Il mio nome è Michelangelo Merisi da Caravaggio. Tutti mi conoscono con il nome de Il Caravaggio, dall'uomo di origine della mia famiglia. Ma sono nato a Milano il 29 settembre del 1571. Il mio atto di nascita, di battesimo, è stato ritrovato nella chiesa di San Pietro in Brolo, a Milano. Mio padre...
probabilmente lavorava come marmoraro nella fabbrica del Duomo, qualcuno dice fosse un architetto che se la cavava. Ma la mia vita sarà, mi conoscete almeno di nome, sarà piena di luci e di ombre, ve lo diranno decine di volte. Qui mi vedete nell'immagine, in un ritratto che mi ha fatto, mi ha dedicato dopo la mia morte, un mio caro amico, un pittore, si chiamava Ottavio Leoni, io con lui condividerò...
Parte della mia storia, parte dei disastri che combinerò. Qui mi vedete però in luce, ero morto e tutti mi amavano, ma vi voglio mostrare anche altri aspetti. Qui mi vedete invece in un autoritratto che mi sono realizzato impersonando il personaggio di Medusa, il mostro, la gorgone che aveva il potere ma la dannazione.
di pietrificare tutti quelli che osavano guardarla negli occhi. In questo dipinto io sceglierò di immortalarmi, siamo tra il 1595 e il 98, forse già riconoscendo quello che era l'orrore che covavo dentro di me, quel buio. Tutti proveniamo dal buio, tutti, prima di uscire dalla luce, di venire alla luce.
proveniamo dal buio, io quel buio l'ho conosciuto, l'ho conosciuto in tanti modi, ma di me vi diranno che sono stato il pittore che ha portato l'arte sacra più vicina alle persone comuni, con un potente realismo, un coraggio di portare l'umanità dei santi, di mostrare la fragilità dell'umanità delle persone, uomini prima che santi, fragili. pieni di difetti prima ancora che non santi, pieni di paure, pieni di buio. Vi diranno che sono stato potentemente religioso nel mio modo di esporre, di esprimere le storie sacre che mi venivano assegnate, ma vi racconteranno anche che sono stato il peggiore tra tutti, pieno di vizi, pieno di difetti.
Vi racconteranno che sono stato un criminale. che ho commesso uno o forse addirittura due omicidi. E allora perché tanta venerazione per un uomo come me dall'animo sporco? Vedete, vi mostro il mio volto, atterrito, il mostro che si riconosce nello specchio, lo scudo specchiante che Perseo ha messo davanti alla gorgone, alla medusa. Lei si vede, riconosce l'orrore che porta in seno, quell'istante che basta.
per essere decapitata da Perseo. E quello sguardo, quella smorfia, forse io le riconoscevo in me, quell'orrore, davvero, lo ritroveremo molte volte. La mia fama è così drammatica, se ci pensate, il più grande tra i pittori sacri, un assassino.
Come possono convivere nell'animo, nella vita di un uomo, le stesse caratteristiche? Pensateci, forse la mia vita... può essere diseducativa da raccontare o forse può essere quella educativa per eccellenza. Riflettere sul fatto che non esistono il bene e il male in senso puro, ma che tutti noi annidiamo in seno tantissime sfumature di luce, quella parte di illuminazione, i talenti, la voglia di metterci in gioco, la voglia di farcela, di spenderci per gli altri, di arrivare laddove nessuno è mai arrivato. Ma anche quelle ombre, la voglia di primeggiare troppo a costo di trascinare nel fango, nel buio, le persone che ci stanno intorno, a costo di non rispettare le regole.
Io avevo un grande problema con le regole e questo lo pagherò. Ma la mia fama, vi dicevo, non sarà immediata. All'epoca in cui vivevo ero adorato, non da subito vi racconterò, ma appena... Sono morto, ho avuto una schiera di seguaci, pittori che diventeranno i Caravaggeschi, coloro che dipingevano a Mo. di Caravaggio, con queste ombre e queste luci che facevano teatro, che mostravano i personaggi, mettevano in scena i personaggi, ma fare teatro non è come rappresentare la realtà. Lo riconoscerete da soli la differenza tra i caravaggisti, i caravaggeschi e la mia mano, il mio pennello, il Caravaggio.
