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Il Mito di Enea e la sua Evoluzione

E' notte, è buio, lingue di fuoco che si sollevano all'orizzonte, la città che per dieci anni aveva resistito all'assedio è crollata, i nemici si spargono per le sue strade, si sentono ovunque. rumori di spade che cozzano contro altre spade, donne e bambini che piangono, è chiaro che quella è l'ultima notte della città e che i nemici sono destinati ormai a conquistarla e a distruggerla. In un punto un po' più defilato della città dove ancora i combattimenti non sono arrivati c'è uno strano gruppo familiare che si muove nell'ombra. È formato da un uomo adulto che porta sulle spalle un vecchio, tiene per mano un bambino, è seguito ad una qualche distanza da una donna e da un altro gruppo di abitanti di questa città, i quali evidentemente sono consapevoli che non c'è più alcuna speranza se non quella di fuggire. Forse perché particolarmente fortunati, forse perché... che godono della protezione di qualche divinità, fatto sta che questo gruppo riesce a, muovendosi nell'ombra, a evitare i combattimenti, a giungere fino alle porte, alle mura della città, ad uscire e a imbarcarsi sulla flotta che li aspetta. Da qui avrà inizio un lungo viaggio che porterà questo gruppo di superstiti, di sopravvissuti, a girare per varie coste del Mediterraneo, il nord della Grecia, la Tracia, la Macedonia, la Grecia vera e propria, le isole delle... Egeo e poi ancora la Sicilia, la costa nordafricana, fino a quando dopo un lunghissimo tragitto questo gruppo approderà alle foci del Tebre e lì finalmente il gruppo di superstiti si stabilirà, sposerà le donne del luogo e da questi matrimoni avrà origine la stirpe che un giorno fonderà la città di Roma destinata a sua volta a governare sul mondo conosciuto. Ecco, quello che abbiamo raccontato con questi toni se volete un po' da... da action movie americano, è quello che nel nostro immaginario, e posto che esista un immaginario su questo argomento, nel nostro immaginario è il mito di Enea, perché lui evidentemente è il personaggio che fugge dalla città con il padre Anchise sulle spalle, il figlio Ascanio per mano, come tante volte l'abbiamo visto rappresentato nell'iconografia. Ed è il mito di Enea per l'ottima ragione che questo è il modo in cui questo mito è stato raccontato. dal più grande poeta latino di tutti i tempi, da Virgilio, che ne ha fatto materia appunto per il suo capolavoro, l'Eneide. E dunque, in qualche modo, dato che l'Eneide ha avuto un'influenza straordinariamente potente su tutta la cultura europea e occidentale dei secoli successivi, ecco che quella versione del mito, quella raccontata da Virgilio, si è imposta nel nostro immaginario come la versione per eccellenza, come il mito di Eneide. Enea, così come effettivamente sono andate le cose. Ora però in realtà questa è una illusione ottica, ed è un'illusione ottica per l'ottima ragione che quando Virgilio mette mano alla vicenda di Enea, questa vicenda ha dietro di sé già un millennio di vita. E in questi mille anni questo racconto che vede il protagonista Enea non ha fatto altro che continuare a evolversi, a modificarsi, ad arricchirsi. a prendere strade nuove, a perdere per strada determinati personaggi ed arricchirsi di personaggi nuovi, ad acquisire significati diversi. Insomma è andato incontro ad un processo di continua modificazione. E ancora quando Virgilio lo affronta alla fine del primo secolo a.C., quel mito è ancora lontano dall'aver raggiunto una sua forma definitiva. Certo ormai le grandi articolazioni del mito, l'ossatura del racconto, lo scheletro... I punti che sono dietro di fondo della storia si sono fissati, si sono solidificati, hanno raggiunto una loro consistenza più o meno stabile, però ci sono ancora tutta una serie di punti e sono punti tutt'altro che secondari, sono punti che attengono anche a questioni nodali del mito per i quali invece la situazione era ancora fluida. Esistevano ancora una serie di varianti e in alcuni casi noi sappiamo che Virgilio non aveva ancora scelto quale. delle varianti che la tradizione gli metteva a disposizione, avrebbe dovuto scegliere per il suo poema. E si danno addirittura dei casi in cui da un punto all'altro delle neide lo stesso snodo del mito viene trattato in forma diversa, in maniera diversa. Tutto questo, i colleghi lo sanno bene, i ragazzi forse ce l'hanno meno presente, tutto questo dipende da una ragione molto concreta, e cioè dal fatto che Virgilio non ebbe la possibilità di apporre l'ultima mano al suo poema. Se lo avesse fatto, se avesse avuto il tempo di riguardare l'Eneide dall'inizio alla fine, avrebbe sicuramente sanato queste contraddizioni, avrebbe armonizzato queste versioni diverse che talora si leggono da un libro all'altro, ma non ebbe il tempo di farlo, Augusto. impose che l'Eneide venisse pubblicata così com'era, quindi lasciandoci dentro anche quelle piccole o meno piccole