi giovani.
Negli anni 50 per un 65enne c'erano 5 o 6 giovani, oggi è il contrario. I giovani sono il 20%, pochissimo. Non tanto più a sud, c'è un continente, l'Africa, che ha un miliardo di persone, di cui metà hanno meno di 18 anni. Allora, questa è una bomba demografica che sarebbe utile gestire. Abbiamo bisogno di persone.
quindi regolarizzare la migrazione servirebbe per egoismo e lascio perdere apposta in questo momento ogni discorso umanitario che è sacro santo, ma solo per egoismo. Quindi se noi vogliamo dire, da un punto di vista funzionale è l'errore più macroscopico, tant'è vero che poi se noi andiamo a vedere, di fatto si dice di bloccarla ma nessuno la blocca, è funzionale un sistema io vorrei vedere se facessimo sparire tutti gli stranieri che raccolgono la frutta o la verdura nel sud Italia quanto ci costerebbero i pomodori infatti andiamo avanti a blocchi di regolarizzazione ecco e allora alla fine è funzionale un sistema quindi sono i due livelli una è la retorica che serve a infiammare allora siamo, diciamo viviamo in un'epoca quella che è Il sociologo Zygmunt Baum ha definito liquida, in cui i cittadini italiani ed europei, proprietari, stanno vivendo una sorta di crisi progressiva, le generazioni sono in crisi progressiva, cioè dopo gli anni dove ero 60, 70, 80, dove c'era ridistribuzione della ricchezza, dove c'erano garanzie, il lavoro ce n'era, la società stava bene, il cittadino si sentiva tutelato. Ecco che è cominciata una crisi, questo ben prima dell'immigrazione, ma una crisi strutturale economica. Si hanno meno soldi, la vita è più cara, c'è meno lavoro per i giovani e questo in genera paure, ansie.
Ecco allora che in questo... diciamo magma, si sono inseriti questi partiti, queste nazioni che hanno cominciato a puntare su che cosa? Su una ritorica contro gli altri, che non è tanto sulla diversità, è basata semplicemente sulla paura, è un marketing politico della paura. Ma questo per capirlo un po'meglio bisogna fare un piccolo saltino indietro, anzi a novembre 1989 per intenderci. Quando viene abbattuto il muro di Berlino.
Col muro di Berlino, metaforicamente, crollano quelle che hanno stato chiamate le grandi narrazioni del Novecento, cioè le cosiddette ideologie. L'ideologia, indipendentemente da quale uno volesse scegliere, destra, sinistra, centro, che cosa facevano? Guardavano al futuro. Mi proponevano un modello di società a cui tendere, egualitaria, razzista, meritocratica, quello che volete, paritaria, ognuno tendeva alla sua, quindi guardavano avanti. Col crollo di queste narrazioni sono nati questi partiti prima localisti, oggi sovranisti, poi torniamo al patriota.
Bene, se voi pensate tutti cominciano a parlare di identità e radici. Le radici. Come dicevo, abbiamo piedi, non radici. Le radici guardano al passato, sono i frutti, il futuro, i frutti, i fiori, le radici sono il passato. Tu hai dei diritti perché sei nato in un posto, ma tu hai scelto di nascere in quel posto, no?
Sono nato dove la mia madre, quando è partorita, e neanche lei forse ha scelto dove essere. Quindi veniamo condannati a un dato naturale, ecco la nuova forma del razzismo. Cioè, ho diritto perché sono italiano, ma non ho scelto di essere italiano.
Potevo scegliere che idea politica era, che religione avere, ma non di essere nato in Italia, non l'ho scelto. Quindi è un tribalismo di ritorno quello, ci stanno portando indietro. E quindi invece di guardare al futuro, non è un caso che l'unico tema che ha coinvolto di nuovo le generazioni giovani è stato quello dell'ambiente. È l'unica cosa che fa guardare al futuro.
Oggi la politica è incapace di guardare a qualunque futuro. Si è visto con la pandemia, due mesi di blocco e è crollato l'intero sistema planetario, quindi di una fragilità incredibile. Quindi l'unico è quello.
Quindi ecco che ci si chiude per paura. Il paradosso è che in un'epoca in cui si globalizzano le merci, gli individui si tribalizzano. Ecco, questo richiamo il patriottismo o nazionalismo è un altro di quelli dei preamboli possibili al razzismo. Cioè, devo difendere la mia patria?
