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Influenza di Caravaggio nell'arte

agitato miseramente da affanno e da cordoglio scorrendo il lido al più caldo del sole estivo giunto a porto ercole si abbandonò e sorpreso da febbre maligna morì in pochi giorni, circa agli anni 40 di sua vita. Così il Caravaggio si ridusse a chiudere la vita e l'ossa in una spiaggia deserta. Allora che in Roma attendevasi il suo ritorno, giunse la novella inaspettata della sua morte, che dispiacque.

universalmente e il cavalier marino suo amicissimo se ne dolse e adornò il mortorio con gli seguenti versi fecer crudel congiura michele ai danni tuoi morte e natura questa restartemea dalla tua mano in ogni immagine vinta, che era da te creata e non dipinta. Quella di sdegno ardea, perché con larga osura quante la falce sua genti struggea, tanto il pennello tuo ne rifacea. Giovan Battista Marino, il poeta più grande dell'Europa del Seicento, Piange così un suo amico, un suo vero amico, Michelangelo da Caravaggio, che di quel tempo era il pittore più importante.

Lo fa usando concetti, idee, parole che provengono da una tradizione antichissima, ma che applicate a Caravaggio sembrano vere, sembrano fortissime, sembrano l'unica cosa che ancora oggi ci viene in mente. A voler morto Caravaggio sono state la natura e la morte. La natura è invidiosa perché Caravaggio è un creatore, è un nuovo dio.

che fa gli uomini vivi, veri, come la natura stessa. E la morte lo odia, perché mietendo con la sua falce moltissimi uomini, li vede resuscitati grazie ai quadri di Caravaggio. Marino aveva avuto un ritratto da Caravaggio, che purtroppo oggi non conosciamo, che abbiamo perduto.

E Marino sapeva che il suo volto poteva durare per sempre grazie al pennello di questo suo grande amico, Caravaggio. La vita che finisce qua, nel luglio del 1610, su queste spiagge, in questo mare, è una vita che spacca in due la storia dell'arte europea. Davvero nulla sarà più come prima, dopo Caravaggio. La sua fama è una fama oscillante.

In certi momenti è stato condannato come un grande eretico, come un distruttore dell'arte, come una peste. Oggi, invece, un'enorme folla osanna Caravaggio, come una pop star, soprattutto come un grande prodotto di mercato. C'è un'industria caravaggesca, un'industria di falsi scoop, di attribuzioni improbabili, di ossa false, di storie farlocche incredibili.

Basta pronunciare il nome di Caravaggio che la notizia finisce sulla prima pagina di tutte le agenzie e di tutti i giornali del mondo. E soprattutto intorno a Caravaggio ruota l'industria colossale delle mostre. È davvero difficile trovare Caravaggio nei musei e nelle chiese dove dovrebbe vivere una vita ormai tranquilla, perché viaggia continuamente per alimentare un mercato.

una fortuna che davvero non ha conosciuto nella sua vita. Ecco, noi non entreremo nel circo equestre di Caravaggio, non seguiremo questo spettacolo a getto continuo. Cercheremo invece di andare a trovare Caravaggio nei suoi quadri, cercheremo di guardare alle sue opere con occhi nuovi, cercheremo di seguire il filo di una vita d'arte che dura molto poco, ma è che è davvero esplosiva e risolutiva. Caravaggio è, come Giotto, come Masaccio, uno dei grandi rifondatori della nostra storia dell'arte.

Come Giotto e come Masaccio, anche Caravaggio mette al centro della sua lingua pittorica il corpo umano. Più di loro, Caravaggio risolve tutti i suoi quadri come uno sguardo sul corpo, uno sguardo nuovo, uno sguardo anticonformista, uno sguardo violento a volte. E' molto spesso uno sguardo che non era tollerato dai suoi contemporanei. Ci si è chiesti a lungo... Perché Caravaggio non sia stato accettato da una grande parte dell'establishment della sua epoca?

Perché i suoi quadri venivano rifiutati, tolti dagli altari? Io credo che la risposta più profonda stia nel suo rapporto con i corpi, corpi rappresentati come erano, senza filtri, senza veli, con una forza, con un'evidenza, con una disperazione che davvero era intollerabile, dove i suoi contemporanei cercavano un rimedio. cercavano un'evasione, cercavano un'altra dimensione, cercavano una via di fuga dalla realtà. Per esempio sulle palle di altari, pieni di angeli, di luce, di trascendenza, di cielo, di speranza, Caravaggio rimetteva al centro il nostro corpo, con le sue lacerazioni, con le sue ferite, con le sue imperfezioni, con la sua fine. La pittura per Caravaggio è una seconda natura, una seconda natura in cui i corpi, senza azioni e senza storia, hanno però un potere che nella prima natura non hanno, quello di svelare l'anima di chi li possiede, o forse meglio, di chi è posseduto da quei corpi.

Lo vediamo molto bene in un quadro. che Caravaggio aveva nella barca che l'ha condotto a queste spiagge, un Davide con la testa di Golia, quella testa come si capì subito è l'autoritratto di Caravaggio, l'ultimo dei suoi autoritratti. Caravaggio in quel momento è ossessionato dalle decapitazioni, dalle decollazioni, continua a dipingere corpi staccati dalle teste, teste strette in mano dai carnefici.

In quella testa, che è la sua testa, in quella faccia, che è la sua faccia, vediamo condensato questo potere estremo, rappresentare i corpi senza compromessi per far uscire da quei corpi l'anima, forse per liberarla. E alla ricerca di quei corpi, e alla ricerca di quelle anime, che stiamo partendo. I tragici della storia della Repubblica, della lunga notte della Repubblica, siamo in via Caetani, dove il 9 maggio 1978 venne ritrovato il cadavere di Aldo Moro.

