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Storia e Evoluzione dell'Esercito Romano

Fu probabilmente il più grande esercito di tutti i tempi. Conquistò e tenne sotto controllo un impero che si estendeva su tutto l'Occidente antico. Era spietato, disciplinato, temuto da tutti.

Non solo dai nemici, che morirono a milioni, ma dagli stessi imperatori, che spesso pagarono cara l'inimicizia dell'esercito. Eppure, questi soldati non furono solo devastatori. Contribuirono a plasmare e a diffondere una cultura che è il fondamento della civiltà occidentale. Cosa rendeva quest'esercito così potente? Come riuscì a dominare e a dare nuova forma al mondo classico?

E perché alla fine si dissolse? Ecco la storia della macchina da guerra di Roma. Il potere di Roma si consolidò per lo più grazie alla forza del suo esercito. Fino a quando non divenne esperta nelle cose militari, Roma era uno dei tanti insediamenti rurali esistenti in Italia.

Ma i romani erano speciali. e i suoi abitanti culturali dimostrarono un'abilità straordinaria nel trasformarsi in una potenza politica ed economica senza pari. Le origini della città, che per secoli avrebbe dominato il mondo antico, risalgono all'VIII secolo a.C. gli archeologi hanno rinvenuto resti di insediamenti di quell'epoca sul Colle Palatino, il luogo in cui, secoli dopo, gli imperatori romani avrebbero eretto le loro residenze. All'inizio Roma subì la dominazione degli Etruschi, una popolazione confinante originaria dell'attuale Toscana.

I sovrani Etruschi assunsero il controllo della città attorno al 600 a.C. e la governarono per un secolo prima di essere scacciati dai Romani. Da questo momento Roma è la prima città russa a essere scacciata.

Roma iniziò a dare vita alla struttura militare e politica che ancora oggi conosciamo. Divenne una repubblica, con un senato e due supremi magistrati, i consoli, eletti per un anno col potere di decidere sulle questioni più importanti, comprese quelle militari. Per Roma era essenziale imparare a combattere. Sorgeva sul Tevere, in un punto strategico per i commerci, ed era coinvolta in continue scaramucce con le popolazioni vicine. Fin dal V secolo XIX, secolo avanti Cristo, Roma possedeva un esercito di 6.000 uomini chiamato legione, dalla parola latina raccogliere in armi.

Ma c'era ancora una gran differenza fra queste truppe e l'esercito di professionisti che negli anni seguenti avrebbe dominato il mondo. Erano cittadini soldati part-time, arruolati per la durata di ogni campagna di guerra. Lasciavano i campi, il lavoro e partivano per andare sotto le armi. Terminate le operazioni militari, tutti tornavano a occuparsi del raccolto, della vendemmia, della ratura.

Ogni anno gli uomini in buona salute erano convocati al suono di tromba per l'arruolamento, ma in realtà non tutti erano chiamati. Si riteneva che solo i proprietari terrieri potessero difendere la città, perché avevano beni da salvaguardare. Il servizio militare era considerato un dovere e un onore, era un obbligo per chi aspirasse al potere politico. I romani erano restii a dare il voto a candidati che non vantavano ferite di guerra. Si conoscono casi di persone che presentandosi per un incarico politico, in pieno foro si strapparono le vesti scoprendo le ferite per dimostrare di aver...

combattuto per Roma. I romani dovevano provvedere da soli all'armatura e alle armi. I più ricchi, gli ufficiali, avevano elmo, armatura, una lancia, una spada e uno scudo. Invece i più poveri, le truppe di prima linea, non possedevano un'armatura. erano equipaggiati solo di fionde e proiettili di pietra.

All'inizio la struttura dell'esercito romano si rifaceva al modello greco, in particolare per la formazione tattica di base. I greci usavano la falange, una formazione di fanteria mobile e ben organizzata che assaliva il nemico presentandosi come una selva di lance. Le truppe si allineavano in file davanti al nemico. Poi i soldati in prima linea, impugnati saldamente, lance e scudi guidavano l'avanzata dell'intera formazione in un unico blocco. Lo scopo fondamentale era di investire i nemici e, nell'impatto, ucciderne quanti più possibile.

Roma ottenne la sua prima grande scopo. La grande vittoria nel 396 a.C., sconfiggendo gli avversari di un tempo, gli Etruschi, e conquistando la città di Veio. Ma non ci fu molto tempo per festeggiare. Sei anni dopo, dovettero fronteggiare un nemico completamente diverso. I guerrieri di Veio, i guerrieri di Veio, i Celti, che irruppero dal nord e giunsero fino a Roma.

