600 anni dopo la caduta dell'impero romano d'occidente, una fitta foresta nasconde molte delle opere realizzate dal grande impero. Strade, acquedotti, fortificazioni. Alla sua ombra. si sviluppa una storia affascinante e complessa.
Lo storico ferrarese Ricobaldo così descrive la vita in quei tempi. Rudi erano i costumi e il modo di vivere. Gli uomini portavano sul capo cuffie di squame di ferro, cucite a berretti, che chiamavano maiete.
Modestissimo era allora il modo di vivere di uomini e donne. Raramente appariva l'oro e l'argento sulle vesti. Anche il cibo era frugale.
L'uomo e la donna mangiavano assieme nello stesso piatto. La gloria degli uomini stava nelle armi e nei cavalli. La gloria dei nobili consisteva nel possedere torri.
Ogni città d'Italia appariva famosa grazie al numero delle torri. A contendersi il territorio italiano arrivano urde di popoli invasori che si stabiliscono dando origine a una mescolanza di etnie, tradizioni, culture. Sul finire dell'undicesimo secolo i normanni, uomini del nord discendenti dai vichinghi di Scandinavia, con un'irresistibile avanzata si impadroniscono di molti territori del meridione d'Italia. introducono la tradizione cavalleresca e il potere monarchico e trasformano questa regione fino ad allora marginale in una potenza militare.
Si convertono al cristianesimo stringendo alleanze con il capo della cristianità, il Papa. Nelle loro città svettano grandi cattedrali in pietra. I protagonisti del XII secolo sono i comuni del nord, spesso organizzati in coalizioni o leghe che aspirano a un governo autonomo. L'impero, con centro in Germania, fondato secoli prima da Carlo Magno, con l'intento di ripristinare l'impero universale di Roma, ormai decaduto. Il sopravvissuto impero romano d'Oriente, con sede a Bisanzio, ovvero Costantinopoli, naturale antagonista dell'impero germanico.
Al di là dei confini europei, una forza in grande espansione militare e culturale, il popolo dell'Islam. Partendo dalla penisola arabica, ha conquistato in pochissimo tempo gran parte del sud e dell'oriente del mondo conosciuto e stringe le nazioni cristiane in un semicerchio che va dalla penisola iberica fino alle porte di Costantinopoli. La Germania, sede del potere imperiale in Occidente, è un territorio diviso in regni. principati, ducati, secondo una gerarchia feudale già disegnata da Carlo Magno e che durerà ancora per molti secoli in Europa.
Sono i principi tedeschi a designare il nome del re di Germania. Lo fanno riunendosi in convegni detti diete. Il sovrano tedesco ha il privilegio di ereditare il titolo di imperatore. Tuttavia, un solo uomo può porre sul suo capo la corona imperiale, il papa.
Le aspirazioni di questi due protagonisti non sempre coincidono. La scomunica è lo strumento col quale il pontefice decreta per il proprio avversario non solo l'allontanamento dalla Chiesa e dalla grazia di Dio. Lo scomunicato perde ogni diritto sia in cielo che in terra.
Questo atto provoca a volte una risposta armata con conseguenti guerre, invasioni, saccheggi. L'esito del conflitto è sempre incerto. Forse un nuovo imperatore o un nuovo re di Germania e a volte un nuovo papa, oppure un antipapa se nominato in contrapposizione al papa legittimo. È un periodo quindi di intrighi, alleanze, tradimenti e dilagante corruzione. È proprio in questi anni che nasce la tradizione degli svevi.
Il fondatore della casata è Federico di Hohenstaufen. Prende il nome dal castello costruito nel 1070 in un territorio della Germania ricco di castelli, il Giura Svevo. Federico sostiene l'imperatore Enrico IV nelle lotte con il papato, proprio lo scomunicato Enrico salito a Canossa per chiedere il perdono del papa. e ottiene in cambio sia il ducato di Svevia, sia la mano di Agnese, figlia dell'imperatore.
Sposandola, assume il titolo di Federico I, duca di Svevia. La casata Hohenstaufen si imparenta quindi con la stirpe imperiale e segna l'ingresso nella storia degli Svevi, così vengono infatti denominati i discendenti della famiglia. Il nuovo imperatore, Enrico V, muore nel 1125 senza eredi maschi. L'erede legittimo è proprio il figlio di Federico I, duca di Svevia e di Agnese.
Il suo nome è Federico, il secondo duca di Svevia. Ma i tempi per la casa di Svevia non sono maturi. Un altro nome nella mente del papa, Lothario di Sassonia.
Ne scaturisce una lotta tra due fazioni. Sono detti i Guelfi, coloro che appoggiano Lothario e la politica papale. I Ghibellini invece sostengono Federico.
Tra scomuniche e battaglie, mentre il duca di Svevia contrasta l'Otario in Germania, suo fratello minore Corrado III scende in Italia ottenendone la corona di re. A inizio, la dominazione sveva in Italia. Quando Corrado muore, senza lasciare eredi, gli succede un nipote.
Si chiama Federico, ma tutti lo conosceranno col nome di Barbarossa. Figlio di padre Ghibellino e madre Guelfa, riconcilia nella sua persona le due avverse fazioni. Depone un papa illegittimo, Arnaldo da Brescia, e riporta sul trono Adriano IV.