Molti conoscono la vicenda di Aldo Moro, molti meno invece sanno che svoltato l'angolo si trova un luogo fondamentale per la storia dell'arte moderna. Santa Caterina dei Funari, questa chiesa è ignorata da quasi tutti i turisti e certo da tutti i ministri per i beni culturali. entrati sui super musei affogati di miliardi. Qua invece siamo affogati nelle auto, nel traffico, nel degrado di palazzi murati, un luogo che conserva ancora le stimmati della sua funzione e della sua destinazione sociale. Qua all'inizio del Cinquecento viene fondato dato un ospizio per le ragazze pericolanti, le vergini miserabili e pericolanti, le ragazze che non avevano denaro e che rischiavano di finire sulla strada come prostitute.

Sant'Ignazio di Loyola, il fondatore dei Gesuiti, San Filippo Neri, i grandi protagonisti della Roma della controriforma, si muovono intorno a questo luogo, importantissimo per la vita sociale di quel secolo, ma non solo, anche per la storia dell'arte. Siamo qua perché un giorno del 1599 Caravaggio fece la stessa cosa che ho appena fatto io. Aprì quella porta, varcò quella soglia ed entrò in questa chiesa. Perché? Perché Gabriele Bombasi, che era un gentiluomo del Cardinale Farnese, aveva commissionato un quadro per la sua cappella in questa chiesa e Caravaggio era molto, ma molto curioso di vederlo.

Il quadro era questo. Caravaggio entrò in questa chiesa attirato da questa ragazza, come se una delle ragazze in pericolo, delle vergini miserabili, che erano in pericolo per la loro coscienza e per la loro vita, fosse stata tirata su un altare, messa a un'altra chiesa. al posto di una santa, Santa Margherita. Questo quadro era appena stato inaugurato ed era un quadro di Annibale Carracci, un pittore che aveva dieci anni più di Caravaggio, che come lui veniva da origini lombarde e che a Bologna, insieme a suo fratello... insieme al suo cugino aveva ricominciato a rifondare la pittura, un modo nuovo di dipingere, un modo nuovo di rimettere in connessione la pittura e la realtà.

Margherita è una ragazza del tempo di Annibale e di Caravaggio, è vestita con abiti contemporanei e sta immersa nella campagna romana. In questo quadro si vedeva un paesaggio come a Roma non lo si vedeva più da decenni. Era come se fosse stata aperta una finestra nel muro della chiesa, una finestra direttamente sulla campagna, sulla natura, sul cielo, un cielo pieno di nuvole, nere, gonfia di pioggia, una campagna tranquilla dove si lavano i panni in un torrente prima che venga il temporale.

E questa ragazza, e sì, Santa Margherita, lo si vede dal drago che calpesta, lo si vede dalla corona con le perle, Margherita in latino, il suo nome, e questa ragazza però mette in connessione noi. In carne e ossa, con una dimensione trascendente, con una dimensione celeste, divina, sulla grande ara romana, su quel frammento di antichità abbandonato nella campagna, come se ne incontravano e se ne incontrano ancora tanti, c'è scritto sur sum corda, una frase della liturgia latina, in alto i cuori e il gesto di Margherita guarda verso il cielo. Naturalmente è un'invocazione sacra, ma Caravaggio, Annibale Carracci, forse la intendevano anche in un altro modo, rialziamo il morale della pittura.

è finito il tempo dell'eclissi della pittura, la pittura torna ad occuparsi dei corpi umani, torna ad occuparsi della natura, della realtà. Era una bomba, era una rivoluzione, forse paragonabile solo a quella che Masaccio, in una cappella di Firenze, la cappella Brancacci, aveva innescato tanti e tanti anni prima. Se vogliamo capire fino in fondo perché nel 1599 la Santa Margherita di Annibale Carracci apparisse, e fosse davvero rivoluzionaria, dobbiamo allargare lo sguardo.

E per fortuna Santa Catrina dei Funari è una chiesa meravigliosamente conservata, ha ancora l'aspetto che aveva nel 1599. Accanto alla Cappella Bombasi, dove si trova la Santa Margherita di Annibale Carracci, troviamo un altro linguaggio, un altro stile, un altro modo di intendere la pittura. è la scuola che veniva chiamata ai tempi del giovane Caravaggio e del giovane Annibale Carracci della maniera, oggi diciamo il tardo manierismo romano pittori che avevano giurato nelle pennellate dei loro maestri che si erano sforzati per tutta la vita di continuare come potevano e cioè con grande eleganza ma anche con grande freddezza la lezione di Michelangelo, di Raffaello, di tutti i maestri del primo rinascimento Possiamo trovare un repertorio di citazioni da quella meravigliosa pittura, ma non ne troviamo più la forza, non ne troviamo più la vita. I corpi sono come dei manichini, rivestiti di abiti splendidi, meravigliosi, dai colori cangianti, ma non sono veri, né i corpi né i vestiti. Il paesaggio non è quella meravigliosa finestra aperta sulla campagna romana, ma è invece un paesaggio astratto, modulare, che espande alcune idee, alcuni tratti. alcune invenzioni del primo Cinquecento.

Riconosciamo Raffaello, El Greco, Michelangelo, molti altri artisti famosi, ma non c'è più la vita. Nella cappella accanto Scipione Pulzone, che muore pochi mesi prima che venga inaugurata la cappella di Annibale Carracci, lascia una meravigliosa pala, l'altare, elegantissima, che verrà messa solo nel 1604, in cui però nessuno dei protagonisti guarda verso lo spettatore. Tutto è bidimensionale, tutto è rivolto verso l'interno del quadro, non c'è più un rapporto reale con il mondo.

L'ambizione della pittura non è parlare del mondo. Si capisce che qua, quando i pittori si riuniscono di fronte al nuovo quadro di Annibale Carracci, ci si accorga dell'enorme differenza. È per questo che entrando in chiesa Caravaggio disse, mi rallegro. che al mio tempo veggo pure un pittore.

