Autore dei sottotitoli e revisione a cura di QTSS Francesco Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304. È figlio di Ser Petracco. un notaio fiorentino costretto all'esilio. Nel 1309 la sede del papato viene spostata da Roma ad Avignone. Poco dopo Ser Petraccovi si trasferisce. Francesco compie studi giuridici a Montpellier, poi a Bologna, dove probabilmente si avvicina alla poesia in volgare.
È il 1320. Dante morirà l'anno dopo. Alla morte del padre, Francesco, 22 anni, decide di prendere i voti e si mette al servizio del vescovo Giacomo Colonna, ad Avignone. Viaggia al suo seguito in diversi paesi europei. D'ora in poi si dedicherà spessissimo a fare il suo lavoro.
a incarichi diplomatici il 6 aprile 1327 ad avignone incontra laura le dedicherà il suo capolavoro una vasta raccolta di poesie in italiano intitolata rerum vulgarium fragmenta ma più nota come canzoniere nel decennio successivo inizia ad acquisire fama con le sue opere latine come l'africa e il de viris illustri bus soggiorna il più possibile a balchiusa una località isolata nei pressi della città papale legge agostino nel 1337 scoppia tra Francia e Inghilterra la Guerra dei Cent'anni. L'8 aprile 1381 è incoronato poeta in Campidoglio. Ormai viaggia spesso in Italia. Napoli, Roma, Firenze, Parma, Mantua, Ferrara, Padova.
A Verona rinviene e copia una parte delle lettere di Cicerone. Continua ad avviare nuove opere. Il Secretum, il De Vita Solitaria, il Bucolicum Carmen e in italiano i Trionfi.
Nel frattempo gli sono nati due figli illegittimi. A partire dal 1381. 1347 la peste nera stermina almeno un terzo della popolazione europea. Tra le vittime c'è nel 48 Laura. Stringe amicizia con Boccaccio, di nove anni più giovane.
Segue con attenzione le vicende della rivoluzione di Cola di Vienzo a Roma. Quando Cola viene ucciso nel 1354 Petrarca ha appena deciso di lasciare definitivamente la Francia. Vivrà presso la corte dei Visconti a Milano, poi a Padova, Venezia, Pavia.
Lavorerà fino all'ultimo a opere vecchie e nuove e alla nona stesura del canzoniere. Muore ad Arqua nel 1374. Tre anni dopo la sede papale torna a Roma. Oggi parliamo di Petrarca, di lui pensiamo di sapere già molte cose, che è il più grande poeta d'amore italiano, che era un uomo innamorato pazzo di Laura, che ha scritto il canzoniere, al cui interno troviamo i versi chiari, freschi, dolci, acque.
che è anche l'erede di un'importante tradizione poetica, anzi no, il fortunato, abile erede di molte tradizioni. La lirica di Petrarca sarebbe impensabile senza quello che c'è stato prima, quindi senza la... tradizione della grande poesia d'amore, dai trovatori alla lirica siciliana, allo stil nuovo, Dante in particolare, con cui lui ha un rapporto molto complesso e molto importante.
E poi naturalmente i classici, troviamo nel canzoniere, non so, Orazio, Ovidio, ma anche molti altri autori classici. Troviamo la Bibbia, troviamo i padri della Chiesa e in particolare direi che troviamo Agostino e infatti il titolo stesso, Re, un vulgare, un fragmento. appunto frammenti di cose volgari, in realtà si rifà a questa bellissima idea di Agostino per cui scrivere vuol dire rimettere insieme i frammenti della propria vita.
Rimettere insieme i pezzi. Oggi parliamo di Petrarca, parliamo di come ci si può salvare. All'anagrafe di Roma, per chi nomi sono importanti. Insomma, quanto conta? Alcuni grandi hanno scelto di chiamarsi Bob Dylan.
Stendhal, Madonna, Papa Francesco, altri ancora prima di diventare grandi hanno osato fare lo stesso passo e scegliere il proprio nome. Francesco di Serpetracco ha scelto di chiamarsi Francesco Petrarca. bene Petrarca, forte, solenne, ma proviamo a giocare con questo nome che non è stato scelto a caso. C'è dentro un'arca, di pietra addirittura, un'arca che è una cassa che serve a salvare cose importanti, preziosi, un forziere che custode. custodisce tesori, il sarcofago di un grande uomo, oppure ciò che porta in salvo la vita sulla terra, l'arca di Noè.
Petrarca è l'intellettuale più ammirato nell'Europa del 300. Godde di grande visibilità e nessuno si è mai raccontato come lui. Petrarca ha anche qualcosa da salvare. Per capire cosa, bisogna salire sul Campidoglio.