I Celti erano popolazioni legate da lingua, cultura e tattiche di guerra simili. Queste tribù vivevano in tutta l'Europa, nelle attuali Irlanda, Francia, Svizzera. Nel 390 a.C. un esercito celtico travolse le legioni romane e invase Roma. I romani erano molto impressionati dalla tecnica di combattimento dei celti perché questi in pratica si gettavano sul nemico con centinaia di migliaia di uomini che urlavano, picchiavano su oggetti metallici e suonavano corni.

I romani ne erano terrorizzati. I celti si ritirarono dalla città perché i romani riuscirono a corromperli con loro, ma fu un brusco risveglio per Roma. La città doveva riadeguare l'intera strategia militare e un modo per farlo era l'addestramento. I soldati romani dovevano superare un rigido addestramento.

Erano previsti quattro durissimi mesi di esercitazioni di base. Chi non riusciva a stare al passo con gli altri era congedato, oppure gli venivano riservate disgustose razioni di orzo finché non si adeguava alle norme. L'addestramento base prevedeva innanzitutto marce lunghissime.

I soldati dovevano percorrere anche più di 30 chilometri in 5 ore con lo zaino pieno. Durante l'addestramento con le armi, le reclute usavano spade non affilate e giavellotti che pesavano il doppio di quelli normali per sviluppare la muscolatura. Secondo me i romani, in questi primi anni della loro storia, possono essere considerati come gli Zulu del Mediterraneo. Erano una società fortemente militarizzata e imponevano l'astinenza ai guerrieri.

In battaglia erano brutali. Con l'ingrandirsi dell'esercito, l'armatura divenne uguale per tutti ed era fornita dallo Stato. Indosso una cotta di maglia per proteggere il corpo. Guardate, è fatta di tanti pezzetti di metallo separati, lavorati a forma di anello e legati insieme.

Il grande vantaggio è che riparano dai colpi di taglio, poiché gli anelli sono molto più lunghi. interconnessi, se un nemico colpisse di taglio con la spada, la cotta assorbirebbe il colpo. Lo svantaggio è che non protegge dai colpi di punta. Se mi pugnalassero attraverso le maglie, la punta dell'arma forerebbe in metà. A partire dal primo secolo d.C., i romani usarono anche armature a placche squadrate tenute insieme da cinghie di cuoio.

Dovevano essere molto più complicate della cotta di metallo, perché i soldati avevano bisogno di aiuto per indossarle. Vedete, la protezione è concentrata sulla parte superiore del corpo, non sulle gambe. C'è un motivo.

Nei combattimenti con i celti, che usano lunghe spade che colpiscono di taglio, il busto deve essere protetto più delle gambe. L'elmo romano, che subì graduali modifiche nel corso dei secoli, tendeva a fornire la massima protezione possibile senza stordire chi lo indossava. Somiglia a una ciotola tonda e protegge la sommità della testa. La rotondità è ottima per deviare i colpi. Un elmo squadrato gli avrebbe assorbiti, un rotondo invece gli fa scivolare via.

Larghi guanciali proteggevano i lati del viso. Sul retro un paracollo serviva ad assorbire i colpi dall'alto e a riparare la parte posteriore del collo. La faccia non è coperta e nemmeno le orecchie. I romani ritenevano più importante per un soldato vedere bene e sentire gli ordini, una cosa fondamentale in battaglia. Lo scudo completava l'equipaggiamento.

Agli inizi era più piccolo e rotondo, poi divenne grande e rettangolare. Era fatto di strati di legno incollati e legati insieme, rivestiti con cuoio e metallo. La novità dello scudo romano è di essere curvo, non piatto come la maggior parte degli scudi antichi. Protegge meglio tutto il corpo. In un assalto non è solo un mezzo di difesa, ma anche di offesa.

Posso sbatterlo sulla faccia del nemico, che perderà l'equilibrio. Allora sguaino la spada e lo colpisco. Dovendo ricorrere alle armi da offesa, la prima che un soldato romano avrebbe usato in battaglia era il giavellotto. La particolarità del giavellotto romano è che il nemico non poteva riutilizzarlo. Venivano gettati a...

centinaia. La punta di ferro si conficcava nell'armatura, il peso dell'impugnatura curvava questa parte metallica e l'arma diventava inutilizzabile. Nemmeno lo scudo dava riparo e il nemico veniva ferito. L'arma che permise la conquista e il mantenimento dell'impero fu però la spada romana. Dopo aver impiegato i giavellotti, la legione romana avanzava con la più pericolosa delle armi, la spada corta o gladio, da usare a distanza ravvicinata.

Era molto simile allo spadone medievale, ma decisamente più corta. La lama, molto larga alla base, si restringeva in una punta accominata. Quest'arma era stata pensata appositamente per pugnalare il nemico.