Ecco, intanto la mia di chi? Ecco, queste retoriche politiche, cioè lo slogan prima gli italiani, non mi fa sentire più italiano. Unisce solo nell'avversione contro i non italiani, ma non perché siamo simili, solo perché odiamo gli altri.
È l'unica cosa che ci accomuna, no? Quindi, di fatto, ecco che anche il patriottismo declinato, pensate anche al discorso di non delle radici, no? Ecco, il legame, noi siamo così perché siamo nati qui, è quel famoso Bluttenboden, cioè terra e sangue, che era lo slogan dei nazisti. Ecco, questo a che cosa ha portato?
Bisogna fare attenzione perché questi processi avvengono e non ce ne accorgiamo, non arrivano di colpo, però ecco, il rinchiudersi, come sta accadendo un po'in tutta Europa, di nuovo, con tutta la città, i difetti e le critiche che vanno fatte all'Europa Unita, però intanto se escludiamo il caso adesso adesso e poi dell'ex Jugoslavia del 91 è l'unico periodo della storia in cui siamo stati 60 anni senza farci una guerra, ritornare a chiudersi negli statali, nei nazionalismi ci riporta una storia di conflitti, di separazione, di divisioni e vediamo che siamo in un periodo critico. Lei si è fatto... Si è dato delle risposte a questo momento storico particolare in cui sta vivendo l'Europa.
Lo citava anche leggendo il libro, usando delle metafore calcistiche. Ci sono paesi che si chiudono sempre più, per esempio lei parlava della Croazia, nel loro essere slavi o paesi, o pensiamo per esempio a paesi che si stanno indurendo da questo punto di vista. la Polonia, l'Ungheria, invece paesi che cercano faticosamente, ma anche con delle spinte interne di senso totalmente opposto, come la Francia, di accettare la propria mixité, la propria mescolanza. Come la interpreta questa?
Perché diceva che siamo stati tanti anni senza guerra e in effetti adesso è un periodo in cui non possiamo più essere così tranquilli. Purtroppo no. No, beh, è chiaro che qui abbiamo avuto questo momento che forse era anche...
purtroppo spesso si dice la storia magista, la storia maestra di vita, non impariamo mai niente dalla storia. Perché c'è stato forse un periodo di pace e anche di, diciamo, senso di provare un sentimento di essere europei? Uscivamo da cinque anni di guerra, di distruzione, di violenza. C'era la volontà in quelle generazioni di tutta Europa, di politici con Europa, di mettere finalmente fine a questa tragedia.
Il nazismo, la Shoah, la guerra, cinque anni di fame, morti. E infatti, io continuo a dire, abbiamo la Costituzione che è la più bella, ma non lo dico, non sono nazionalista, però è un capolavoro la Costituzione, perché guardate che questa è la riprova, si erano messi assieme i migliori intellettuali, cattolici, socialisti e comunisti, e ogni parola è pesata. Non sapete che la Costituzione, dopo averla scritta, è stata fatta leggere a tre maestri elementari, perché doveva essere comprensibile da tutti.
C'è un passaggio che è interessante perché è raffinatissimo. C'è un articolo, non ricordo il numero, quello in cui dice che lo Stato italiano tutela la salute di ogni individuo. È l'unico articolo dove non c'è la parola cittadino. Cioè vuol dire che noi, lo Stato italiano, cura chiunque. È un passaggio di una civiltà enorme.
Queste, chi ha scritto la Costituzione, aveva vissuto questa tragedia del fascismo, della guerra, aveva la volontà di cambiare. Purtroppo questa generazione è finita, sta finendo. Abbiamo ancora Liliana Segre che ha fatto un discorso stupendo la settimana scorsa.
Le nuove generazioni si sono già dimenticate di tutto questo. Quindi proprio non avere memoria né esperienza di... di questo passato così tragico ci mette a rischio di...
Sant'Aiana diceva che chi non conosce il passato è condannato a ripeterlo, ma perché non è stato volutamente tenuto vivo? Cioè la memoria muore con noi, bisogna che la comunità, la collettività mantenga viva attraverso dei rituali o attraverso delle esperienze vissute. Se invece lo si lascia o addirittura in molti casi lo si boicotta o lo si squalifica, ecco che allora tutta questa esperienza accumulata si cancella e si riparte con gli stessi errori di prima.
