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Riflessioni sui Valori e Virtù Antica

Grazie a tutti. Bene, in questa riflessione sul tema dei valori nel pensiero antico e in particolare in Platone e Aristotele, io credo che sia innanzitutto importante riflettere su che cosa siano i valori e prima di tutto su che cosa significhi la parola valore. Dunque, in italiano il termine valore è legato al verbo latino valere, che tra l'altro significa essere forte, essere vigoroso, avere forza, anche essere sano. E riferito a una persona il verbo valere indica anche il possesso di alte doti, potremmo dire doti importanti, il possesso di eccellenza e dal punto di vista sia intellettuale sia morale. Ecco direi che nelle pieghe non solo concettuali ma anche linguistiche del termine valore noi troviamo un depositato. depositato in queste pieghe un altro termine fondamentale, strettamente collegato al valore, anche linguisticamente, che è virtù. Il termine virtù deriva dal latino virtus, che significa appunto virtù, capacità, bravura, valore, forza ed eccellenza. E queste sono tutte articolazioni che troviamo anche nelle parole che Platone e Aristotele usavano. per dire virtù, cioè la parola greca aretè. Ora qui cito quello che a proposito di aretè dice Maurizio Migliori, per capire l'etica antica occorre chiarire il termine aretè e dice l'unica traduzione accettabile è virtù, ma la parola italiana non rende il senso di quella greca. Questa rimanda al concetto di eccellenza, piena realizzazione di sé, compimento della propria natura. tanto da poter essere attribuita anche ad animali e ad oggetti. Un cane è virtuoso se bravo nella caccia, un campo è virtuoso se produce molto. L'essere umano, essendo complesso e ricco di molte potenzialità, possiede non solo una, ma molte virtù. Fine della citazione. Ecco, da qui credo che si capisca come il termine greco aretè sia anche molto altro rispetto al nostro al nostro termine virtù, anche se tradizionalmente aretè appunto si traduce con virtù, ma come sappiamo ogni traduzione si configura anche come un tradimento, una certa misura, o come ha ricordato Umberto Eco, ogni traduzione è in qualche modo un processo di patteggiamento. Quindi aretè lo possiamo intendere con virtù, ed aretè come è stato detto è un... uno di quei termini squisitamente greci, che è difficile da recuperare nella sua valenza per il lettore moderno. E la traduzione, come ha ricordato Giovanni Reale, più comune è quella di virtù, naturalmente. Tuttavia, la rete greca ha poco a che vedere con la virtù di cui parlano, per esempio, la dottrina cristiana, le etiche medievali e gran parte delle etiche moderne. Quindi... Arete è un concetto che vogliamo qui restituire con virtù ed è un concetto che ha molte pieghe, molte articolazioni. Noi nella nostra scuola di filosofia antica di Macerata abbiamo parlato, parliamo di un approccio multifocale, un multifocal approach che permette di guardare la medesima realtà da varie angolature. E questo vale anche rispetto alla nozione di virtù, alla nozione di arete, che proverò un po'ad avvicinare. appunto attraverso vari sguardi. Il primo sguardo è il significato forse fondamentale, il primo della nozione di Aretec è quello di eccellenza, lo ricordavamo anche prima, di attuazione piena delle potenzialità del soggetto. Questo ce lo ricorda chiarissimamente Aristotele in Etica Nicomachea 1.6 dove dice che quanto al genere sono identiche la funzione specifica di una certa cosa e la funzione specifica di una certa cosa realizzata alla perfezione, come per esempio accade nel caso di un citarista e di un citarista che suona alla perfezione. E ciò vale in generale per tutti i casi, una volta che si aggiunge all'esercizio della funzione quel di più dato dalla virtù. Infatti, aggiunge Aristotele, la caratteristica del citarista è quella di suonare la cetra, mentre quella del bravo citarista è quella di suonarla bene. Quindi la virtù si configura come eccellenza, come perfetta realizzazione della propria natura e del proprio compito e come perfetta realizzazione di quello che i greci chiamano ergon, cioè della propria funzione