I soldati erano addestrati a colpire nello stomaco. perché in questa zona non ci sono parti ossee. Si colpiva velocemente e si ritraeva la lama. Il nemico era fuori combattimento. I militari non erano addestrati a sferrare colpi dall'alto, ma a pugnalare, proprio come con le baionette.

Questa spada è corta, si usa come un pugnale, non per colpire di taglio. Le spade dei barbari non sono come le nostre. Sono lunghe e alla malarga. In battaglia i barbari roteano solo le spade sulle teste, ma è tutta apparenza.

Mentre sono occupati a fare questo, noi colpiamo al busto e li mettiamo fuori combattimento. L'esercito romano era ormai pronto a usare armi e addestramento militare per fondare un impero. Le prime vittime furono le popolazioni italiche.

L'unità tattica fondamentale dell'esercito romano era la legione, che nel tempo divenne sempre più articolata. Alla fine si trasformò in un'unità di 4.800 soldati, divisa in 10 cohorti composte da 480 uomini ciascuna. Quest'ultime erano formate da 6 centurie, di cui facevano parte non 100 soldati, ma 80. Per ogni centuria vi erano 10 gruppi di 8 uomini, che dividevano un'unica tenda.

Diventare comandante di una legione era di solito un incarico politico. I romani di famiglia illustre prestavano servizio nell'esercito, via via che davano la scalata al potere politico. Non tutti avevano uguale attitudine al comando, perciò erano gli ufficiali di grado inferiore. a gestire concretamente le unità.

I più famosi sono i centurioni, comandanti di una centuria. Con l'espandersi dell'impero, i centurioni divennero soldati di carriera che si guadagnavano il grado di ufficiale partendo dalla truppa. Di solito avevano almeno 15 anni di servizio.

Il loro compito era addestrare gli uomini, insegnare loro la disciplina, guidarli in battaglia. Avevano partecipato a molte campagne militari, conoscevano l'esercito e sapevano come risolvere problemi specifici. Insomma, erano la spina dorsale delle legioni romane. Ecco l'equipaggiamento di un centurione romano.

Lo si distingueva immediatamente dal pennacchio fissato trasversalmente sull'elmo. Questo è di crine di cavallo, ma a volte era fatto di piume. Se il centurione aveva ricevuto onorificenze sul campo, le indossava sull'armatura, all'altezza del petto.

I centurioni erano ufficiali di carriera nel vero senso della parola. I centurioni non potevano congedarsi. Alcuni, a oltre 80 anni, erano ancora in servizio.

Era un modo per assicurare uniformità di addestramento in tutto l'impero. Si evidenzia dalle carriere dei centurioni che nel corso della loro esistenza erano stati ovunque. I centurioni potevano rendere la vita dei militari insopportabile.

Pretendevano denaro per esonerare i soldati dai compiti più sgradevoli. Li punivano usando un frustino di legno di vite. Un centurione, Lucilio, era soprannominato Datemene un altro perché aveva l'abitudine di spezzare il suo frustino a furia di picchiare sulla schiena dei soldati.

Sar�� assassinato dalle sue truppe. Dopo la sconfitta ad opera dei Celti nel 390 a.C., l'esercito romano modificò la tattica sul campo. Si sbarazzò della rigida formazione a falange, ereditata dai greci, e preferì usare unità da combattimento più piccole, chiamate manipoli. Estremamente manovrabili, erano composti al massimo da 150 uomini. Ciò permise all'esercito romano di operare più efficacemente anche su terreno accidentato.

Inoltre si potevano muovere gruppi di soldati verso i fianchi e la retroguardia del nemico. L'ossatura dell'esercito era costituita dalla fanteria, tuttavia ad ogni legione era assegnato un reparto di cavalleria che poteva arrivare fino a 300 uomini. I romani, che non erano abili cavallerizi, ricalcarono tattiche ed equipaggiamenti dei nemici, compresi i celti.

La sella usata ne è un esempio. La sella in groppa a questo cavallo oggi sembra un arnese molto strano. Non somiglia per nulla a una sella moderna. L'elemento più caratteristico sono quelle quattro protuberanze a cono.

Servivano perché la sella era sprovvista di staffe. I romani non le usavano. Era questo il dettaglio essenziale, la caratteristica delle selle ridisegnate dopo gli scontri con i Celti.

Senza staffe e con una sella piatta può essere pericoloso sporgersi obliquamente. Questi sostegni consentono di farlo. La sella era più piccola di quella moderna perché i sostegni posteriori dovevano premere sul fondo schiena. Quelli anteriori affondavano nella coscia, così ci si poteva piegare a 45 gradi con una certa sicurezza. Uno dei compiti della cavalleria era di bersagliare di continuo il nemico.