a volte contraddizioni che ci sono, e questo fa sì che noi oggi possiamo in qualche modo spiare dentro l'officina e il laboratorio di Virgilio e renderci conto del fatto che rispetto a questo o quel punto del mito, ancora Virgilio non aveva preso una decisione definitiva, ancora non aveva scelto quale versione del mito. dovesse adottare, dovesse fare sua. Ora tutto questo contribuisce a ricordarci una cosa molto importante e cioè che il mito è un tipo di racconto che si differenzia da tutti quanti gli altri e la differenza non sta tanto nei contenuti del mito quanto nel fatto che il mito Il mito, a differenza di ogni altro tipo di racconto, è un racconto che non raggiunge mai la sua forma definitiva. È un racconto al quale non si può mai rivolgere la domanda ma come sono veramente andate le cose. Perché non c'è un modo in cui sono veramente andate le cose. Il mito vive della sua infinita capacità di generare variazioni, diciamo così, è come un tema musicale rispetto al quale poi ogni esecutore può tirare fuori delle possibilità impreviste e nessuno può dire quale sia la vera melodia perché sono tutte contemporaneamente vere e contemporaneamente false. Dunque il mito ha questa straordinaria capacità di essere un racconto cangiante, un racconto mutevole. un racconto che ogni volta che viene ripetuto nuovamente si arricchisce anche di possibilità impreviste. Cosa che dipende ancora una volta da un fattore molto concreto, cioè dal fatto che per molti secoli i miti si sono tramandati in forma orale. E come sa chiunque di noi ha provato a riferire un racconto, anche un episodio banale della cronaca quotidiana in forma orale, dopo che quell'episodio ha girato tre o quattro persone che lo hanno riferito, lo raccontano, già è diventata una cosa completamente diversa rispetto alla versione dei fatti che avevamo messo in circolazione, perché i racconti orali sono soggetti per loro stessa natura a questa impossibilità di fissarsi, è la scrittura che fissa in qualche modo i racconti, ma anche quando in Grecia la scrittura è nata, purtuttavia i miti hanno continuato a osservare questa loro caratteristica originaria appunto di essere racconti che vivono delle loro stesse variazioni. Ma allora, se il mito di Enea non lo ha inventato Virgilio evidentemente, se questo mito anzi quando Virgilio lo prende in mano ha già alle sue spalle un millennio, da dove viene fuori questo mito di Enea? Beh, quando si rivolge questa domanda alle letterature antiche la risposta nove volte su dieci è sempre una, Omero. Omero è nella storia del mondo delle letterature, della cultura, dell'immaginario degli antichi e io uso questa immagine. E' una sorta di big bang dell'universo mitologico degli antichi, è come se tutto quello che gli antichi hanno raccontato per secoli fosse già contenuto dentro Omero, esattamente come nel nucleo iniziale dell'universo c'erano già tutte le galassie che poi si sarebbero espanse all'infinito nelle ere successive. E' come se gli autori, gli scrittori, i tragediografi, i poeti, i mitografi dei secoli successivi, successivi non avessero fatto altro che tirare fuori dal grande cilindro dei poemi omerici tutta una serie di spunti, di indicazioni, di suggestioni che in Omero c'erano già, magari ancora appena bozzate, magari semplicemente delle suggestioni e che poi gli autori dell'età successive hanno sviluppato ulteriormente. C'è stato qualcuno che ha detto che in fondo tutti i romanzi che sono stati scritti nella tradizione occidentale non sono altro che variazione dell'Odissea, che è un'espressione paradossale naturalmente, però come tutti i paradossi appunto cela un fondo di verità, perché se ci pensiamo bene nell'Odissea ci sono già tutti gli ingredienti di un romanzo, c'è l'amore, c'è il viaggio, c'è l'avventura, c'è il tradimento, c'è il sangue, c'è il sesso, c'è tutto quello che noi siamo abituati ad associare appunto all'idea della figlia. e certo sarebbe mortificante pensare che tutto quello che è stato scritto nei millenni successivi non faccia altro che variare quello che Omero aveva già detto magari meglio di tutti i suoi successori eppure, come dicevo, in questa formulazione paradossale c'è... in qualche modo un fondo di verità. Omero aveva già detto molte delle cose che verranno dette dopo di lui. In effetti Enea è un personaggio già omerico, è un guerriero dell'Iliade, non è forse un guerriero di primissimo piano, non è Non è un Achille, non è un Ettore, però è un guerriero di tutto rispetto che gode della considerazione e della stima dei suoi concittadini, appartiene ad un ramo cadetto della famiglia regnante a Troia, non è proprio il ramo principale, quello di Priamo e dei suoi figli, è una sorta di ramo collaterale, però sicuramente appartiene anche lui all'establishment troiano. Si batte contro gli eroi greci più significativi. Uno dei migliori attori non protagonisti, ecco, se volessimo usare questa immagine dell'Iliade