Giovanni Verga. Tutti quanti avrete letto o comunque sentito parlare dei Malavoglia, uno dei romanzi più importanti della letteratura italiana. Perché leggiamo Verga ancora oggi? Beh, innanzitutto per il suo valore storico.
È un autore che ha rinnovato la letteratura italiana, ha cambiato il modo di scrivere romanzi a fine ottocento, ma anche perché le sue riflessioni e la sua attenzione alla realtà alla verità dei fatti è ancora estremamente attuale. Ci racconta, cioè, ancora il mondo di oggi. La letteratura di Verga è una letteratura che racconta dal basso e racconta il mondo degli emarginati. Ci fa immergere totalmente nella realtà da lui rappresentata.
Questo anche grazie a delle nuove tecniche di scrittura che Verga utilizzerà, ma ne parleremo. Vediamo intanto la vita di Giovanni Verga. Nasce il 2 settembre 1840 a Catania.
Si forma nella scuola di Antonino Abate, che era un letterato patriota. appassionato di poesia romantica, quindi Verga riceve questo tipo di formazione. E infatti questa influenza si nota fin da subito.
A soli 16 anni scrive il suo primo romanzo, Amore e Patria, un romanzo che vuole raffigurare proprio le lotte risorgimentali. Verga passerà diversi anni a Vizzini, vicino Catania, perché questi sono gli anni dell'epidemia di colera. Nel 1854, in particolar modo, ci fu una grande ondata di epidemia che costrinse Verga a spostarsi dalla grande città. Verga si iscrive all'università di legge, ma abbandona gli studi quasi subito.
La strada che vuole intraprendere, per esempio, è quella del giornalismo. Ma non solo, dopo l'arrivo dei mille di Garibaldi a Catania, si arruola addirittura nella Guardia Nazionale. E continua a scrivere nel frattempo, ispirato da tutto questo.
Pubblica, per esempio, I Carbonari della Montagna, che è un romanzo di nuovo risorgimentale. Il primo grande cambiamento nella vita di Verga, e quindi anche nella sua produzione artistica, si ha quando si sposta dalla Sicilia a Firenze. Firenze è sicuramente un ambiente più ricco.
per la sua ispirazione letteraria. Tra l'altro in quegli anni era anche capitale del Regno d'Italia. E comincia una nuova fase nei suoi scritti, non è più soltanto quella patriottica, risorgimentale, ma è anche quella romantica.
Scrive per esempio Una Peccatrice nel 66. Questi in realtà sono anni molto difficili per lui, perché si sente in colpa per aver abbandonato la sua terra d'origine, per aver abbandonato la sua famiglia e per vivere sostanzialmente a carico. della sua famiglia, sperando che arrivi il successo letterario. In questo periodo, infatti, Verga sta frequentando i salotti letterari più importanti di Firenze.
Conosce, per esempio, i pittori macchiaioli. L'incontro decisivo, sempre a Firenze, è con Luigi Capuana. Luigi Capuana sarà fondamentale per lui, perché insieme a lui getterà le basi per la sua poetica verista.
Luigi Capuana, ancora oggi, è ricordato come il massimo teorico del verismo. E infatti, negli anni 70, comincia a scrivere dei romanzi che ancora oggi ricordiamo. Per esempio, Eva.
oppure Storia di una capinera, un romanzo epistolare che parla di questa giovane Maria che è destinata al chiostro, ma che inizia una relazione appunto con un giovane dal quale poi dovrà... di staccarsi. Dopo il periodo fiorentino c'è il periodo milanese.
Verga dal 72 si trasferisce a Milano, che era sicuramente una città ancora più aperta, ancora più dinamica rispetto a Firenze. Qui si fermerà per circa un ventennio. Entra nei circoli culturali e mondani della città, entra in contatto con gli scapigliati, con i quali avrà degli stretti rapporti.
Ed è effettivamente a Milano che Verga scrive i più grandi capolavori. Comincia a esserci un cambiamento nel suo modo di scrivere. Viene pubblicata la novella Nedda, che è un primo esperimento di narrazione di un ambiente che è rusticano, di un ambiente... che è popolare. E il successo di questa novella lo spinge a scrivere in questo modo.