specifica. E la ragione di una tale, potremmo dire, accezione della nozione di virtù che in Aristotele emerge chiaramente, in realtà era stata già tematizzata da Platone prima di Aristotele, quando per esempio nella Repubblica, Repubblica 1, dice non ti sembra che anche la virtù appartenga a ogni cosa a cui si attribuisce anche una certa funzione, quindi ancora un certo ergo, quindi la virtù, cioè appunto anche il valore, risulta essere connessa, quindi in questo senso più che a uno... uno statico modo di essere anche a un fare, a uno svolgere bene la propria funzione, all'eseguire bene il proprio ruolo. Non a caso Socrate, sempre nella Repubblica, dopo essersi chiesto se la funzione, ancora Ergon, di una cosa non sia quella che riesce a operare o in modo esclusivo o in modo migliore di tutte le altre, afferma anche che siamo sempre in Repubblica 1. Le realtà svolgono la loro funzione bene grazie alla loro specifica virtù, male a causa del vizio. Quindi è pare chiaro come la virtù consista innanzitutto come capacità di realizzare compiutamente o comunque il meglio possibile la propria funzione, e questo vale per l'essere umano, si è visto il suonatore di uno strumento, eccetera, vale per l'animale e vale in generale per ogni realtà. Tant'è vero che lo stesso Aristotele dice che può essere virtuosa una nave, un mantello, una casa e così via, quando realizza al massimo le proprie potenzialità. C'è un altro passaggio di Aristotele tratto dall'Etica Nicomachea, Etica Nicomachea 2, che volevo ricordare, dice Aristotele ogni virtù ha l'effetto di portare alla piena realizzazione ciò di cui è virtù e far sì che eserciti bene la sua funzione. Per esempio la virtù dell'occhio. rende perfetto l'occhio, per cui vediamo bene grazie alla virtù dell'occhio. Allo stesso modo la virtù del cavallo rende perfetto un cavallo adatto a correre, a portare il cavaliere a resistere di fronte ai pericoli. Quindi se la virtù caratterizza ogni realtà, diciamo che nello specifico essere dotato di arete è l'antropos, cioè l'essere umano, e allora costui può essere considerato perfetto, eccellente, valoroso, secondo una tonalità. potremmo dire il termine virtù un po'particolare, è quella medesima tonalità che è rimasta in italiano nel senso del virtuosismo, cioè in quella, potremmo dire, assoluta padronanza dei mezzi tecnici con esse all'esercizio di un'arte o di un'attività, come quando diciamo che un musicista è virtuoso, è un virtuoso di uno strumento, ecco, quando realizza perfettamente la sua funzione e la sua arte in quel caso. Peraltro questo virtuosismo, quindi questa accezione di virtù, diciamo che si esprime anche come bellezza, questione su cui tornerò alla fine, anche come eleganza, e implica un lavoro lungo, un lavoro faticoso, e la virtù in questo senso si dà insieme all'esercizio stesso, oltre che al termine di questo percorso. Ora, il terminare te, tra l'altro, on... oltre ad indicare l'eccellenza, come abbiamo visto, in virtù anche del suo rimando al greco aristos, che significa appunto l'uomo eccellente, il valoroso, e rimanda anche a rete ad arsen, che è un altro aggettivo greco che significa maschile, virile, forte, ecco, ci riporta e, tra l'altro, che trova anche una corrispondenza con il latino virtuoso. virtus, che è corradicale di vir, che significa l'uomo che è in possesso delle sue forze, che in latino si dice vires, naturalmente. Quindi c'è tutto un complesso anche linguistico che riporta, potremmo dire, che colloca la virtù non solo nell'orizzonte dell'eccellenza, ma anche nell'orizzonte della forza, che è il secondo scenario, il secondo aspetto, diciamo, che volevo affrontare, perché la virtù è anche, come dire, qualcosa che implica la forza, implica una vittoria, una vittoria diciamo per esempio rispetto ai propri desideri, implica un atteggiamento agonistico del soggetto e sulla virtù come forza si potrebbe ricordare un passaggio meraviglioso del Fedro di Platone, dove Platone ci racconta che, c'è il mito molto celebre, molto bello della Bigalata, dove Platone ci dice che ogni anima è composta da una origa e da due cavalli, uno bianco e uno nero. E ci