Nel 1347 Cola di Rienzo cerca di fare di Roma un libero comune. Approfitta del fatto che i papi ora risiedono ad Avignone, fallisce e viene linciato dal popolo romano sette anni dopo. Anche Petrarca non crede più in lui.
All'inizio l'aveva sostenuto con passione, così come ha denunciato con forza la corruzione della corte avignonese. La statua è dell'Ottocento, né bella né brutta, ma lui sarebbe contento di vederla qui. I versi di Valentino Zaichen confrontano la contemporaneità con la tradizione classica. Un duello a colpi di ironia e di erosi ci fa da guida per riflettere su Petrarca, a colpi di Roma e di amore.
Petrarca rivendicava la sua autonomia. di poeta nonostante frequentasse i signori e le corti. Come la vede? Lui è un dottore della legislatura, quindi essendo un grande avvocato, un grande rettore, secondo me è vicino al potere, è congruo al potere, ma questo non significa che questo metta a repentaglio la sua autonomia poetica.
Petrarca fa una scelta inequivocabile, prima con i colonne nella fase avignonese, poi con tutti i signori della Valle Padana. fino ai da Carrara, Azzo da Correggio, i Visconti a Milano. Questa scelta che Petrarca fa provoca lo sdegno, lo sconcerto dei suoi amici di Firenze.
Ed è una scelta politica, strategica. Da qui nasce l'umanissimo. Petrarca decide che occorre avere il mecenate. Senza il mecenate la rinascita delle lettere, della cultura, delle arti, non avrà le gambe per camminare. Francesco Petrarca a Giovanni Boccaccio Tu rilevi che ho sprecato una buona parte del mio tempo alla Corte dei Signori.
Per non dare spazio a equivoci voglio che tu sappia la verità. Sono vissuto apparentemente con i potenti, in realtà furono loro a vivere con me. Mai interveni ai loro consigli e molto raramente ai loro banchetti. No. Non mi sarei mai potuto adattare ad un sistema di vita che mi privasse anche un po'della mia libertà o mi distraesse dai miei studi.
Perciò, mentre gli altri correvano a palazzo, io cercavo il bosco o mi rinchiudevo fra i miei libri nella mia stanza. Non so se è chiaro, Francesco Petrarca scrive al suo amico intimo Giovanni Boccaccio e lo fa non per ragioni particolarmente edificanti, forse lo fa per giustificarsi, per dire all'amico, guarda non mi interessa il potere, non mi interessano i potenti, ciò che mi interessa davvero sta nella mia stanza, tra i miei libri. Ma allora che cosa vuole custodire Francesco Petrarca?
Petrarca certamente vuole salvare i classici, è letteralmente innamorato della grande letteratura greca e latina che il medioevo ha quasi spazzato via, come un diluvio universale. Ma si può dire che il medico è un po'più forte, ma non è così. che il Medioevo sia finito con Dante.
Petrarca è un grande anticipatore di quella stagione di riscoperta della cultura classica che sarà detta umanesima. Questo corrisponde a un bisogno vitale, cioè il fatto che lui si sente a disagio nel presente e quindi piuttosto si rivolge al passato oppure al futuro, diciamo più che al mondo in cui si trova così a disagio, in cui non si trova bene per niente. Con questo mondo antico lui installa un rapporto alla pari, non ha più questo senso di sudditanza come poteva esserci nel Medioevo.
Parla di un manoscritto parziale dell'istituzione di Quintiliano. E allora scrive a Quintiliano e gli dice ma da qualche parte però tu ci sarai, non più questo corpo lacerato, ma tutto intero, io ti voglio incontrare. Eccolo qui, il corpo mutilo dei classici che Petrarca intende ricompondere.
Lo fa anche scrivendo ad alcuni autori morti da secoli. Omero, Virgilio, Razio, Seneca sono tra i destinatari delle sue lettere familiari. Scrive anche a Cicerone, dopo aver ritrovato a Verona alcune lettere che Cicerone scrisse all'amico Attico.
A Marco Tullio Cicerone dal mondo dei viventi sulla riva destra dell'Adige nella città di Verona nell'Italia transpadana il 16 di giugno dell'anno 1345 dalla nascita di quel dio che non conoscesti. Francesco saluta il suo cicerone. Trovate le tue lettere dopo molte lunghe ricerche, là dove non avrei mai pensato, le ho lette con estrema avidità. Ti ho sentito dire molte cose, Marco Tullio, e molte cose deplorare, molte volte mutar parere.
E io, che da tempo sapevo quale maestro tu fossi stato agli altri, ora finalmente ho compreso chi tu fossi. Hai i tuoi stessi occhi, a tua volta, ora ascolta tu, dovunque tu sia. Molti anni dopo Petrarca raccoglierà tutte le sue lettere più belle, le familiari, le senili, cioè farà esattamente quello che aveva fatto Cicerone.
