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Vita e opere di Dante Alighieri

Benvenuti, oggi abbiamo l'ambizione di riportarvi indietro nel tempo di ben sette secoli e quella ancora più grande di raccontarvi la vita dell'uomo che è universalmente riconosciuto come il padre della letteratura italiana e non solo, come l'autore di un capolavoro Un lavoro che ancora oggi, dopo tanto tempo, è studiato, sviscerato, discusso nelle università di tutto il mondo. E che è fonte di ispirazione per artisti, musicisti, attori. Oggi vi raccontiamo la vita di Dante Alighieri. O meglio, di Durante degli Alighieri, detto Dante. Per raccontare la vita di Dante ovviamente ci vogliono delle informazioni e quelle informazioni possono arrivare sui siti web.

soltanto dalla sua epoca. Dice ma è pieno di libri che raccontano la vita di Dante? Sì, ma tutti si basano sulle informazioni che i suoi contemporanei ci hanno trasmesso. Quello che non ci hanno detto loro noi non lo sappiamo e non lo sapremo mai.

quelle che noi storici chiamiamo in gergo le fonti. Una fonte è qualunque cosa che si sia stata trasmessa dall'epoca che vogliamo ricostruire. Anche gli oggetti sono fonti, un fiorino d'oro o una torre di Firenze, sono fonti naturalmente. Ma è chiaro che per ricostruire la vita di Dante le fonti più importanti sono quelle scritte, che sono di tanti tipi.

Ci sono i documenti conservati negli archivi, uno chiama il notaio per stipulare un contratto di matrimonio. Oppure c'è il verbale di un consiglio in cui Dante si è alzato a parlare. Poi ci sono le cronache.

E quello che succede è quando una persona dell'epoca, nella tranquillità del suo studio, si mette a scrivere per tramandare ai posteri, cioè a noi, la sua memoria e la sua interpretazione delle cose che sono accadute alla sua epoca. E poi ci sono le vite di Dante, le prime voglio dire, perché già i suoi contemporanei avevano capito benissimo di aver conosciuto un uomo eccezionale che avrebbe continuato a... ha continuato a suscitare interesse nei secoli e quindi si sono messi a scrivere la sua vita.

Quindi noi abbiamo una collezione di testimoni, gente vissuta all'epoca di Dante o poco dopo, che ci ha trasmesso le notizie che noi possediamo su di lui. E questi testimoni noi qui in televisione ci siamo permessi di farli interpretare da un cast di attori. Questi due sono Giovanni e Filippo Villani, zio e nipote.

Giovanni Villani è forse il più grande cronista. cristianista fiorentino dell'epoca. Il nipote Filippo è già un uomo di un'altra generazione, appartiene già a quei circoli di umanisti che guardavano un po'dall'alto in basso i vecchi tempi medievali dello zio Giovanni e di Dante Alighieri.

Questo invece lo conoscete tutti perché è Giovanni Boccaccio, l'autore del Decameron, che però non è soltanto un grande scrittore e un prete, fra le altre cose, anche se pochi lo ricordano, ma è anche uno dei primi grandi studiosi di Dante. A Boccaccio, il comune di Firenze, ad A. ha dato a un certo punto l'incarico di fare lezione in pubblico sulla Divina Commedia.

E Boccaccio è l'autore di una delle prime vite di Dante. Questo invece è Leonardo Bruni, è un uomo vissuto un po'più tardi, in pieno 400, un umanista, cancelliere della Repubblica Fiorentina. In quanto cancelliere apriva i cassetti segreti, conosceva un sacco di documenti, ha visto delle lettere di Dante scritte di suo pugno, che noi daremmo chissà cosa per averle, ma non le abbiamo più. Con questo signore invece torniamo indietro nel tempo.

Non è molto conosciuto, anzi lo conosciamo soltanto noi specialisti. È un notaio, un notaio di Prato, Jacopo di Pandolfino. E questo è Dino Compagni, l'altro grande cronista fiorentino dell'epoca. Coetaneo di Dante e suo compagno di partito, che dopo la sconfitta disastrosa che a Dante costa l'esilio e a lui, Dino Compagni, costa la fine della carriera politica, si ritira a casa a raccontare la sua versione degli avvenimenti drammatici della Firenze dell'epoca.

Ok, non sono abituata. Io vidi già. Cavalier Mover Camp. Quella fu la prima volta. Quando agli miei occhi appar...

Che si sente loro? Anche Dante ha scritto tante cose. che a noi servono per ricostruire la sua vita.

Però in questo caso non ce ne siamo sentita di far impersonare Dante da un attore. Abbiamo preferito affidare le sue parole alle voci collettive di tanti appassionati. Lo devo rifare da capo? No. Ah, faccio l'ultima.

Bene, è ora di cominciare il nostro racconto. E lo faremo nel modo più ufficiale possibile, quello anagrafico. Proviamo quindi a compilare la carta d'identità di Dante Alighieri. Partiamo dal primo punto, il nome. Vabbè, Dante si chiama Dante, questo lo sa.

tutti ma forse non tutti sanno che dante è un diminutivo una contrazione di durante oggi sono nomi piuttosto rari dall'epoca invece erano molto comuni specialmente a firenze e si vede nei documenti che la stessa persona regolarmente chiamata incertezza in certi casi Durante e in certi altri più semplicemente Dante. Era una moda nella Toscana di allora ridurre così, accorciare così i nomi propri. La nostra città era piena di univieri che tutti chiamavano Vieri. Di Raneri diventati Neri. Buonaccorso, Buonaccorso che diventava Corso.

Ah già. E Baldo, Corrado che diventava Duccio. Balduccio, Corraduccio, Duccio.

Va bene zio. E Francesco, che diventava Cecco, Beatrice Bisce, e Giovanni Vandino. Sì, si è bello capito come va la faccenda.

Maso, Tommaso. Diminutivi a parte, bisogna dire che se i fiorentini di quell'epoca avevano il gusto dei nomi insoliti, la famiglia di Dante in questo non era seconda a nessuno. Basta scorrere la genealogia per rendercene conto.

Cacciaguida, il trisnonno. Alighieri. il bisnonno, Preitenitto, il fratello del bisnonno, Bellincione, il nonno, Alighiero, il babbo, e poi gli zii paterni, Burnetto, Drudolo, Belluzzo.

Poi, più comuni, Gerardo e Donato. E veniamo al cognome Alighieri, che deriva dal nome di battesimo del bisnonno di Dante, Alighiero, appunto. Il cognome oggi è una cosa banale, ce l'abbiamo tutti, ma all'epoca non era così. Nella Firenze di Dante la maggior parte delle persone erano conosciute semplicemente col proprio nome di battesimo e quello del padre, Giovanni di Bartolomeo.

Avere un cognome voleva dire appartenere a una famiglia. Voglio dire a una famiglia influente che contava... qualcosa che quindi i concittadini identificavano distinguevano dalle altre i brunelleschi i tornabuoni i donati non è che ci fosse un anagrafe attribuire il cognome era semplicemente l'uso dei concittadini che distinguevano le persone qualunque e quelle che invece contavano qualcosa e in certi casi bastava appunto che un uomo diventasse abbastanza conosciuto perché tutti i suoi discendenti prendessero nome da lui com'è capitato a noi lo zio si chiama Si chiamava Giovanni di Villano di Stoldo e io sarei Filippo di Matteo di Villano. Ma siccome si è famosi, modestamente, ci chiamano i Villani.

Dante era orgoglioso di appartenere a una famiglia che aveva un cognome e da quattro generazioni. Infatti se lo fa raccontare per filo e per segno dal trisnonno Cacciaguida quando lo incontra in Paradiso. Ma noi come facciamo a essere sicuri che a Firenze si diceva davvero gli Alighieri? Il primo documento che lo dimostra è del 12... 1260 è il cosiddetto Libro di Montaperti, e cioè il codice in cui sono stati rilegati i registri dell'esercito fiorentino, catturati dai senesi alla grande battaglia di Montaperti, in cui appunto l'esercito fiorentino subì una devastante sconfitta.

Lì, fra tutti i cittadini che facevano parte di quel disgraziato esercito, è elencato anche uno degli zii di Dante, Burnettus de Alageris, Burnetto degli Alighieri. Ecco, questa è la dimostrazione che a Firenze effettivamente dicevano gli alighieri. Non voleva dire che fossero nobili, ma era l'emergere dalla massa.