racconta che quando l'origa, il cavallo bianco e il cavallo nero, che sono espressioni rispettivamente, dell'anima razionale, dell'anima irascibile, dell'anima concupiscibile, si trovano di fronte al proprio amato, al proprio oggetto di desiderio, si innesca una lotta, una lotta violenta, una lotta furibonda fra le forze dell'anima. Una lotta che Platone descrive con grande realismo e mettendo proprio in evidenza la nozione di virtù come forza. Cito il passaggio, quando la origa vedendo la visione amorosa. e riscaldandosi interamente in tutta l'anima a causa di tale sensazione, è riempito dal solletico e dal pungolo dei desideri. Quello dei due cavalli che è obbediente alla origa, tenuto a freno dal pudore, si trattiene dal balzare addosso all'amato. Invece l'altro cavallo, che non è sensibile né ai pungoli della origa né alla frusta, si lancia con balzi violenti e procurando molti inconvenienti. compagno a Lauriga, li costringe a procedere verso l'amato e fargli memoria dei piacere di Afrodite. Si avvicinano a quello e vedono il volto sfolgorante dell'amato. Quando Lauriga lo vede, la sua memoria viene riportata alla natura del bello e, come la vede, colto da timore e da rispetto, cade all'indietro e a un tempo è costretto a tirare indietro le redine in modo così forte che tutti e due i cavalli si piegano sulle cosce, l'uno spontaneamente, in quanto non oppone resistenza, quello ribelle invece contro violenza. Ho voluto leggere interamente questo passo, un po'lungo, perché tra l'altro è meraviglioso a mio avviso, perché proprio emerge in più piano la dimensione della forza. Ecco, c'è quindi una dinamica di grande efficacia, tutta incentrata su questa dimensione agonistica, sulla virtù che è anche forza, in cui si tratta... di farsi forza. Qui volevo citare quello che ha detto ovviamente molti secoli dopo Michel Foucault, quando ricorda che il rapporto con i desideri e con i piaceri è concepito come un rapporto agonistico. Bisogna mettersi nei loro confronti, nella posizione e nel ruolo dell'avversario, sia sul modello del soldato che combatte, sia su quello del lottatore che si impegna in una competizione sportiva. La lunga tradizione del conflitto spirituale, che doveva assumere tante forme diverse, era già chiaramente articolata nel pensiero greco classico. Quindi ecco che qui ci troviamo di fronte a una serie di desideri, di passioni che vanno controllati, ma c'è da sottolineare un punto che è molto importante, cioè il fatto che per i greci, per Patrono Aristotele nello specifico, le passioni pazze. Non sono elementi negativi, anzi sono elementi fondamentali, sono ciò che ci muovono, dice Aristotele. E quindi si tratta non di soffocarli, ma di orientarli, di guidarli, come appunto fa Lauriga con i due cavalli. Quindi se provare una passione, ci dice Aristotele, è un fatto naturale e perfino positivo, ecco, non è più positivo rapportarsi in maniera sbagliata a queste stesse passioni. Certo? bisogna provarle nel modo giusto e la funzione della virtù è proprio questa, cioè di rapportarsi, di gestire, di avere un rapporto armonico corretto con le passioni. Allora il tema della forza e della padronanza di sé diventa centrale, diventa centrale anche intrecciandosi a un'altra dimensione che è quella dell'onore. Qui a questo proposito voglio ricordare quello che è stato detto a mettendo ancora in campo la dimensione agonistica, che è una dimensione esquisitamente greca. La stessa idea di virtù legata alle nozioni individuali che garantisce l'acquisizione dell'onore per il singolo cittadino da parte della collettività è inscindibile dal contesto di dilagante agonismo in cui nasce e si sviluppa. Allora qui due questioni da intrecciare rispetto alla questione del valore anche. di cui ci stiamo occupando. Da un lato la nozione di Arete, dall'altra nozione di Timè. Timè significa onore, stima. rispetto. Questo onesto è cruciale, implica anche il riconoscimento degli altri, il richiamo alla dimensione pubblica. Ecco, l'onore, dice Aristotele, nel primo libro dell'Etica Nicomachea, è un premio alla virtù e viene attribuito ai virtuosi. D'altro canto va anche ricordato