Per questo i cavalieri avevano in dotazione speciali giavellotti leggeri. Incrociando il nemico se ne scagliavano parecchi. Non procuravano grandi danni, ma lo scopo non era sempre questo.

Si mirava a rompere la formazione avversaria, cosicché la fanteria la penetrasse e avesse la meglio. In battaglia la cavalleria si allineava sui fianchi dello schieramento. La fanteria si disponeva secondo tre blocchi orizzontali, in modo da potersi alternare in prima linea. Mentre i soldati si disponevano in formazione, battevano ritmicamente le spade sugli scudi con un fragore terrificante, fino all'ordine di caricare. Mentre i due eserciti si avvicinavano, le prime linee romane scagliavano i giavellotti, scompaginando la formazione nemica.

La fanteria poi si disponeva a cuneo per sfondare le linee avversarie e agevolare il combattimento ravvicinato, nel quale la spada corta romana dava buona prova di sé. Il combattimento vero e proprio non durava più di una ventina di minuti, ma poteva essere anche più lungo. Era difficilissimo battersi per tanto tempo con quelle pesanti armature.

Il successo dei romani in battaglia era in buona parte da attribuirsi all'addestramento. Quando i nemici erano in rotta, i romani non li circondavano. Di solito lasciavano loro una facile via di fuga, in modo che la cavalleria potesse intervenire e tagliare loro la strada mentre si allontanava.

attorno al 270 avanti cristo roma controllava gran parte della penisola italiana a differenza di altri popoli i romani non si limitarono a depredare le popolazioni sconfitte le trasformarono in alleati e a volte diedero loro la cittadinanza romana in questo modo con l'allargarsi del potere di roma le popolazioni conquistate venivano integrate si arruolavano nell'esercito e venivano impiegate nelle successive conquiste Era un processo accumulativo ed è stata la chiave della crescita dell'impero romano. L'espansione di Roma rese inevitabile lo scontro con Cartagine, l'altra superpotenza del Mediterraneo. Il conflitto fra le due città originò una delle più sanguinose guerre dell'era antica. L'espansione di Roma nel III secolo a.C. portò al conflitto con un impero situato sulla sponda opposta del Mediterraneo.

Cartagine, nell'attuale Tunisia, controllava territori vastissimi in tutto il Nord Africa. Nel 264 a.C. Roma e Cartagine si scontrarono per il controllo della Sicilia, dove Cartagine aveva fondato delle colonie.

Mentre Cartagine aveva una potente marina da guerra, quella di Roma era molto esigua, per cui bisognova potenziarla. Inoltre la maggior parte degli equipaggi non aveva mai navigato perché venivano addestrati sulla terraferma. Ma al momento dello scontro sul mare i romani impiegarono il cosiddetto rostro, una sorta di passarella con la quale abbordarono le navi cartaginesi trasformando le battaglie navali in terrestri, a loro molto più congeniali.

Così Roma sconfisse la flotta cartaginese. Roma conquistò la Sicilia, la Corsica e la Sardegna, ma Cartagine non si rassegnò alla sconfitta e nel 218 a.C. contrattaccò, guidata da uno dei più temuti condottieri, Annibale.

Il suo obiettivo, questa volta, era Roma stessa. Annibale era un uomo estremamente determinato. Nutriva un profondo odio per Roma, sentimento ereditato dalla famiglia d'origine, che già in passato aveva combattuto contro i romani.

Di sicuro aveva anche un grande carisma. Annibale marciò col suo esercito attraverso la Spagna e la Francia, discese in Italia dopo aver superato le Alpi, portando con sé decine di elefanti. La maggior parte degli elefanti morì durante il viaggio attraverso le Alpi.

In effetti, questi animali non ebbero alcuna importanza durante le successive operazioni militari. Sono tuttavia il simbolo dell'inventiva e dell'audacia di Annibale, che fu capace di arrivare fin sulle Alpi in tempo per prendere di sorpresa i Romani. Aiutato dai guerrieri celti che si erano uniti a lui lungo il percorso, Annibale riportò alcune vittorie iniziali sulle legioni romane inviate per fronteggiarlo. In seguito, nel 216 a.C., avvenne lo scontro decisivo a Canne, nell'Italia meridionale. L'esercito di Annibale era costituito da circa 40.000 uomini.

I romani e i loro alleati erano circa il doppio. Ma Annibale eccelleva nella tattica. Quando le legioni romane eseguirono il classico attacco verso il centro, Annibale le lasciò avanzare, poi le circondò. Per l'esercito romano fu un completo disastro. I romani e i loro alleati persero 50.000 uomini.

A Roma si scatenò il panico e già si diceva che Annibale fosse alle porte. Ma il generale non riuscì mai a conquistare la città. L'astuta politica dei romani di stringere alleanze ebbe ancora una volta successo.