Ma la mia fama, quella nella storia, nei secoli a venire, si deve a quest'uomo che vedete, si chiama Roberto Lunghi. È stato uno storico dell'arte del Novecento. che alla metà del Novecento, intorno al 1950, ha cominciato, ha intrapreso uno studio con una passione estrema per riscoprire la mia storia ed è stato lui, diciamo, colui che mi ha dato nuova luce, altrimenti sarei stato davvero dimenticato nel buio della storia.
Torniamo alla mia famiglia, alla mia storia. Nel 1577 scoppia una grande epidemia di peste, come spesso avveniva, e moriranno mio padre, e poi mio nonno e poi mio zio. La mia famiglia viene esterminata, io resto con la mia madre. Mia madre pensa allora di affidarmi all'uomo che vedete in ritratto.
Si chiamava Simone Peterzano, era un pittore lombardo, un manierista, un tardo manierista lombardo che aveva, godeva insomma di una certa fama nel territorio milanese. Vengo messo a bottega da Simone Peterzano. Per farvi capire il suo stile, beh, vi mostro una delle sue opere, Una Pietà.
Riconoscerete immediatamente la citazione della Pietà di Michelangelo Bonarroti, la Pietà del Vaticano, quella che aveva fatto scuola nel Cinquecento, quella che compiuta da Michelangelo allo scadere del secolo, 1499, aveva davvero aperto la strada a tutto quello che sarebbe venuto dopo. Il mio maestro Simone Peterzano, vedete che... era un manierista, ma aveva imparato tanto da Tiziano, lui diceva che Tiziano, Giorgione, la pittura tonale veneta erano i suoi maestri. Ma ci sono degli anni bui, tra il mio ingresso in bottega di Simone Peterzano e il 1592, io entrerò a bottega da Peterzano nel 1584, nel 1592 mi trasferirò a Roma. Questi sono anni bui, in cui le notizie della mia vita non sono chiare.
C'è chi dice che, un mio biografo, il Bellori, dirà che tra il 1590 e il 92, verosimilmente io ho commesso un omicidio a Milano e sono stato costretto a scappare. Questa prima storia così fosca, così drammatica, così terribile, non è mai stata documentata, quindi resta. avvolta nel mistero.
Di solito questo primo omicidio o almeno questa accusa resta velata, resta nell'ombra perché prevale l'ipotesi che un artista giovane con la testa calda, qual ero io, dotato di una capacità tecnica incredibile, con una facilità, una velocità d'esecuzione, la voglia di emergere tra tutti, beh, volesse andare laddove si poteva diventare il pittore importante che io volevo essere. Io volevo essere il primo tra tutti, io sapevo di essere il primo tra tutti. Sono andato a Roma, laddove i pittori potevano provare a emergere. Ci si avvicinava al giubileo del Seicento, Roma era una città piena di vitalità, piena di cortigiane, di prostitute, piena di cardinali che spesso creavano grandi situazioni, grandi corti, organizzavano feste e si proponevano come grandi committenti.
Roma pullulava di botteghe di artisti. Se ne contavano quando io sono andato circa duemila, duemila pittori, duemila artisti, come ho fatto a emergere tra loro. I primi anni del mio soggiorno romano sono anche questi, parte della mitologia che mi circonda. Beh, io sono andato a Milano con i soldi che ho ricavato dalla vendita dei terreni, no, della mia famiglia. Era morta anche mia madre e con la vendita...
dei terreni appunto che noi possedevamo avevo ricavato due lire con cui sono riuscito a raggiungere Roma ma possedevo un unico abito che non mi cambiavo mai i primi anni della mia vita romana saranno anni che mi piace definire randaggi anni in cui sì non emergerò subito ma quanto mi sono formato soprattutto come uomo quanto mi sono divertito Quanti schiamazzi, quante notti di ubriachezza, quante risse, quante zuffe, quanti giochi, quanti scherzi. Quante prostitute, quanti amanti. In quegli anni conoscerò alcuni dei pittori che poi mi affiancheranno per un po'. Uno dei pittori che per un certo periodo diventeranno importanti, non come modello, ma perché era un mio compagno di notti, di avventure, di vita.