Il punto di partenza per lui è sempre l'antichità. Ma questo vale per tutti gli scrittori di allora, no? Dante per esempio. esempio.
Non ha anche lui un legame fortissimo con i classici? Da chi si fa accompagnare nell'aldilà? Da Virgilio. Ma il punto è proprio questo.
Dante in fondo senti Virgilio come un suo contemporaneo. L'arca, che ha appena 40 anni in meno, ha più senso storico, ne ha molto di più. Scrive lettere anche Virgilio, certo, ma perché lo fa?
Ecco perché. La civiltà classica è perduta, c'è un abisso che ci si para da lei e proprio per questo occorre comunicare con lei, recuperarla, salvarla, farla salire sull'arca. La civiltà classica deve fondare il presente.
Così come la sede del comune medievale, questa qui, sorge esattamente. sopra gli archivi della Roma imperiale. Franciscus Ciceroni suo salute. A dir la verità, Petrarca non scrive a Cicerone in italiano, ma li scrive in latino. E scrive in latino anche al suo amico intimo Giovanni Boccaccio.
Per Petrarca. il latino era la lingua, era la grammatica di riferimento. Il De Remedis Utriusque Fortunae è un libro di Petrarca, come anche il De Viris Illustribus, Irerum Memorandarum Libri, L'Itinerarium Syriacum, L'Ipsalmi Penitenziales, Il Bucolicum Carmen, il De Suis Ipsius et Multorum Ignoranza. A questi libri Petrarca affida la sua fama presso i posti. punta soprattutto su un poema in esametri latini intitolato Africa, poema che oggi non legge più nessuno.
L'Africa è il nuovo primo poema eroico dei moderni sulla scia dei grandi poemi dell'antichità. Solo che quest'opera, l'Afria, che racconta le guerre puniche, il grande suo eroe è Scipione, resta incompiuto, Petrarca non riuscirà mai a completare questo sogno. Eppure è talmente in grado, ha una capacità, Petrarca ha una caratteristica veramente straordinaria, ha una capacità relazionale, di pubbliche relazioni.
Un ufficio stampa di se stesso come non c'è mai stato. Petrarca si laurea con un libro che non ha neanche finito di scrivere. Non è soltanto un grande poeta, è anche un fuoriclasse dell'autopromozione.
Siamo qui sul Campidoglio per trovare il punto esatto di dove avvenne la cerimonia, dove ricevette la corona dall'oro. Il massimo riconoscimento letterario dell'epoca, una specie di Nobel per la letteratura, qui. nel cuore di Roma Antica.
Fu incoronato Petrarca come il poeta Magno, diciamo un Nobel. Qua sopra? Qua sopra, sì.
Io infatti sono più sotto come livello. Sono a Monte Caprino e invece sopra c'è il Monte Capidoglio. Vi ricordate che per Petrarca è fondamentale salvare ciò che è prezioso? Il colle è detto Arce Capitolina e l'acropoli, la Roccaforte, un luogo di riparo in tempi difficili. Arce, Acropoli, Arca, è sempre la stessa famiglia di parole.
Qui ci si metteva in salvo, qui si metteva in salvo ciò che più conta, la bellezza, la cultura. L'8 aprile del 1341, qui nella sala Giulio Cesare, dalle mani del senatore Orso dell'Anguillara e circondato da una folla di romani plaudenti, Francesco Petrarca, che non ha ancora 37 anni, riceve la corona d'alloro che lo decreta poeta. Francesco Petrarca è salvo. Ma è angosciato. Non trova pace.
Teme di perdere ciò che ha di più prezioso al mondo. Laura è la donna a cui Petrarca dedica il suo canzoniere. Vi lavora per 40 anni, sposta, lima, corregge, silenziosamente e racconta quasi sempre, ossessivamente, del suo amore per lei.
Francesco ha 22 anni quando la vede per la prima volta. Siamo ad Avignone, nella chiesa di Santa Chiara, pochi giorni prima della Pasqua del 1327. Da quel momento in poi la grande eposia di Petrarca sarà solo per lei, sarà per Laura. Chiare fresche e dolci acque ove le belle membra pose colei che sola me pardonna, gentil ramo ove piacque con sospirmi rimembra. a lei di fare al beb fianco colonna, erba e fior che la gonna leggiadra ricoverse con l'angelico seno, aere sacro sereno, ove amor cobe gli occhi il cor ma perse, date udienza insieme alle dolenti mie parole estreme. Dai berami scendea, dolce nella memoria, una pioggia di fior sovra il suo grembo, ed ella si sedea umile in tanta gloria, coverta già dell'amoroso nembo.