Non era modesto Caravaggio, sono felice che in questo mio tempo ci sia almeno un altro vero pittore, intendendo egli della buona maniera naturale che a Roma e nelle altre parti d'Italia era del tutto mancata. La pittura era morta e Caravaggio entrando in questa chiesa vede nel quadro di Annibale Carracci così diverso da tutto questo Una vera resurrezione della pittura. Molti anni dopo, Francesco Albani, un grande allievo di Annibale Carracci, dirà ai suoi giovani scolari, ai giovani pittori, che se volevano imparare a dipingere bene, dovevano venire qua e mettersi di fronte alla Santa Margherita di Annibale. Imparate a dipingere.

dipingere allegramente ed è bellissima questa idea della gioia, gioia della pittura ma anche gioia di vivere che usciva fuori dal quadro di Annibale. Quella, diceva Albani per farsi capire, quella tela a cui Caravaggio ci moriva sopra a riguardarla. Possiamo immaginare il giovane Caravaggio seduto di fronte a quella pala che cerca in tutti i modi di capire come si fa a rubare il segreto di Annibale che ha dieci anni più di lui ed è già un grandissimo maestro.

Pochi mesi dopo, la Galleria Farnese farà capire che Annibale Carracci ha cambiato completamente il corso della pittura. Lì si tornava di nuovo a vedere attraverso il velo dei colori dei pittori la forza della natura e contemporanea. la forza dell'antico e la forza del primo rinascimento era cambiata per sempre la storia dell'arte e caravaggio non era stato fermo ancora un po e anche lui si svelerà ai romani con la sua prima grande opera pubblica la cappella montanelli Ed eccola qui la Cappella Contarelli, il vero debutto di Caravaggio in società, la sua prima opera pubblica.

Qui le parti si invertono, è Caravaggio che deve aspettare il giudizio dei suoi colleghi e sono tutti gli artisti di Roma che si affollano in questi pochi metri. entrano nella cappella, calpestano i marmi dove mi trovo io ora. Fra questi artisti possiamo immaginarci lo stesso Annibale Carracci e sappiamo con certezza che c'era il principe dell'Accademia di San Luca, Federico Zuccari, il più autorevole rappresentante della vecchia generazione dei grandi pittori della maniera. Giovanni Baglione, biografo di Caravaggio, era presente e può con la forza del testimone oculare dirci che cosa è successo.

Venne Federico Zucchero e mentre io ero presente disse che rumore è questo, perché tutto questo clamore, i grandi vecchi della pittura romana infastiditi dalla grande risonanza che ha l'opera di questo giovane outsider. E guardando il tutto diligentemente soggiunse, io non ci vedo altro che il... il pensiero di Giorgione nella tavola del Santo quando il Cristo il chiamò all'apostolato e sogghignando e maravigliandosi di tanto rumore voltò le spalle e andossene con Dio.

In questo Zuccari che non è capace di accettare, è capace di comprendere, ma non è capace di accettare la portata rivoluzionaria di Caravaggio, c'è la rinuncia di un'intera generazione. Questa generazione che se ne va con Dio e davvero è un addio alla pittura della maniera. Cosa voleva dire Federico Zuccheri quando citava il pensiero di Giorgione per spiegare e condannare Caravaggio? Che cos'era nel primo seicento Giorgione? Cosa si conosceva del grande padre della maniera moderna della pittura veneziana?

Per comprenderlo bisogna prendere il filo della fortuna di Giorgione a... attraverso il Cinquecento. Qual era l'immagine di questo evanescente, meraviglioso, ma quasi leggendario pittore? Per farlo possiamo cominciare dal Vasari, colui che ha costruito l'edificio della storia dell'arte moderna in cui ancora, per così dire, oggi abitiamo. Vasari è un fiorentino e pure, seppur con qualche riserva, dà a Giorgione un posto fondamentale nella sua costruzione storiografica.

Giorgione è il Leonardo di Venezia e in qualche modo dipende proprio da Leonardo. Di Leonardo condivide l'estremo naturalismo, l'aderenza fortissima al modello. Si metteva, dice Vasari, davanti le cose vive e naturali e le contraffaceva, quanto sapeva al meglio, con i colori, macchiandole con tinte crude e dolci, secondo che il vivo mostrava senza fare disegno.

Un Giorgione estremo naturalista, un Giorgione che dipende da un modello vivo che si mette di fronte, che segue in tutto e per tutto e che non disegna ma dipinge direttamente. Era questo che voleva dire Federico Zucca. Il Caravaggio è un nuovo Giorgione nella sua totale aderenza al modello e nel suo rifiuto del disegno inteso come invenzione, come progetto. Non c'è una composizione astratta ma c'è una capacità fortissima che solo in Giorgione si ritrovava.

di mettere in scena il modello naturale. Vasari ha delle riserve su Giorgione. Non si accorgeva, scrive Giorgio Vasari, che è necessario a chi vuole bene disporre i comportimenti, cioè chi vuole ben comporre e accomodare l'invenzione, cioè chi vuole fare un quadro di storia, che gli fa bisogno prima, in più modi, differenti, porle in carta, per vedere come il tutto torna insieme.

Bisogna studiare attraverso i disegni, gli studi, i progetti, prima di mettere mano. alle tele. Le riserve di Vasari su Giorgione sono le riserve che il Seicento avrà sul nuovo Giorgione, su Caravaggio. Se prendiamo Bellori, il Vasari del Seicento, il più intelligente ma anche il più critico fra i lettori di Caravaggio, troviamo una perfetta continuità che non è affatto casuale.