omerica. Certo però, se qualcuno avesse voluto, leggendo l'Iliade, scommettere sul futuro letterario di Enea, se qualcuno leggendo l'Iliade avesse voluto ipotizzare che un simile personaggio sarebbe stato destinato ad una presenza così forte, così significativa nell'immaginario dell'Iliade, Io credo che difficilmente avrebbe azzardato i propri denari in una scommessa di questo genere, perché in Omero non c'è nulla che lasci immaginare, che lasci presagire un simile destino letterario naturalmente. Va bene? Niente, nessun elemento tranne uno. Un elemento che è presente nell'Iliade e che si rivela decisivo. ai fini dello sviluppo successivo del mito di Enea. Senza questo elemento il mito di Enea probabilmente non sarebbe mai nato. E l'elemento è questo. Enea è destinato a salvarsi. Dalla carneficina che porrà fine alla guerra di Troia, nella quale tanti eroi troveranno la morte, Enea invece è destinato a salvarsi. Questo nell'Iliade emerge con chiarezza. Ed emerge in almeno due punti del poema che ora, con l'aiuto del nostro... lettore sublime, percorreremo molto rapidamente. Sono due punti nei quali sono raccontati altrettanti duelli. Il primo è vede Enea contrapporsi a Diomede, all'eroe greco Diomede, il compagno di Odisseo di tante avventure dell'esercito greco in terra troiana, e il secondo addirittura vede Enea sul punto di battersi contro Achille. E qui sarebbe morto... Portoenea, capo d'eserciti, se non se ne fosse subito accorta la figlia di Zeus Afrodite, sua madre, che lo partoria al pastore Anchise. Essa cinse attorno al figlio le candide braccia e spiegò davanti a lui un lembo del peplo splendente, che lo difendesse dai colpi, che nessuno dei greci, che hanno veloci cavalli, gli piantasse il bronzo nel petto e gli togliesse la vita. Diede un grande grido e lasciò cadere il figlio. Lo prese allora Apollo tra le sue braccia e lo avvolse in una nube oscura, che nessuno dei greci che hanno veloci cavalli gli piantasse il bronzo nel petto e gli togliesse la vita. Ecco, questo è il duello mancato fra Enea e Diomede. Enea è sul punto di soccombere di fronte a questo eroe greco, ma interviene a salvarlo la sua madre divina, Afrodite, e poi Apollo. Vediamo invece che cosa succede nel ventesimo libro dell'Iliade dove, come vi dicevo, Enea è sul punto di scontrarsi niente meno che con Achille, ma interviene questa volta un'altra divinità, Poseidone, per evitare che questo duello si compia. Sentito questo, il Dio che scuote la terra mosse in battaglia, in mezzo alle lance, là dove stavano Enea e il nobile Achille. versò al figlio di Peleo nebbia sugli occhi e tolse dallo scudo del magnanimo Enea la lancia di frassino con la punta di bronzo e la mise davanti ai piedi ad Achille. Poi spinse Enea sollevandolo in alto da terra. Molte file d'eroi, molte di cavalli, Enea superò con un balzo, spinto dalla mano del Dio, e giunse all'ultima fila della battaglia impetuosa. Ora, la cosa interessante è che in questo contesto... contesto del ventesimo libro dell'Istituto. Ilia de Posidone non si limita semplicemente a mettere in salvo Enea nella maniera che avete visto, gettando nebbia negli occhi di Achille e sollevando Enea fino a portarlo alle spalle dell'esercito, ma spiega anche perché tutto questo deve accadere, spiega perché Enea si deve salvare. Enea si deve salvare perché questa è la volontà di Zeus, che ha preso in odio la stirpe di Priamo e dei suoi discendenti diretti e quindi li farà perire nella distruzione. istruzione della città e ha deciso che il potere a Troia deve passare invece nelle mani di Enea e dei suoi discendenti. Mettiamolo dunque in salvo da morte che non si irriti il figlio di Crono se Achille lo uccide, giacché il suo destino è di salvarsi, perché non rimanga priva di discendenza e non sparisca la stirpe di Dardano che Zeus amò più di tutti i suoi figli che gli sono nati da donne mortali. Adesso che il figlio di Crono ha preso in odio la stirpe di Priamo, il fortissimo Enea regnerà sui troiani e i figli dei suoi figli e quelli che verranno dopo. Enea si deve salvare perché Zeus ha deciso che al vertice della città di Troia ci debba essere una sorta di cambio della guardia, via i Priamidi, i discendenti del re Priamo, e avanti i Dardanidi, gli appartenenti al ramo collaterale della famiglia di Troia. famiglia troiana alla quale appartiene appunto lo stesso Enea. Di quale Troia si parla qui? Beh, probabilmente di una città che in qualche modo il poeta immagina comunque destinata a sopravvivere anche alla distruzione, magari a rinascere dalle proprie ceneri come tante volte succedeva alle città antiche che venivano rase al suolo al termine delle guerre e poi in qualche modo venivano ricostruite. Ecco, Zeus ha deciso che in questa nuova città destinata appunto a rinascere dalla propria distruzione... e governeranno Enea, i suoi figli e i figli dei suoi figli per molte generazioni. Bene, se non che, questo è quello che dice