Era un siciliano, si chiamava Mario Minniti. Lo vedete in questo dipinto, la versione del ragazzo morso del ramarro. che possedeva appunto Roberto Longhi nella sua collezione, ne esistono due versioni di questa opera.
A volte troverete che delle mie opere esistono più versioni, perché i committenti mi chiederanno di realizzarne altre, perché un personaggio importante che aveva visto un'opera che avevo realizzato a casa di qualcuno non voleva anche lui, voleva una seconda versione, o perché a volte quando i modelli che io comincerò a proporre, i soggetti che presenterò... Cominceranno a piacere a circolare e i committenti chiederanno opere alla Caravaggio e io talvolta, pensate, per guadagnare due lire talvolta dipingerò alla Caravaggio. Io farò delle repliche di me stesso facendomi pagare meno, come se fossi un copista.
Beh, erano soldi che entravano in più. Mario Vinniti, vi dicevo, si presterà nei primi anni del mio soggiorno romano a posare molte volte. come mio modello.
Lo vedete nel ragazzo con la canessa di frutta, l'avete visto prima nel ragazzo morto dal ramarro, lo troveremo in tantissimi altri dipinti. Mario Menniti era un mio amico speciale, si vocivera che fosse anche uno dei miei amanti. Io non fatevi ingabbiare dalle definizioni, io non avevo limiti, non avevo etichette.
Ero sconsiderato, dovevo vivere, dovevo vivere tanto, come spesso facevano in quegli anni tanti come me. Quegli anni erano anni difficili, drammatici, in cui chi aveva sete di vita si buttava a capofitto. Mario Minniti spesso poserà per me anche per una questione puramente economica.
Se ricevevo due lire per realizzare un dipinto, beh, almeno risparmiavo i soldi per il modello che doveva posare per me. Mario posava per me, io posavo per lui, ci scambiavamo ruoli, a volte mi autodipingevo nello specchio, autoritraevo nello specchio inserendomi nelle immagini come avete visto prima nel ritratto della medusa, non semplicemente perché volessi ritrarmi come un ritratto, un autoritratto ma perché davvero a volte era più economico, il mio volto andava bene, si prestava a molteplici raffigurazioni. Qui vedete un dipinto che Mario Minniti realizzerà, vedete che come pittore era tecnicamente... Lo dico con affetto, inferiore a me, guardate la sua mano incerta. Suonatore di liuto, ne vedrete tanti, vedete le nature morte.
Io nel primo periodo della mia vita girerò a Roma tantissime botteghe, botteghe sconosciute, botteghe di signori nessuno, botteghe, immaginatevi, duemila pittori a Roma, botteghe in cui comincerò a specializzarmi in teste di personaggi e nature morte. Queste composizioni con i fiori, con la frutta, con gli strumenti musicali che dovevano far riflettere sulla caducità della vita, su quanto poco dura il passaggio terreno. E io ogni volta inserivo già il decadimento, il difetto.
La natura non era rigogliosa, i fiori non erano risplendenti, pieni di vita, già mostravano la marcescenza, una sorta di grande, profondo ritratto di me stesso, della mia epoca, ma dell'umanità. Siamo peccatori, abbiamo i piedi sporchi, lo mostrerò molte volte. In queste prime botteghe io girerò, vi dicevo in quegli anni, facendo mie esperienze di ogni tipo.
Pensate che a un certo punto nel 1594 andrò, non era una bottega, ma verrò messo a servizio di Monsignor Spandolfo Pucci. Io lo soprannominerò Monsignor Insalata. Sapete che entrare a bottega significava avere un posto dove dormire e un pasto. non avere problemi di vito e alloggio.
Monsignor Pandolfo Pucci mi dava da mangiare un piatto di insalata, immaginate come potevo vivere. Ne girerò tanti allora di posti, di botteghe, entrerò nella bottega di Lorenzo Carlin, non ho trovato un suo ritratto, e poi entrerò nella bottega di Antiveluto Grammatica, qui lo vedete, qui vedete un dipinto che Antiveluto Grammatica realizzerà, siamo su un livello decisamente superiore, vedrete tante volte i miei dipinti che rappresenteranno dei suonatori, dei musici. quando tra pochissimo entrerò in contatto con l'uomo che mi cambierà la vita.