Ci sono varie domande che chiedono se lei è a corpo, se il bullismo può essere considerato una forma di razzismo, se l'omofobia può essere considerata una forma di razzismo. Quali possono essere individuate nei comportamenti attuali alcune trasformazioni del razzismo? Allora, il bullismo direi di no. Non possiamo proprio considerare fuori di razzismo perché sono più delle manifestazioni estemporanee o così che nascono.
Di fatto sono poi forse delle esasperazioni di cose che c'erano anche prima. La differenza è che oggi si mette su... C'è una parola oggi diciamo? C'è una parola e soprattutto perché si mette in rete e lo vedono tutti. Una volta quello che succedeva finiva in classe e non lo vedeva nessuno.
Ma quello no. Ecco, sull'omofobia possiamo invece già parlare. Allora, noi usiamo la parola razzismo forse perché non ne abbiamo di meglio.
Perché in caso dell'omofobia non c'è un'idea di razza. Ma se andiamo a vedere neanche nella versione verso gli astrenieri c'è un'idea di razza oggi. Perché per esempio vuol dire, oppure c'è, in Italia non è molto, in Francia è molto più forte la cosiddetta islamofobia, quindi non è neanche una questione di razza, ma parliamo di discriminazione in senso generale. Ecco, l'omofobia sicuramente lo è nel senso che anche qui, che cosa faccio? Crea una categoria di persone a cui attribuisco degli mali, degli atteggiamenti negativi di qualcosa per cui...
Li temo oppure li voglio discriminare in qualche senso, li ritengo diversi da noi. Ecco, ci sono varie forme di discriminazione, alcune appunto anche terrorizzate, altre no. Allora io vi inviterei a fare...
ecco, di nuovo Andrea... no, non è Andrea ma... Vediamo se c'è qualcun altro solo per non...
Vabbè se lui vuole fare, fai. Sì, sì, gliela facciamo fare. Era solo per dare il bevo così.
Non facciamo le quote, tutti i maschi fanno... Allora, è una domanda che in realtà in parte ha già risposto durante tutto questo lungo discorso. La mia domanda in realtà è anche abbastanza corta e semplice.
ma la risposta penso sia complessa. È possibile sconfiggere il razzismo? E se sì, lei come agirebbe? Bravo, perché è proprio un tema a cui dovevamo arrivare.
Ci sono molte domande di questo tipo. Se il lavoro di integrazione può essere considerato una lotta contro il razzismo. E poi, che questo viene dal liceo artistico preziosissimo Sangue di Monza. E poi le aggiungo una domanda che a me piace tanto.
dell'istituto Chiarulli di Acquaviva delle Fonti, come capire se i propri familiari sono razzisti e cosa fare per provare a cambiare il loro pensiero. Insomma, cosa fare? A questa possiamo rispondere, portagli un fidanzato o fidanzata nero e vedi se sono razzisti.
E vedi come reagisce. Poi porta anche un laziale. O laziale, casomai.
E vedi che succede. O anche interista e milanista, visto che siamo a Milano, potrebbe essere quello. No, riguardo alla domanda di...
come ti chiami? Tiberio. Allora, è possibile e infatti lo si è già fatto.
Non pensiamo di abolire... cioè che tutti smettano di essere razzisti. Come si dice, la mamma di imbecilli è sempre incinta. Quindi ci sarà qualcuno che sarà sempre in questo... che avrà questo atteggiamento, però come?
Come è? Sono diversi elementi. Uno è la conoscenza.
Ecco, rendersi conto del fatto che queste divisioni razziali o culturali, quando si parla di sconto di culture, sono delle costruzioni, perché poi se andiamo a smontarle ci accorgiamo di quanto siamo. L'altra è l'esperienza. Quindi conoscenza ed esperienza. Racconto un aneddoto che mi era capitato molti anni fa, quando avevo 17-18 anni, ce l'ho ripescato nella memoria.