Mancavano cinque anni alla nascita di Dante. Nacque questo singolar splendore italico nella nostra città, negli anni della salutifera incarnazione del re dell'universo 1265. E voi vi chiederete, come faccio a saperlo? Beh, me l'ha raccontato un valente uomo, chiamato Ser Piero di Messer Giardino da Ravenna, il quale fu uno dei più intimi amici e servitori che Dante ebbe in Ravenna. Ser Piero mi ha raccontato che Dante, inchiodato nel letto dalla malattia di cui sarebbe morto, gli disse di aver compiuto 56 anni a maglia.

E siccome è morto il 14 settembre 1321, doveva essere nato nel maggio 1265. Il giorno non si sa, ma era dei gemelli. Durante di Alighieri, degli Alighieri, alias Dante Alighieri, è nato dunque a Firenze nel 1265. Dei suoi genitori sappiamo poco, Dante non ne parla mai in nessuna delle sue opere e può anche darsi che li abbia malapena conosciuti. Il padre aveva almeno 40 anni e forse anche di più quando lui è nato.

Il padre suo, Aldighieri, perdene la puerizia. La puerizia, secondo Sant'Agostino, va dai 7 ai 14 anni. Quindi la cosa è chiara. Dante...

era ancora un bambino quando morì suo padre e la mamma di dante di lei conosciamo a malapena il nome e lo conosciamo perché c'è un documento che è stato scritto parecchi anni dopo quando era già morto anche dante e i suoi figli si sono divisi le l'eredità. E in quel documento è menzionata anche la dote della nonna, la mamma di Dante appunto. Così impariamo che si chiamava Bella, Monna Bella. Il cognome però non ce l'ha detto nessuno e non lo conosciamo.

È morta probabilmente quando Dante era molto piccolo, perché il papà ha fatto in tempo a risposarsi e a fare degli altri figli. È probabile che Dante non avesse neanche un ricordo di sua mamma. Per quanto ne sappiamo potrebbe anche darsi che Bella sia morta di parto, proprio dando alla luce.

Dante è una cosa che capitava in passato ma di questa donna di cui nessuno sa niente il boccaccio si è inventato una storia favolosa e cioè che quando era incinta di Dante stava per partorirlo la mamma ha fatto un sogno premonitore che le annunciava che suo figlio sarebbe stato un uomo eccezionale come succedeva nell'antichità come era successo alla mamma di Alessandro Magno Parea alla gentil donna nel suo sogno esser sotto un altissimo alloro, sopra un verde prato, vicino a una chiarissima fonte, e qui si sentia partorir un figliuolo. il quale crebbe nutrendosi solo delle bacche, le quali dall'alloro cadevano. E con le foglie d'alloro, si sa, si fanno le corone dei poeti, quelle stesse che vediamo in tutti i ritratti di Dante.

Non è che Boccaccio si sia sforzato tanto. Dunque Dante non ha avuto un rapporto molto stretto con i suoi genitori. Diciamo che ha ereditato. Ha ereditato i poderi che hanno fatto di lui un cittadino agiato e che gli hanno permesso di dedicare la vita alle cose che gli piacevano, agli studi.

Ha ereditato un cognome e una famiglia. posizione sociale. Però qui sta il problema, perché è vero che i soldi c'erano, ma Alighiero non li aveva fatti in modo troppo pulito.

Qualcuno diceva che erano usurai, ma io dico che gli usurai sono quelli immigrati che non si sa da dove vengono. Aprono la botteguccia e cominciano a strozzare i poveri. Ecco, quelli sì, andrebbero cacciati tutti.

Ma un cittadino rispettabile che fa girare i suoi soldi avrà ben diritto di guadagnarci qualcosa, no? Perché se i soldi non girano si ferma tutto. Sì, lo so, loro prendevano interessi abbastanza alti, anche molto alti. Diciamolo, il 20% all'anno, anche il 25%. Ma la gente ha bisogno di soldi.

Senza soldi di questi tempi non si fa niente. Ma dunque il padre, il nonno, gli zii di Dante erano usurai? In termini tecnici sì, senza il minimo dubbio. Ma dice, l'usura non era proibita dalla Chiesa? E'certo che era proibita.

ma se credete che tutte le cose vietate dalla chiesa solo per quello la gente non le facesse più vuol dire che non avete capito cos'era il medioevo far girare i soldi era importante lo ha detto anche il nostro ser notaio e quando a far girare i soldi erano cittadini rispettabili nessuno diceva niente e quindi Alighiero e gli altri non erano usurai no, erano... Uomini d'affari che avevano le mani in pasta in tutte le occasioni in cui c'era da guadagnare qualcosa. I fu nato e cresciuto sopra il bel fiume d'Arno, alla Gran Villa.

Firenze, di cui sono nativo e cittadino. Il luogo di nascita sentito e dante stesso a togliere ogni dubbio era nato a firenze il che significa in una delle più grandi e ricche metropoli del suo tempo perché i nostri discendenti possono comprendere che cos'era firenze a nostri tempi ricordare che le gabelle rendevano 300.000 fiorini d'oro all'anno, che sarebbe una gran cosa per un regno. E il re Roberto di Napoli non ne ha di più, e il re di Sicilia, e il re d'Aragona molto meno. I cittadini adulti maschi in grado di prendere armi erano 25.000.

Ai miei tempi erano la metà, dopo la peste. Ma non ne parliamo. Sono discorsi che allo zio non piacciono tanto. Sapete, lui c'è morto durante la grande peste. Con più di mille letti che ospitavano poveri e malati.

Firenze alla fine del 200 era come oggi Londra o New York. Pulsava di vita e di denaro. E cambiava faccia senza rimpianti nei riguardi per il passato. Era una città piena di cantieri che davano lavoro a una folla di immigrati.

Al tempo di Dante stavano costruendo Santa Maria Novella, Santa Croce, l'abbadia, il Duomo, Palazzo Vecchio. E Dante abitava proprio vicino all'abbadia, più o meno dove oggi c'è il museo chiamato Casa di Dante. Anche se a forza di restauri, rifacimenti e demolizioni il luogo è molto diverso da come probabilmente si presentava ai suoi tempi. Però, com'era la Casa di Dante, possiamo provare a immaginarcelo.

Anche grazie a qualche preziosa testimonianza. Al tempo in cui Dante venne al mondo, Firenze era divisa in quartieri, ma siccome erano sei e non quattro, allora venivano chiamati sestieri o sesti. Il sesto di Porta San Piero, San Piero Maggiore, era quello dove si trovavano le case degli Aldighieri, che abitavano all'angolo di Porta San Piero, all'ingresso del Mercato Vecchio, proprio sulla piazza dietro al popolo di San Martino del Vescovo.

oggi chiamereste la parrocchia di San Martino. Nel sesto di Porta San Piero si è sempre reclutata la migliore cavalleria e gente d'arme della città. Ma tu, zio, hai anche scritto che la gente lo chiamava il sesto dello scandalo.

Certo, lo scandalo. Cioè i litigi, le sommosse, le guerre civili. Sono sempre i cavalieri che le provocano.

In questa città straricca. c'era gente che i soldi li aveva fatti da tanto tempo e che si era abituata a vivere come i nobili della campagna, sempre a cavallo, in mezzo alle armi, ai cani da caccia. Questi cavalieri guardavano dall'alto in basso la gente che i soldi aveva appena cominciato a farli. Prefino Dante, siccome era ricco di famiglia e non aveva bisogno di lavorare, ostentava disprezzo verso gli immigrati dal contado che i soldi appunto avevano appena cominciato a farli e magari erano già diventati più ricchi di lui. La gente nuova e i subiti guadagni, orgoglio e dismisura ingenerata, Fiorenza, in te, sì che tu già te'impiagni.

E così Firenze era spaccata e tutti quei soldi non portavano concordia, ma guerra civile. Fra quelli che avevano già avuto il tempo di investire e avevano comprato terre e castelli e costruito torri e tenevano cavalli e armi e si facevano addobbare cavalli. cavalieri e chi per queste cose non aveva tempo perché stava a bottega a lavorare, fra i magnati e il popolo.

Erano la disgrazia della nostra città i magnati, i grandi, come diceva la gente, famiglie numerose, prepotenti, tutti con lo stesso cognome, tutti zii, tutti cugini, tutti ricchi e tutti armati. Le loro case erano così vicine le une alle altre che occupavano intere parrocchie. Le dominavano con le loro torri.