Ciò che fece fallire Annibale è il fatto che i romani erano in grado di arruolare un numero di uomini anche dieci volte superiore rispetto a lui. Potevano permettersi di perdere... 50.000 uomini, in un giorno solo. Continuavano a combattere perché avevano manodopera a disposizione.

Nessun altro stato dell'antichità riuscì a fare altrettanto. Roma condusse contro Annibale una guerra senza quartiere. misura d'emergenza richiamò alle armi tutti gli uomini validi, compresi gli schiavi.

Inviò alcune legioni in Spagna, che era controllata da Cartagine, per tagliare ad Annibale approvvigionamenti e rinforzi. Le guerre di queste proporzioni sono una vera e propria lotta per la sopravvivenza. Chi ne esce sconfitto vedrà la fine delle proprie città, la dispersione di donne e figli per tutto il Mediterraneo. Una battaglia perduta può significare un'intera popolazione spazzata via.

Furono necessari 15 anni di guerra per scacciare Annibale dall'Italia. Tornato a Cartagine per difenderla da un contrattacco dei Romani, venne sconfitto nel 202 a.C. Nonostante la vittoria, i romani continuarono a temere in maniera ossessiva Cartagine.

Fomentarono una terza guerra che scoppiò nel 149 a.C. Impiegarono tre anni per aprire una breccia nelle mura della città. Ne seguì il massacro di Sardegna, e la guerra di Sardegna si è rinunciata a un'altra guerra.

La guerra di Sardegna è stata una guerra di guerra, e la guerra di Sardegna è stata una guerra di guerra. di migliaia di cartaginesi. 50.000 sopravvissuti furono venduti come schiavi.

Alla fine i romani rasero al suolo la città e secondo la leggenda, cosparsero il terreno di sale affinché nulla potesse mai più crescervi. Quando le truppe romane conquistavano una città che aveva resistito all'assedio, si comportavano a volte in modo estremamente feroce, specie durante i saccheggi. In questi casi pare fosse un'abitudine dei romani, o forse una politica vera e propria, massacrare uomini e animali, fare una carneficina di tutto e di tutti. Sconfitta a Cartagine, Roma inglobò fra le sue province anche la Grecia, dopo aver distrutto Corinto. Seguirono molte altre conquiste, tanto che attorno al 100 a.C.

Roma era l'incontrastata regina del Mediterraneo. Per giustificare la loro espansione, i romani addussero delle ragioni che molti politici contemporanei condividerebbero. I romani erano sempre convinti di combattere guerre difensive. Per loro, qualunque conflitto, per quanto offensivo o imperialista possa sembrarci, era sempre intrapreso per difendersi, per proteggersi da possibili attacchi. È così che giustificarono la conquista del Mediterraneo.

I romani dominavano un impero che si espandeva velocemente. Perciò i legionari dovettero abituarsi a viaggiare molto, a piedi ovviamente. Durante le marce, i soldati portavano in spalla oltre 22 kg di equipaggiamento, comprese armi, l'armatura, utensili per cucinare, razioni per la città, e anche un'esplosione per la città.

I soldati portavano in spalla oltre 22 kg di equipaggiamento, comprese armi, l'armatura, utensili per cucinare, razioni per la città. di cibo e attrezzi per allestire un accampamento provvisorio. La maggior parte degli eserciti sfruttava le difese naturali del terreno per accamparsi. I romani trasportavano ovunque l'attrezzatura per costruire un campo, allestendone uno al giorno, se necessario.

Scavavano un fossato difensivo tutto a turno, largo un metro e mezzo circa e profondo poco meno di uno. Poi, con dei picchetti, costruivano una palizzata. Era come avere a disposizione una cittadina fortificata ovunque si andasse.

La finalità principale dei campi mobili romani è psicologica più che militare. Danno l'idea che in territorio nemico, in quello che non è il proprio paese, ogni notte si costruisca una piccola città. Nel frattempo, il nemico osserva e vede la propria terra segnata dall'avanzata delle truppe romane.

Gli accampamenti sono un ottimo esempio della passione dei romani per l'ordine. Erano costruiti tutti secondo lo stesso schema e ogni tenda veniva alzata sempre esattamente nello stesso punto, in modo che i soldati sapessero con precisione dove si trovavano. Ai militari dava un senso di sicurezza, specie di notte. Sapevano in che punto erano gli ufficiali e che i loro compagni vigilavano per loro. La passione quasi ossessiva dei romani per l'ordine si estendeva anche alla disciplina militare.

Le sentinelle che si addormentavano potevano essere lapidate per aver messo a repentaglio l'intero reparto. Non era un fatto eccezionale se si tiene conto di com'era la società romana nel suo insieme. La gente era abituata alle staffilate e alle pubbliche esecuzioni che avvenivano di frequente.