In cambio ottiene la corona imperiale. Il Barbarossa vuole restaurare il potere politico dell'impero. Si considera erede di Costantino, di Giustiniano, di Carlo Magno.
Il suo tentativo di far valere i diritti della corona sugli altri soggetti politici, ormai consolidati sulla penisola italiana, non avrà però successo. Lo scontro con i comuni del Nord Italia, coalizzati nella Lega Lombarda, e l'ostilità del nuovo Papa Alessandro III, gli sono fatali. Nel 1176, il 29 maggio, presso Legnano, avviene lo scontro finale. Lo stesso imperatore, rovesciato da cavallo in battaglia, scompare e per alcuni giorni viene ritenuto morto.
Quando poi ricompare, è costretto a ritirarsi. Dovrà venire a patti prima col papa per riparare alla scomunica in atto e poi con i comuni. La pace è sottoscritta nel 1183 a Costanza. Il sogno del grande impero per il Barbarossa è svanito per sempre.
La sua fine è tra storia e leggenda. Ormai settantenne, ma ancora uomo poderoso dal fisico prestante, impegnato in una crociata, decide di rinfrescarsi dopo una lauta cena nelle fredde acque del fiume Selef, presso Antiochia. A Nighe gli succede il figlio Enrico VI, che aveva sposato Costanza d'Altavilla, figlia del normanno Ruggero II, re di Sicilia. La Sicilia, meravigliosa terra di grandi ricchezze, già posseduta dagli arabi con la loro florida civiltà e successivamente conquistata dai normanni, diventa così eredità della famiglia Sveva. Il 26 dicembre 1194, dopo otto anni di matrimonio, mentre Costanza ormai quarantenne è in viaggio verso la sua Sicilia, Aghiesi dà alla luce l'ultimo grande Svevo.
Il suo nome è Federico. Tre anni dopo Enrico VI muore. Costanza si trova sola a difendere la vita del piccolo Federico e il suo regno.
A tale scopo stringe un accordo con il nuovo papa Innocenzo III, rinunciando in cambio a molti privilegi della corona sulla nomina dei vescovi. Un punto a favore dell'autorità papale. Il 27 novembre 1198 Costanza muore. Federico a soli quattro anni è incoronato re di Sicilia.
duca di Puglia e principe di Capua. Egli è solo, adesso sotto la tutela del Papa, che lo tiene segregato nel Palazzo Reale di Palermo, mentre fuori il potere è conteso tra feudatari tedeschi, nobili normanni, pretendenti alla corona di Sicilia e legati pontifici. Un'infanzia difficile.
Federico appare disarmato di fronte ai suoi avversari. In quel crogiuolo di civiltà, la Sicilia, Federico sopravvive e acquisisce al contempo una notevole maturità. Egli ha un naturale ingegno e un'innata saggezza, acuita dalle dure esperienze vissute. Attorno a lui ci sono ottimi maestri.
Nicola, arcivescovo di Taranto, il notaio Giacomo da Traietto. Federico mostra grande interesse per il sapere. Conosce numerose lingue, latino, greco, tedesco, francese e non ultimo l'arabo.
Anzi, in lui colpisce la familiarità sin dall'adolescenza con il mondo spirituale arabo, la simpatia per l'islam. la disinvoltura dei rapporti con i credenti di altre religioni. Più tardi queste simpatie irriteranno gli ortodossi cristiani e saranno causa di difficoltà nei rapporti con i poteri antagonisti.
A 14 anni, secondo la tradizione Siculo-Normanna, si conclude la tutela del pontefice e Federico è proclamato maggiorenne. Disordini, lotte intestine, ribellioni minano il regno, ma Federico dimostra di poter governare. Un anonimo scrive di lui.
Le sue doti a tal punto precorrono gli anni che prima ancora di essere divenuto uomo, ma già provveduto di conoscenze, egli portò in sé il dono della sapienza che avrebbe dovuto acquisire con l'andare degli anni. La scienza lo ha reso già uomo e la maestà lo ha fatto sovrano. E giocò forza a ubbidirgli immediatamente e senza indecisioni.
Egli sa distinguere tra il bene e il male, tra fedeltà e infedeltà. La sua mano è ferma e terribile. Fa imprigionare molti feudatari tedeschi, confiscandone i beni, e revoca molte concessioni feudali.
Federico non agisce da solo. È circondato da validi collaboratori, che lo guidano nel riordinamento dell'amministrazione del regno, e in particolare della giustizia. La sovranità assoluta si manifesta mediante il rafforzamento dello Stato centrale e delle sue funzioni.
Ideatore e architetto delle riforme è Pier Delevingne, giurista, filosofo, fedele ministro. L'insieme dei principali provvedimenti in campo giuridico-amministrativo diventa la prima raccolta organica di leggi del Medioevo. Sono le Constituziones Regni Sicilie, dette anche Costituzioni di Melfi, perché proclamate in una dieta convocata nella città di Melfi.
Vi si legge nel proemio. L'ordine delle cose stesse, non meno che l'impulso della Divina Provvidenza, hanno scelto i principi dei popoli affinché, attraverso di essi, fosse limitata la facoltà di operare il male. Ancora nel terzo libro si legge Non pensino le genti future che noi abbiamo voluto la compilazione di queste costituzioni soltanto per il desiderio di gloria.