Avete presente San Gimignano? In Firenze era così. Solo che era dieci volte più grande e tutta irta di torri.

Provate un po'voi a far funzionare un governo pacifico. Tenere i cittadini d'amore e d'accordo in una città piena di gente così. Tra i più cattivi di tutti c'erano i donati. Quelli erano sì antichi di sangue, ma non così ricchi. I cerchi invece erano uomini di basso stato.

venuti da chissà dove, ma buoni mercanti, granricchi. La brava gente non faceva differenza, tutti grandi, tutti magnati. Dei cerchi e dei donati sentiremo ancora parlare, perché sono loro i capi delle fazioni che si affrontano al tempo di Dante e abitavano nel suo stesso sesto, Porta San Piero. Per il momento limitiamoci a dire che sono famiglie come queste, a impedire il... funzionamento pacifico del comune, perché quando le cose non vanno come vogliono loro, sono pronti a occupare la piazza, armati.

E poi c'era il popolo, noi, cioè tutti gli altri, tutti quelli che non avevano tempo per i cavalli, per i tornei, perché dovevamo andare a bottega, a lavorare, a fare i soldi, certo, in pace, in armonia e in buona concordia. Non chiedevamo altro. I grandi invece sempre a pensare alla guerra, a fare la guerra alle altre città e quando non si poteva farcela tra di loro. Ma la guerra per gli affari è un disastro. Torniamo al piccolo Dante, che sta crescendo nel sesto di Porta San Piero e proviamo a immaginare com'era l'infanzia di un ragazzino nella Firenze dell'epoca.

Beh, c'era la scuola innanzitutto, perché i bambini della classe sociale di Dante ovviamente andavano a scuola e a dire che non avevano mai avuto un bambino. Il vero non soltanto loro. Ma è chiaro che a Firenze i fanciulli andavano a scuola. Quasi tutti alla mia età. 8-10.000 fanciulli, maschi e femmine, che imparavano a leggere.

Poi c'erano 1.200. più grandicelli, i garzoni, che imparavano a far di conto. E infine 550, 600, sì, quelli che imparavano il latino e la logica.

Che cosa ha imparato Dante a scuola? A leggere e a scrivere, che erano due cose separate, e poi subito un po'di latino, perché in realtà si imparava a leggere direttamente su testi latini, sul Salterio, che era un libro di preghiere, e sulla grammatica del donato. Tutti i bambini ci passavano.

Poi però la grande maggioranza con il latino smettevano lì, perché a loro saper leggere e scrivere serviva solo da grandi per tenere i libri di bottega. Dante invece ha continuato, anche se poi da adulto si accorgerà che il latino imparato a scuola non gli bastava mica per leggere davvero Cicerone. Chi fosse il suo maestro non lo sappiamo, Dante non ne parla mai. Non abbiamo idea dei ricordi che può aver conservato, dei tempi della scuola.

Però... Probabilmente cattivi ricordi, perché all'epoca, bisogna dirlo, i ricordi di scuola erano soprattutto ricordi di frustate. Erano più felici i momenti liberi al di fuori della scuola, quando poteva anche capitare che i bambini accompagnassero i genitori alle feste dei grandi. Il primo maggio era usanza nella nostra città festeggiare la primavera. In compagnie separate, si capisce, gli uomini con gli uomini e le donne con le donne.

E'un cittadino che non ha mai avuto un uomo. un cittadino molto ricco, Folco Portinari, aveva invitato i vicini nella propria casa a festeggiare, e fra gli altri anche a Lighiero. E con lui era andato anche suo figlio Dante, che non aveva ancora compiuto nove anni.

Perché i fanciulli piccoli vanno coi padri, specialmente ai luoghi festevoli. La forte separazione fra i sessi che usava a Firenze non valeva nell'infanzia. E infatti a questo punto... quella festa di uomini, di padri, era pieno di maschietti e femminucce che li avevano accompagnati e che a un certo punto si sono alzati da tavola e si sono messi a giocare.

È lì che Dante ha incontrato Beatrice per la prima volta. Dante dice che stava per compiere i nove anni, Beatrice aveva appena compiuto gli otto. Siamo quindi nella primavera 1274. Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata alla guisa che alla sua giovanissima etade si convenia. L'unico particolare che Dante ci racconta di quella scena è che Beatrice aveva un abitino rosso, rosso sangue, e lui si è innamorato pazzamente.

Dall'ora innanzi dico che amore... segnoreggiò la mia anima. Dopo quel primo incontro infantile, Dante ha cercato tutte le occasioni di rivedere Beatrice. Non è mai riuscito neanche a salutarla.

Può darsi che per anni non l'abbia proprio più rivista. Anche perché a Firenze, all'epoca, appena una ragazzina si avvicinava alla pubertà, i genitori non la lasciavano più uscire di casa. Ellie, l'amore, mi comandava molte volte che io cercasse per vedere questa angiola giovanissima. Onde io, nella mia poerizia, molte volte l'andai cercando. Passano nove anni dopo quel primo incontro infantile, prima che a Dante capiti di nuovo di incontrare Beatrice, per la strada.

E il 1283 hanno 18 anni tutte e due. E Dante è in giro da solo per le strade di Firenze, quando all'improvviso si accorge che c'è lei che gli sta venendo incontro. Anche se erano quasi coetanei, la loro posizione nella società era diventata molto diversa.

Dante a 18 anni era ancora un adolescente pieno di desideri repressi. Beatrice, che era più piccola di lui, era già una signora sposata e quindi usciva di casa. quando voleva anche se raramente da sola dato il rango di suo marito il cavaliere simone de bardi grande azionista bancario questa mirabile donna parvi a me vestita di colore bianchissimo in mezzo a due gentili donne le quali erano di più lunga età de E quindi anche quel giorno quando Dante se la vede venire incontro, Beatrice non è da sola. Ci sono due signore più anziane insieme a lei. E lui va nel panico, come qualunque adolescente imbranato, e cerca di non farsi vedere.

E invece Beatrice lo riconosce e lo saluta. E a lui sembra di toccare il cielo con un dito. Era la prima volta che sentiva la sua voce.

Quella fu la prima volta che le sue parole si mossero per venire agli miei orecchi. Presi tanta dolcezza che come... Come inebriato mi partì io dalle genti e ricorsi allo solingo luogo di una mia camera e puosimi a pensare di questa cortesissima.

A questo punto il diciottenne corre a casa, si chiude in camera e comincia a ripensare intensamente a questa cosa fantastica che gli è capitata. Poi alla fine si addormenta e mentre dorme la sogna Beatrice, nuda. Ci tengo a sottolinearlo perché è Dante che ha voluto scriverlo, anche se lo dice con un tocco così leggero che di solito i commentatori non ci si fermano troppo.

E poi si sveglia. in preda a una violentissima emozione. E qua mi verrebbe da dire niente che non sia capitato anche a noi a 18 anni, o comunque che non avrebbe potuto capitarci.

Ma quel diciottenne era Dante e viveva in un mondo diverso dal nostro. nostro. In quel mondo era comparsa da poco fra i giovani come lui una novità che faceva furore e consisteva nel fatto di discutere fra loro sull'amore, su questa forza straordinaria che li dominava tutti, discuterne però in versi, scrivendo poesie, poesie nella lingua di tutti i giorni, non in latino.

Anticamente non c'erano dicitori d'amore in lingua volgare, anzi erano dicitori d'amore. certi poeti in lingua latina. Lo ricorda bene Dante e ricorda bene perché certi poeti volgari a quei tempi fecero la loro comparsa. E lo primo che fu poeta in lingua volgare lo fece perché voleva far intender le sue parole a una donna alla quale era malagevole di intendere diversi latini. Scrivere sonetti in volgare.

involgare in lingua di sì, come dice Dante. Lui non lo chiama mai l'italiano, al suo tempo non si usava ancora. Scrivere sonetti in volgare e mandarli ad altri poeti e aspettare le loro risposte e discuterne davanti al pubblico. In fondo è la stessa cosa che succede oggi nei poetry slam o nei freestyle di rap. E del resto quelli erano versi fatti per essere messi in musica.