Qual fior cadea sul lembo, qual sulle trecce bionde, coro forbito e perle, era in quel dia vederle. Qual si posava in terra e qual sull'onde e qual con vago errore girando parea dir, qui regna amore. Quante volte dissi io allor pien di spavento, costei, perfermo, nacque in paradiso, così carco d'oblio il divin portamento, il volto e le parole. il dolce riso ma vean e si diviso dall'immagine vera chi ha di cià sospirando qui come veni io o quando credendo essere in ciel non laddovera da indi in qua mi piace quest'erba sì che altrove non ho pace Chiare fresche dolci acque ci presenta questo quadro meraviglioso diciamo di questa donna che si sta bagnando nelle acque ed è travolta da una pioggia di fiori. Evidentemente troviamo anche il ricordo di Beatrice nell'Eden, diciamo, solo che è una Beatrice molto terrestre, è una Beatrice che si sta bagnando a Valchiusa sotto gli occhi innamorati appunto del poeta.
Torna il tema della rievocazione collegato a queste immagini bellissime appunto dei fiori che fanno sì che le perle, cioè i fiori bianchi, si collochino sull'oro dei capelli. È una visione, diciamo, beatifica, tanto che lui pensa di essere in paradiso. La laura del canzoniere ha una forte presenza, come ad esempio in questa bellissima canzone, e sostanzialmente, diciamo, è l'oggetto del desiderio del poeta, è la sua ossessione, per cui, diciamo, giustamente è stato detto che il canzoniere è il testo che dà più spazio all'io desiderante, diciamo, all'io lirico.
Laura esiste davvero ed è una donna bellissima, ma la bellezza deve fare i conti col tempo che passa. E allora, come salvarla? Come si è sempre fatto, forse?
Cioè con la poesia. Facciamo un esempio. Io prendo questa foglia di Lauro e proviamo.
Tentativo di esaurimento dei salti mortali che Petrarca esegue nel canzoniere attorno al nome di Laura. Laura è un duro Lauro piantato nel mio cuore. E poi è un dolce lauro in cui fanno un nido i miei pensieri. E poi è un'aurea fronda o un verde lauro di giovinezza in cui spira l'aura celeste. Oppure l'aura, cioè il vento, agita l'aurea chioma di l'aura fatta di fili d'auro, cioè d'oro, tessuti da amore.
Cercare di far innamorare l'aura è possibile? No di certo, sarebbe come voler catturare con una rete Laura, il vento. Sfuggirà sempre. Forse perché Laura è Daphne.
Daphne, la linfa, quella che fece innamorare Apollo, dio della poesia, e che per sfuggirgli si trasformò in una pianta di Lauro. Per questo si deve amare il Lauro. E la gloria, e la laurea poetica, l'oro dei versi, il vento della fama, il soffio delle parole.
E se Laura morirà, vedendo scendere dal cielo, l'aurora, diremo, lì c'è Laura, ora, di sé non c'è lasciato altro che il nome, eccetera, eccetera, eccetera. Nella elaborazione stilistica delle sue rime Petrarca ci lavora per 40 anni, praticamente il manoscritto finale del canzoniere è lì, accanto al letto in cui muore. In questo lunghissimo periodo di rielaborazione continua, Petrarca cerca una uniformità linguistica e stilistica.
Le poesie si scrivono, si sono sempre scritte una per volta. Il progetto di Petrarca è anche qui montarle, metterle insieme perché costituiscano un libro. Ma anche nel momento in cui il libro viene costituito inizia a prendere forma, questo nei 40 anni. le forme che Petrarca dà si fanno e disfano continuamente, è un lavoro di costruzione e decostruzione continua, c'è anche un lavoro sul versante strettamente linguistico, appunto la ricerca della uniformità, cancellare le stratificazioni del tempo, come se l'ultimo ritocco appartenesse al tempo più antico, cancellare la riconoscibilità del tempo e lavorare sul gioco retorno. Grazie a tutti.
Petrarca ha soprattutto una grande eleganza, tutto è così, inesorabilmente elegante. È uno che plasma la lingua con una morbidezza straordinaria, cioè veramente sembra un grande scultore, uno scultore della lingua, ma non uno scultore diciamo come lo è Dante, ma che abbandona, diciamo così come Medardo Rosso, che lavora con la cera, ecco. La forma poetica di Petrarca è sempre a una morbidezza, una dolcezza, che non è così drastica, dura, scabra, diciamo, pazzamente ritmata.
come quella di Dante, no? C'è un abisso, eppure non sono molto distanti. Però esiste una distanza proprio della visione storica e anche della visione estetica.