Qui vedete di antiveduto grammatica un bellissimo suonatore di tiorba, una sorta di antenato del liuto, un bellissimo strumento musicale. Guardate come effettivamente... Queste luci, queste ombre che poi diventeranno il mio tratto, già in fondo erano all'interno di questo linguaggio. Poi diventerò un po'più fortunato perché riuscirò a entrare in contatto e poi nella bottega di un certo Giuseppe Cesari che verrà conosciuto da tutti come il Cavalier d'Arpino.
E proprio nella sua bottega realizzerò dei dipinti che verranno poi notati da... colui che sarà l'uomo più importante per il mio cambiamento di vita. Racconta nei miei biografi che sarà grazie al mio amico pittore Prospero Orsi che nel 1595 conoscerò il cardinale Francesco Maria del Monte. Qui lo vedete raffigurato sempre dal mio amico Ottavio Leoni, quel pittore di cui vi parlavo prima e di cui vi parlerò ancora tra poco. Francesco Maria del Monte, il cardinale del monte, era un personaggio molto potente, molto colto, molto illuminato.
Lui si farà affascinare da alcuni soggetti di genere minore che io avevo realizzato, soggetti che in Lombardia piacevano tanto, soggetti di strada, la Buonaventura, questa ragazza che legge la mano a un aristocratico, oppure i Bari. Ecco, il Del Monte comprerà la scena dei Bari e per tre anni io sarò stipendiato a suo servizio. Questo significherà per me cambiare vita, perché significherà che io... Andrò a vivere addirittura a Palazzo Madama. Era la sua residenza, oggi per voi, è la sede del Senato della Repubblica.
Io ho vissuto per tre anni all'interno di Palazzo Madama. Monsignor Del Monte mi aveva messo a disposizione uno stipendio, finalmente potevo cambiarmi d'abito. Avevo soldi miei e ho potuto addirittura costruire il mio studio, uno studio particolare. Lo farò dipingere con... tutte le pareti nere per non avere distrazioni perché la luce non doveva portare in scena nulla che non fosse essenziale, fondamentale e farò aprire nella parte alta un foro da cui la luce del sole filtrava con un fascio violento perché quando la luce entra dall'alto crea dei contrasti di luce e di ombra molto forti.
Sarà grazie al cardinale del monte che io riuscirò a farmi conoscere. Perché grazie al Cardinale del Monte io riuscirò ad ottenere la mia prima commissione pubblica. Siamo nel 1599 quando io riuscirò a ottenere la commissione per dipingere tre teleri per decolare la cappella Contarelli di San Luigi dei Francesi, una chiesa del centro di Roma, pensateci.
Dipingere per i più grandi cardinali romani non era niente in confronto a dipingere per... una chiesa, luogo pubblico. Tutti da quel momento in poi sapevano che esistevo, sapevano cosa potevo fare, sapevano chi era Caravaggio. Vi mostrerò le mie immagini, le mie opere, forse ve le parlerà la vostra prof, ma quello è stato veramente il momento di svolta. Da quel momento io sono diventato Caravaggio, tutti volevano mie opere, tanto che le commissioni pubbliche si moltiplicheranno.
Ad esempio verrò chiamato nel 1600 a decorare la cappella di Monsignor Tiberio Cerasi, ve lo mostro nel suo monumento funebre, in Santa Maria del Popolo a Roma, un'altra chiesa importantissima, Santa Maria del Popolo a Roma, davvero qualcosa di importantissimo. E poi entrerò in contatto con altri grandissimi committenti, ad esempio Vincenzo Giustiniani, che era un banchiere genovese molto colto, molto ricco. molto potente, che mi amava tantissimo, mi faranno fare tantissime opere di grandissimo livello.
Ad esempio, realizzerò in particolare per lui, qui vi mostro un dettaglio, dell'Amorino Vincitore, oggi costudito alla Gemalde Gallerie di Berlino. E in particolare si racconta che lui avesse delle opere meravigliose nella sua collezione, ma che tenesse coperto il mio amore vincitore, il mio amor vincit omnia, perché avrebbe fatto sfigurare. tutte le altre opere della sua collezione, o forse perché rappresentava Cecco Boneri, conosciuto da tutti come Cecco del Caravaggio, un ragazzino che era diventato mio allievo, diciamo così, non ho mai avuto veri e propri allievi, non riuscivo, non avevo una bottega, non riuscivo ad avere la pazienza di insegnare per davvero le cose, ci vuole pazienza per insegnare, ma Cecco è venuto a bottega da me quando era un bambino, come spesso succede, come succede sempre. E si vocifera che fosse diventato anche il mio amante. Sì, avevo anche forse questa predilezione per i ragazzini.