Omero, se non che nei secoli successivi, come dicevamo, il mito di Enea è un mito che continua a modificarsi, che conosce una serie di trasformazioni. In particolare Enea si trasforma molto rapidamente, già nei poeti immediatamente successivi ad Omero, si trasforma in un eroe viaggiatore, in un eroe che non rimane a Troia ma si mette in un'area di vita. Si mette in mare e progressivamente ad ogni generazione di poeti che raccontano la sua storia, il raggio di questo viaggio si espande sempre di più. Prima si dice che Omero giunge appunto nel nord-est della penisola greca, in traccia in Macedonia che qui si stabilisce. Poi si comincia a dire che ci sono delle città del Peloponneso che portano i nomi delle figlie di Enea, quindi vuol dire che Enea è stato anche lì. Poi una tomba di Anchise, padre di Enea, viene... viene individuata nell'Arcadia, nel cuore della Grecia peninsulare, e dunque vuol dire che Enea è stato lì. Insomma, finché poi, a poco a poco, il viaggio di Enea comincia sempre più a spostarsi verso Occidente, investe l'isola di Creta e poi la Sicilia e così via. Ad un certo momento questo mito viene intercettato dai poeti romani, i quali per la verità avevano già un loro autonomo, diciamo così, mito. Il mito di fondazione che legava l'origine della città ai due gemelli Romolo e Remo, il mito ben noto a tutti quanti noi. Ma ad un certo momento il mito di Enea, questo superstite della guerra di Troia, il mito di Romolo e Remo si intrecciano tra questi due miti originalmente indipendenti che viaggiavano su binari paralleli e ad un certo momento si crea un legame. Ed ecco che si comincia a dire che Romolo e Remo sono figli di Enea, questo nei poeti latini più antichi, oppure sono figli di Romolo e Remo. di una figlia di Enea, finché ad un certo momento l'erudizione degli antichi non scopre che tra il momento in cui è avvenuta la guerra di Troia all'inizio del XII secolo a.C. e il momento in cui è stata fondata Roma a metà dell'VIII secolo a.C. ci sono in mezzo dei secoli evidentemente e quindi non era possibile che Romolo e Remo fossero né figli né nipoti di Enea, si crea questa sorta di grande buco nel mito che gli studiosi molto più elegantemente non chiamano buco ma chiamano la c***a. La cuna mitica viene riempita con i re di Albalonga, cioè immaginando una lunga discendenza di sovrani la cui unica funzione, duele dirlo per loro, ma è così, è quella di essere una gigantesca zeppa mitologica, cioè di riempire questo vuoto, questo spazio che si è creato di tre secoli tra il momento in cui viene distrutta Troia e il momento in cui viene fondata Roma. Comunque resta il fatto che Roma e Remo sono sangue di Enea perché sia pure attraverso una trafila di sovrani. sovrani che si allunga a progressione in ogni caso il loro sangue in ultima istanza discende appunto da quello di Enea. Oh, benissimo. Passiamo allora ad un altro punto del nostro discorso. Già perché le cose sembrano funzionare perfettamente, Sicuramente per come le abbiamo raccontati fino a questo momento. Però c'è un problema. Il problema è che il modo in cui il mito di Enea si era trasformato, facendo di Enea un eroe che era giunto sino in Italia e che era diventato il capo di Enea, capostipite, sia pure più o meno indirettamente dei romani, strideva, come capite bene, frontalmente con quello che si leggeva nel ventesimo libro dell'Iliade, dove invece si diceva, lo abbiamo sentito poco fa, che Enea sarebbe rimasto a governare sui troiani, lui, i suoi figli e i figli dei suoi figli per molte generazioni. Come si combinava questa inequivoca in apparenza questa affermazione omerica con quello che il mito era diventato nel frattempo e che aveva aveva trasformato Enea in un eroe giunto fino in Italia. Del problema non ci si poteva liberare con una semplice alzata di spalle, perché Omero è un autore per gli antichi straordinariamente autorevole. E dunque quello che dice Omero non può essere semplicemente ignorato dicendo che Omero sbaglia. Occorreva in qualche modo cercare di conciliare quello che si leggeva nell'Iliade e quello che nel frattempo i romani raccontavano di sé. Grazie. In qualche modo la storia del mito di Enea è anche una storia dei modi attraverso i quali si è cercato di risolvere questo problema. Un autore che affronta questa difficoltà è un geografo, storico anche, ma noi noto essenzialmente come geografo, contemporaneo di Augusto, nato addirittura forse nel suo stesso anno, Strabone, è il testo numero 4, sì, il quale era un grandissimo sostenitore dell'autorevolezza di Omero. ... E Strabon era uno che si fidava a tal punto di Omero che quando deve scrivere la geografia dell'Asia minore non fa come probabilmente farebbe un normale geografo, andare sul luogo, documentarsi, registrare quello che vede, no, lui apre semplicemente l'Iliade. E se Omero dice che nella pianura di Troia ci sono due fiumi che si chiamano in questo modo, lui registra nella sua geografia