Noi le abbiamo volute per cancellare in questi nostri tempi l'ingiustizia del passato, quando la voce del diritto era muta, e per far risorgere, rinnovata nella memoria, una nuova era di giustizia. Il giovane Federico continua a rafforzare il suo potere. Nel 1212 è re di Germania, di Sicilia e di Puglia, con la benedizione di Papa Innocenzo III, suo tutore. L'ombrello papale gli è di grande utilità. Federico è presente in tutte le azioni politiche e amministrative del suo regno, cura personalmente l'assetto politico e militare.
L'impero non ha altri pretendenti di uguale forza. Il 22 novembre 1220 in San Pietro, il nuovo Papa, Onorio III, pone la corona del Sacro Romano Impero sul capo del 26enne Federico, re di Germania e di Sicilia. È la proclamazione dell'imperatore Federico II, nipote del Barbarossa, della casa di Svevia, discendente della famiglia Hohenstaufen. Il Papa aveva incassato in cambio la promessa di una crociata contro gli infedeli e di una gestione separata della Sicilia rispetto all'impero. La mano dell'imperatore, armata ormai di grande potere, può porre in atto un grandioso programma di consolidamento dello Stato.
Nella sua mente vi è la riorganizzazione spaziale e di... difensiva del territorio, un'opera in parte già avviata dai normanni che avevano disseminato il territorio di castelli, fortificazioni, torri difensive, con l'obiettivo di rendere l'Europa cristiana una fortezza impenetrabile. Quasi ogni città dell'impero è dotata di torri difensive e di murapossenti.
L'imperatore però può contare sulla fedeltà di ben poche regioni dell'impero. In Germania i principi tedeschi sono sempre in fermento e tramano intrighi. I comuni del nord Italia sono di fatto città-stato autonome.
Le regioni del centro Italia sono sotto il dominio pontificio. In Sicilia e in Puglia Federico trova un ambiente più favorevole, un calore che ristora dal freddo gelido del nord. L'imperatore ne è costantemente attratto. La Sicilia è il regno del sole, la patria dei suoi avi normanni.
Ma è affascinato soprattutto dalla Puglia, per la serena dolcezza del suo paesaggio malinconico e solare, dolce e aspro, per le pianure, le marine, le boscose colline. Una sorta di terra promessa, scenario ideale e suggestivo, in cui si intrecciano armonicamente natura e arte, definita dallo stesso Federico, luce dei suoi occhi. E proprio in Puglia vuole stabilire la Corte Imperiale, una base da cui lanciare l'offensiva politico-militare per ristabilire il proprio potere sull'Europa imperiale. Sfoglia i feudatari di molti dei loro poteri a favore dello Stato centrale.
Conti e baroni fanno posto a funzionari e ministri di nomina imperiale. Chi mette in discussione l'operato del sovrano e dei suoi ministri commette sacrilegio. Di contro, è punito con estrema severità il ministro che, nell'esercizio dell'ufficio, devia dal mandato ricevuto.
In campo economico vanno ricordati anche gli interventi che coinvolgono le comunità ebraiche. Federico non vuole che gli ebrei siano vittime dei cristiani, ma non desidera neppure il contrario. Decide allora di ricondurre le attività economiche degli ebrei sotto il controllo pubblico, accordando loro protezione. È il primo sovrano europeo a far ciò.
Egli considera lecito il prestito a interesse, ma stabilisce il tasso del 10% annuo. Trasforma inoltre i tradizionali monopoli ebraici della seteria e della tintura in un monopolio industriale dello Stato. Gli artigiani ebrei lavorano su concessione di un privilegio regio che frutta denaro anche all'erario.
Segno della politica statalista è anche un programma edilizio, che sovrapponendosi alle architetture preesistenti, le arricchisce e le amplia, imponendo dappertutto un unico e inconfondibile stile. In questo modo l'impero cerca di ridurre le differenze locali per far intravedere l'appartenenza a un territorio unitario e a un unico potere di governo. Una politica che troverà ampia applicazione negli stati totalitari del XX secolo.
L'imponente programma edilizio richiede però un impegno finanziario e una conseguente pressione fiscale imponenti. Tommaso da Gaeta, suo consigliere, invia all'imperatore alcune lettere in cui esorta il sovrano a considerare tali aspetti e sottolinea che la sola fortezza veramente inespugnabile è l'amore dei sudditi. Chi sono gli architetti di questa rivoluzione edilizia?
L'ordine monastico dei Cistercensi, già a partire dall'anno 1000, si era reso artefice del rinnovamento architettonico europeo, con la costruzione di grandiose cattedrali, di fortezze e di opere civili di bonifica del territorio. Su consiglio del pontefice, Federico recluta gli architetti cistercensi. Le opere realizzate ex novo non sono molte. Per lo più si procede alla ristrutturazione di edifici preesistenti. Osservando le nuove realizzazioni si notano i caratteri tipici dell'età federiciana.
Il rigoroso rispetto delle geometrie, la simmetria e l'utilizzo talvolta ripetuto della forma quadrata. La pianta dell'edificio è generalmente quadrangolare, con torri angolari quadrate o cilindriche. Talvolta sono presenti torri mediane poligonali. Il palazium, palazzo. di Lucera, segna il passaggio dalla forma del quadrato a quella dell'ottagono.