E quindi Petrarca è qualcosa di nuovo, di inatteso. Lo stile, il linguaggio di Petrarca è estremamente selettivo, rarefatto. È un linguaggio che usa un numero piuttosto limitato di lemmi. circa 3000, dove ad esempio c'è una ricorrenza incredibile di dolce, quindi caratterizzato proprio con la scelta di uno stile medio, di un'eleganza che pone la poesia al di fuori del tempo.
Il gioco retorico, Laura, Lauro, è legato alla tradizione anche medievale delle rime equivoche, dei giochi di parole, ma lì c'entra due segnali. per dirla in termine della poesia provenzale, che sono fortissimi. Da una parte la loro come aspirazione appunto alla poesia, dall'altro Laura come segnale della donna amata, che è anche la poesia però.
Tutto un gioco equivoco che si rafforza semanticamente in un verso e nell'altro. Quanta maestria tecnica, tutta al servizio di un doppio ritratto. Naturalmente di Laura, ma poi anche di Petrarca stesso, che si indaga con una profondità. e una crudeltà psicologica davvero inedita. In questo Petrarca va benolte tutta la poesia d'amore che l'ha preceduto.
Ascoltate per esempio che cosa scrive Dante. Io sono stato con amore insieme, dalla circolazione del sol mia nona, e so come egli affrena e come sprona, e come sotto lui si ride e geme. L'amore fa ridere, fa gemere, e tratta gli uomini come un tiranno. Per Petrarca tutto questo è vero, ma... va ancora oltre, perché l'amore, la sofferenza, la gioia e il dolore sono comunque sempre benedetti, perché da amore provengono.
Cantai, or piango. Et non men di dolcezza del pianger prendo che del canto presi, cala cagion non all'effetto, intesi sono i miei sensi vaghi pur d'altezza. Indi e mansuetudine e durezza e atti feri e umili e cortesi porto egualmente, né me gravam pesi, nell'arme mie punta di sdegni spezza.
Tengan dunque per me l'usato stile. Amor, Madonna, il mondo e mia fortuna, chi non penso essere mai se non felice. Viva o mora o languisca, un più gentil stato del mio non è sotto la luna.
Si dolce è del mio amaro la radice. È una poesia sulla felicità, ma una felicità amara come una radice, nera, lunare, saturnina, una felicità che si può raggiungere soltanto attraverso le negazioni. Tornando alla poesia, Petrarca di sé racconta Io non manco di dolcezza, non mi gravano pesi, non penso di essere mai se non felice.
Una condizione più gentile della mia non c'è. Quante negazioni e quante verità in questo groviglio di gioia e di sofferenza. Laura non ricambierà mai apertamente l'amore di Francesco, ma non è questo il punto.
L'angoscia lui ce l'ha proprio dentro e non vuole nasconderla, forse neppure guarirne. Anche l'angoscia deve essere raccontata, tramandata ai posteri. Anche l'angoscia va salvata.
Nel salvarla, infatti, c'è uno strano, complicato godimento. Petrarca ne parla in un'opera la... ...straordinariamente moderna, il Secretum, un dialogo immaginario tra lui e Sant'Agostino. Tu sei preda di una terribile malattia dello spirito, che i moderni chiamano Acidia e gli antichi Egritudo. Solo il nome mi spaventa.
Ovvio, ne sei afflitto da tanto tempo. E gravemente. È vero.
E per di più, mentre in tutti gli altri mali che mi tribolano è mescolato un che di dolce, ancorché falso. In questa tristezza invece tutto è aspro e misero e orribile e la via alla disperazione è sempre aperta e tutto in essa fa sì che le anime infelicine siano sospinte verso la morte. Inoltre, delle altre malattie, sperimento attacchi frequenti, ma brevi, quasi momentanei. Questo flagello invece mi ghermisce a volte così tenacemente da tormentarmi nella sua stretta per giorni e notti intere. Allora per me non è più tempo di luce e di vita, ma oscurità d'inferno e strazio mortale.
E mi nutro a te. a tal punto di lacrime e dolori, con una sorta di disperata volutà. E questo si può ben definire il massimo delle miserie che me ne stacco a malincuore. Il Secretum è un testo strano, privato, privatissimo, Petrarca non ne consente una circolazione, che è una, oggi diremmo, una sorta di autore.
di autocoscienza di sé, di autoanalisi di sé, con l'interlocutore che è Agostino, il suo Agostino, Sant'Agostino di Ippona, che lo sottopone a un vero e proprio processo, a uno scrutino. di tutti gli errori che sta facendo, tutti gli errori, e lo rimprovera ferocemente. Ma il risultato di questo lungo processo è che Petrarca esce rafforzato nella convinzione di quella che deve essere necessariamente la sua strada, che non deve deviare dalla strada, che è la strada appunto del restauro, della rinascita delle lettere su modelli degli antichi, e al tempo stesso consegue la consapevolezza.
di quello che non tiene. È un testo per certi aspetti tragico, nel senso che emerge la consapevolezza di Petrarca della propria malattia, quella che lui chiama acedia, la depressione. Ma la terapia è inutile. Petrarca, il celebre poeta, continua a girare a vuoto.