E Dante aveva molti amici musicisti. A ciascun'olma prese gentilcore, nel cui cospetto ve lo dir presente Ciò che mi rescriva un suo parvente, salute il loro signor, cioè amore C'erano quasi catersate l'ore, del tempo con le stelle a mia lucente Quando mi apparve amor subito al mente, cui è senza membrarmi da orrore Allegro mi sembrava mortenante, mio cuore è un'esplosione Le mani nere e braccia via La donna involta in un drappo dormendo Poi la sveglia vede il suo cuore ardendo Le pavientose, un'inmente pascea Presso il giro ne vedea piangendo E i poeti che ricevettero il sonetto risposero. Qualcuno nello stesso tono elevato, qualcun altro invece con un brusco abbassamento stilistico. Come Dante Damaiano, che consigliò al ragazzino di sciacquarsi i testicoli in acqua fredda per farsi passare i... bollori, che lavi la tua coglia largamente a ciò che stinga e passi lo vapore.

Fra quelli che risposero in tono serio c'era anche Guido Cavalcanti, che diventerà poi il più grande amico di Dante, un magnate, anzi uno dei più arroganti e violenti, ma anche un grande poeta e un gran signore, uno studioso di filosofia e una testa matta. Io Cavalcanti l'ho anche messo nel mio Decameron, che forse avrete letto. Bel personaggio, tutte le migliori compagnie di giovani ricchi lo volevano. Era un ottimo... filosofo anche se questo ai giovani ricchi importava poco ma era il più elegante di tutti il più raffinato e ricchissimo lo invitavano dappertutto e lui non ci andava mai Ma con Dante invece era amico, vero, anche se litigavano sempre.

Gli amici erano importanti per Dante. In gioventù si è fatto degli amici a cui ha continuato a voler bene per tutta la vita, anche se parecchi sono morti molto prima di lui. All'epoca era facile morire giovani.

E lui ha cercato di consolarsi della perdita, immaginando di ritrovarli in purgatorio. Alcuni di loro erano di condizione sociale superiore alla sua, membri di grandi famiglie, gente che suo padre o i suoi zii non frequentavano. Ma lui dava del tuo ai figli dei cavalieri, perché scriveva poesie insieme a loro.

I giovani a quei tempi uscivano a muovere, insieme c'erano tante feste e cene ma le compagnie erano divise i maschi coi maschi e le femmine con le femmine ora le cose sono cambiate c'è più libertà I giovani d'oggi non hanno più idea di come vivevano i loro nonni. Colpa della peste. Dopo l'epidemia è cambiato tutto. Anch'io, nel mio Decameron, ho inventato che sette ragazze durante l'epidemia decidono di andare via da Firenze in una casa di campagna. Poi ci sono tre giovanotti che propongono di aggregarsi anche loro.

All'inizio le ragazze non vogliono. Sono cose che non si fanno. cosa dirà la gente poi però una di loro fiammetta dice che a lei di quel che dice la gente non importa niente i giovani d'oggi a metà del 300 sono così ma ai tempi di Dante l'idea di uscire in compagnia tutti insieme ragazzi e ragazze era una cosa impensabile Dante cercava tutte le occasioni per vedere Beatrice. Quando è morto il padre di Beatrice, Folco Portinari, Dante è andato a casa sua, ma non ha potuto entrare, perché l'usanza era che quando c'era un morto in casa, solo le donne entravano per il pianto funebre. Gli uomini dovevano restare fuori.

E intanto studiava. Studiava teologia, filosofia, aritmetica, geometria, leggeva di storia. Ha letto così tanti libri che a un certo punto iniziò a...

ballarli la vista. E allora dovete curarsi per molto tempo in luoghi bui e freddi. E poi ha ricominciato. Stava sveglio la notte, faticava sui libri. Si vede da tutto quello che ha scritto che era un vero pozzo di scienza.

Ma non era più la scuola del maestro col frustino. Dante era maggiorenne, orfano di padre e quindi capofamiglia. Era ricco e padrone di fare quello che voleva. E quello che voleva fare era studiare.

E ha studiato col maestro più prestigioso di Firenze, Brunetto Latini, che gli ha insegnato un'arte nuova. Si chiamava Lars Dictaminis. A dire cos'era sembra una cosa comica.

Era l'arte di scrivere lettere. Ma non le lettere private, le lettere politiche. Le lettere che si scrivono i governi in cui discutono di grandi questioni. Ed era l'arte di fare discorsi in pubblico. E quindi di nuovo qualcosa che era il centro della vita politica di Firenze.

Dove per fare carriera bisognava essere capaci di alzarsi in pieno consiglio e prendere la parola. Di stare al balcone, alla ringhiera e a ringare. appunto il popolo e convincere.

Insomma Brunetto Latini a Dante ha insegnato l'arte di fare politica. E intanto leggeva grandi poeti, quelli che tutti amiriamo, anche se poi non sono tanti quelli che li hanno letti veramente. Eh sì, Ovidio, Stazio, Lucano e Virgilio naturalmente, che poi lo accompagnerà all'inferno. Lui, dico Dante, sapeva tutta l'Eneide a memoria e se ne vantava.

A un certo punto si fa fare complimenti anche da Virgilio. Bello sai tu che la sai tutta quanta. Però a un certo punto ha dovuto distogliersi dallo studio per occuparsi di una sfida di ben altro ordine.

Eh già, Campaldino. L'acqua e i libri si facevano poco. L'11 giugno 1289. Dante non è nel suo studio a leggere i poeti classici. È a cavallo in mezzo alla campagna.

Con addosso la cotta di maglia di ferro che pesa almeno 20 chili, con lo scudo al braccio, la lancia in pugno, la spada cinta al fianco e in testa l'elmo d'acciaio, chiuso e soffocante. In quella battaglia... memoria grande che fu a campaldino lui giovane benestimato si trovò nell'armi combattendo Vigorosamente, a cavallo, nella prima schiera. Dante è là sotto, nella piana di Campaldino. È uno dei 150 feditori che i fiorentini hanno schierato in prima linea a attendere l'urto del nemico.

Non sanno ancora che la battaglia di Campaldino sarà una grande vittoria e che segnerà la disfatta definitiva dei Ghibellini e l'egemonia di Firenze in Toscana. Io ho potuto leggere una lettera in cui Dante descrive tutta la battaglia e dice che all'inizio ha avuto una gran paura e solo alla fine ha capito che era andata bene. Dante ha avuto paura, dice.

Non c'è niente di strano e niente di vergognoso. I cavalieri senza macchia e senza paura esistono solo nel nostro immaginario. Loro sapevano cos'è la guerra e cos'è una battaglia. Sapevano che solo i ragazzini non hanno paura.

la prima volta, quando non sanno ancora cosa li aspetta. E quindi Dante, quando ci dice che a Campaldino ha avuto paura, sta dicendo una cosa molto precisa, che lui ormai era un uomo. Ed il resto, la battaglia è stata davvero terribile. L'aria era coperta di nuvoli, la polvere era grandissima, i pedoni degli aretini si mettevano carponi sotto i ventri dei cavalli e coi coltelli in mano li sbudellavano. I primi si fecero così avanti che in molti casi si riuscirono a rinforzare la sua vita.

molti, da tutte e due le parti, furono uccisi nel bel mezzo dello schieramento. I molti, che si credevano coraggiosi quel giorno, furono vili. E tanti, di cui non si parlava, da quel momento, momento furono stimati. Dante nella commedia ricorda di quando dopo la vittoria loro sono andati a devastare il territorio di Arezzo e a correre giostre e tornei sotto le mura di Arezzo per farsi beffe dei nemici sconfitti. Corridor vidi per la terra vostra o Aretini e vidi Girgualdane, ferir torneamenti e correr giostra.

la battaglia Dante tornò a casa e ricominciò a studiare. Agli studi, più ferventemente che prima, si diede. All'inizio degli anni 90, Dante ha 25 anni e è un uomo adulto, ricco, padrone della propria vita, che ha già fatto anche molta esperienza, ha partecipato a una guerra, a una grande battaglia. Ma il nuovo decennio si apre con un avvenimento traumatico.

Il 19 giugno 1290 muore Beatrice. Per Dante è uno shock da cui non si riprenderà mai del tutto. Per elaborare il lutto, come diciamo noi, dovrà scrivere la Divina Cosa.

...commedia, tenendo fede a una promessa che ha fatto già nelle ultime righe della vita nuova. Sicché, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dicer di lei quello che mai non fu detto d'alcuna. Per provare a reagire allo shock della morte di Beatrice, Dante provò a rifare l'unica cosa che era in grado di distrarlo, studiare.