Si tratta di una fortezza dotata di complesse ed eleganti soluzioni decorative, tipiche di una residenza. Si intravede l'avvento della residenza principesca rinascimentale. Evoluzione complessa ed enigmatica dell'architettura federiciana è certamente Castel del Monte, che rappresenta il culmine dei programmi architettonici di Federico. Sono numerose le ipotesi circa la destinazione di questo edificio.
La disposizione dei volumi interni non farebbe pensare a un luogo di soggiorno. Forse è una fortezza posta in una posizione centrale nell'ambito della sistemazione delle fortificazioni in Puglia, circondata da una possente cinta muraria, oggi distrutta. Secondo altri storici, l'assenza delle tipiche dotazioni difensive porterebbe a pensare il contrario.
Altre ipotesi traggono spunto dal cosiddetto rapporto aureo tra le dimensioni dell'edificio, un concetto matematico di antica origine. Il castello è forse un luogo di incontri esoterici tra cavalieri di un ordine a noi sconosciuto. È certo che la particolare disposizione del castello rispetto alla luce del sole ne farebbe un enorme orologio solare.
Le conoscenze scientifiche e in particolare geometriche hanno un valore simbolico e religioso durante il Medioevo. Forse il quadrato e il cerchio costituiscono la terra e il cielo, l'umano e il divino. In questa simbologia l'ottagono potrebbe rappresentare il fine ultimo da raggiungere, la perfezione dell'infinito a metà tra cielo e terra. È incerta la presenza dell'imperatore tra le mura del castello, più probabile quella dei suoi nipoti, i figli di Manfredi, ma come prigionieri.
Resta comunque intatto il fascino romantico di questa costruzione, unica nell'ampio panorama dei modelli costruttivi medievali e non solo. I programmi dell'imperatore non escludono l'edilizia religiosa. In Puglia, in particolare, si aprono numerosi cantieri di cattedrali.
In genere si tratta di ristrutturazioni di costruzioni religiose di fondazione normanna, sulle quali si interviene per ammodernarle e impreziosirle nell'arredo liturgico o nell'apparato scultoreo, raramente nelle strutture. Ad Altamura, l'imperatore promuove la costruzione ex novo di una cattedrale. è l'unico edificio religioso che possa definirsi completamente federiciano.
Accanto ai castelli, alle residenze urbane e alle architetture religiose, si sviluppa una rete di residenze per la caccia e il riposo, usate dall'imperatore e dalla sua corte, i cosiddetti loca sulla ciorum, particolarmente frequenti in Capitanata, la provincia di Foggia, a quei tempi ricoperta di boschi. Per la loro edificazione si interviene sul paesaggio, modificandolo e modellandolo con la costruzione di laghi artificiali, peschiere, parchi e giardini. Federico si dedica anche con grande passione alle arti cavalleresche e alla falconeria, come testimoniato dal suo trattato De Arte Venandi Cum Avibus, un vero e proprio manuale diviso in due sezioni, l'ornitologia e la falconeria, in cui Federico palesa il suo interesse per le scienze naturali, in particolare per la zoologia. La caccia rappresenta per il sovrano da un lato una manifestazione simbolica del potere, dall'altro un vero e proprio svago, la passione della sua vita, un mezzo per conoscere la natura.
Uomo di vivo intelletto, Federico raccoglie sotto la sua protezione una cerchia feconda e vivissima di artisti e letterati, che dà vita a una scuola poetica tra le più importanti nella storia della letteratura italiana, la Scuola Poetica Siciliana. A questi poeti si deve il merito di aver innalzato l'antico dialetto apulosiculo a rango di siciliano illustre. Critico è a tal proposito Frate Salimbene da Parma, che nella sua cronaca delinea un profilo piuttosto negativo di Federico, inteso a comporre e cantare cantilene, con una vena poetica di gran lunga inferiore alle sue capacità in campo scientifico. Ci sono pervenuti solo pochi componimenti attribuiti con certezza all'imperatore.
Le sue liriche costituiscono delle vere e proprie esercitazioni di stile, artefatte e convenzionali, ispirate al mondo della cavalleria e della corte. L'amore sincero per una donna, bianca lancia del Monferrato, ispira le liriche Poi che ti piace amor e Della mia disianza. La fiore ed ogni fiore prego per cortesia, che più non sia lo suo detto fallato, né indisturbato per iniziadore, né suo valore. non sia meno vato, né rabassato per altro amadore. Ma tanto m'assicura lo suo viso amoroso, e lo gioioso riso, e lo sguardare, e lo parlare di quella creatura che per paura mi face penare e dimorare, tant'è fine e pura.
Ma più che un letterato, Federico è uomo di scienze, animato da grande curiosità e desiderio di conoscere. Come testimonia il brano tratto da... La lettera ai dottori dello studio di Bologna del 1232. Quel po'di tempo che riusciamo a strappare alle occupazioni che ormai ci sono divenute familiari, non sopportiamo di trascorrerlo nell'ozio.
Ma lo spendiamo tutto nell'esercizio della lettura, affinché l'intelletto si rinvigorisca nell'acquisizione della vita. scienza, senza la quale la vita dei mortali non può reggersi in maniera degna di uomini liberi. E voltiamo le pagine dei libri e dei volumi, scritti in diversi caratteri e in diverse lingue, che arricchiscono gli armadi in cui si conservano le nostre cose più preziose.