come questo incanalamento del desiderio, per usare un'altra immagine platonica bellissima contenuta dalla Repubblica, è f***o. funzionale alla, diremmo noi, alla fioritura dell'umano. Questo incanalare il desiderio serve in qualche modo a raggiungere meglio i nostri obiettivi. Nella Repubblica Platone dice proprio che quando in una persona il desiderio è incanalato verso un solo obiettivo, gli altri desideri diretti ad altri obiettivi sono attenuati, come se il loro flusso fosse stato deviato verso quell'unica parte. Ecco perché per esempio Mario Vegetti ci parla di una idraulica dei flussi di energia psichica, proprio ad indicare questa necessità di convogliare il desiderio, non di interromperlo, non di annullarlo, ma di valorizzarlo in maniera saggia. E a proposito di modo saggio di valorizzare il desiderio, ecco un altro profilo della virtù che volevo rapidamente provare a illuminare, la virtù è un habitus. è uno stato abituale, è una postura, potremmo dire. Questa è un'articolazione anche piuttosto nota del discorso, che emerge in maniera chiarissima in Aristotele, nelle Etiche Aristoteliche. In Etica Nicomachea 2.1 Aristotele afferma che la virtù morale, etiche, deriva dall'abitudine etos, da cui ha tratto anche il nome. E il termine etos, in realtà, oltre a... significare condotta, abito, comportamento, significa anche dimora, soggiorno, luogo dell'abitare. E quindi questo significa che nel modo in cui i greci hanno pensato l'ethos, come dire, hanno anche pensato al fatto che l'etica nel suo significato più profondo, più originario, corrisponde in una certa misura a un modo di stare al mondo. Inoltre, tra le varie definizioni di virtù fornite da Aristotele, quindi una è che la virtù è uno stato abituale, un'altra è che la virtù, appunto come stato abituale, come exis, è anche uno stato abituale che orienta la scelta. In greco si dice exis proaeretiche. Questo significa anche che il concetto di virtù si consolida in seguito a una ripetizione delle scelte. Questo significa anche che una serie di scelte determina uno stato abituale e ogni stato abituale determina delle scelte, innescando un circolo che auspicabilmente appunto sarà virtuoso, ma in caso contrario può essere anche un circolo vizioso, perché in realtà a forza di atteggiarsi male nei confronti delle passioni, a forza di scegliere male, si diventa viziosi e questo è l'altra faccia, la faccia negativa della... del modo scorretto di atteggiarsi, di acquisire una postura. Ora, l'habitus quindi può essere anche vizioso e è vizioso quando è in eccesso o in difetto. La virtù invece è uno stato abituale mediano. Ecco l'altra faccia della virtù, la virtù come giusto mezzo, come dire un profilo credo abbastanza nota. abbastanza noto, Aristotele ci ricorda per esempio nell'Etica Eudemia, Etica Eudemia 2.10, che la virtù si configura come la disposizione morale a scegliere il giusto mezzo, il rapporto a noi nelle cose piacevoli e in quelle dolorose. La virtù è un modo corretto, appropriato, moderato di provare le passioni. Questo è un altro punto molto interessante, cioè il giusto mezzo e la posizione mediana. né troppo né poco, dove però questo giusto mezzo, cioè questa virtù, non è mai sinonimo di mediocrità. Anzi Aristotele dice proprio che il giusto mezzo è anche l'ottimo, è il vertice, è il punto più alto. E poi l'altro punto interessante da sottolineare è che questo giusto mezzo non è mai, come dire, uguale per tutti. Non è una media matematica, Aristotele anzi distingue esplicitamente, per esempio in Etica Nicomachea 2.5, tra il medio matematico, che una volta calcolato è quello ed è uguale per tutti, il meson catatopragma, dice lui, e il meson prosemas, il medio rispetto a noi. Un medio che va sempre nuovamente ricalcolato con saggezza, e la saggezza è un'altra virtù centrale per Aristotele, anche per Platone, è proprio quella capacità di calcolare il giusto mezzo, ci dice Aristotele, diceva un giusto mezzo rispetto a noi, che varia da individuo a individuo, nelle diverse situazioni e che ogni volta esige di essere ricalcolato. Tant'è vero che Aristotele in Eticanico, ma che è a 2,5, dice