Ormai nel 1878 Verga ha capito qual è la sua strada. Pubblica il suo primo vero e proprio racconto verista, che conosciamo tutti quanti, che tutti quanti abbiamo letto, è il Rosso Malpeno. Raccoglie le sue novelle in vita dei campi del 1880, una raccolta di otto novelle ambientate nella Sicilia rurale con protagonisti dei personaggi umili che vivono dai marginati in una realtà del tutto ostile. Nel 1881 pubblica in Malavoglia. di cui a breve parleremo, e poi pubblica Novelle Rusticane nel 1883. Questa volta 12 novelle, sempre ambientate in Sicilia.
Diciamo quindi che in questi anni Berga sta scrivendo le sue più grandi opere. Viene addirittura rappresentata a Torino per la prima volta l'opera Cavalleria Rusticana, tratta proprio dalla sua novella omonima, che ebbe un grande successo. Tra le attrici c'era anche Leonora Duse, che ricordiamo per D'Annunzio. Sono anche anni di grandi viaggi, di grandi rapporti professionali, incontri a Zola, di cui poi parleremo.
Nel 1888 l'altro suo grande romanzo, Mastro Don Gesualdo, che parla di questo Gesualdo Motta, un uomo di umili origini che si è costruito da solo una grande fortuna. Gli anni 90 non sono così produttivi come lo erano stati gli anni 80 per Verga. Verga ritorna a Catania e rimarrà lì sostanzialmente fino alla morte. Il suo nome è talmente grande ormai che nel 1920 viene addirittura nominato senatore, nomina che però lui riceverà con una certa indifferenza. Morirà il 27 gennaio 1922 a Catania.
Entriamo però ora nel dettaglio delle opere di Verga per cercare di capire, al di là della sua vita, al di là della trama delle sue opere, quello che Verga ci vuole comunicare con i suoi romanzi. Quello cioè che ci ha trasmesso, perché i suoi romanzi sono ancora attuali, perché sono un importante documento letterario. Ricordiamoci che questi sono anche gli anni a livello storico del positivismo. Tuttavia Verga non ha questa fede ottimistica quasi ciega nel...
progresso che molti intellettuali dell'epoca avevano. Al contrario, Verga del positivismo prende più che altro il metodo scientifico, il metodo di osservazione della realtà. La realtà va studiata, osservata in modo scrupoloso e poi raccontata. Questo progresso nel quale tutta la Belle Epoque credeva avrebbe portato poi effettivamente il mondo alle due guerre mondiali, avrebbe portato... il mondo sull'orro del baratro.
Verga si rende conto che in tutto questo c'è l'inizio della fine, ed è per questo che non riesce ad aderire fino in fondo, anzi comincia a rivolgere la sua attenzione nei confronti delle comunità rurali, i confronti di quei personaggi che sono ai gradini più bassi della scala sociale, sperando inizialmente di trovare quella purezza che nel mondo del progresso cominciava a non esserci più, ma rendendosi conto invece molto presto che erano stati corrotti, dal materialismo, da questa idea capitalistica del possesso. Non a caso una delle sue novelle più famose, che ancora oggi presenta una grande modernità, è La Robba, che parla proprio di questa ossessione di Mazzarò per i suoi possedimenti. Verga si rende conto che alla base dei comportamenti umani c'è questo bisogno di possedere, di avere.
Questo ci porta sia verso quello che viene definito giustamente il pessimismo vergiano, sia verso la fase e quella verista. Cioè Verga capisce che tutta questa realtà va raccontata. Anche perché in quegli anni questa esigenza del vero non è soltanto un'esigenza che sente verga. Per esempio in Francia scrittori come Zola avevano dato il via a questa corrente definita naturalismo.
Cioè nei romanzi non ci si interessava più delle storie dei grandi nobili, dei grandi nomi, ma delle storie degli umili. E queste storie andavano raccontate con lo stesso atteggiamento... che ha un ricercatore o uno scienziato nei confronti della sua materia. Cioè in modo impersonale, come se fosse un'inchiesta sociale. Zola diceva proprio di esaminare i suoi personaggi come un medico esamina le patologie dei suoi pazienti.