Che Federico fosse attirato dalla filosofia e dalla scienza si deduce soprattutto dalle conversazioni che intratteneva con la moltitudine di scienziati, filosofi, negromanti, appartenenti a diverse culture che affollavano la sua corte. Il suo vivissimo interesse per la matematica, l'astrologia, l'astronomia era sostenuto da uno spirito razionale, empirico, ma al tempo stesso superstizioso. Sono note le questioni rivolte dall'imperatore a Michele Scoto, filosofo e astrologe.
di corte dal 1227 circa l'origine della terra e degli astri e l'esistenza di un mondo ultraterreno preziosissimo tra i miei maestri noi ti preghiamo di volerci spiegare l'edificio della terra e precisamente quanto è alta la sua solida consistenza sovrastante gli abissi e come siano questi abissi sotto la terra e se la giusta esista qualche altra cosa che la sorregge oltre l'aria e l'acqua, se la terra posi su sé medesima o sui cieli che le stanno sotto, e se esistano altri cieli e chi li guidi, e dove esattamente si trovino l'inferno, il purgatorio e il paradiso, sotto la terra, nella terra o sopra di essa. Federico era affascinato dalla filosofia della scuola di Averroè, matematico e filosofo arabo. Molti gli interrogativi, denominati questioni siciliane, posti a filosofi e scienziati islamici dopo la morte di Scoto, tra il 1237 e il 1242. Esse costituiscono un documento importantissimo per comprendere l'atteggiamento dell'imperatore nei riguardi del mondo islamico.
Alcune di esse sono riportate in un trattato di ottica, opera di uno scienziato arabo, in cui tra l'altro Federico chiede «Per quale ragione i remi, le lance e tutti i corpi diritti di cui una parte venga immersa nell'acqua sotto la superficie di essa sembrano curvi e deformati? » La forte personalità e la vastità di interessi traspare anche da alcuni curiosi esperimenti ordinati da Federico e descritti nella cronaca di Frate Salimbene da Parma. Si narra che per verificare che l'anima non è immortale, l'imperatore fece rinchiudere un uomo in una botte, dimostrando una volta morto che l'anima non viene fuori dal corpo, ma si dissolve con esso.
Un altro crudele esperimento è legato al desiderio di Federico riconoscere se la digestione sia favorita dal movimento o dal riposo. Egli infatti, dopo aver fatto mangiare lentamente due uomini, ordinò a uno di riposare e all'altro di andare a caccia. La sera seguente, il suo figlio, Federico, si è riuscito a rinforzare la sua digestione. seguente i due stomaci vennero svuotati alla presenza dell'imperatore, dopo averli squartati.
Probabilmente la gran parte di questi episodi è frutto delle leggende createsi intorno alla sua figura, e viene fuori il ritratto di uno scettico, un miscredente. talvolta anche molto crudele. Un ottimo pretesto per le scomuniche papali.
Dante stesso collocherà Federico II tra gli eretici e gli epicurei nel canto decimo dell'inferno. Ma la sua passione per la cultura è innegabile. È proprio questa passione che lo spinge a fondare nel 1224 l'Università di Napoli, che ancora oggi porta il suo nome, la prima università statale del mondo occidentale.
Per favorirne lo sviluppo concede facilitazioni di vario genere. genere a coloro che vogliono frequentarla e proibisce ai suoi sudditi di recarsi a studiare a Bologna o altrove. Anche la scuola medica di Salerno cresce grazie a lui. Nel novembre del 1225 a Brindisi Federico sposa in seconde nozze Yolanda di Brienne, figlia di Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme.
La sua prima moglie Costanza d'Aragona era morta tre anni prima. Nel 1227 muore Papa Onorio III e gli succede Gregorio IX. L'8 settembre dello stesso anno, esortato dal Papa, Federico parte da Vrindisi alla volta della Terra Santa.
La peste però ha il sopravvento e solo tre giorni dopo la nave imperiale rientra in porto a Otranto. Il 29 settembre Gregorio IX scomunica Federico II in occasione di questa mancata partenza, una decisione che ha anche altre ragioni, i soprusi attuati in Sicilia sui beni ecclesiastici. Nel giugno del 1228, sebbene scomunicato, Federico parte da Brindisi per la Sesta Crociata con le sue forze di 40 navi, dette galee.
Questa spedizione viene però condotta senza il consenso del Papa Gregorio IX, che ne limita l'azione proibendo ai cattolici di seguire l'imperatore nell'impresa. In realtà, l'inedita crociata non violenta, sconfessata dalla sede apostolica, si rivela un inatteso successo. Nel 1229, infatti, l'imperatore raggiunge un accordo con il sultano d'Egitto Al-Kamil, suo grande amico. Per diritti acquisiti dalla seconda moglie Yolanda di Brienne, senza spargimenti di sangue, Federico II ottiene per i cristiani la restituzione di Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e altre città, oltre a uno sbocco al mare.
Un cronista cristiano testimonia che tanto grande è l'amore e la fiducia che egli porta agli infedeli e tanto profonda la conoscenza che ha di essi da fargli onorare questo popolo e le sue istituzioni più di ogni altro. Maomettani ortodossi sono diventati i suoi camerlenghi e servitori e in molte cose egli si attiene agli usi e costumi saraceni. Spesso invia al sultano doni magnifici e preziosi e altrettanto fa quelli con lui.