Dice Bellori che Caravaggio si chompiacque tanto del colorito di Giorgione che se lo propose per il score. nell'imitazione. Un giovane Caravaggio che in maniera consapevole sceglierebbe nel pantheon della pittura moderna Giorgione come suo maestro ideale. Per questo, dice Bellori, le sue prime opere si vedono schiette senza quelle ombre che usò poi e come di tutti i pittori veneziani eccellenti nel colorito fu Giorgione il più puro e il più semplice nel rappresentare con poche tinte le forme naturali nel modo stesso si comportò Michele, Michelangelo da Caravaggio, quando prima si fissò in tempo a riguardare la natura.

Michelangelo merisi da Caravaggio come una specie di reincarnazione di Giorgione. Bellori è così convinto di questo che immagina che Caravaggio, fra Milano e Roma, si sia fermato a Venezia. Il viaggio veneziano, del quale nulla sappiamo, ma che certo non possiamo escludere e che, anzi, ci sembra perfettamente logico e verosimile, Caravaggio avrà avuto una gran voglia di vedere Venezia e la sua strepitosa pittura.

Questo viaggio a Venezia è funzionale a costruire l'immagine di un nuovo Giorgione. Siamo all'archivio storico di Ocesano di Milano e il documento che Monsignor M. ha appena consegnato sul tavolo di studio, nella sala di studio, è un documento decisivo per stabilire il luogo e la data esatta della nascita di Michelangelo Merisi da Caravaggio. Abbie Warburg all'inizio del Novecento ha scritto che in centinaia di documenti letti e migliaia di documenti non letti sopravvivono negli archivi le voci dei defunti. La pietà dello storico è il potere di riconferire timbro alle voci inutili.

inudibili, se non sdegna la fatica di ricostruire la naturale unità fra parola e immagine. È un modo molto bello per spiegare qual è il lavoro degli storici dell'arte. Raffaello, molti secoli prima, l'aveva detto nella sua lettera alle 9 decime in modo molto chiaro, mettere insieme la serie delle parole e la serie delle figure. Gli storici dell'arte negli ultimi anni, negli ultimi decenni, si sono molto concentrati sulle carte degli archivi lombardi per cercare di conoscere il più possibile delle vicende della famiglia, delle due famiglie da cui nacque Michele. Angelo Merisi.

Questo lavoro quotidiano è un lavoro che può sembrare oscuro e che non va confuso con una caccia al cimelio storico, ma è invece un esercizio straordinariamente importante per ricostruire un tessuto vivo in cui non siano... appesi nel nulla quelli che oggi consideriamo grandi nomi della storia dell'arte o grandi produttori di capolavori assoluti. Quello che emerge negli archivi è esattamente il contrario, è la rete delle relazioni che univano le cose che noi oggi amiamo a una complessità che vive solo in queste carte e che noi conosciamo grazie alla pazienza di coloro che dedicano la vita a leggerle.

La data di nascita di Caravaggio è stato un problema molto aperto, la data è il luogo. Si è pensato a lungo che fosse nato a Caravaggio, ma come ha fatto? Ha detto uno degli studiosi che sono più impegnati nel ricostruire questa storia si può benissimo essere detti di Nazareth ma essere nati a Bethlehem.

Qualcosa del genere succede a Caravaggio che sarà sempre chiamato con il nome del borgo, della comunità. cui egli sentiva di appartenere, di fatto apparteneva, ma che invece non nacque nel paese di Caravaggio, ma nacque a Milano, dove suo padre Fermo, muratore, si era trasferito per questione di lavoro. Probabilmente il matrimonio che avviene a Caravaggio appunto nel gennaio del 15... Il 1571 prelude a un trasferimento immediato a Milano.

Tradizionalmente si fissava la data di nascita dell'artista al 1569, ma all'inizio del Novecento Roberto Longhi, decifrando un epitafio scritto in latino da un caro amico di Caravaggio, Marzio Milesi, in cui però era contenuto un errore di grafia, spostò la data di nascita al 1573. Tanto che nel 1973 furono festeggiati i quattro secoli dalla nascita dell'artista. l'artista. Proprio in occasione delle celebrazioni per il quarto centenario della nascita, Mia Cinotti, una studiosa a cui la conoscenza di Caravaggio deve molto, scoprì invece l'atto di battesimo di un fratellino minore di Caravaggio, Giovanni Battista, che era nato nel 1572. Questo costringeva, conoscendo già la data del matrimonio dei genitori, a stabilire che Michelangelo era nato nel 1571. Rimaneva da precisare il giorno e il luogo.

Sul giorno Maurizio Calvesi formulò un'ipotesi che poi si è rivelata giusta, cioè pensò che questo nome di Michelangelo, che non era un nome familiare, anche se poi lo diventerà nei Merisi proprio in omaggio al pittore, dovesse derivare, come succedeva spesso, dalla concomitanza della nascita rispetto a una certa festa liturgica. Il 29 settembre era, ed è tuttora, la festa degli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele e quindi l'ipotesi era che Michelangelo Merisi fosse nato il 29 settembre del 1560. 71. Nel 2007, quindi poco tempo fa, un ricercatore che cercava tutt'altro si è imbattuto in un documento straordinariamente interessante e importante perché taglia la testa al toro a un dibattito secolare e ci dà una certezza. Conosciamo questo documento in due versioni.

La versione del registro parrocchiale dove il parroco annota in tempo reale diremmo il battesimo che ha impartito al piccolo e poi la trascrizione che si conservava nella diocesi. Ed è così che possiamo leggere, e leggo il registro parrocchiale, nella pagina che riguarda il settembre del 1571, che a D30 fu battezzato Michelangelo, figlio del signor Fermo Merisio e di domina Lucia de Oratoribus, una variante di scrittura, ma nella copia sembra invece sia scritto Aratoribus e il nome era senz'altro degli Aratori. Questa parrocchia era quella di Santo Stefano in Brolo.

Questo documento non si era trovato fino al 2007 perché si cercava nella parrocchia che ospitava la residenza della famiglia. Questa era una parrocchia confinante ed è possibile che il battesimo si sia svolto a Santo Stefano. perché la chiesa della parrocchia di Residenza in quel momento non era agibile.