Farò opere di ogni tipo, questa è un'opera di Cecco Boneri, beh vedete, come maestro non sono stato male se questo è un dipinto che Cecco ha realizzato, il suonatore di flauto, guardate la bellezza di queste nature morte in primo piano, guardate questi strumenti musicali che torneranno spesso nel mio percorso. Strumenti musicali, guardate questa è un'opera meravigliosa che esiste in diverse versioni, quella che vedete a sinistra realizzata. per Vincenzo Giustiniani, quella di destra realizzata per Francesco Maria del Monte, facevano la gara a vere mie opere.
Ah, lo riconoscete? Il modello ancora una volta è Mario Minniti, il mio amico Mario. Ma allora avevo raggiunto la fama, eppure le notizie che vi arriveranno di me, le prime notizie che vi arriveranno di me non saranno quelle. dei biografi, saranno atti di processi.
Ve l'ho detto, io conoscevo i bassi fondi, conoscevo l'oscurità dell'animo umano, ne ero un esempio, il migliore, cosa dite? E arriveranno alla storia tantissimi processi, mi prenderanno spesso, mi butteranno in galera, in particolare frequentavo il carcere di Tordinona a Roma, sono stato più volte denunciato una volta perché ho osato tirare un piatto di carciofi in faccia a un garzone d'osseria. Gli avevo chiesto di avere dei carciofi metà cotti nell'olio, metà cotti nel burro. Lui, stupido, non ha saputo dirmi quali fossero quali.
Io glieli ho scagliati in faccia, mi ha denunciato. Ma il processo, forse quello più scandaloso che mi ha riguardato almeno fino a questo momento, è del 1603 lo vedete il personaggio che vi sto mostrando? era un pittore, si chiamava Giovanni Baglioni non so più il suo nome Giovanni Baglioni era un pittore da 4 soldi aveva una certa fama godeva di una certa fama a Roma dal mio punto di vista assolutamente ingiustificato come testimonierò nel processo aveva ricevuto una serie di committenze importanti, addirittura aveva ricevuto un'onorificenza al medico.
Il Papa talvolta onorava alcuni pittori donandogli una medaglia e questo li faceva salire di categoria e i committenti volevano le loro opere perché erano pittori riconosciuti dal Papa. Giovanni Baglioni aveva osato schernire alcune mie opere. Beh, io non glielo ho fatto passare liscia.
Nel 1603 Ecco che entrano di nuovo in gioco i miei amici. Io che negherò tutto, al processo io negherò tutto, ma io insieme a un mio amico Orazio Gentileschi, un pittore che stimavo, un naturalista, chiamava tanto la natura il vero, che sarà poi la cifra stilistica importante, lui lo fa in modo diverso, ma lo stimavo. Orazio Gentileschi, voi lo conoscete, questo nome non vi è nuovo, perché lui sarà padre di Artemisia Gentileschi, una pittrice donna che sarà una caravaggista, la vedete, guardate queste luci, queste ombre, questa è la sua Giuditta che ricapita all'Uferne nelle due versioni degli Uffizi e di Capodimonte e vedrete che imparerà tantissimo da me, una delle poche, forse una delle uniche pittrici donne della storia.
Orazio era... suo padre. Ecco, ma io vi stavo raccontando questa storia insieme a Orazio, insieme a Ottavio Leoni, che è quello che mi aveva dipinto all'inizio, prima immagine che vi ho mostrato, e insieme a Onorio Longhi, non ho trovato un suo ritratto, beh, veniamo coinvolti in uno scandalo. Perché queste dileggi che Giovanni Baglioni aveva osato rivolgere ai miei dipinti Gli avevano fatti infuriare e così io e questo gruppo di artisti che vi ho nominato, immaginatevi quanto ci siamo divertiti, in qualche una delle nostre serate abbiamo composto dei versi, delle poesie in rima, noterete anche una sorta di ritmica interessante, e le abbiamo stampate in diverse coppie distribuite a Roma, appese in giro, distribuite nella cerchia dei pittori, nella cerchia che contava per l'arte a Roma.