Nel marzo del 1229, Federico II a Gerusalemme, nella chiesa del Santo Sepolcro di Cristo, cinge con le proprie mani la corona reale. Nello stesso anno, però, l'imperatore subisce la perdita di sua moglie Iolanda di Brienne, avvenuta dopo la nascita del figlio Corrado. L'anno dopo, la chiesa revoca la scomunica a Federico II e si ristabiliscono buoni rapporti con il papa, documentati dall'arrivo di Federico a Roma e dall'accoglienza amichevole del pontefice. Il Papa sembra approvare la politica dell'imperatore in Terra Santa.
Nell'impero però si prospetta un periodo di lotte e scontri. Nel 1235 Federico è chiamato a sedare la rivolta del figlio primogenito avuto da Costanza d'Aragona, Enrico re di Germania, illuso e istigato contro il potere imperiale da alcuni nobili tedeschi. Federico organizza il suo esercito e decide di salire in Germania. Il popolo tedesco rimane ammaliato e atterrito dall'esotica imponenza del suo corteo. I sostenitori di Enrico fuggono.
Il cronista Eberbach così riferisce. Egli avanzava in grande gloria, come si addice alla sua imperiale maestà. E lo seguivano carri carichi d'oro e d'argento, di porpora e di bisso, di pietre preziose e preziosi arredi.
Portava seco cammelli ed dromedari, scimmie e leopardi, saraceni esperti in molte arti e numerosi etiopi che sorvegliavano i suoi tesori. Egli venne dunque con gran seguito di principi e signori e giunse a Wimfen. Allora tutti i fautori di re Enrico furono colti da spavento e disperazione a causa della gloria e potenza dell'imperatore. Enrico morirà pochi anni dopo, nel 1242. Nelle lettere inviate da Federico al clero siciliano, traspare l'amore del padre verso il figlio e la sofferenza per la sua fine sventurata, pur velati di durezza e inflessibilità.
Vi si legge. Il compianto del genitore amorevole ha fatto ammutolire la severità del giudice. Noi dolorosamente piangiamo la sorte di Enrico, nostro primogenito.
E dal più intimo la natura ha fatto sgorgare fiotti di lacrime, che finora il dolore dell'offesa e l'inflessibilità della giustizia avevano trattenuto. Forse i padri severi stupiranno che il Cesare mai vinto da nemici s'abbia dovuto piegarsi sotto un dolore familiare. Noi che non fummo colpiti dalla tracotanza del re quando era in vita, ammettiamo ora di essere piegati dalla sua scomparsa.
Nel 1237, a Corte Nuova, presso Bergamo, Federico sconfigge l'esercito della Seconda Lega dei Comuni Lombardi, conquistando il Carroccio, simbolo delle città lombarde federate. Può annullare la pace di Costanza del 1183, che aveva siglato la rinuncia da parte del nonno, Federico Barbarossa, al dominio assoluto e accentratore sui comuni, e stabilisce un nuovo ordinamento generale al Regno d'Italia. Il territorio a nord del Regno di Sicilia e di Puglia viene sottoposto a un luogotenente imperiale e suddiviso in cinque parti sotto cinque vicari, funzionari militari e civili, ovvero capitani e giustizieri, governano le principali città. L'azione politico-militare di Federico sembra all'apice del successo.
A seguito di questa vittoria, nel 1238, l'imperatore dona alla città di Roma il Carroccio di Milano, un carro trainato da buoi, con in vista una croce, lo stendardo cittadino e una campana detta Martinella, che veniva suonata per dare inizio all'assalto. Durante le battaglie, posto al centro dello schieramento, serviva a spronare le milizie. Era considerato simbolo di indipendenza dalle città comunali dell'Italia del Nord. Con questo gesto, Federico vuole presentare se stesso come l'erede degli imperatori romani, in armonia con il disegno di restaurazione dell'impero, in una sorta di appropriazione ideologica dei modelli antichi.
Egli accompagna il dono con queste parole. I doni del Cesare Augusto Federico II, o Roma, conserva, e il carro quale primo ornamento della città. Esso, catturato nella sconfitta di Milano, viene preda gloriosa a riferire i trionfi di Cesare. Starà obbrobrio del nemico, viene inviato in onore di Roma, e l'amore di Roma gli impone di mandarlo.
Nonostante la sconfitta, le forze della Lega non vengono fiaccate e tornano a essere tesi i rapporti tra l'imperatore e il papato. Infatti nel 1238 Enzo, figlio naturale di Federico, sposa Adelasia di Sardegna, acquisendo il titolo di re di Sardegna, isola soggetta alla sovranità pontificia, e acquisce così l'ostilità papale. Furiosi sono i duelli verbali tra Federico II e Papa Gregorio IX. Si accusano reciprocamente di essere il corruttore e l'anticristo. Ne deriva un periodo di disorientamento e paura nel rigido mondo medievale.