che lì ci sono due fiumi così chiamati, perché Omero è un autore talmente autorevole che va bene persino per scrivere un libro di geografia. Insomma, ci si può... può mettere nelle sue mani, ci si può affidare a lui persino se bisogna compilare un elenco di emergenze geografiche di un territorio. Che cosa dice Strabone? Strabone dice, Omero indica chiaramente che Enea rimase a Troia ed ereditò il regno passandolo poi ai figli dei figli, dal momento che la famiglia dei Priamidi era stata spazzata via, è il testo che abbiamo letto poc'anzi e che naturalmente Strabone in quanto cultore di Omero conosce perfettamente. Inoltre Omero è ancora un po' più forte, è ancora più in disaccordo con quelli che parlano di un'Enea che avrebbe vagato sino all'Italia e che in Italia lo fanno morire. Strabone osserva che quelli che parlano di un'Enea che giunge addirittura fino in Italia, beh, costoro, davvero sono in contraddizione insanabile con Omero. Dopodiché ci dà un'informazione piuttosto curiosa e piuttosto interessante, perché dice alcuni però scrivono la stirpe di Enea governerà su tutti e i figli dei suoi figli intendono Ora non mi soffermo qui sulle particolarità del testo greco, ma insomma, qual è il punto? Il punto è che Strabone ci fa sapere che c'erano alcune varianti del testo di Omero in cui non c'era scritto il forte Enea governerà sui troiani, ma c'era scritto la stirpe di Enea governerà su tutti. Ora, è importante capire che qui non siamo di fronte a quei fenomeni che spesso si verificano nella trasmissione del testo greco. dei testi antichi, fenomeni cioè per i quali manoscritti diversi che ci tramandano la stessa opera riportano versioni diverse del testo, versioni che dipendono dagli errori materiali che i copisti commettono quando li copiano a mano. No, qui non siamo di fronte ad un casuale errore della tradizione manoscritta. Quello che Strabone ci fa sapere è che qualcuno aveva deliberatamente alterato il testo di Omero per far dire ad Omero quello che Omero in realtà non aveva mai detto. ma per fargli dire qualche cosa che faceva tornare tutti i conti, perché se nell'Iliade invece che leggere il fortissimo Enea si leggeva la stirpe di Enea, beh allora questa stirpe di Enea non potevano che essere i Romani. E se sull'Iliade si fosse letto non governerà sui Troiani, Troessin, ma governerà su tutti, Pantesin, beh allora questo si combinava perfettamente con l'idea del dominio universale dei Romani. ... Quindi l'autorevolezza di oggi è una cosa che non si può fare. Omero era talmente grande per gli antichi che valeva la pena di alterare, di manipolare deliberatamente il testo di Omero pur di fargli dire qualche cosa che si combinasse con quello che poi nella storia era effettivamente successo. Allora, vediamo e poi cambiamo argomento, ve lo prometto, un altro, però questo vale la pena perché è molto curioso questo testo che adesso prego di leggere, perché è un testo di un altro storico contemporaneo. di Augusto e di Strabone, di Onigidi e di Carnasso, il quale anche lui riferisce dei vari modi in cui si era cercato di mettere insieme, di combinare appunto la notizia di Omero e quello che il mito nel frattempo era diventato a Roma. Era necessario per me riferire queste cose e fare questa digressione, in quanto alcuni storici affermano che Enea non è mai arrivato in Italia con i troiani, altri che si trattava di un altro Enea, non del figlio di Anchise e Afrodite, mentre altri ancora dicono che si trattava di Ascanio, figlio di Enea o di figure diverse. Alcuni sostengono poi che Enea, figlio di Afrodite, dopo aver insediato i suoi compagni in Italia, tornò in patria, regnò su Troia e morendo lasciò il trono in eredità ad Ascanio suo figlio, i cui discendenti lo possedettero per lungo tempo. Io ipotizzo che questi scrittori abbiano frainteso il senso dei versi di Omero. Siccome supponevano che Omero desse quegli uomini come regnanti in Frigia, essi inventarono il ritorno di Enea come se non fosse possibile per loro regnare. Non era impossibile infatti per Enea regnare sui troiani che aveva portato con sé, pur si organizzanti politicamente altrove. Ecco, allora Dionigi che cosa fa? Dionigi ci informa appunto di alcuni modi con cui si era cercato di sanare la contraddizione. Allora ci dice che secondo alcuni l'Enea di cui parlano i romani come proprio fondatore e l'Enea di cui parla Omero sono soltanto due omoni. Sono due persone diverse l'una dall'altra che casualmente si chiamavano con lo stesso nome. Ora, soluzione, come capite bene, decisamente goffa, decisamente sconsigliabile da adottare, perché pur di far tornare i conti si fa fondare la città di Roma da un illustre sconosciuto che ha come unico titolo di merito quello di avere un nome che casualmente è uguale a quello di un eroe omerico. Quindi, soluzione decisiva. decisamente mediocre. Altra soluzione di cui parla Dionigi, lo leggete appunto nel testo che è ancora davanti a voi, no