Brunetto Latini gli aveva parlato di certi autori antichi che raccontavano di una cosa misteriosa, la filosofia, e garantivano che la filosofia può consolare da tutti i mali. Si chiamavano Boezio, Cicerone. Dante decise di leggerli.

Si procurò i loro libri, cosa che non era così facile, e ci si mise seriamente. Si accorse subito che col suo latino imparato a scuola faceva fatica. Ma lui era uno che davanti alle difficoltà si intestardiva.

Si innamorò della filosofia e cominciò a imparare. immaginarsela. Ed immaginava la filosofia come una donna gentile e non la poteva immaginare in atto alcuno se non misericordioso. E così Dante cominciò a immaginarsi la filosofia come una gran signora che lo aiutava a consolarsi della perdita di Beatrice. E da questo immaginare cominciai ad andare là dove ella si dimostrava veracemente, cioè nelle scuole degli religiosi e alle disputazioni degli filosofanti.

Le scuole degli religiosi e le disputazioni degli filosofanti ci portano nei grandi conventi fiorentini di Santa Croce e di Santa Maria Novella, che non erano esattamente luoghi di agio e di tranquillità in quegli anni, perché entrambe le chiese erano in costruzione e quindi erano due cantieri formicolanti di gente e pieni di rumore. Lì Dante approfondisce lo studio della filosofia, che per lui, come per gli intellettuali del suo tempo, era qualcosa di ancora più ampio di quello che potremmo pensare noi. Era una riflessione su come è fatto l'universo e su che mezzi abbiamo noi per conoscerlo e su qual è il nostro libero arbitrio. Era la filosofia naturale che studia appunto come è fatta la natura. Ma poi da questo loro ricavavano anche delle conseguenze etiche, la filosofia morale.

In altre parole, erano convinti che sapendo come è fatto il mondo, noi possiamo anche imparare come starci al mondo. Era preso dalla dolcezza del conoscere. il vero delle cose racchiuse dal cielo. Torniamo alla carta d'identità che stiamo compilando per il nostro Durante Alighieri.

Abbiamo stabilito nome e cognome, data e luogo di nascita, abbiamo visitato la casa natale, il quartiere, abbiamo conosciuto i genitori, gli amici, lo abbiamo accompagnato nei suoi studi e nei suoi amori. Non abbiamo ancora dato. i connotati e i segni particolari. Forse è arrivato il momento di dare un volto e un po'di fisicità al nostro protagonista.

Il nostro poeta era di mediocre statura, aveva il volto lungo e il naso aquilino, le mascelle grandi. E il labbro inferiore così proteso che alquanto quel di sopra avanzava. Le spalle era parecchio curvo e gli occhi non erano piccoli ma grossi. La carnagione bruna e i capelli crespi e neri. Però, però, ricordiamoci sempre che Boccaccio Dante non lo ha mica conosciuto.

Parlava per sentito dire. La cosa più sicura è quando racconta di un nipote di Dante, il figlio di una sua sorella, che si chiamava Andrea Poggi. Perché questo nipote, invece, è Boccaccio.

Lo ha conosciuto. Nei lineamenti del viso Andrea somigliava meravigliosamente a Dante. E anche di statura erano simili.

E così nell'andamento che appariva un poco gobbo, come Dante. Dante si diceva andasse. Ecco, qui si sente una nota autentica. Andrea andava un po'gobbo. E a boccaccio qualcuno ha detto tutto suo zio.

A questo punto ci rimangono da completare due voci della scheda anagrafica di Dante. Lo stato civile e la professione. E cominciamo dallo stato civile che almeno in apparenza è la cosa più semplice.

Coniugato. Anche se in realtà anche qui non mancano i misteri. Dante era sposato con Gemma di Messer Manetto Donati, ma il mistero è quando si sono sposati. Noi l'atto di matrimonio non ce l'abbiamo, ma in un documento molto più tardo di quando Gemma era già vedova, lei menziona l'atto del suo matrimonio.

e dice che è datato al 1277, attenzione, quando Dante aveva 12 anni. Di questa cosa in genere non ci si preoccupa molto perché c'è l'idea che a quell'epoca facevano sposare anche i bambini. È vero che si facevano promesse di matrimonio fra bambini, ma l'atto di cui stiamo parlando è un'altra cosa.

Io lo ricordo un caso di bambini che si sono proprio sposati. Avvenne l'anno in cui sono nato io, nel 1280. Era nella famiglia dei Conteguidi e c'era da mettere in salvo un'enorme eredità. E così fu celebrato questo matrimonio, anche se loro sapevano benissimo che era illegale e Santa Madre Chiesa non approvava, ma c'erano in ballo troppi soldi.

E l'hanno fatto lo stesso. Sì, sì. Ma quelli erano i conti guidi. Figuriamoci se una cosa così potevano farla gli alighieri. Tra l'altro i conti guidi erano i padroni di questo castello di poppi in cui noi ci troviamo adesso.

Ed erano una famiglia principesca. A loro certe trasgressioni erano consentite. Alla gente qualunque, come gli alighieri, secondo me no. E quindi io sono abbastanza convinto che in realtà sono i notai che si sono sbagliati a trascrivere l'anno.

E che Dante si è sposato con una donna. verso i 25 30 anni come tutti come tutti i giovani uomini della sua classe sociale che si sposavano tardi le donne no la moglie era sempre molto più giovane del merito le ragazze si sposavano appena possibile a 14 a 15 anni e del resto boccaccio lo dice benché partita dal mondo beatrice gli aveva nel petto la sua immagine lasciata per perpetua donna E allora i parenti ragionarono insieme che se Dante avesse preso per moglie una giovane, questa avrebbe potuto scacciare il pensiero della prima. E senza alcun indugio misero in pratica quel che avevano pensato. Allora, lo stato civile lo abbiamo definito. L'altra voce che riguarda la professione la lasciamo in bianco.

Dante non lavorava, viveva di rendita. Il padre, il nonno, gli zii erano gente d'affari e avevano fatto i soldi. Lui i soldi li aveva ereditati. Non che fossero tantissimi, ma abbastanza per vivere tranquillamente, da cittadino, come si diceva allora. Un paio di bei poderi in campagna, con i loro mezzadri che ogni anno venivano in città a pagare l'affitto al padrone.

Se avesse voluto avrebbe potuto anche lui impegnarsi un po'negli affari, ma non aveva la vocazione. Diversamente da suo fratello Francesco. Il fratellastro Francesco per tutta la vita ha continuato a fare affari, comprare terra, rivenderla, prestare soldi per arrotondare. Nei protocolli dei miei colleghi notai di quell'epoca sono saltati fuori parecchi documenti in cui Dante e Francesco prendono soldi in prestito.

Ed è nata la leggenda che fossero in difficoltà economiche, addirittura... che si fossero impoveriti, ma non è così che andavano le cose ai miei tempi. Non so per voi se è diverso, ma da noi la regola è che i ricchi fanno grossi debiti ed i poveri fanno debiti piccoli.

E Dante e Francesco prendevano in prestito grossissime somme. In un'occasione 480 fiorini d'oro. Vogliamo dire mezzo milione dei vostri euro? Con 480 fiorini una famiglia come la loro avrebbe potuto vivere dieci anni. E dunque la verità è un'altra.

E che quei soldi servivano a Francesco per i suoi investimenti. Oppure a Dante per un'altra cosa di cui finora non abbiamo ancora parlato ma di cui è proprio arrivato il momento. il momento di parlare perché è l'unica cosa che per qualche anno lo ha occupato quasi quanto lo studio e la poesia la politica Il nostro era un governo largo, come si diceva ai miei tempi. Si partecipava in tanti, a turno.

I consigli che prendevano le decisioni venivano rinnovati ogni sei mesi. E dentro c'era un bel po'di gente. Io non ho mai fatto il conto, ma... Ma credo che se non erano mille, poco ci mancava. Ed era un governo di popolo, della gente che lavora.

Oh, non dico mica degli operai o di simile gentaglia. No, no, dico di chi ha una bottega e paga le tasse, di chi è iscritto a una corporazione di mestiere, a un'arte. I mercanti, i medici, i notari, gli speziari. Salve a tutti!