In uno scritto datato 10 marzo 1239 e indirizzato al Collegio dei Cardinali, l'imperatore Federico, ormai a conoscenza dell'intenzione di Papa Gregorio di scomunicarlo, compie un ultimo tentativo di salvare la pace con la minaccia. Scrive Noi preghiamo con questo vostro reverendissimo consesso di voler limitare con ponderata moderazione i sensi del sommo sacerdote riconosciuto dal mondo tanto ingiustamente quanto arbitrariamente e di evitare scandali alla Chiesa. Nella bolla d'accusa datata a 20 marzo 1239, Domenica delle Palme, sono elencate le motivazioni adotte dal Papa per la scomunica.
Molto abilmente Gregorio IX chiude la porta a qualsiasi trattativa. Forti della perfetta potenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, degli Apostoli Pietro e Paolo e della nostra stessa autorità, noi scomunichiamo e anatemizziamo Federico, chiamato Imperatore, perché nella città di Roma egli è stato l'istigatore di una sedizione contro la Chiesa Romana, con la quale mirava a scacciare dai loro seggi. Il sacerdote di Roma. Lo scomunichiamo e anatemizziamo, perché non permette che vengano occupati alcuni vescovati e altre libere chiese sita nel suo regno.
Perché nel suo regno prelati, dietro suo ordine, sono stati incarcerati, proscritti, spossessati e messi a morte. Perché nel suo regno sono state distrutte e profanate chiese consacrate al Signore. Infine.
poiché in base ai suoi discorsi e alle sue azioni molti, anzi tutto il mondo, gravemente lo accusa di non praticare la vera fede cattolica. Il papato vedeva minacciata dal potere imperiale l'autorità suprema della Chiesa sul mondo laico. In un'enciclica inviata ai Vescovi il 21 giugno 1239, Gregorio IX lancia accuse infamanti contro l'imperatore, richiamando apocalittiche profezie dell'Antico Testamento.
Federico non ha più riguardi verso il Papa. Avanza verso di lui, accolto con favore e giubilo dappertutto. Il popolo lo vede come un liberatore. Molti principi romani e persino alcuni cardinali passano dalla sua parte.
I sostenitori del Papa raccontano di atteggiamenti messianici e blasfemi tenuti dall'imperatore durante la sua marcia. Uno dei cronisti pontifici ebbe a dire Egli stesso, il nemico della croce, faceva avanzare una croce dinanzi a sé procedendo attraverso i paesi colpiti dal bando e nelle terre di Foligno e di Gubbio ebbe l'ardire e l'insolenza di benedire gli scomunicati raccolti dinanzi alla chiesa tracciando, come dissero tutti coloro che l'hanno veduto, una croce su di essi con l'empia destra e in questa ed altre terre fece c'è la croce celebrare messe solenni e altri uffizi divini. Lui, Nunzio dell'Anticristo! Nel 1248 Federico II è sconfitto inaspettatamente sotto le mura di Parma, città già ghibellina, ora alleata alla Lega Guelfa e quindi al Papato.
L'imperatore non è presente alla battaglia. Si trova infatti a circa 5 chilometri di distanza, a caccia con il Falcone. Quando accorre, nulla può fare per capovolgere le sorti in suo favore.
In questi anni, anche nel Regno di Sicilia, serpeggia il malcontento. Nell'ambito della corte, in un clima di veleni, si congiura contro l'imperatore e contro la sua politica, ritenuta rovinosa per il paese. Anche Pierre de Levigne, un tempo fedele ministro, ormai non più nelle grazie dell'imperatore, accusato di tradimento, viene condannato a morte e accecato in carcere.
Muore forse suicida. Scrive Frassalimbene che Pierre de Levigne aveva cospirato col Papa e si era reso perciò colpevole di alto tradimento. Secondo il cronista Matteo da Parigi, egli fu complice di un medico che avrebbe dovuto avvelenare l'imperatore.
Tuttavia non vi sono documenti ufficiali che attestino il motivo di questo presunto tradimento. Dante, nel canto XIII dell'Inferno, porrà Pier delle vigne tra i suicidi, dando un'interpretazione innocentista dei fatti. La sconfitta di Parma segna l'inizio della fine. Il 29 maggio 1249 il figlio Enzo, sconfitto nella battaglia di Fossalta, cade nelle mani dei bolognesi, che lo terranno prigioniero fino alla morte, avvenuta nell'anno 1272. La notizia della cattura del figlio provoca nell'animo dell'imperatore un senso di sconforto e di abbandono. Prigioniero dei bolognesi, Enzo trascorre il resto della sua vita in carcere.
Incantando con la letizia e la freschezza della sua gioventù dapprima le stesse guardie e poi la nobiltà cittadina. Con il passare degli anni, il bel giovane dei riccioli biondi diviene un uomo amaro, triste, inerte, condannato ad assistere alla fine della casa degli Oistaufen. Si dice che per il riscatto di questo figlio adorato, Federico fosse pronto a cingere la città di Bologna con un anello d'argento.
Ciò che resta delle sue romanze, gelosamente custodite in un quaderno menzionato nel suo testamento, sono solo pochi versi. In «Seo trovasse pietanza», da cui sono tratti i versi seguenti, troviamo la sua cupa di sperazione. Non ho giorno di posa, come nel maccore, che non ti smembo.
Esci di pena, al corpo. Il 13 dicembre 1250, dopo una brevissima malattia, forse febbre intestinale, Federico II muore improvvisamente nella sua residenza di Castelfiorentino, in Puglia. A soli 56 anni, inaspettatamente, scompare così uno dei maggiori protagonisti della storia dell'Occidente.