in realtà l'Enea di cui parlano i romani è quello di Omero, è il figlio di Afrodite e Anchise e che cosa fa questo Enea? Viene in Italia, fonda la città di Roma, dopodiché torna in Asia minore e governa sui troiani come diceva Omero. Insomma per far tornare le cose si trasforma questo Enea in una sorta di pendolare delle fondazioni. dall'Asia, torna un attimo in Italia, giusto il tempo di fondare la città di Roma, dopodiché fa precipitosamente ritorno in Asia minore per poter adempiere alla profezia che Omero faceva su di lui. Anche questa è una soluzione appena meno goffa della precedente, però come capite bene, anch'essa piuttosto deludente. A questo punto Dionigi sfodera il suo asso nella manica, trova la sua soluzione ed è il delitto perfetto. Perché Dionigi dice che in realtà non bisogna affatto toccare il testo di Omero. Omero ha detto esattamente quello che andava detto, semplicemente non è stato capito. Perché Omero non dice che Enea governerà a Troia, Omero dice che Enea governerà sui troiani. Ma i troiani che insieme con Enea sono arrivati in Italia sono troiani. E i romani che discendono da quei troiani in qualche modo sono troiani essi stessi. dunque Omero ha detto esattamente la verità bisognava soltanto rendersi conto che quei troiani di cui parlava Omero non erano i troiani viventi e abitanti a Troia nella Frigia ma erano quei troiani che insieme con Enè erano giunti in Italia quindi tutto a posto, non abbiamo bisogno di ritoccare Omero, bastava semplicemente capire di quali troiani Omero Omero stesse effettivamente parlando, bene il tempo fugge rapidissimamente e quindi... Quindi salto, come è sempre buon uso dire in questi casi perché si fa bella figura, salto una serie di cose che mi ripromettevo di dirvi e vado a trattare... rapidissimamente un altro aspetto del mito. In questa congerie di varianti e di modifiche alle quali i miti sono soggetti, come vi dicevo, di questa serie fa parte persino Una variante che fa di Enea un traditore. Esiste persino una variante del mito secondo la quale Enea e i suoi si sono salvati dalla distruzione di Troia, non già perché erano protetti dagli dèi. che volevano la loro salvezza, non già perché gli dèi hanno affidato ad Enea il compito di portare in salvo gli dèi della città, no, per un motivo molto più sordido e banale, perché si sono venduti ai greci, perché si sono accordati con gli Achei per consegnare a tradimento la città e avere in questo modo salva la vita. E anzi questa idea di Enea e di altri troiani antenore che hanno tradito la loro città è una variante del mito che sopravvive. vive sotto traccia nel mondo antico che giunge fino all'epoca medievale, all'epoca moderna, insomma, quindi è una variante che certo non ha mai sopraffatto l'altra, insomma, estromesso l'altra, quella mainstream, diciamo così, che fa invece di Enea un beniamino degli dèi, ma che purtuttavia, ripeto, sotto traccia, un po' clandestinamente ha accompagnato la fama di questo personaggio. E la cosa più curiosa e interessante è che anche questa fama... variante del mito nasce da Omero. Omero è un autore talmente capiente, le sue spalle sono talmente forti che possono reggere due versioni del mito alternative l'una all'altra. Anche la variante che vuole Enea come traditore è una variante che nasce da un minuscolo passaggio dell'Iliade. Così disse, Edeifobo oscillava tra due pensieri, se ritirarsi e cercare l'aiuto di un'altra aiuto di qualche compagno fra i troiani magnanimi, o tentare la sorte da solo. E così pensando, la cosa migliore gli parve di andare da Enea. Lo trovò in ultima fila, fermo. Era sempre irritato col nobile Priamo, che nonostante il suo valore, non lo onorava. Ecco, un passo decisamente sconcertante. Deifobo è un eroe troiano, scende sul campo di Baccala. Deve decidere se affrontare il duello con i greci da solo o se cercare aiuto. Pensa e decide che la cosa migliore è cercare l'aiuto di Enea e si guarda intorno per cercarlo, per vedere dove sia Enea e lo vede in fondo all'esercito troiano, nell'ultima fila. Una posizione che non è l'antitesi esatta della posizione tipica dell'eroe omerico. insomma gli stessi personaggi dell'Iliade, è colui al quale è stato insegnato a combattere sempre in prima fila, davanti a tutti gli altri. Quindi la posizione in ultima fila è la posizione del vile, la posizione di colui che spera di farla franca, che cerca di sottrarsi appunto al combattimento. Solo che Enea non è in ultima fila per vigliaccheria, Enea è in ultima fila per ripicca. Era ancora adirato con Priamo il quale... non lo onorava abbastanza. Enea si sente non sufficientemente onorato dal re di Troia e dunque non omette di scendere sul campo di battaglia, non fa come Achille che quando si sente mortificato da Agamemnon e si chiude nella sua tenda e rifiuta il combattimento, no, lui ci va sul campo di battaglia. Però rimane in ultima fila, quasi a rendere ancora più evidente questo gesto