proprio che il giusto mezzo va calcolato così come si calcola la quantità di cibo che bisogna assumere ogni volta. E la quantità di cibo non è la stessa per un principiante di ginnastica e per esempio per Milone di Crotone, che era un grandissimo atleta. Quindi ogni volta bisogna calcolare il giusto mezzo, non rispetto alla cosa, ma rispetto a noi, perché da qui, come dire, deriva... il nostro equilibrio, la nostra armonia. E che io mi avvio all'ultima questione, l'ultimo, ripeto, profilo della nozione di virtù. La virtù è anche equilibrio, è anche armonia, è anche bellezza. Platone, per esempio, nella Repubblica, in un perfetto, potremmo dire, stile greco, ci dice che la virtù, cito, a quanto risulta sarebbe una specie di salute. di salute, di bellezza, di buona forma dell'anima. Il vizio al contrario sarebbe la malattia, la bruttezza, la fiacchezza. Quindi la bellezza, la bellezza vera per i greci, è qualcosa che deriva dall'ordine, che deriva dall'equilibrio, che deriva dal numero anche. Tra l'altro qui si può citare quello che disse già Talete, che tradizionalmente è considerato il primo filosofo. Già viene saldato proprio fortemente il nesso tra virtù e bellezza, diceva Talete, non adornare il tuo aspetto esteriore, ma si bello degli altri. E ecco, per un greco qualcosa è bello se prima di tutto è ordinato, se è misurato. E questo emerge, per esempio, in un passo molto bello del Gorgia di Platone, Gorgia 506. dove Platone dice che la virtù di ciascuna cosa è qualcosa di disposto, con ordine e regolato. E se aggiungo lo affermo anch'io. Dunque un determinato ordine che è presente in ciascuno ed è peculiare di ciascuno e ciò che rende buono ciascuno degli esseri. Quindi, insomma, la virtù è in grado di rendere bella, armonica ed equilibrata l'esistenza dato che, come ricorda sempre il Platone, questa volta nel Carmi, di 160b, una vita condotta con temperanza, e la temperanza naturalmente è una virtù, deve essere anche bella. Questo, al contrario, significa anche che senza virtù la vita è brutta, la vita è sgraziata, e oltre a essere sgraziata è anche infelice. E questo è l'ultimo tassello che rapidissimamente volevo mettere lì in questa ricostruzione. Perché? Perché sostanzialmente la virtù per i Greci e nello specifico per Platone e per Aristotele rappresenta in una certa misura un ingrediente fondamentale della felicità umana e la felicità come vita espansa, come vita lievitata, come vita fiorita anche, perché una vita felice è una vita che prospera e che prospera soprattutto grazie alla virtù, la quale sa produrre la bellezza, sa produrre l'armonia. Felice può essere detta in questo senso una vita armonica, nel senso proprio di una sinfonia ben eseguita, potremmo dire. E in questo senso, per usare ancora un'immagine di Platone, presente in un altro dialogo molto bello che è il Filebo, la virtù, come la dea, salva la vita, nel senso che permette che la vita si costruisca come vita sana, ordinata e equilibrata. Ma è anche, come dire, salva la vita anche perché la virtù è in grado di ricomporre la vita, di risanarla, di curarla. E quindi in questo senso la virtù è anche ciò che si prende cura della nostra vita. Perché una vita misurata, un'esistenza ordinata e modulata sulla virtù, è quella che sa anche dare una giusta collocazione alle proprie parti. E che in questa giusta collocazione, in questo... ordinato e proporzionato insieme, fa risplendere tutta la sua bellezza e tutta la sua armonia. Ancora Platone, questa volta nel Protagora, 326a, l'intera vita umana ha bisogno di ritmo, euritmias, di armonia. E quindi in questo senso, dice sempre Platone, davvero felice colui che saprà farsi musicos, colui che saprà farsi musico. quindi che saprà far suonare, potremmo dire all'unisono, il proprio corpo e la propria anima, armonizzando tutte le sue corde, tutte le sue intime vibrazioni. E allora concludendo potremmo dire che per far sì che la nostra vita abbia valore e che valga, la virtù è necessaria, è necessaria in generale, ma più nello specifico forse è necessaria, è un elemento indispensabile per far sì che la nostra vita valga la pena di essere vissuta.