O i più piccoli, i calzolai, i fabbri, i macellai. I sei magistrati supremi, i priori, li eleggevano direttamente le corporazioni, come se nel vostro mondo il governo fosse eletto da Confindustria. O Confesercenti, o Confartisanato. Sì, sì, sì, insomma, abbiamo capito, sì. I sei priori stavano in carica due mesi.

Mi dicono che nel vostro mondo non vi preoccupate di una cosa che si chiama stabilità di governo. A voi non piacciono i governi che durano poco? Per noi era esattamente il contrario. Guai a uno che resta troppo al potere. Due mesi, sì, due mesi è la durata giusta.

E dunque la politica era fatta di riunioni, commissioni, giunte, consigli e di votazioni continue a voto palese e a voto segreto. E di discorsi, come quelli che Dante aveva imparato a fare studiando con Brunetto Latini. Però... Attenzione, perché questa dimensione, diciamo così, democratica della vita politica, doveva poi sempre fare i conti con l'altra dimensione, sempre presente, quella della violenza.

Perché quelli che non erano contenti di come andavano le cose, avevano sempre la tentazione di scendere in piazza armati e rovesciare il governo con la forza. E per niente i sei priori dovevano stare per due mesi chiusi dentro una torre, la torre della Castagna. Poi era proprio davanti alla casa di Dante e per loro stavano costruendo un palazzo che poi sarà palazzo vecchio perché stessero ancora più sicuri. Dovevano stare chiusi dentro una fortezza per evitare che i nemici del popolo gli facessero la pelle.

I nemici erano i cattivi cittadini, dico io, quelli che pensavano solo ai loro interessi invece che alla concordia, al bene comune. E poi, se devo dire di più, erano i grandi, i magnati. Quelli che non avevano niente a che spartire con il popolo perché non lavoravano loro. Andavano in giro a cavallo, addobbamenti, feste, tornei. Avevano tempo da perdere loro.

E noi, il popolo, quella gente lì, non la volevamo nel nostro governo. Si erano fatte le leggi. I cavalieri non potevano diventare priori e non potevano entrare nei consigli.

Non solo. Non solo loro. Ma anche tutti quelli che avevano i cavalieri in famiglia. E che non erano iscritti alle arti. Perché non lavoravano, appunto.

gli scioperati li chiamavamo così I magnati facevano paura, erano tanti e bene armati e in caso di bisogno facevano venire in città dalla campagna i loro contadini, armati anche loro, per intimidire il governo di popolo. E'proprio in un'occasione del genere che Dante per la prima volta si è alzato e ha fatto un intervento in un consiglio. O almeno così parrebbe di capire da un verbale che è arrivato fino a noi. Il documento è sbiadito, ammuffito, si fa una gran fatica a leggerlo.

Però si individuano alcune lettere del cognome Alighieri. Era proprio Dante. Pare che non ci fosse nessun altro il cui cognome potrebbe corrispondere a quelle lettere. Sì, diciamo che era lui. Certo che, come col famoso contratto di matrimonio, non siamo tanto fortunati quando si tratta dei documenti che dovrebbero illustrare i momenti cruciali della vita di Dante.

E poi non crediate che lì ci sia registrato il testo del suo intervento, no? C'è solo scritto che quel giorno Dante è intervenuto a favore della proposta del governo, che poi è stata approvata. Ma qual era questa proposta?

Che giorni quelli! Si temeva la guerra civile. I magnati si erano messi in capo di pretendere la modifica alle leggi che gli escludevano dal nostro governo.

E la pretendevano a modo loro. Scesero in piazza, armati. E noi... il popolo, si è scesi anche noi, tutti armati, ciascuno sotto il gonfalone del proprio rione, a difendere la torre dei priori, a tirare su le barricate nelle strade.

Si sono guardati in faccia tutto il giorno, sotto il sole di luglio. Cittadini autorevoli, frati, facevano la spola cercando di rimettere pace. I maniati in fondo non avevano tutti i sordi, le leggi colpivano troppe famiglie, bastava aver avuto un cavaliere chissà quanto tempo prima, ta e finivi nelle liste, non potevi fare più politica e ti tenevano d'occhio.

Per fortuna al governo c'era gente che non aveva mai avuto un cavaliere, e non aveva mai avuto un cavaliere. ragionevole, hanno promesso le modifiche e Magnate hanno accettato sgombrando le piazze. Questa è la proposta che Dante ha appoggiato il giorno dopo.

Allentare le misure di sicurezza contro i grandi, permettere anche a gente ricca che non lavora di accedere ai posti di governo, purché accettino la formalità di iscriversi alla confindustria, voglio dire alle corporazioni, alle arti. E questo ci fa anche capire qual era la posizione politica di Dante. Lui serviva un governo di popolo, certo, anche perché quello era il governo del momento e se uno voleva fare politica doveva adattarsi.

E del resto Dante era un plebeo, anche se viveva di rendita. Però le rivendicazioni dei nobili cavalieri le capiva. Tra loro c'erano i suoi amici e c'erano i parenti di sua moglie, Gemma.

Le capiva e quando il governo ha deciso di accettarle lui è stato d'accordo. Non solo, hanno scelto lui per parlare a favore della proposta. E questo vuol dire una cosa sola, che il partito si fidava di lui. L'avevano identificato, questo è uno dei nostri. vogliamo sì il governo di popolo certo ma senza inutili intransigenze nei confronti delle grandi famiglie e anzi con tanta diffidenza nei confronti dell'estremismo dei poveri dante si era messo in politica E ne fu inviluppato tremendamente, abbandonando gli studi, le considerazioni filosofiche, che richiedevano quiete, concentrazione, somma, pace ed animo.

Impossibile in quel tumulto che è la politica. E la politica fiorentina era davvero un vespaio pieno di trappole, perché non c'era soltanto la spaccatura sociale fra i magnati e i popolani, c'era anche la vecchia spaccatura ideologica incancrenita fra Guelfi e Ghibellini, che ormai era... tenuta viva solo dalla propaganda, perché i Guelfi avevano vinto, stravinto. E dire Ghibellini a Firenze era come dire comunisti negli Stati Uniti. Una volta c'erano, adesso non ci sono più.

Però c'era il partito Guelfo, parte Guelfa, col suo palazzo. che esiste ancora oggi nel centro di Firenze. C'era parte Guelfa che badava a garantire l'ortodossia politica della città e a stilare le liste dei sospetti ghibellini da tenere sotto sorveglianza. Questa storia del partito Guelfo che faceva le liste dei sospetti ghibellini e gli rovinava la vita è continuata anche dopo, fino ai miei tempi.

Se qualcuno voleva fare carriera politica si vantava di essere più Guelfo degli altri. E se voleva tagliare le gambe a un loro concorrente, l'accusava di essere ghibellino e lo faceva cacciare da tutti i consigli e magari quello lì era più guelfo di loro. Ma al tempo di Dante il problema peggiore era un altro.

Era che nel partito guelfo erano in troppi a voler comandare. E così si erano formate due correnti, come diremmo noi oggi, due fazioni che prendevano il nome dalle due famiglie principali. Gli amici dei cerchi, che poi si chiamarono i bianchi, e gli amici dei donati, i neri. Erano due famiglie molto diverse.

Una aveva più orgoglio che soldi e l'altra tutto il contrario. Nella casa dei donati il capo era Messer Corso Donati. Egli e quelli della sua casa erano guerrieri, non di soperchia ricchezza, e per morto venivano chiamati malefami. Noi non sappiamo se malefami sono i soldi o i soldi di un'altra città. D'Ami volesse dire di mala fama o addirittura fammi male.

Certo non era un soprannome rassicurante. Con questi donati Dante, lo sappiamo, rimaneva parente. Suo suocero Manetto Donati era un lontano cugino di Corso ed era fratello di Dante.

di Corso Donati, l'amico di gioventù di Dante, Forese. Ma Dante, sappiamo anche questo, era uno che faceva di testa sua e infatti stava coi cerchi. Della casa dei cerchi il capo era Messer Vieri dei cerchi.

La famiglia dei cerchi era gente di grande affare, possenti, di grandi parentati. Mercatanti ricchissimi, la loro compagnia era una delle maggiori del mondo. Come uomini erano morbidi, innocenti, salvatichi e ingrati. I cerchi non erano nobili, insomma, non erano antichi.