Nel ventesimo anniversario dell'incontro con Laura, scrive Il 6 aprile 1327, alle 6 in punto del mattino, sono entrato nel labirinto e non vedo ancora l'uscita. Ma poi succede qualcosa. Laura muore.
La morte di Laura che Petrarca fa risalire al 6 aprile 1348, quindi in occasione della grande peste da un lato, ma dall'altro lato anche nello stesso giorno in cui secondo lui aveva visto per la prima volta Laura, segna effettivamente una cesura dall'interno del canzoniere, anzi dalla struttura al canzoniere, appunto a questi frammenti che diventano invece un libro, che diventano così un romanzo. Evidentemente il modello è Beatrice, diciamo, e infatti cambia la figura di Laura, che appunto da donna insensibile, da nemica, perché appunto non ricambia l'amore del poeta, diventa una figura salvifica nella seconda parte, appunto quella dopo la morte, dopo la canzone 264. Ma con Laura non muore soltanto Laura, muore la bellezza. Tutto. sembra morire.
In realtà però Petrarca il tutto lo ha già salvato e lo ha fatto con la poesia, solo che in questo caso la poesia cambia direzione, non è più Petrarca che si rivolge a Laura, è Laura che parla direttamente a Petrarca. C'è una bellissima canzone numero 359 che fa parte appunto della seconda parte del canzoniere, quella in morte di Laura, che rappresenta la donna che torna in sogno a... confortare il poeta.
Ed è da un lato la donna che appare in visione e ha gli stessi caratteri, la stessa dolcezza, la stessa bellezza con cui si è rappresentata in vita, suscitando l'amore del poeta. Ma nello stesso tempo è una visione e lei cerca di fargli capire questo, cioè fargli capire appunto che lui vede il suo corpo ma che questo corpo ormai è un corpo etereo, un corpo paradisiaco. E la canzone vive, la conclusione soprattutto della canzone, vive in questa tensione fortissima fra l'idea che ormai è sciocco, come dice Laura, non capire la nuova realtà di Laura, ma nello stesso tempo c'è questa dimensione fortemente emotiva per cui alla fine lei lo conforta e poi diciamo si scioglie la visione, il sonno finisce. Sono questi i capei biondi e l'aureo nodo di ch'io, che ancor mi stringe, e quei belli occhi, che fur mio sol, non errar cogli sciocchi, né parlar, dice, o credere al loro modo.
Spirito ignudo sono. E in ciel mi godo, quel che tu cerchi è terra già molt'anni, ma per trarti d'affanni mi hai dato a parer tale, e ancor quella sarò più che mai bella, a te più cara, si selvaggia e pia salvando insieme tua salute e mia. Io piango. Ed ella il volto con le sue mani asciuga e poi sospira dolcemente. Essa dirà con parole che i sassi romperponno.
E dopo questo si parte ella e il sonno. Nella tradizione lirica, prima di Petrarca, la tradizione che Petrarca conosce perfettamente, che ha divorato, ruminato, incorporato, anche per eliminarla, perché potesse restarci solo lui, il rapporto con la donna, con la donna amata, che è l'oggetto stesso su cui la poesia lirica in particolare nasce, dalla tradizione provenzale in poi, a un certo punto deve morire, è una sorta di passaggio obbligato. Anche Beatrice muore.
Deve morire perché la morte della donna amata serve a combinare il racconto che per Petrarca è fondamentale, cioè la sequenza delle poesie, come costruzione di una storia, di un romanzo anche, volendo. La donna muore. Quindi c'è la prima fase, il sonetto premiale, poi che dice questo, l'errore giovanile, io ho molto amato questa donna, poi il caso, oddio, ha voluto che morisse, adesso c'è la conversione. A una certa età si fanno i conti, bisogna dare senso alla propria vita, e lo fa anche Petrarca, questo uomo arca che vuole sempre salvare tutto, e vuole trovare anche un epilogo alla sua storia con Laura.
Lo fa con l'ultima opera che lui abbia scritto in volgare, I Trionfi. I Trionfi sono un'opera molto ambiziosa in cui Petrarca si ispira da un lato a Dante, alla Divina Commedia, infatti è un'opera scritta in terzine, d'altro lato si ispira alla grande tradizione allegorica del Medioevo e allo stesso tempo al mondo classico, perché appunto i Trionfi si ispirano alla tradizione romana per cui si faceva un corteo per esaltare la vittoria diciamo di qualche condottiero. Abbiamo la materia del canzoniere, però rivista in un'ottica universale, e quindi abbiamo il trionfo dell'amore, poi della pudicizia sull'amore, della morte sulla pudicizia, poi del tempo, poi della fama e poi dell'eternità.