Conserviamo ancora la chiesa di Santo Stefano in Brolo, c'è ancora una fonte battesimale, ma non sappiamo se le pietre che oggi vediamo siano esattamente quelle che sono state calpestate dalla famiglia Merisico. il 30 settembre del 1571, quel giorno di festa in cui il loro bambino, il loro primo genito, fu presentato a Dio e alla comunità. Essendo stato battezzato il 30 settembre, è del tutto naturale pensare che avesse ragione Calvesi e che quindi il bambino fosse nato il giorno prima. I genitori avevano la scelta fra tre nomi, potevano chiamarlo Gabriele, Raffaele o Michele. In due casi su tre ci sarebbe stata una diretta allusione alla storia dell'arte, specie di destino segnato nel nome, il nome di Raffaello avrebbe portato a un forte contrasto visto quello che poi si scriverà nel 600 maturo, una sorta di anti-Raffaello venuto a distruggere la pittura, così scriverà André Felibiano, un grande storico dell'arte francese e invece fu scelto Michelangelo, il nome dell'arcangelo ma per noi anche il nome del sommo artista del 500 che in qualche modo morendo lascia le consegne a un nuovo Michelangelo non meno terribile.

Chissà quante volte nella sua prima infanzia Michelangelo Merisi con la sua famiglia ha percorso le strade che conducevano da Milano La città in cui l'artista era nato, in cui la famiglia abitava, fino a Caravaggio, il borgo dove erano la famiglia, gli affetti, gli interessi. Certamente dovevano essere strade molto diverse da quelle che stiamo percorrendo ora, siamo sulla Brebemi, questa autostrada. Brescia, Bergamo, Milano, che è stata inaugurata poco tempo fa da un giovane presidente del Consiglio, ma che è nata invece vecchia, direi è nata morta, figlia di una politica vecchia e morta, quella politica che divora il suolo, distrugge l'ambiente, crea inquinamento senza alcun motivo, se non per creare reddito per chi produce queste grandi opere inutili. Un vero monumento a quello che il poeta Andrea Zanzotto ha definito lo sterminio dei campi.

Il paradosso per cui usiamo il denaro di tutti per distruggere l'ambiente di tutti, per cementificare suolo, per creare inquinamento e per creare un'autostrada così inutile che sul web gira un filmato di alcuni ragazzi che ci giocano a pallone in pieno giorno. Se vogliamo ritrovare le vie dei campi, più che percorrere la Lombardia di oggi, siamo costretti a... conoscere la pittura del passato, le vie dei campi vivono nella pittura di Caravaggio e forse conoscendo davvero quella pittura possiamo immaginare, possiamo progettare un'Italia diversa, un'Italia che sappia fare un uso più assennato di quel bene finito che va usato in modo sostenibile che è l'ambiente, che è il territorio. Siamo quasi arrivati al paese, al borgo, alla città di Caravaggio, fra poco lasceremo questo nastro d'asfalto per immergerci nell'infanzia di Michelangelo Merisi.

Il nostro corso gratuito è www.mesmerism.info È il 1577 quando una pestilenza si porta via Fermo, il padre di Michelangelo che lascia pochi attrezzi da muratore, e il padre di Fermo Bernardino, il nonno di Michelangelo, mercante di vino. A questo punto Lucia si trova sola a Milano con quattro figli e la figlia Margherita, la figlia di primo letto di Fermo. Lucida doveva essere una donna molto forte, ma decide che da sola a Milano non ce la può fare e torna qua, a Caravaggio. C'è Michelangelo che è il primo genito, c'è Giovanni Battista che diventerà prete, c'è Caterina e poi il più piccolo, Giovanni Pietro, che però da questo punto in poi viene chiamato Giovanni Fermo, in memoria di questo padre perduto così presto.

L'uomo forte della famiglia diventa a questo punto il padre di Lucia, Giovanni Giacomo Aratori, che era un uomo colto, era un agrimensore e lavorava con i marchesi di Caravaggio che abitavano in questo palazzo che oggi ospita il municipio della città. Giovanni. Giovanni Giacomo Ermomo, che si avvicina a quel profilo di maestro di casa dei marchesi di Caravaggio, di cui parlano con un po' di confusione le fonti romane.

In ogni caso la famiglia non aveva enormi mezzi, ma certamente era vicina al potere e godeva di un buono stato sociale. Bisogna ricordare che una sorella di Lucia, Margherita, faceva la balia per Costanza Colonna Sforza, la marchesa di Caravaggio, chissà quante volte avrà attraversato questa pietra. piazza portandosi i piccoli figli così numerosi dei Marchesi di Caravaggio e anche Caterina, la sorellina minore di Caravaggio farà la balia di Costanza, della Marchesa Costanza e quando avrà una figlia, la nipotina di Michelangelo verrà chiamata proprio Costanza. È in questa città che Michelangelo impara, si forma, cresce, ce lo possiamo immaginare, in questo senso sono state molto utili le ricerche fra gli altri di Giacomo Berra, inserito perfettamente. nella vita sociale di quel momento.