E si vedeva, perché non avevano ancora imparato a stare al mondo, non avevano imparato a farsi degli amici, come è necessario in politica. Però questo non gli impediva di essere anche loro dei magnati, dei grandi. che la loro compagnia commerciale, che poi era soprattutto una banca, era una delle più importanti di Firenze.

Una delle più importanti del mondo, dice il Villani. E ha ragione, perché le banche a quell'epoca esistevano solo nelle città toscane. Nel resto del mondo non sapevano neanche cosa fossero. Senza i nostri banchieri fiorentini, neanche il re d'Inghilterra o il re di Francia potevano fare la guerra.

I soldi li avevamo noi. Si finanziava anche il Papa. E fin dei conti Firenze era guelfa. Da noi i ghibellini non hanno mai avuto speranza. Il Papa faceva affari solo con i guelfi.

Ai miei tempi, sul finire del Trecento, nelle banche hanno incominciato a investire anche dei popolani venuti dal niente. E si sono fatti ricchi. I medici, ad esempio, mi dicono aver fatto una gran fortuna.

Ma ai tempi di Dante, le quote maggiori nelle banche le avevano solo i grandi, i magnati, gli spini, gli scali. I bardi. Strano, eh? In città non potevano essere letti. a nessun incarico.

Ma poi, la finanza avevano in mano loro. Capite come faceva fatica a stare a galla il governo dei priori. Loro rappresentavano il popolo.

Un governo del popolo in cui gente come i cerchi e i donati non aveva neanche diritto di cittadinanza. Perché loro erano grandi, nemici del popolo. Però in città... I cerchi e i donati avevano così tanti amici e facevano così tanta paura che il governo era costretto a stare chiuso in una torre per evitare guai. E quel che è peggio, la rivalità fra i cerchi e i donati non era neanche più una faccenda interna al mondo dei grandi.

grandi, perché anche molti popolani grassi si erano lasciati coinvolgere. Stava venendo fuori la magagna principale del governo di popolo, e cioè il fatto che nel cosiddetto popolo c'erano ormai interessi troppo diversi. I grassi, i grandi mercanti, gli industriali della lana, i giudici, non avevano più niente in comune con la massa degli artigiani, dei piccoli commercianti.

Stavano nello stesso partito, il partito della gente che lavora, ma non avevano più gli stessi interessi. La città si è divisa un'altra volta, tutta, non solo i grandi, ma anche i mezzani e anche i piccolini, chi teneva per i cerchi e chi teneva per i donati. Persino i religiosi non riuscivano a resistere e parteggiavano chi per gli uni e chi per gli altri.

E'in questo contesto avvelenato che Dante ha voluto continuare a fare politica. E noi sappiamo che l'ha fatta perché lo ritroviamo continuamente membro di un qualche consiglio. Sapete che ce ne erano tanti.

Il consiglio dei cento, il consiglio del podestà, il consiglio del capitano del popolo. e si rinnovavano continuamente. E Dante si alzava spesso a parlare, ci metteva la faccia. Lui poi dirà che non parteggiava per nessuno, che gli interessava soltanto il bene della città. Ma la gente lo vedeva, che quando era nominato in un consiglio era sempre in quota ai bianchi.

e quando si alzava a parlare era sempre per appoggiare le emozioni dei bianchi. E del resto in quegli anni, parlo del 1299, del 1300, sembrava proprio che i bianchi fossero i più forti, ma avevano fatto i conti senza il giocatore più forte di tutti. Sedea in quel tempo nella sedia di San Pietro Papa Bonifazio VIII, il quale fu di grande ardire e alto ingegno, e guidava la Chiesa a suo modo, e abbassava chi non li consentia.

E dalla sua parte stavano gli Spini, famiglia di Firenze, ricca e potente. Ma gli Spini, i banchieri del Papa, erano neri, stavano coi donati. C'era qualche cardinale...

che avrebbe voluto cambiare banca, che aveva interesse ad appoggiare la banca Cerchi. Ma Bonifacio VIII voleva la banca Spini e con lui c'era poco da discutere. Abbassava chi non gli consentiva.

Il Papa mandò a Firenze M. Frate e M. Frate. Matteo d'Acquasparta, cardinale portuense, per pacificare i fiorentini.

Ma si vide subito che la pace che egli cercava era per abbassare i bianchi e per innalzare i donati. Poco dopo l'arrivo dell'inviato del Papa, sono entrati in carica i sei priori che dovevano governare dal 15 giugno al 14 agosto. Per essere stati nominati in un momento così delicato dovevano essere uomini di cui il regime popolare si fidava completamente. Alcuni erano bianchi e altri neri e fra quei sei, in quota ai bianchi, c'era Dante.

Insomma, Dante è arrivato al vertice della sua carriera politica, è arrivato al potere, diciamolo pure, anche se soltanto per due mesi, in un momento difficilissimo. Perché i grandi avevano fatto capire chiaramente che loro alla pacificazione non ci credevano e che non avevano nessuna intenzione di smettere. di combattersi.

I giovani dei scerchi si scontrarono con i giovani dei donati che usarono i ferri e il sangue scorse. E finché i magnati si ammazzavano fra di loro il governo avrebbe anche potuto dire poco male ma in realtà quelle violenze continue mettevano a rischio la sopravvivenza stessa del governo di popolo perché certi magnati speravano che la guerra civile spalancasse le porte al colpo di stato. Il 23 giugno vigilia di di San Giovanni, festa del santo patrono di Firenze, mentre andavano in processione al battistero per offrire doni al santo, i consoli delle arti vennero aggrediti e bastonati da certi grandi che gridavano, noi siamo chi demmo la sconfitta a Campaldino e voi ci avete rimossi degli uffici e degli onori della nostra città.

Non era vero, a Campaldino c'erano tutti e Dante lo sapeva meglio di tutti gli altri perché lui c'era. Ma la propaganda non ha bisogno di dire cose vere. A questo punto i priori, fra cui Dante, decisero che era troppo e condannarono all'esilio un certo numero di capi di tutte e due le fazioni.

Per Dante non deve essere stato facile perché uno dei condannati era il suo amico Guido Cavalcanti che era uno dei più scalmanati fra i bianchi. bisognava far vedere al cardinale che il governo era imparziale ma a un certo punto non ce l'hanno più fatta a restare imparziali e così hanno dato ai bianchi il permesso di rientrare mentre i neri rimanevano in esilio ricordate quelle lettere di Dante che io ho avuto tra le mani. Ebbene, parla anche di questo.

Dice che non è vero che furono i priori del bimestre successivo a permettere agli esiliati di rientrare. Ma a me non risulta che sia così. Lui si scusa, dice di non essere un uomo di parte, ma tutti sapevano che pendeva per la parte bianca. Anche Guido Cavalcanti è tornato, ma in esilio si era ammalato ed è morto quasi subito. Noi non sappiamo cosa abbia provato Dante sapendo in cuor suo che aveva causato la morte di un suo migliore amico.

Non ce n'è mai parlato. E intanto il cardinale da qua... Sparta continuava a negoziare, ma i fiorentini si erano già accorti che non era imparziale nemmeno lui.

Favoriva i neri, come voleva il suo capo Bonifacio VIII. E anche il cardinale ha rischiato di finire male. Ci fu uno di non molto senno, il quale con una balestra tirò una freccia alla finestra del vescovado, dove era il cardinale.

La freccia si ficò nell'asse, per paura il cardinale cambiò casa e andò a stare oltrarno. I priori, per rimediare all'offesa, gli presentarono duemila fiorini appena coniati. Glieli portai io, in una coppa d'argento, e dissi, Messere, non li disdegnate perché siano pochi. Senza un voto dei consigli non si può dare di più.

Rispose che gli erano cari. Li guardò a lungo e non li volle. Duemila fiorini, per capirci, vuol dire qualcosa come un milione di euro, forse anche due. Deve essere stato un bello sforzo per il cardinale, rifiutarli.

Ma capite in che razza di periodo si è trovato al governo Dante. Due mesi possono sembrare pochi, ma quante decisioni difficilissime da prendere. E lui poi, ripensandoci, ricondurrà a quei due mesi maledetti tutte le sue disgrazie.

Tutti i mali e gli inconvenienti miei. Dagli infausti comizi del mio priorato ebbero cagione e principio. Dopo essere stato priore, Dante ebbe un altro incarico altrettanto delicato, far parte di un'ambasciata mandata a Roma da Papa Bonifacio VIII, nella Tana del Lupo.