Questo tipo di lavoro permetteva, secondo il naturalismo francese, di far emergere la realtà delle cose e quindi di criticare la realtà nella quale vivevano questi personaggi in modo più efficace, senza mettere il proprio giudizio personale, senza commentare l'Ottocento di solito. Penso a Manzoni con i promessi sposi, l'autore interveniva. diceva la sua, giudicava moralmente quello che accadeva.
Zola invece credeva che la realtà parlasse già abbastanza da sola, cioè soltanto raccontando in modo oggettivo i fatti veniva fuori la critica sociale. Verga è d'accordo, sicuramente il verismo getta le sue radici ideologiche nel naturalismo francese, anche se ci sono delle differenze da fare, perché Zola crede che attraverso la letteratura ci possa essere una denuncia sociale e quindi un miglioramento della società stessa. Verga al contrario si limita a raccontare quello che vede e ad inserire tutto in una visione estremamente...
estremamente pessimistica, in cui non c'è possibilità di cambiamento, di miglioramento. La vita è una marcia spietata che travolge i vinti, non a caso il ciclo di romanzi che ha ideato, tra cui poi, ricordiamo in Malavoglia, si chiama proprio il ciclo dei vinti, cioè racconta le storie di questi personaggi che sono vinti dalla società, dall'ambiente, dal contesto in cui vivono, dalla legge spietata della realtà. E allora tutto questo pensiero, che ha a che fare anche con la società, con la vita concreta delle persone, Come si può tradurre in scrittura?
Cioè, come si può rappresentare il risultato? questa ideologia a livello pratico. Beh, Verga innanzitutto aderisce al canone dell'impersonalità, facendosi ispirare da Flaubert, un altro grande autore francese che diceva che l'autore nella sua opera deve essere come Dio nell'universo, presente ovunque e visibile in nessuna parte. Beh, allora Verga capisce che quando scrive queste storie deve essere completamente invisibile, l'opera deve sembrare fatta da sé. Chi racconta la storia, se l'autore si eclissa e quindi non accompagna più il lettore nella comprensione dei fatti, nel giudizio di quello che avviene, allora ci dovrà essere una raccolta.
narratore non onnisciente, un testimone anonimo che è completamente integrato nell'ambiente in cui la storia si svolge, che guarda quegli avvenimenti con gli stessi occhi dell'ambiente in cui vive. Quindi è in sintonia con quei valori, con quel modo di pensare. In questo modo quindi il narratore non si mette a descrivere al lettore il carattere dei personaggi, quello che pensano. I personaggi vengono fuori dai loro comportamenti, non da quello che provano dentro, perché non lo sappiamo.
Non c'è il narratore onnisciente che ce lo racconta. In questo modo il lettore è sicuramente più coinvolto, gli sembra di calarsi fin da subito nella realtà rappresentata. Un'altra sfida che si pone fin da subito è quella della lingua.
Cioè, in che modo parlano i personaggi? Come questo narratore racconta i fatti? E qui c'è un problema gigante, no? Perché l'italiano di quegli anni non coincideva con la lingua realmente parlata sul territorio.
che era invece il dialetto, no? A seconda del luogo in cui ci trovavamo. E allora Verga non può usare la lingua italiana, perché quei personaggi non parlerebbero quella lingua lì.
Allo stesso tempo però non può scrivere dei romanzi in dialetto. Sono destinati a un pubblico più grande. E allora la lingua di Verga è una lingua sostanzialmente italiana, che però è aperta alle forme dialettali, è aperta soprattutto a livello di sintassi, alla semplificazione, alla cadenza, alle inflessioni che sono quelle dei dialetti.
in particolar modo del dialetto siciliano. Tutto quello di cui abbiamo parlato è evidente, soprattutto nei due testi principali di Verga. Sicuramente la novella Rosso Malpelo che inaugura la svolta verista e il romanzo, il primo del ciclo dei vinti, I Malavoglia. Già in Rosso Malpelo il narratore è una voce interna a questo mondo di miniera in cui vive questo ragazzo che subisce i pregiudizi e le malignità di tutti.
soltanto per il fatto di avere i capelli rossi. E quindi proprio la voce popolare si esprime su di lui, dandogli una condanna che si porterà avanti a vita. Il narratore infatti ci presenta fin da subito questo nesso tra capelli rossi e cattiveria, al quale chiaramente l'autore, Verga, ma anche noi lettori, mi auguro, non possiamo aderire.