L'esercito romano era severo e rigido, ma non tanto diverso dal resto della società. Un orrendo esempio della dura disciplina militare era la decimazione, cioè uccidere un uomo ogni dieci in quei reparti che si erano mostrati vili in battaglia. I condannati erano estratti a sorte e uccisi a bastonate dai loro stessi commilitoni.

L'obbedienza a Roma era fondata sulla paura. Seppure un soldato romano fosse andato in crisi nel corso della battaglia, quel soldato o quel reparto avrebbero scelto di tenere duro, perché avrebbero avuto molte più probabilità di sopravvivere a una feroce battaglia che non si avessero disertato. Si ricorda uno dei casi più noti di decimazione in occasione delle sconfitte subite dalle legioni romane durante la rivolta guidata da un gladiatore fuggiasco, un ex militare di nome Spartaco. L'esercito romano era talmente impegnato a conquistare territori e costruire un impero all'estero da aver lasciato sguarnita l'Italia, vittima di attacchi improvvisi. È proprio quello che accadde nel 73 a.C.

in occasione di una rivolta capeggiata da uno schiavo straniero, Spartaco, che era stato obbligato a diventare gladiatore. Le condizioni di vita degli schiavi erano piuttosto dure e crudeli. I gladiatori, in particolare, vivevano incatenati nelle caserme ed erano trattati in modo brutale. Spartaco capeggiò una rivolta di gladiatori che si ribellarono alle condizioni di vita loro imposte. Ben presto, gli schiavi delle campagne si unirono all'insurrezione.

In Italia venivano condotti milioni di schiavi. Molti erano prigionieri di guerra o ex combattenti. Questa enorme massa di uomini rappresentava un possibile rischio per la sicurezza.

In quel periodo non c'erano legioni di stanza in Italia. Si dovettero perciò arruolare uomini e addestrarli. Ma Spartaco e i suoi, usando tattiche tipiche della guerriglia, sconfissero tutte le legioni che erano state inviate contro di loro, rimanendo in libertà per circa tre anni. Alla fine, il senato di Roma affidò al nobile Marco Crasso il compito di domare la rivolta.

Crasso cominciò col decimare due delle legioni sconfitte da Spartaco, poi arruolò altre truppe e creò sei nuove legioni, affrontando i ribelli con una guerra vera e propria. La tattica dei rivoltosi era anticonvenzionale. Fino all'ultimo, rifiutarono di ingaggiare battaglia secondo gli schemi tradizionali.

In tal modo, disorientavano le aspettative dei generali e delle truppe inviate contro di loro. Persero la battaglia finale perché vollero imitare i soldati romani combattendo una battaglia campale. Se avessero proseguito la tattica della guerriglia, la loro rivolta sarebbe stata più efficace. Le legioni sconfissero i ribelli. e Spartaco venne ucciso.

Trasso allineò lungo la via Appia fuori Roma i corpi di 6.000 rivoltosi crocefissi, un monito per chiunque volesse opporsi a Roma e al suo esercito. Nei primi anni di vita dell'esercito romano, i soldati erano chiamati alle armi solo per qualche mese, fra la primavera e il periodo del raccolto. Ma con l'espandersi dell'impero, cominciarono le lunghe campagne oltre mare.

Per i proprietari terrieri, gli unici ad essere arruolati nelle legioni, il servizio nell'esercito divenne un peso sempre più intollerabile. Attorno al 100 a.C., Roma aveva circa 130.000 uomini sotto le armi. Un romano su otto era militare ed era un uomo di grande potenza.

ed era tenuto a prestare servizio fino a sei anni di seguito, fino ad un massimo di 16 anni nel corso di tutta la vita. Le legioni avevano necessità di attingere a una riserva maggiore per arruolare uomini. Il problema fu risolto dal console Mario, anche egli valente generale.

Aveva salvato Roma dalle invasioni delle tribù germaniche per ben due volte. Nel 102 a.C., nelle campagne vicino a Aix-en-Provence, nella Francia meridionale, le truppe di Mario uccisero tanti germanici, 100.000 secondo alcuni, che i contadini ebbero per anni raccolti eccezionalmente abbondanti a causa del sangue e delle ossa sepolte sottoterra. In qualità di console, Mario consentì l'entrata nell'esercito a tutti i cittadini romani, proprietari terrieri e non.

Così i meno abbienti potevano arruolarsi come volontari, ottenendo un impiego sicuro e di prestigio, una buona paga e la possibilità di un'attività di rinforzamento. di viaggiare. Con i militari di carriera l'esercito si avviava a trasformarsi in una struttura di professionisti arruolati a tempo pieno.