È probabile che a Roma Dante ci fosse stato già l'anno prima, il 1300, perché in quel momento, il Papa Bonifacio VIII, Quell'anno Bonifacio VIII si era inventato il primo giubileo della storia e a Roma c'era andato mezzo mondo. C'erano 200.000 pellegrini, senza contare quelli in cammino, andando e tornando. E c'erano vettovalli per tutti. I romani si sono addicchiti tutti, a cominciare dal Papa. Non sei tu che raccontavi che nella Basilica di San Paolo c'erano due chierici accanto all'altare con dei rastrellini, giorno e notte, ad ammassare le offerte che i pellegrini lasciavano ininterrottamente?

Eh, io mi ricordo un'altra cosa, sai, che sul ponte di Castel Sant'Angelo avevano istituito un doppio senso di circolazione per i pedoni, vista la grande massa di pellegrini. Quello era... L'ha detto Dante, zio. Sì? Nel diciottesimo dell'inferno l'hai letto lì.

No, no, no, no. L'ho detto io perché io c'ero e vedi. Quel che è certo è che mentre Dante era a Roma, a Firenze la situazione è precipitata.

I neri intrigavano la corte di Roma. Spendevano molto denaro, mettevano in giro false informazioni. Dicevano che Firenze stava per tornare in mano ai Ghibellini.

Il Papa allora si convinse a prestare ai Guelfi neri la grande potenza di Carlo di Valois, fratello del re di Francia. Partito dalla Francia per arrivare in Sicilia a combattere contro Federico d'Aragona. Gli scrisse che l'omulato di Firenze era un'esplosione. voleva fare paciaro in Toscana contro i nemici della Chiesa. Paciaro?

Beh, la parola sembrava buona, rassicurante. In realtà voleva abbattere i bianchi ed innalzare i neri e fare i bianchi nemici. della Casa di Francia e della Chiesa.

Il Papa era il capo del Partito Guelfo, che era uno schieramento internazionale, e il Regno di Francia era il suo braccio armato. A quei tempi in Fausti, io, Dino Compagni, fui eletto priore. Il 15 d'ottobre 1301. Credevamo ancora di poter mettere tutti d'accordo.

Parlavamo ai guelfi neri cercando di convincerli a fare la pace, a dividere il potere con i bianchi. Insistevamo a trattare per la pace, quando invece conveniva a ruotare i ferri. Arrivato in città con i suoi cavalieri, Carlo di Valois getta la maschera.

I capi dei neri, che erano ancora in esilio, rientrano senza chiedere il permesso. E quasi subito cominciano le aggressioni, le bastonature, gli omicidi. Cominciarono a rubare. Fondac, botteghe E nelle case di parte bianca cominciarono gli omicidi Questa pestilenza durò cinque giorni in città Con grande rovina di Firenze E poi la devastazione continuò in campagna, rubando e bruciando case per giorni e giorni. Un gran numero di proprietà, belle e ricche, vennero guaste e arse.

Le proprietà di Dante vennero devastate, gli entrarono in casa, gli rubarono ogni cosa e quel che non riuscirono a portare via lo distrussero. Ma dopo le prime settimane la violenza dei vincitori assume una nuova veste. legalitaria si comincia a montare false accuse ea istruire processi politici contro gli avversari sconfitti molti furono accusati e conveni a loro confessare avevano fatta congiura che non l'avevano fatta ed erano condannati in fiorini mille per uno e chi non si difende era accusato e per contumacia raccoglie condannato nell'avere nella persona e chi ubbidia pagava. E di poi accusati di nuove colpe erano cacciati di Firenze senza nessuna pietà.

Fra di loro vi fu anche Dante Alighieri, che era ambasciatore a Roma. I processi del 1302 si conclusero con la condanna all'esilio di più di 600 persone. Non c'è nessun dubbio che erano processi politici e che l'esito era già deciso fin dall'inizio.

Però sul processo contro Dante vale la pena di fermarci. un po'di più. Perché non tutti i bianchi che avevano avuto posizioni importanti in quegli anni, non tutti i suoi colleghi nel priorato, per esempio, sono stati mandati sotto processo. Dante sì. E questo vuol dire che era uno di quelli contro i quali si potevano montare delle accuse un po'più plausibili.

Che accuse? Il processo contro Dante e altri tre coimputati, in contumacia ovviamente, era un processo per baratteria. Già, la baratteria.

Che voi direste concussione, corruzione, peculato. Ai miei tempi era la grande malattia che affliggeva la vita politica italiana. Mentre ai vostri tempi... Dante l'attacca rabbiosamente nell'inferno, dove riserva una bolgia ai barattieri, costringendoli a nuotare nella pece bollente. Nel gennaio 1302 però fu lui ad essere accusato di baratteria.

Il giudice che istruì il processo accusò Dante e gli altri di aver accettato bustarelle per le elezioni dei primi. ori dopo di loro e di altri ufficiali del comune o per fare approvare provvedimenti e stanziamenti che facevano comodo agli amici. Li accusò inoltre di aver speso fondi pubblici in misura maggiore del consentito.

a vantaggio del loro partito. Dante barattiere per lucro privato? No, certo. Però un Dante che trovandosi al governo accetta magari di fare qualche pressione nell'interesse del partito per evitare che un certo incarico vada magari alla persona sbagliata o per garantire un finanziamento agli amici. Ebbè, questo francamente non appare proprio impossibile.

Sentito Dante la ruina sua, subito partì da Roma e camminando in gran celerità ne venne a Siena. E qui si rese subito conto in modo chiaro della catastrofe e non vedendo possibilità diverse si aggregò agli altri esuli. Mancava ancora una voce per completare la carta di... identità del nostro protagonista, la cittadinanza. Dante era nato e cresciuto a Firenze, ma quella cittadinanza ha finito per perderla quando è stato condannato all'esilio.

È diventato un cittadino del mondo, come dice lui stesso con un po'di tristezza e con molto orgoglio nel De Vulgari Eloquenzia, o per patria il mondo come i pesci hanno il mare. Dante pensava di essere nel mezzo del cammin di nostra vita, quando ha dovuto lasciare Firenze per sempre. Aveva 36 anni e la Bibbia dice che l'uomo è fatto per vivere 70 anni.

Ma lui non ci è arrivato. È morto a 56, dopo 20 anni di esilio. E nelle sue ultime opere parla di sé come di un vecchio, con i capelli bianchi. Quei vent'anni che sono stati i più tristi e amari della sua vita sono i più importanti per noi perché in quegli anni Dante ha mantenuto la promessa che aveva fatto a Beatrice di scrivere su di lei quello che non era mai stato detto di nessuna Però quello che ha scritto va anche al di là dell'omaggio alla donna che aveva amato senza speranza per tanto tempo. Ed è un patrimonio dell'umanità, perché in quei vent'anni di esilio, vagando fra Bologna, Pisa, Verona, Ravenna, fra la Lunigiana e il Casentino, Dante ha scritto quello che lui chiamava la Comedia, e che noi da boccaccio in poi chiamiamo la Divina Commedia.

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura che la diritta via era smarrita. E'cosa dura, e sta silva selvaggia e aspra e forte, che nel pensier rinnova la paura. Uomini siate, non pecore matte.

Otosco che per la città del fuoco vivo così temvai parlando onesto. Piaccia ti deve stare in questo luogo. La bocca sollevò dal fiero pasto. Il peccatore, forbendola i capelli. Fatti non foste a vivere come brutti.

Ma per seguir virtude e canoscenza. La terra che fe già la lunga prova. e di Franceschi sanguinoso mucchio questi che mai da me non fia diviso la bocca mi baciò tutto tremante amor che al cor gentil ratto s'apprende l'amor che muove il sesso sole e le altre stelle.

Amor che a nullo amato a mar perdona. Poi sascose nel fuoco che li affina. Ai servetaglia di dolore osteri, nave senza nocchieri in gran tempesta, o poca nostra nobiltà di sangue.

Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore a centinilla. Libertà va cercando che si cara. Come sa che per lei vita rifiuta. Così, Polà, dove si può fare ciò che si vuole. Di Satana, di Satana l'è.

Romagna tua non è e non fu mai. Biondo era, bello e di gentile aspetto. E lì avea del cul fatto trombetto.

Puro e disposto a salire alle stelle. E quindi alle stelle. E quindi uscimmo a rivedere le stelle.

E quindi uscimmo a rivedere le stelle.