di distinzione. sfida, di sfregio direi quasi, nei confronti della sua città. Bene, si tratta come vedete di un accenno minimo, un verso sperduto in un libro qualsiasi dell'Iliade, eppure quel verso è stato sufficiente, insieme con altri che adesso non abbiamo il tempo di citare, ma insomma questo verso è stato sufficiente a far nascere la variante di Enea come traditore, perché dall'idea di un eroe che resta in ultima fila si sviluppa... Quella di un eroe che per odio nei confronti della famiglia regnante a Troia giunge sino al punto da vendere la sua città ai greci, da accordarsi clandestinamente con i greci per aprire loro di notte le porte della città e consentire agli Achei di penetrare a Troia in cambio della salvezza e anche di una bella dose di denari e di ricchezze conferite ai traditori. Bene, allora. Grazie. Questa è molto sinteticamente un pezzo della storia di Enea nel mondo antico, però io non vorrei lasciarvi senza aver provato a puntare lo sguardo anche in avanti. All'inizio di questa chiacchierata citavamo come caratteristica del mito quella di essere un racconto che non raggiunge mai la sua forma definitiva, che vive delle sue continue variazioni. Bene, c'è un'altra caratteristica che i miti greci, che i miti antichi hanno avuto. essere delle storie che hanno continuato ininterrottamente a essere raccontate, delle storie che sono sopravvissute di gran lunga alla fine della cultura che le aveva prodotte. E quindi il mito di Enea, al pari di altri miti greci, ha continuato ad essere raccontato e ogni volta ha continuato a servire scopi diversi, a riempirsi di contenuti nuovi, anche molto oltre, ripeto, alla fine del mondo, la civiltà greciana. greco-romana dal quale quel mito era venuto fuori. Ed è stato così anche per quanto riguarda Enea. Ora noi non abbiamo naturalmente la possibilità di seguire in maniera puntuale la ricezione di questo mito nei secoli successivi alla fine del mondo antico. Illuminiamo soltanto un paio di momenti di questa ricezione. Nel Medioevo, nella cultura medievale, il mito di Enea diventa un grande mito di legittimazione. Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che ci sono una serie di di città, di popoli e di casate regnanti nell'Europa medievale che rivendicano origini troiane, che pretendono di essere discendenti dei troiani. E questo in particolare è il caso dei Franchi. I Franchi, già nella più antica cronaca scritta dai Franchi nel VII secolo d.C., già c'è l'idea secondo la quale i Franchi altro non sono che troiani. Quando la città di Troia è stata distrutta i troiani si sono divisi. I troiani superstiti si sono divisi in tre grandi gruppi, uno di questi tre era quello che al seguito di Enea è giunto in Italia, ma un altro gruppo di troiani è passato attraverso i Balcani, ha attraversato la Germania, si è stanziato in Gallia e lì ha dato origine alla stirpe dei Franchi. Tanto è vero che nelle cronache francesi si legge che il primo, il più antico re di Francia si chiamava Priamo, esattamente come il re troiano di cui parla Omero. Questa idea secondo la quale i troiani sono i capostipiti dei franchi è talmente radicata nella cultura francese che ancora all'inizio del 1700, il secolo della rivoluzione francese, ci fu uno storico che venne imprigionato alla Bastiglia perché aveva osato sostenere in una sua dissertazione che in realtà i franchi non erano affatto discendenti dei troiani ma erano dei barbari germani qualsiasi. Ecco, che è la pura verità. Ma tanto bastò perché questo sfortunato storico venisse appunto rinchiuso alla Bastiglia con l'accusa di lesa maestà, perché in qualche modo sostenere questo dei francesi significava ledere l'onore e la grandezza di questo popolo. Ma i franchi sono soltanto il caso più eclatante perché origini troiane rivendicavano anche i normanni, origini troiane rivendicavano i britanni e così via. Insomma per non parlare appunto poi di tutte le città in Italia. ma non solo, che rivendicavano di essere state fondate da questo o quel compagno di Enea, oppure di quei grandi sovrani, per esempio Massimiliano d'Asburgo, i quali si fecero costruire degli alberi genealogici ad hoc, nei quali ad un certo momento comparivano anche i grandi eroi della guerra di Troia. Erano in qualche modo dei parvenus della storia, erano popoli che non avevano un passato registrato, insomma ricostruibile, alle loro spalle che erano venuti dal nulla e che erano diventati i padroni di quello che una volta era l'impero romano. Allora ecco che in qualche modo questi popoli nel momento in cui hanno occupato i territori che precedentemente erano governati da Roma si sono appropriati anche della mitologia di Roma. un modello di rappresentazione del proprio passato che era tipico dei loro avversari. Allora i romani discendono da Enea? Benissimo, anche noi abbiamo discendenze troiane, quindi non siamo dei clandestini della storia, non siamo gente che occupa abusivamente delle