Ce lo possiamo immaginare nelle lezioni di scuola e nei corsi di dottrina, di catechismo, insieme agli altri bambini. Qua Michelangelo impara a leggere e a scrivere, impara a conoscere la religione, partecipa alle feste, ai pellegrinaggi, va al santuaio di Caravaggio, che proprio in questo momento viene ricostruito da maestranze di muratori in cui sono anche coinvolti i suoi parenti. E qua Michelangelo impara anche a conoscere il tessuto.

sociale la gerarchia della società dei suoi tempi qua per esempio nell'ottobre del 1583 in una lombardia dominata dal grande spirito di san carlo borromeo avviene un vero e proprio rito feudale alla morte di francesco del marchese di caravaggio tutti gli abitanti del borgo si inginocchiano giurando fedeltà costanza e al piccolo muzio che sarà il nuovo marchese e qua che caravaggio michelangelo merisi che di caravaggio di queste pietre porterà per sempre cucito il nome, impara a conoscere il mondo e chissà, forse anche a volerlo rivoluzionare dalle fondamenta. Nel 1584 Caravaggio va a bottega da Simone Peterzano, ma per capire che cosa vede, che cosa mangia, che cosa si alimenta, che cosa forma il giovane Caravaggio, il piccolo Caravaggio in questi anni, Non basta pensare al suo maestro, bisogna fare quello che meglio di tutti e prima di tutti ha fatto Roberto Longhi dagli anni 10 del 900 fino alla fine della sua vita nel 1970 e cioè, lo dico con le sue parole, rifare le sue strade di predestinazione tra il 1584 e il 1589 circa. Cinque anni in cui Caravaggio...

Cammina, viaggia, vede, in camera immagini, percorrendo le strade di Lombardia, dice Longhi, e non si pretende di segnare itinerari precisi di suoi viaggi, o siano pure vagabondaggi, ma non si potrebbe mai porli in altra zona che da quella che dal paese di Caravaggio porta a Bergamo, vicinissima, a Brescia, a Cremona, non distanti, e di lì. naturalmente a Lodi e a Milano. Questa terra lombarda è per Roberto Longhi la terra della pittura della realtà.

Era questa la plaga dove un gruppo di pittori lombardi, o naturalizzati tali, tenevano aperto da gran tempo il santuario dell'arte semplice. Un'arte semplice che Longhi contrappone retoricamente, ma con grande felicità, all'arte complessa e complicata del rinascimento toscano, all'arte romana. all'arte veneziana, l'arte lombarda con i suoi caratteri specifici, con il suo incrocio nella terraferma venetara fra le invenzioni della laguna e uno spirito lombardo profondo che si incontrano, si ibridano, si fondono proprio nelle campagne in cui Caravaggio passa la sua infanzia e la sua giovinezza.

Quali nomi hanno questi pittori? Nel Cinquecento di Ceronghi, il Lotto, il Moretto, il Savoldo. Il Moroni, questi quattro grandissimi artisti, fra loro per molti versi differenti, che segnano come altrettante stelle la vita spirituale e artistica del giovanissimo Caravaggio. Quali strade percorrevano questi quattro grandi artisti? Certo, erano artisti del Rinascimento e di Ceronghi, dopo aver fatto omaggio al gran gusto del secolo paganeggiante, si chiamasse Raffaello, Michelangelo, Tiziano, avevano invece seguitato un'altra strada.

Quale strada? Quella di un'umanità più accostante, di una religiosità più umile, di un colorito più vero e attento, di ombre più descritte, curiose. fin degli effetti di notte o di lume artificiale e avevano tenuto in serbo una disposizione a meglio capire la natura degli uomini e delle cose.

La natura degli uomini e delle cose, e questo è il viatico di Caravaggio, la vocazione a capire meglio degli altri, più profondamente degli altri, la vera natura degli uomini, degli animi, ma anche delle cose, proprio mescolando uomini e cose, pareggiandoli sotto lo stesso... solume, sotto la stessa luce, sapersi mescolare con semplicità tra la gente indivisa, cioè tra una gente non divisa da classi sociali, sapersi mescolare fra la gente, è un caravaggio quello di Longhi e qui sto leggendo il suo libro degli inizi degli anni 50, un caravaggio popolare, quasi un caravaggio comunista, un caravaggio assonante al cinema neorealista, che cammina tra la gente non divisa per classi sociali, da solo. senza timore di risorgenze mitologiche in piena campagna.

La natura e il paesaggio quasi opposti alla mitologia, alla classicità. E se noi oggi riguardiamo i confronti di Longhi e alcuni di questi quadri degli artisti che abbiamo finora nominato, troveremo davvero i segni di questa formazione lenta ma decisiva. Le vie della pittura lombarda, dice Longhi, molti anni prima nel 1918 sono le stradette vicinali che passano per i campi e finiscono in quel di Caravaggio e qui Longhi gioca aggiungendo una pennellata al rapporto fra Caravaggio il paesaggio e la natura lombarda ma i campi sono i campi con la c maiuscola e la famiglia di pittori cremonesi che sono le altre stelle che si aggiungono alla costellazione dei quattro grandi che abbiamo appena citato da una grande natività da una grande pala d'altare del moretto come come questa che si conserva tuttora alla Pinacoteca di Brescia.

Caravaggio può aver imparato che il primo piano può essere riservato a una natura morta straordinariamente quotidiana e familiare, una grande cesta di vimini, proprio come quella che poi ospiterà la sua frutta molto tempo dopo, piena però qua di panni di bucato piegati accuratamente, serviranno a Maria per cambiare il piccolo Gesù, è il corredo di nascita di Gesù bambino, ma è qualcosa che chiunque poteva vedere in casa propria. E poi Caravaggio impara come si apparecchiano le tavole. In casa del fariseo, sempre di Moretto, in cui la grammatica dei gesti, il ruolo dell'oste che porta a un gesto di frutta, il tavolo semplicissimo, la tovaglia candida, ricorreranno nelle varie cene in Emmaus di Cappellino. Caravaggio. Il ruolo fondamentale della natura morta messa allo stesso livello di importanza.

È un quadro sacro, certo, ma è anche la descrizione di un interno. È una pittura di genere, è una casa lombarda. di quel tempo.