Queste poesie vengono riportate in questi atti del processo che mi riguardano. 1603, la prima diceva così, «Gioan Bagaglia! » Io negherò di aver scritto queste poesie, io dirò che non mi deletto nella scrittura né in versi, in rima, né in prosa.
Io negherò tutto, ma sentite la piacevolezza. Gioan Bagaglia, Giovanni Paglioni, Gioan Bagaglia, tu non sai un'acca, le tue pitture sono pitturesse, roba da femmine. Volevo vedere con esse che non guadagnerai mai una patacca, che dico tanto panno da farti un paro di bragresse, che ad ognun mostrerai quel che fa la cacca. Talmente i tuoi dipinti fanno schifo, neanche riuscirai a vendere niente, neanche per poterti comprare un pezzo di stoffa per confessionarti dei pantaloni. Portala dunque i tuoi disegni e cartoni che tu hai fatto ad Andrea Pizzicarolo, veramente forbete nel culo, alla moglie di Mao, che era un suo assistente e che aveva osato anche lui criticare un mio dipinto, e era anche un mio copista.
Tu regli la potta che con quel suo cazzon da mulo più non la fotte. perdonami dipintore se io non ti adulo che della collana che tu porti indegno sei et della pittura vituperio. Sì, diciamo che ci siamo andati giù un po'pesanti con la terminologia, ma queste erano le parole che si usavano nei 600 ragazzi, noi ci esprimevamo così, vi stupite? Ce l'avevamo a morte con questo pittore qualunque. a rivista, che aveva più successo di me, ma come mi rodeva!
Lo capite bene, ma c'è una seconda poesia che era stata fatta circolare. Qui mi diverto, sentite, Giovanni Baglione, sentite la rima. Gian Coglione, senza dubbio dir si puole quel che biasimar si mette altrui, che può a cento anni esser mastro di lui, chiunque poteva essergli maestro e superarlo.
Nella pittura intendo la mia prole, poi, che pittor si vuol chiamar colui che non può star per macinar con lui. Il color non ha mastro nel numero, si sfasciatamente nominar si vole. Si sa pure il proverbio che si dice che chi lo dar si vole, si maledice. Dice sì, da solo si cantava, e ne cantava i suoi dipinti.
Io non sono uso lavarmi la bocca, nemmeno di inalzar quel che non merta, come fa l'idol suo, che è cosa certa. Se io mettermi volesse ragionare delle scaure fatte da questui, Non bastarían interi un mese o due. Vieni un po'qua, tu che vuo'biasimar le altrui pitture, e sai pur che le tue, se stanno in casa tua, a chi odi ancora, vergognandoti tu mostrarle fuora. Infatti, io vo'l'impresa abbandonare, che sento che mi abbonda tal materia massima e si intrassi nella catena d'oro che al collo indegnamente porta quella famosa non-efficienza al merito che mi aveva scatenato tutto, che credo certo meglio se io non erro. a pie gliene staria una di ferro di tutto quel che ha detto con passione per certo gli è perché credo beuto avesse certo come è suo dovuto altrimenti ei seria un becco fottuto allora vi dicevo beh vi dicevo che io ho negato tutto non solo negli atti del processo io ho fatto di più io ho elencato i pittori.
Ho detto io li conosco tutti i pittori di Roma, tutti, tutti, ma bisogna distinguere tra i valentuomini e gli altri. Allora il giudice mi ha chiesto cosa intendessi per valentuomini e io in un atto di un processo ho dichiarato un intento in pittura. Valentuomo è colui che si interessa del vero, rappresenta il vero, il naturale.
E ho fatto l'elenco dei miei amici. Horacio Gentileschi, Prospero Orsi, tutti i miei amici Onorio Longhi e così via. Tra costoro non ho inserito Mau, non ho inserito Giovanni Baglione e altri.
In un atto di un processo che mi riguardava io ho osato addirittura farmi beffa di loro.