E'un'opera rimasta incompiuta, che sicuramente non ha lo stesso valore, la stessa bellezza straordinaria del canzoniere. Ma è anche un'opera che ha avuto una grandissima fortuna in Europa, anche a livello iconografico, appunto per la traduzione in immagini. Pensate a questa immagine, una donna anima che di notte torna a trovare il suo amante ancora vivo. Non è già un quadro?
Nella seconda parte del Trionfo della Morte, Laura appara a Petrarca. È morta da poche ore e ora ha deciso di dirgli tutto. Ho sempre saputo che mi amavi, dice.
Ero felice del tuo amore. A volte l'ho incoraggiato, a volte respinto, ma solo per meglio governare la tua passione o la tua disperazione. L'unica cosa che non ti dirò mai è se ti amavo anch'io. Leggere questi versi ha qualcosa di incredibile, è come lacerare il sacro mistero di Laura, è come scoprire di cosa sorride la Gioconda, è come intervistare Pinocchio d'Adulto, è un epilogo spiazzante, a volte Petrarca esagera con la sua mania di salvare. E forse è per questo che i versi che tutti ricordano non sono questi, sono altri, stanno prima e sono veramente belli, sono i versi della morte di Laura.
Laura viene descritta non come vinta dalla morte, non è passiva, ma è lei a vincere la morte, quindi in un certo senso è una figura cristologica, cioè morte parea bella nel suo bel viso. si dice che non è pallida, che tradizionalmente è un colore legato alla morte, alla malattia, ma è bianca più che neve, quella è una bella descrizione della neve che cade, i fiocchi della neve senza vento. e si dice poi appunto che non è stata vinta dalla morte ma si è spenta poco a poco come la fiamma di una candela e questa è un'immagine classica ma è un'immagine anche che ha una presenza nella nostra cultura basta pensare a Elton John, like a candle in the wind e quindi diciamo forse anche per questo ci sentiamo così vicini a questa rappresentazione di Laura che muore, si spegne poco a poco ma in un certo senso vince la morte, conserva la sua bellezza bellezza anche al momento della morte. Non come fiamma che per forza è spenta, ma che per se medesima si consuma.
Se n'andò in pace l'anima contenta, a guisa di un soave e chiaro lume cui il nutrimento a poco a poco manca, tenendo al fine il suo caro costume. Pallida no, ma più che neve bianca, che senza venti, in un bel colle fiocchi, parea posar come persona stanca, quansi un dolce dormir nei suoi belli occhi, sendo lo spirito già da lei diviso, era quella che morir chiama agli sciocchi, morte bella. Laura morta com'è? E'come un calice di cristallo colmo d'acqua gelida che rimane intatta anche se la bevi a piene sorsate. Questa Laura tutta spirituale, tutta fatta di fede, domina la parte finale del canzoniere.
Ormai il... tempo stringe. La vita fugge e non si arresta un'ora, scrive Petrarca, e la morte la insegue a tappe forzate. Non ci si può più voltare indietro, rimpiangere vecchi sogni di amoro di gloria.
È tempo di salire al cielo, dopo aver salvato il classo. la bellezza, la poesia, è ora di salvare l'anima. Tutta la parte finale del canzoniere è un'instancabile, umanissima esortazione a cambiare radicalmente vita.
L'ultima poesia, poi, è una grandiosa canzone rivolta alla più virtuosa delle donne, la Vergine Maria, nella speranza di venire accolto in cielo. Questa chiesa si chiama Altare del Cielo, Ara Celi. Quanto alla poesia di Petrarca ha avuto uno strano destino, prima di tutto uno straordinario successo.
Con la fine del Quattrocento si indebolisce, anche se continua, la fama di Petrarca come scrittore latino, come grande umanista, e si afferma una straordinaria fortuna del canzoniere nella Lira. cioè il canzoniere veramente diventa il canone. Basta pensare che Pietro Bembo analizza, ad esempio, il primo sonnetto del canzoniere attraverso le varianti, attraverso le correzioni che Petrarca vi ha apportato. e fa vedere che così Petrarca raggiunge la perfezione.
Cioè questo sarà proprio l'aspetto di fondo, cioè chi vuole scrivere d'amore nel Cinquecento deve scrivere come Petrarca. Ed è una fortuna che in modo diverso però continua anche attraverso chi si pone contro il petrarchismo, perché è il modello con cui fare i conti. E un'altra cosa importante è che il petrarchismo diventa anche un modello di vita. Basta pensare ai belgici. bellissimi ritratti cinquecenteschi dove ci sono delle dame che hanno in mano il petrarchino.