Accanto alla vita quotidiana innestata anche nei momenti più sacri, una tradizione come quella della sua Lombardia dava a Caravaggio la possibilità di immaginarsi anche le scene più astratte del repertorio sacro, un'apparizione della Vergine per esempio, come nella Palla a Rovelli, sempre di Moretto, di ambientarle nella cornice più antiretorica. I moduli sono quelli veneziani in questo caso. caso la palapesa roditiziano ma tutto questo è ambientato non più in scene sontuose di classicità aperte sul mare con grandi colonne o grandi basiliche ma in un'antichità della brecca dente dove cresce l'erba sporca un'idea non solo quotidiana ma quasi deteriore del mondo in cui si innesta l'apparizione del sacro E anche momenti importanti del racconto della Sacra Scrittura, penso per esempio alla conversione di Saulo, che Caravaggio si troverà molto presto a dover dipingere a sua volta, sono restituiti nella pittura Lombarda di questi anni, e qui è ancora il Moretto, con una potenza creaturale che era sconosciuta in tutto il resto d'Italia.

Il fatto che nella conversione di Paolo il posto d'onore spetti al cavallo un grande... cavallone impennato contro un cielo gremito da nuvoloni gonfi di pioggia e che il nostro San Paolo sia sì in primo piano ma in fondo quasi un personaggio secondario rispetto alla furia e alla maestà naturale di questo animale è un elemento che sovverte la gerarchia della pittura ufficiale del resto della penisola ma che si radica profondamente dentro il cuore di Caravaggio. Una cosa molto lontana si può dire per Lorenzo Lotto, che interpreta la grammatica veneziana, soprattutto quella di Tiziano, in un modo antiretorico, fondendo le figure del paesaggio.

in modo del tutto naturale, quasi familiare. Il San Giuseppe che scopre, che solleva questo pannolino dal corpo di Gesù addormentato per mostrarlo a Santa Caterina d'Alessandria. sotto questo grande fico che copre con le sue fronde la Vergine, è un'anticipazione del riposo della fuga in Egitto, una scena mistica, addirittura astratta, lontana, che sembra invece quasi la cartolina di un picnic di famiglia, la domenica, nella campagna Lombard.

E poi, come diceva Longhi, le scene notturne, invece, il repertorio che attraverso Caravaggio inonderà tutta la pittura europea, quello a cui guarderanno i fiamminghi, quello a cui guarderanno i tedeschi, soprattutto i fittori. del nord ebbene le radici di tutto questo si trovano proprio nella pittura lombarda che indicava roberto longhi in queste strade di lombardia il notturno di savoldo questa scrittura del vangelo fatta quasi dopo lavoro nelle ore libere ma anche il notturno dei campi san paolo converso a milano dove le scene le ultimi momenti della vita di san giovanni battista diventano una narrazione piena di abiti contemporanei piena di personaggi che sembrano usciti da quelle strade di Lombardia per essersi infilate in uno scuro androne della città di Milano. Le torce, le corde, i bacili, un armamentario senza tempo in un costume però contemporaneo. Caravaggio si porterà dentro queste idee fino alla fine della sua vita, fino ad arrivare a Malta ed è impressionante mettere la decollazione del Battista di Malta accanto a quella del Battista di Milano perché in fondo c'è un filo dritto.

che Caravaggio non si dimenticherà mai ciò che si è stampato nella sua memoria di bambino. Mi ricordo che in questi anni, appese nelle case di Milano, Lombardia, Caravaggio avrà visto i tanti ritratti dipinti da Giovanni Battista Moroni, tanti ritratti di minuti borghesi che a lui erano stati indirizzati da Tiziano, ritrattista dell'aristocrazia di Corte, Bianchi Certosini, Parro Centricorno, maestri di scuola, sarti che tagliano il panno con le cesoie, guerrieri ma in licenza casalinga. Questo repertorio di un'umanità borghese è quella che vediamo ancora oggi nei musei lombardi, persone di cui spesso abbiamo riscoperto l'identità.

anagrafica e che pure vengono rappresentati non tanto per il ruolo sociale per il rango che hanno rivestito ma invece vengono colti nella loro nel loro carattere nella loro umanità c'è una linea che parte da queste vecchi seduti con in mano dei libri che fissano lo sguardo nella camera o che invece ci ignorano completamente guardando fuori di una finestra alle nostre spalle ma che sentiamo davvero presenti di fronte a noi quasi che ci provochino c'è una linea diretta che parte da qua passa attraverso Caravaggio e arriva fino a Velázquez e a Rembrandt. Se la pittura lombarda si diffonderà, se questo seme di pittura della realtà nel corso del Seicento si diffonderà fino a cambiare il verso di tutta la pittura europea del Seicento è grazie a queste passeggiate che il giovane Caravaggio fa per le vie dei campi, come diceva Roberto Longhi, e per le stanze, le quadrerie, le chiese di una Lombardia che gli porterà tutta, non solo nel suo cuore e nei suoi occhi, ma che in fondo farà esplodere. esplodere a Roma in un contesto pittorico-culturale completamente diverso. Ciò che sappiamo per certo è che a Milano Caravaggio sceglie un erede di Giorgione, per quanto indiretto, per quanto secondario, per quanto scuro ai nostri occhi.

Ha 12 anni e mezzo quando convince sua madre... Lucia, che nel frattempo era rimasta vedova, a vendere alcuni dei terreni che gli erano toccati in eredità per potersi pagare una formazione da artista. Alla fine venderà tutte le sue terre, investendo tutti i suoi averi nella formazione. Ciò che è così difficile far capire oggi a chi governa l'Italia è l'importanza di investire nella formazione, in questa cosa strategica. Caravaggio lo fa, si è calcolato che alla fine spende per formarsi il denaro con cui avrebbe potuto comprare una casa, non erano pochi soldi.

Chi sceglie? Sceglie un pittore bergamasco ma di origine veneziana che in quel momento aveva circa 50 anni, si chiamava Simone Peterzano e aveva bottega a Milano. Il contratto che è stato segnalato fin dalla fine dell'Ottocento e poi è stato pubblicato all'inizio del Novecento, un contratto firmato il 6 aprile del 1584 in cui Caravaggio si impegna a rimanere per quattro anni presso il maestro che si impegna a sua volta a insegnargli tutto quello che sa.