terre che non appartengono loro, perché in fondo noi e i romani siamo la stessa cosa, possiamo confrontarci, diciamo così, su un piano di parità. Il passaggio delle consegne dai romani ai grandi regni romano-barbaro parici come si chiamavano una volta È un passaggio che tutto sommato avviene all'interno della stessa famiglia, è un passaggio di consegne fra cugini, perché alla fine tutti questi popoli condividono in qualche modo la stessa matrice che è appunto la matrice troiana. simile uso dinastico del mito di Enea termina con la fine dell'anziano regime, le sue attestazioni più tarde si registrano nel Settecento. In tempi molto più vicini a noi il mito di Enea smette di di essere un mito di legittimazione e del personaggio di Enea si valorizzano altre caratteristiche, le caratteristiche che ne fanno un vinto, un esule, uno sconfitto, qualcuno che viene dalla guerra, che si lascia alle spalle un passato di macerie. Questo riutilizzo del mito novecentesco del mito di Enea emerge meravigliosamente in un breve testo di Giorgio Caproni che adesso leggiamo. Enea, che in spalla un passato che crolla, tenta in vano di porre in salvo, e al rullo di un tamburo che è uno schianto di mura, per la mano ha ancora così gracile un futuro da non reggersi ritto. Questo è l'Enea di Giorgio Caproni. E chi è questo Enea? Enea è la metafora, l'icona dell'uomo uscito, emerso, sopravvissuto alla catastrofe della seconda guerra mondiale. In questo eroe che si allontana da una città in fiamme, che ha per mano un bambino che è sì a sua volta icona del futuro, ma di un futuro ancora gracile, ancora incapace di camminare da solo sulle sue gambe. che alle sue spalle ha soltanto macerie, ha soltanto rovine, che non ha più un passato verso il quale tornare, ma non ha ancora neanche un futuro verso il quale andare. Ecco, questa immagine è quella che per Caproni sintetizza la condizione dell'uomo emerso dal disastro della Seconda Guerra Mondiale. E il personaggio di Enè è un personaggio che si impone all'immaginazione di Caproni nel momento in cui deve trovare un correlativo. nel mito antico di questa situazione, tutt'altro che abusivamente. Certo questo non è l'Enea vincitore, fondatore di dinastie, creatore di casate regnanti, coltivato e praticato dagli uomini del medioevo, è un'Enea novecentesco, un'Enea sconfitto, perdente, un'Enea senza passato e senza futuro, eppure comunque anche questo Enea non è un'Enea abusivo, non possiamo dire che questo Enea tradisca Virgilio, semplicemente sviluppa. E' un'epoca che valorizza certi aspetti del personaggio ai quali evidentemente la sensibilità di uomini del Novecento passati attraverso alcune delle più grandi sciagure della storia dell'umanità ci rende particolarmente sensibili. Ma non si tratta ancora dell'ultimo Enea. L'Enea più recente, più vicino a noi, a mia conoscenza naturalmente, è un'Enea protagonista di una metamorfosi ancora diversa e forse in qualche modo insospettata. e chiedo alla vostra pazienza di seguire insieme con me. Detto immigrato, sopra questo ovest, strano catrame, bagnato e impiantito, fumando sigaretta, guardingo si trapianta, ignoto Enea, che mica lo si canta. Ecco, questa è la metamorfosi più recente di Enea. Enea che diventa la controfigura di una... figura assolutamente familiare al panorama sociale e culturale del nostro tempo, la figura del migrante. Il migrante è una sorta di nuovo Enea, un'Enea che mica lo si canta, un'Enea sul quale nessuno scriverà mai dei poemi epici, eppure in qualche modo nel momento in cui questo poeta contemporaneo ha a sua volta cercato nel mito antico una figura che potesse essere l'immagine di questa condizione, della condizione migrante così drammaticamente propria del nostro tempo, ha trovato questa figura proprio nel personaggio di Enea e in effetti Enea è anche questo, Enea è anche uno che viene da lontano, è anche uno che quando è giunto in Italia non è stato accolto a braccia aperte, ha dovuto combattere una guerra per guadagnare il suo diritto a insediarsi e a sposare le donne che venivano da questa terra, perché c'era qualcuno che... qualcuno che lo voleva ricacciare in mare, qualcuno che non riteneva che fosse giusto che i latini si mischiassero con gente che veniva da lontano. E dunque in qualche modo nella storia di Enea, proprio per come la racconta Virgilio, c'è anche questa componente. Anzi, quando si leggono versi di Virgilio come questo che si trova nel secondo libro dell'Eneide, Longa tibi exilia et vastum maris et. equa orarandum, perdonatemi questo pochino di latino, ti aspettano lunghi esili e dovrai attraversare un vasto braccio di mare. Quando si leggono versi di questo genere, che si riferiscono naturalmente in Virgilio al viaggio di Enea, sembra quasi di sentire raccontare le rotte della disperazione che attraversano il Mediterraneo attuale, con la differenza che i miti non muoiono mai, i migranti qualche volta invece sì. Vi ringrazio.