Incontro sotto casa un pensionato, il quale aveva un portacenere, e mi dice l'ho comprato da un marocchino, però era una brava persona. Quindi continua a chiacchierare e mi dice che lui era lì, che giocava a carte al circo con i suoi amici, arriva questo marocchino, questi venditori ambulanti, una volta, poi non so neanche, chissà se era marocchino, comunque si mettono a chiacchierare, compra questo portacene, lui gli offre un caffè e poi sempre continua a raccontarmi. Mi raccontava questo signore quanto è dura essere lontani da casa, tutti che ti trattano male, ti guardano senza la famiglia. Questo pensionato diceva, e io lo capivo perché io sono stato sette anni in Belgio, nelle miniere, dove a noi italiani ci trattavano male.
Allora, cosa era successo inconsciamente? Quella mezz'ora che sono stato insieme, inconsciamente, lui aveva estratto quella persona che era vicina alla categoria Marocchini, che per lui non erano brave persone. E si era rapportato da uomo a uomo e che cosa aveva scoperto?
Di avere in comune l'esperienza dell'essere costretti a emigrare, che forse non aveva con gli amici con cui giocava a carte, ma la condivideva con lui. Ecco che di colpo quello era diventato una brava persona. Mi dico perché io ho recuperato questo episodio nella memoria, perché l'ho rivisto uguale, molto più bello, in quel bellissimo film di Clint Eastwood che si intitola Gran Torino.
in cui lui impersona l'americano reazionario, razzista che odia gli asiatici perché è andato in Vietnam e le ha prese, ai vicini asiatici, dopo un po'familiarizza e dice ho più in comune con loro che con i miei figli. Ecco, molto spesso razzismo, disfidenza, xenofobia, le varie... nascono dal fatto che tu quell'altro non gli hai mai parlato assieme, no? Nella zona... Treviso che conosco e che ho molti amici, che è una zona dove la Lega prende il 70%, poi gli imprenditori trevisiani hanno metà degli operai stranieri e tutti dicono, ah ma i miei sono bravi, e li aiutano, li aiutano a trovare casa, li aiutano a mettere in sirego, i miei sono bravi, gli altri no, perché?
Perché non li conosci. E poi il che, attenzione, non cadiamo nella retorica opposta che tutti sono bravi gli altri. Bravi, cattivi come tutti noi.
Il razzismo lo sconfiggi con l'incontro, l'esperienza e la conoscenza. E l'esperienza è lo scambio, è incontrarsi. E a volte l'incontro è casuale, oppure la scuola ha un ruolo fondamentale.
Perché allora quando comincerai ad avere amici cinesi, africani, asiati e così, sarà normale avere questa... Io visto che ci sono molti ragazzi giovani aggiungo anche l'esperienza del viaggio che può... Il viaggio sì. Diciamo che è sempre da incoraggiare mi sembra per poter aiutare ad aprire gli orizzonti.
Se volete io posso raccontare esperienze in cui sono stato visto io come il selvaggio. In Africa spesso mi ponevano domande in cui ai loro occhi ero io il primitivo. A me una volta in Francia, in una discoteca in Francia, da giovane studente napoletana mi hanno chiesto se avevo l'acqua calda a casa, quindi voglio dire ci sono dei momenti di... Allora...
quando viene a Milano e chiede se parla di me. Sono dei momenti bassi per tutti noi. Le leggo questo qui che la può mettere un po'in difficoltà, la seconda A del liceo Banfi di Vimercate. Buongiorno, vorremmo chiederle se, secondo il suo parere, un luogo comune condiviso da un gruppo più o meno vasto di persone può essere considerato anche un meccanismo di difesa per gli usi e costumi del medesimo gruppo, ossia per la sua identità. Questo torniamo un po'al tema di cui parlavamo prima, no?
Oddio, anche una forma di tribalismo, però lo lascio dire a lei. Sì, no, quello che suggeriscono è vero. Allora, il problema è l'identità, che cosa sono? Sono un qualcosa che noi abbiamo dentro e allora ricadiamo nel paradigma del razzismo.
Oppure l'identità è un qualcosa che costruiamo Assieme agli altri? Assieme agli altri. Allora, intanto partiamo da questa parola balorda.
Identità ha un difetto. La finale non ha il plurale. Non si riconosce, per cui fa singolare.
Invece, noi se proprio vogliamo, non possiamo fare a meno dell'identità. Ne abbiamo diverse. Cioè, qui in questo momento voi avreste la vostra identità di studenti.