E questo anche è importante per capire il successo di Petrarca non solo in Italia ma in Europa. Cioè il petrarchismo diventa anche un galateo, un galateo amoroso, ma anche come dire un elemento di autorappresentazione. Una moda, un modello, un modo per riconoscersi.
Nel Cinquecento i rami del petrarchismo si prolungano in tutta Europa, Una sorta di esperanto che lega i più grandi poeti di ogni nazione. A Petrarca si ispirano Francisco Sade Miranda, Juan Boscan, Clément Marot, Maurice Sev, Garcilaso della Vega, Thomas Wyatt, Henry Howard, Joachim Dubélé, Pierre de Ronsard, Louis-Vas de Camus, Edmund Spencer, Philip Sidney, Louis de Gongora, William Shakespeare. Il petrarchismo. Il fascismo è un fenomeno straordinario che non ha precedenti in paragone, è un fenomeno che così si chiama allora, non è un'invenzione dei critici, e la riprova che si ha a Pietrasi è una riprova che si ha a Pietrasi.
il padre fondatore della cultura europea moderna, si vede anche contrastivamente dal fatto che non è mai esistito un boccaccismo, un dantismo o un ariostismo, per dirla. Che cosa è accaduto? È accaduto nel momento in cui questa tipologia culturale di antico regime, che poi è il classicismo di cui Petrarca è padre riconosciuto fondatore, il classicismo umanistico, entra in crisi e cade con quello che avviene, gli sconvolgimenti europei tra il Settecento e l'Ottocento, la rivoluzione, il romanticismo e altro, questo modello culturale viene radicalmente eliminato.
E Petrarca? entra in disgrazia per dire così e assistiamo all'invenzione radicale, ma è una cosa davvero straordinaria, di Dante come padre della patria della lingua italiana, come figura totalizzante l'intera esperienza culturale e linguistica italiana dal Medioevo a oggi. Lei ha dedicato dei versi dove ha nominato Petrarca, ce li vuole leggere?
Sì, veramente rinuncerei volentieri, ma c'è una poesia qui. Ecco, alle sublimi altitudini orbitano le belle monadi, svettano i titoli di borsa. Lassù agognavo di ascendere, purificando l'io spiritoso per farne rarefatto spirito.
Ma una forza contrapposta, mi ha sempre risospinto verso l'abisso, fra immonde catastrofi scatologiche, fra duplici tendenze vengo spartito equamente in due mezzi poeti in attesa di riunione. Oscillo fra Petrarca e Rabelais. Tra l'angelo e Pantagruele. Oscillare tra Petrarca e Rabelais.
Perché Petrarca mi dà il senso della purezza, della bellezza, della forma compiuta. Rabelais è il disordine, è la voracità, è la vitalità, è la giungla, è la foresta. E'l'alloro con cui mi sono incoronato, anzi con cui mi avete incoronato. Poi questa è la corona della mia vecchiaia, miseramente così. Che cosa ci riserverà il futuro?
Ovviamente nessuno può dirlo, quello che però possiamo immaginare è che Petrarca continueranno a leggerlo gli innamorati e i poeti, leggerlo sì e magari ogni tanto anche litigarci. Nella cultura lirica dell'Occidente ha prevato la linea petrarchesca e ancora oggi... Io dico nel complesso, questa linea è prevalente, il che comporta una sorta di avarizia nei confronti dei modi possibili dell'espressione e della comunicazione. Questo non vuol dire non riconoscere l'enorme importanza storica del Petrarca perché in fondo è l'inventore di ciò che...
nell'intera modernità noi pensiamo come lirico e in un mondo come quello moderno dove non c'è più altra poesia che la lirica con l'avvento della borghesia e del romanticismo, Petrarca è il punto di riferimento ancora essenziale non solo della fase ermetica ma anche al di là delle contestazioni degli anni 50-60. È stato un fatale punto di riferimento per un ritorno a quello che io chiamo un po'sdegnosamente il poetese, cioè un gergo poetico molto limitato e molto selezionante. Sull'arca di Noè, sull'arca della salvezza, c'è posto per tutti. Tigri, leoni, elefanti, giraffe. Anche nell'arca di Petrarca c'è posto per tutti.
C'è posto per la poesia antica e c'è posto per la poesia moderna. C'è posto per l'amore reale. e per l'amore ideale. L'arca di Petrarca è davvero inaffondabile, è fatta di materiali che sono capaci di attraversare i tempi. Quest'arca è il libro.