I volontari dovevano possedere requisiti ben precisi, essere alti, possibilmente sapere leggere e scrivere, avere un buon carattere. Coloro che esercitavano certi mestieri come i maniscalchi e i cacciatori erano agevolati. I tessitori e gli osti erano invece giudicati inadatti.

Le reclute dovevano superare un colloquio e una visita medica, poi prestavano giuramento. Per difendere lo Stato avrebbero obbedito a ogni ordine e non avrebbero indietreggiato di fronte alla morte. Quindi, dopo aver ricevuto tre monete d'oro, le reclute si sono rinforzate. le reclute venivano mandate nelle province per l'addestramento.

Molti dei nuovi soldati privi di mezzi speravano di guadagnare ben più di tre monete d'oro. Man mano che l'esercito conquistava nuovi territori, i soldati erano attratti sempre più. più dai bottini di guerra.

Il valore del bottino razziato in una città come Corinto nel 146 a.C. era talmente ingente da risvegliare un'avidità sconfinata. Provocava anche un aumento della violenza fra i soldati.

I militari, più che allo Stato romano, divennero soprattutto fedeli ai loro generali, che potevano renderli ricchi. Questi ultimi, provenendo da famiglie aristocratiche, consideravano le legioni un mezzo per ottenere ricchezze e dare la scalata al potere. Tra i generali e le loro truppe si crea un rapporto strettissimo. Il generale promette terre, bottini, un vitalizio a guerra finita. L'esercito, in cambio, si impegna a coronare col successo le campagne e ad assicurare voti una volta tornato a Roma.

Tutto ciò segnò la nascita di una nuova categoria di super generali con ambizioni politiche. Ricordiamo Mario, console per molti anni. Il suo rivale Silla, che dopo le vittorie nel Mediterraneo orientale, per un certo periodo divenne dittatore. Pompeo Magno, che conquistò la Siria e la Palestina.

E il più famoso di tutti, Giulio Cesare. Siamo nel primo secolo avanti Cristo. Giulio Cesare è un esempio di ambizione pura. Si narra che a 31 anni, mentre si trovava nella cosiddetta Spagna ulteriore, vedendo una statua del famoso condottiero Alessandro Magno, improvvisamente si è riuscito a rinforzare la sua vita. scoppiò in lacrime.

Quelli che erano a suo seguito gli chiesero perché piangesse e lui rispose, alla mia età quest'uomo aveva già conquistato quasi tutto il mondo, io invece non ho fatto nulla. Nell'arco di qualche anno il mondo avrebbe saputo che Cesare invece aveva fatto moltissimo. Di tutti i grandi condottieri romani nessuno ebbe tanta fama, provocò massacri, ispirò fedeltà o odio quanto Giulio Cesare.

Di origini aristocratiche si era fatto strada in politica, sfruttando la sua famiglia, la sua famiglia, la sua famiglia, la sua famiglia, la sua famiglia, Dando il suo ruolo di comando in Spagna, si impossessò di ricchi bottini con i quali poté corrompere gli elettori a Roma. Divenuto console, strinse un'alleanza, il Triunvirato, con Pompeo, un generale suo avversario, e Marco Crasso, l'uomo più facoltoso di Roma. In seguito Cesare si fece nominare governatore della Gallia Cisalpina e Narbonense, le attuali Italia settentrionale e Francia meridionale. desiderava però nuove conquiste.

Nel 58 a.C. una popolazione celtica, gli Elvezzi, gli chiesero di potersi trasferire dall'attuale Svizzera nella Gallia transalpina, l'odierna Francia occidentale, attraverso i territori degli alleati di Roma. Cesare non la consentì e decise di attaccarli.

Cesare ragionò in modo cinico. Una guerra gli era utile perché gli avrebbe fruttato il bottino necessario per finanziare la sua propaganda politica. prima della campagna di Gallia era pesantemente indebitato. La Gallia gli aveva fornito il denaro per pagare i suoi creditori.

Cesare inviò sei legioni contro gli elvezzi. 360.000 uomini, donne e bambini, di cui più della metà furono massacrati. I superstiti furono respinti verso le terre d'origine. Ciò rientrava anche nel contesto delle lotte politiche a Roma verso la fine della Repubblica.

Pompeo, grande rivale di Cesare, era il generale più valoroso di Roma. Cesare, che era in competizione con Pompeo, doveva superarlo sul suo stesso terreno. Dopo essersi sbarazzato degli elvezzi, Cesare inseguì un'altra tribù germanica che aveva attraversato il Reno, coprendo con le sue truppe quasi 200 chilometri in 5 giorni per raggiungere l'Alsazia.

Anche qui i romani uccisero migliaia di persone. Quindi Cesare si diresse verso il Belgio, riservando lo stesso trattamento a una tribù locale. I nemici di Cesare a Roma criticarono le sue azioni, ma il popolo lo acclamava.