Da un lato razionalista, scettico e mecenate, dall'altro imperatore medievale e tradizionalista. Viene esaltato come il precursore del principe rinascimentale e biasimato per gli eccessi del suo temperamento e del suo stile di vita. Intorno alla sua morte fiorirono diverse leggende.
Si ritenne erroneamente che fosse stato soffocato dal figlio Manfredi. Secondo i suoi denigratori morì attorniato da astrologi e saraceni devoti. Secondo i suoi fedeli sostenitori, morì indossando l'abito dei Cistercensi.
confessato e assolto dall'arcivescovo di Palermo Berardo. Una leggenda vuole l'imperatore Federico II vivo e immortale, addormentato in una caverna. Un cronista lo ricorda così.
Questo Federigo regnò trent'anni imperatore e fu uomo di grande affare e di gran valore, savio di scrittura e di senno naturale, universale in tutte le cose. Seppe la lingua latina e la nostra volgare, tedesco e francese, greco e saracinesca, e fece il parco dell'Uccellagione al Pantano di Foggia, in Puglia, e fece il parco della caccia presso a Gravina e a Melfi, alla montagna. Il verno stava a Foggia e l'astate alla montagna.
Fra Salimbene da Parma scrive Era un uomo scaltro, avaro, lussurioso, collerico e malvagio. Di tanto in tanto, tuttavia, rivelava anche buone qualità. Quando era intenzionato a fare mostra della sua benevolenza e liberalità, allora sapeva essere lieto, amabile, pieno di grazia e di nobili aspirazioni.
Leggeva, scriveva, cantava e componeva melodie. Era bello e ben fatto, seppure di non alta statura. Infatti una volta lo vidi, e per qualche tempo anche lo onorai.
Lo stesso imperatore probabilmente ordinò di tenere nascosta la notizia della propria morte, consapevole dell'autorità accentrata nella sua persona, così da non sconvolgere l'assetto del regno nel periodo di transizione. E infatti, fino alla fine del gennaio 1251, dalla cancelleria regia venivano emessi documenti in nome dell'imperatore, ma con l'aggiunta del nome di Manfredi, che nel testamento di Federico era stato nominato governatore d'Italia e di Svevia. fino alla discesa di Corrado IV, legittimo erede. In una lettera inviata al fratello Corrado, Manfredi, annunciando la scomparsa di Federico, esprime con profonda lealtà il desiderio di affidargli il controllo del regno.
Così lo stesso Manfredi parla della morte del padre. Tramontato è il sole del mondo che illuminava le genti. Tramontato è il sole della giustizia. Tramontato è il fondatore della pace. Ma anche se quell'astro è tramontato, i suoi ordinamenti gli assicurano continuità e nuova vita in voi.
Nessuno crede che il padre sia assente perché si spera che nel figlio viva. Il cronista Tommaso di Eccleston riporta la visione di un monaco siciliano. Nella stessa ora in cui Federico Imperatore rendeva l'anima a Dio, io mi inginocchiai sulla riva, in preghiera. Un terribile rumore mi riscosse dalle mie devote meditazioni. Un interminabile corteo di cavalieri armati, 5.000 circa, che cavalcavano dalla riva dentro il mare.
Chiesi ragione di tutto ciò a uno di loro e quello, con viso pallido e immobile, rispose di appartenere a Federico Imperatore, in procinto di cavalcare coi suoi uomini nell'Etna per prendervi di mora. I suoi nemici e detrattori esultavano di gioia. Queste sono infatti le espressioni di sollievo di Papa Innocenzo IV. Il cielo giubili e la terra faccia festa! Il fulmine e la bufera con cui l'onnipotente così a lungo vi ha minacciato si sono trasformati attraverso la morte di quest'uomo in zeffi ristoratori e rugiada feconda.
Fra Salimbene scrive polemicamente se egli fosse stato buon cattolico e avesse amato Dio, la Chiesa e la propria anima, non avrebbe avuto nessuno a lui pari tra i dominatori del mondo. Il monaco Matteo da Parigi lo definisce sommo tra i principi della terra ecco infine il racconto di Francesco Daniele diretto testimone della ricognizione del sepolcro regale avvenuta a Palermo nel 1782 ha Federigo in testa una corona aperta i cui raggi di sottilissime laminette d'argento dorato sono ornati di piccole perle e di pietre il suo corpo è vestito dei medesimi abiti coi quali era già stato consagrato imperatore Tre sono le vesti ondei si ricopre e Dilino è la prima che discende infino a tutti i piedi simile a quella che da liturgisti Alba viene appellata la stringe a fianchi un grosso cordone pur Dilino aggruppato nel mezzo mezzo. Le cosce e le gambe sono vestite di panno di lino che formano in uno brache e calze. Dal fianco sinistro gli pende una spada cinta sopra della dalmatica. Le mani senza guanti si incrocicchiano sulla pancia e il dito medio della destra ha un anello d'oro con uno smeraldo piuttosto grande.
La morte di Manfredi, figlio di Federico II, avvenuta a Benevento nel 1266 e la sconfitta del nipote Corradino a Tagliacozzo nel 1268 sigleranno ineluttabilmente la fine della gloriosa casa di Svevia. L'Aquila non vola più. La