Peterzano si firmava nei suoi quadri Tiziani Alumnus, alunno di Tiziano e proprio nell'anno in cui Caravaggio entra a bottega Giovanni Paolo Lomazzo, pittore teorico e storiografo dell'arte lombarda, definisce Peterzano pratico e dilettevole pittore, discepolo di Tiziano. Questo rapporto diretto con Tiziano, che è il più grande delle allievi di Giorgione, faceva di Caravaggio, come possiamo dire, un bisnipote in linea diretta di Giorgione. Che cosa fa Caravaggio nella bottega di Peterzano?

Sarebbe inutile probabilmente cercare una risposta nei documenti, nel contratto stesso che lo lega al maestro, perché qua troviamo... delle formule consuete, troviamo il fatto commovente che garantiscono per il piccolo Caravaggio, 12 anni e mezzo, dei suoi zii che vendevano pellicce a Milano, c'è un impegno reciproco alla lealtà e al tipo di lavoro che devono fare insieme. Ciò che vorremmo sapere è che cosa guarda, che cosa impara a dipingere, cosa rimaneva, cosa spiegava.

nella bottega di Peterzano della grande pittura veneziana di Tiziano e di Giorgione. Cosa viveva della capacità di entrare in comunione con la natura, con i paesaggi? Pensiamo ai quadri che tutti amiamo e che tutti conosciamo di Giorgione, uno su tutti. la tempesta, pensiamo allo strepitoso paesaggio, al senso della natura, olimpico e insieme realistico del Tiziano Giovane, ciò che vediamo per esempio nell'Amor Sacro e l'Amor Profano e in moltissimi altri quadri del Tiziano Giovane, non lo sappiamo veramente. e la pittura di Simone Peterzano per certi versi ci sembra lontana da tutto questo.

È probabile però che Caravaggio in quella bottega abbia imparato a fare delle teste, come si diceva allora, cioè dei ritratti, delle mezze figure, e che in questo abbia agganciato direttamente la tradizione veneziana. E d'altra parte a Roma lo troveremo all'inizio della sua esperienza proprio legato a questo genere. Capisce quanto questa eredità rimanga a segnare la produzione pittorica di Michelangelo davvero fino agli ultimi anni della sua vita.

Per avere un punto su cui verificarlo, un metro su cui misurare tutto questo, possiamo andare nella Certosa di Garegnano. a Milano, perché qua Simone Peterzano affresca la tribuna, l'abside, due anni prima che Michelangelo arrivi nella sua bottega. Ma evidentemente il Merisi trovò in quella bottega un ampio materiale grafico, delle invenzioni, dei disegni.

degli impieghi, delle memorie che si impressero potentemente nella sua immaginazione, nella sua memoria. Prendiamo per esempio il San Matteo e l'Angelo. Ecco la matrice della prima invenzione del San Matteo e l'Angelo di Caravaggio, quella rifiutata per la cappella Contarelli, lo stesso modo di incavalcare le gambe, lo stesso rapporto con l'Angelo, eppure si direbbe che quella fosse veramente una delle più spontanee e caravaggesche delle invenzioni e invece anch'essa affonda le radici in questo periodo di formazione. così importante e per noi purtroppo così oscuro. E ancora, in questa adorazione dei pastori, vediamo nel pastore, nel boruto, muscoloso, sulla nostra sinistra, inginocchiato, un risentimento di anatomia che sente.

le prime figure che escono dal pennello di Michelangelo una volta arrivato a Roma. È come se noi potessimo frugare, sbirciare nel suo bagaglio ideale, quel bagaglio che continuerà ad accompagnarlo per tutta la vita. Un filo diretto unisce la Certosa di Garegnano a Milano e la Galleria Borghese a Roma, due posti remotissimi da tutti gli altri punti di vista. Ma quel pastore che si inginocchia...

di fronte alla mangiatoia dove giace Gesù Bambino, nell'affresco della bottega di Simone Peterzano, trova un gemello anatomico, soprattutto, nel primo quadro di Caravaggio che noi conosciamo. Nel suo dipinto più antico, fra quelli che oggi sono riemersi, o almeno così crediamo, secondo una datazione che è sempre frutto di una complicata analisi dello stile, relativa, quale quadro viene prima, quale quadro viene dopo, è naturalmente una materia aperta al dibattito degli storici dell'arte, ma siamo più o meno tutti d'accordo nel pensare che questo straordinario bacco sia la cosa più antica che noi conserviamo di Caravaggio. Un quadro che è appartenuto al cardinale Scipione Borghese quasi fin dall'inizio e ancora si trova tra i beni ereditati dalla famiglia Borghese.

È un bacco, probabilmente, anche su questo non siamo sicuri. La cosa che ci colpisce molto è come il giovane Caravaggio a Roma si porti dietro un bagaglio mentale, formale, stilistico, ma forse anche materiale, disegni, studi, abbozzi. non necessariamente suoi, sappiamo che Caravaggio probabilmente non ha mai disegnato, ma provenienti dalla bottega in cui si era formato.

È solo la mente, la memoria di Caravaggio che ricorda le forme del braccio e della mano e della schiena di quel pastore? O invece Caravaggio si può appoggiare a un repertorio, a un'attrezzeria che si è portato materialmente dietro dal Milano? È difficile rispondere a questa domanda, ma certamente... Certamente nei suoi primi passi per Roma Caravaggio è profondamente lombardo, i primi testimoni che lo incontrano ci dicono che parlava con un accento riconoscibilmente milanese e questo accento non era solo nella lingua delle parole ma era soprattutto nelle forme. Caravaggio che muove i suoi primi passi a Roma è inconfondibilmente lombardo.

Gra