È una voce popolare, che viene espressa però dal narratore stesso, e questo crea lo straniamento. Cioè ci troviamo subito inseriti, immersi nel contesto anche... valoriale in cui il racconto si svolge. Il personaggio è un vinto, è un emarginato, è uno sfruttato eppure non c'è una lettura pietosa da parte dell'autore. L'autore si limita a raffigurare, a mostrarci questo mondo spietato nel quale vive Rosso Malpelo, per il quale non c'è possibilità di miglioramento, tant'è che la sua storia finisce proprio come tutti si aspettavano, cioè scomparirà per sempre nella miniera come un diavolo, proprio come quel diavolo che tutti in lui vedevano.
a causa dei capelli rossi. L'altro testo di cui parlavo è appunto in Malavoglia, il primo di questo ciclo di romanzi, il ciclo dei vinti, che poi Verga non riuscirà a completare. Il romanzo è ambientato in un paesino di pescatori, il famoso Acitrezza, in un mondo che è sempre uguale a se stesso da secoli, un mondo arcaico, rurale, nel quale però comincia a penetrare la modernità.
Questa vita di paese, così monotona, così uguale a se stessa, viene infatti scossa dalla novità. Cioè questa famiglia decide di investire in un carico di lupini. Cioè questa famiglia di pescatori, chiamati Malavoglia, è un nome antifrastico, cioè dice il contrario di quello che erano.
Erano dei grandi lavoratori. Vivevano una vita povera nella casa del Nespolo, tutti i giorni andavano a lavorare sulla loro bar. chiamata la provvidenza. Il problema è che quando il padre di famiglia, padron Tony, decide di investire in un carico di lupini e quindi di inserire una novità all'interno della sua vita sempre uguale, Beh, questo crea un dramma, perché effettivamente la provvidenza naufraga, il carico di Lupini preso a credito da un usuraio se ne va praticamente tutto in fondo al mare, e perde la vita anche uno dei personaggi della famiglia, Bastianazzo. Da qui, senza più la barca, cominciano una serie di disavventure per tutta la famiglia, famiglia che ha dei personaggi memorabili come il giovane Antoni, ma anche il piccolo Alessi, che li porterà sostanzialmente alla rovina.
Ecco, questo romanzo, sulla cui trama non mi dilungo, sarebbe bello direttamente leggerlo, mette in evidenza proprio quella visione fatta. fatalista tipica del meridione di quegli anni. Cioè il mondo è uno spazio chiuso, regolato da tradizioni secolari, e la vita dell'uomo si può muovere soltanto dentro a quello spazio.
Nel momento in cui l'uomo prova a uscire da questo circolo vizioso sempre uguale a se stesso, è destinato al fallimento. Utilissimo per spiegare tutto questo è il concetto dell'ideale dell'ostrica, di cui Verga parla in Fantasticheria. Si basa sull'idea che coloro che appartengono ai deboli devono rimanere legati alla propria famiglia, al proprio lavoro, alle proprie tradizioni, per evitare di perdersi nel grande mare del mondo, per evitare che i pesci più grandi li divorino. E quindi come un'ostrica rimane attaccata al suo scoglio, i deboli, gli ultimi, devono rimanere attaccati alle loro tradizioni, al loro mondo, altrimenti fuori il mare aperto li mangerà.
Ci sarebbero molte altre cose da dire su Verga e sui Malavoglia, ricordiamoci però che prima di tutto questi libri vanno letti, perché sono belli e perché ci raccontano ancora oggi delle cose di tutti noi, anche se sono stati scritti secoli fa. I Malavoglia ci racconta proprio di questa fiumana del progresso, come la definisce Verga, cioè questo avanzare del tempo che non fa altro. che lasciarci vinti dei posti sulla riva dopo averci travolti e annegati.