Stava sconfiggendo i Galli. anch'essi celti come quelli che avevano saccheggiato Roma nel 390 a.C. Il timore che i romani provavano nei confronti delle popolazioni celtiche aveva cause storiche e fisiche. Pensiamo alla statura dei celti. Mentre gli italici erano di corporatura piccola, i galli sembravano dei giganti.

Ad esempio Giulio Cesare era considerato alto, ma misurava poco più di un metro e mezzo. I romani guardavano con aria di superiorità tutti quelli che, come i celti, non parlavano latino e greco. Per loro erano barbari, cioè popoli la cui lingua suonava come un balbettio incomprensibile.

I romani avevano una visione molto speciale di loro stessi. Si consideravano il popolo che aveva saputo sviluppare le potenzialità della mente per tenere sotto controllo il corpo. I barbari invece si lasciavano trasportare dagli impulsi fisici, come quei giovani d'oggi che si lasciano andare senza freni.

Per i romani i barbari erano degli inculti che si facevano travolgere dalle emozioni. I Celti che Cesare combatteva in Galia però non erano barbari nel senso comune della parola. Vivevano in città organizzate, come si vede in questa ricostruzione fatta in Francia.

Erano abilissimi nel lavorare il ferro. Forse inventarono la maglia metallica ad anelli poi adottata dai Romani. L'arte celtica ancora oggi è ritenuta una delle tradizioni artistiche di maggior rilievo in Europa.

Come guerrieri però, i barbari non potevano competere con le addestratissime legioni di Cesare. Essi non combattevano come gruppo, ma per la gloria personale. Agli uomini più prestanti piaceva mettersi in mostra indossando corazze decorate e rilucenti, stare in prima linea e intraprendere guerre sicuramente violente, ma decisamente su piccola scala.

Non erano in grado di pianificare una guerra ad ampio raggio con... come i romani. Non avevano legioni perfettamente addestrate, non avevano alcun supporto logistico.

Inoltre i celti dovettero affrontare Giulio Cesare, che era un valente condottiero. Era ambizioso, desideroso di vittorie e usava tattiche audaci e inconsuete. Era famoso per la velocità e l'imprevedibilità dei suoi movimenti. Con le sue legioni, queste tecniche raggiunsero la perfezione.

D'altro canto, era un po'incauto. Era temerario, ma spesso si metteva nei guai. Era però così rapido. capace di capire al volo le intenzioni del nemico, da riuscire sempre a cavarsela. Fin dall'inizio fu pronto ad adattarsi alle circostanze, affrontando le popolazioni germaniche, si trovò di fronte a una cavalleria numerosa.

numerosissima. Lui non ne disponeva, ma radunati dei cavalli ordinò ai legionari, da ora sarete la cavalleria. Immediatamente ecco 5.000 cavalieri.

Cesare sapeva di chiedere molto ai suoi soldati, per questo si preoccupava di coltivare un rapporto di intensa lealtà reciproca. Non chiedeva loro di fare nulla che non facesse lui stesso. Spesso, rinunciando alla guardia del corpo, faceva portare via il suo cavallo e si mescolava alle truppe dei soldati semplici. I suoi uomini gli erano devotissimi. Non stupisce che i militari a lui fedeli si arricchissero sempre più con bottini e vendita di schiavi.

Spesso si impossessavano delle prede di guerra con grande brutalità. Cesare stesso si vantava che la campagna di Galia aveva fruttato un milione di morti e uno di schiavi. Cesare si dedicò a quella che altrove ho definito una caccia grossa.

Le sue legioni spadroneggiarono in Gallia, massacrando guerrieri, razziando città, uccidendo donne e bambini. I romani si comportarono in modo feroce con i Celti. Spesso i nemici sconfitti erano fatti schiavi. La schiavitù era importantissima per Roma.

Gli schiavi rappresentavano il 40% della popolazione, la stessa percentuale che si aveva negli Stati americani del Sud prima della guerra di secessione. Gli schiavi ebbero un ruolo fondamentale nello sforzo bellico di Roma. Grazie a loro i cittadini erano liberi di arruolarsi e combattere.

Senza la schiavitù, per Roma sarebbe stato impossibile promuovere le guerre di secessione. di occupazione in modo così efficace. Le conquiste di Cesare proseguirono per nove anni. Egli fu l'esempio eclatante di ciò che l'esercito romano era diventato nei primi 500 anni di vita, scrupoloso, ambizioso, spietato.

Cesare non avrebbe fermato le sue conquiste. Con il sostegno dell'esercito avrebbe travolto i suoi nemici a Roma, acquisendo la carica di dittatore a vita. Autore dei sottotitoli e revisione a cura di QTSS Mus