Quando andate allo stadio, ognuno avrà l'identità della squadra per cui... se quando va a votare avrà un'identità politica, avrà un'identità religiosa, sarà un fan di Vasco Rossi o di Mahmood, ognuno a seconda del momento, se siamo a tavola, se uno è vegetariano è più importante l'identità vegetariana che non la sua idea politica, quindi di fatto se per identità intendiamo di appartenenza, allora ne abbiamo tante che non vale la pena, cioè giochiamoci. Se invece ci chiudiamo nell'idea che noi siamo del tutto diversi dagli altri, ecco, ricadiamo nel paradigma della razza. L'identità è un qualcosa che cambia continuamente, è un qualcosa che è come un cantiere che non chiude mai, che lavora sempre, smonta, rimonta, e guardate che quella che chiamiamo identità, come vi ho detto, è fatta con pezzi che vengono da altre culture. Cioè non è l'orologio un meccanismo preciso, è un po'come il vecchio motorini, smonti un pezzo da uno, lo monti sull'altro e funziona lo stesso.
Quindi se volete avere delle due metafore perfette per capire come funzionano i meccanismi culturali, sono il cibo e la musica. Voi pensate, i due piatti identitari italiani, spaghetti e pizza. Il primo è cinese, il secondo è arabo e su tutte e due mettiamo il pomodoro che viene dall'America. E sono i piatti identitari italiani e potremmo fare tantissimi esempi. La musica è lo stesso, si mescola e nasce un terzo genere.
Metti assieme dei generi diversi e nasce qualcos'altro. Perché la musica si rinnova continuamente? E'esattamente quello che accade alle nostre culture. Però professore, mi correga se sbaglio, è proprio questo un po'l'elemento difficile da accettare.
che spaventa qui si parla di difesa di usi e costumi in realtà l'idea che questi usi e costumi con l'arrivo di altro siano destinati a cambiare ma questi usi costumi questi usi costumi sono già di altri probabilmente venuti con con l'arrivo di altri lì c'è un po il discorso se vogliamo della tradizione no quando si pensa una cosa tradizionale Pensiamo qualcosa che è nato qua e si è sempre fatto così. Non è vero. Se voi vedete uno in giro, un uomo con un gonnellino a quadretti, pensate che è scozzese, giusto? O si veste da scozzese.
Bene, il kilt. Senza colori è stato inventato in Irlanda, è arrivato in Scozia tardi ed è stato fatto a colori con stoffe che venivano dalle fiandre in Belgio. Quindi un capo d'abbigliamento irlandese con stoffa belga diventa tradizionale scozzese.
Ecco, due elementi stranieri fanno un terzo che è tradizionale. Quindi quelli che chiamiamo i nostri usi costumi sono il prodotto di tanti mescolamenti e che come sono cambiati prima cambieranno. continuamente.
E poi forse non dobbiamo neanche immaginare dei cambiamenti repentini perché forse questo che spaventa ma sono cambiamenti nell'arco dei secoli diciamo che avvengono con molta lentezza e con una certa naturalezza poi quando sono... Allora no, giustamente dal liceo Gorgonzola cioè dalla quinta del liceo di scienze umane di Gorgonzola Ci ricordano perché secondo lei non viene sostituito il termine razza dall'articolo 3 della Costituzione, immagino quello in cui si dice che tutti gli uomini sono uguali per razza eccetera. Allora so che anche molti miei colleghi hanno firmato per abolirlo. Io non lo abolirei, ci aggiungerei l'aggettivo presunta o razza. Non dimentichiamoci lo che c'è stato il razzismo.
Allora gli individui sono uguali anche se... presunta razza, c'è qualcuno che... di presunta razza, perché non esiste la razza, ecco, ma non aboliamolo perché poi ci si può ritornare, non c'è scritto allora posso usarlo.
Non siamo ancora pronti forse per abolirlo. Ricordiamocelo che c'è stato il razzismo, non dimentichiamo che siamo stati i primi a fare le leggi razziali nel 38. Allora ragazzi, mancano due minuti, io se avete ancora una domanda in sala la prendo volentieri per... Così ringraziarvi della vostra pazienza e della vostra attenzione, altrimenti prendo una domanda dal liceo De Ruggeri di Massafra, spero dirlo bene, secondo lei il Covid ha aumentato il razzismo mondiale?
Se sì, come? C'è stato sicuramente un aumento di discriminazione, prima nei confronti dei cinesi perché si attribuiva a loro. Poi c'è stato, ecco, il Covid ha messo in gioco più che razzismo e discriminazione. I cinesi erano diventati l'altro per eccellenza all'inizio. Poi è toccato a noi italiani essere altri, perché siamo stati i primi in Europa.
Allora, tutti additavano gli italiani come gli untori, no? Poi l'hanno preso tutti perché il Covid è democratico e colpisce tutto. Però di fatto, ecco, il Covid è incurioso perché ha messo in luce all'inizio Per un momento c'è stata l'idea che questa battaglia o la vinciamo come specie umana o non la vinciamo.
E'durato poco, siamo ricaduti nei litigi, nelle gelosie tra nazioni, chi si prende prima, nelle rivalità, mentre invece questa battaglia o la si vince tutti assieme o la si perde tutti assieme. Forse c'è qualche professore che magari si è sentito... messo in difficoltà o in stimolato che magari immagino che nel quotidiano ha i problemi più forti.
Vuole prendere il microfono così la sentono anche in streaming per cortesia. Ecco arriva Volevo chiederle questo, far capire anche ai ragazzi che questo discorso è un discorso che vale anche nella differenza di genere, no? Considerare l'altro, quindi la donna, e l'altro in quanto diverso e pertanto inferiore ed è questo che bisogna combattere. Volevo che lo dicesse lei con la sua autorità, la sua autorevolezza. Ed è una domanda che torna anche a me.
Sono anni che noi ne parliamo in classe, insomma, con le scuole, con le ragazze e mi piace proprio sottolineare questo aspetto. Anche per sgombrare un po'il campo dalle solite cose, non sono una femminista, non voglio esserlo, mi piace essere donna ed è questo che voglio far capire alle mie studentesse e ai miei studenti. Sì, allora anche qua non possiamo parlare di razzismo ma di discriminazione. Questo è vero, questo è un retaggio che ci portiamo dietro e è abbastanza trasversale, con gradi diversi, ma un po'in tutte le società, cioè il predominio maschile che è legato ancora al retaggio antico della forza fisica che faceva la differenza. Purtroppo questo ci fa vedere come siamo lenti a cambiare, cioè ormai la forza fisica non è più l'elemento discriminante.
ma la prevalenza del maschile è ancora forte. Certo, è curioso perché non è specifico di qualcuno o di qualcun altro, ma con gradi diversi, sicuramente tra, basta vedere cosa accade adesso in Iran, e forse la Svezia, ci sono grosse differenze, però è vero questo, che c'è la discriminazione, se viene fatta sulla base... del genere e non dell'individuo, è un equivalente, è come dire che le donne sono una razza, non è così però, è sempre inquadrare il gruppo, classificarlo. Di fatto ogni forma di razzismo o discriminazione che cosa fa? Spersonalizza l'individuo e lo etichetta come parte di un gruppo.
Sei un nero, sei un islamico, sei una donna, un omosessuale, come se fossero tutti uguali, che poi non è vero, ci sono altrettante differenze all'interno del gruppo. Quindi ecco la discriminazione, la classificazione per genere è un equivalente delle forme di discriminazione. non razziali ma di genere, una delle tante forme. Prego, grazie a lei. Allora grazie ragazzi, salutiamo anche i ragazzi che hanno partecipato dalle varie scuole d'Italia, diciamo che mi sembra che in conclusione l'invito è a studiare e viaggiare.
Professore vuole una battuta finale? No, si stanno alzando perché li salutiamo. No, no, no, va bene così. Un'ultima riflessione.
Il viaggio è uno dei modi perché quando viaggi all'estero sei tu quello diverso. Ecco, provare a essere dall'altra parte è un'esperienza utile. Quando sono gli altri a chiedere a te. Quando io ero in Africa una volta mi hanno chiesto, è vero che in Europa si paga per dimagrire.
Ecco, immaginatevi cosa vuol dire visto dagli altri. Viaggiare serve per essere dalla parte sbagliata una volta tanto e capire come gli altri guardano te. Grazie.